Dopo aver letto del massacro per anni, dopo aver visto centinaia di fotografie e altrettanti video, volevo confrontarmi con quello che è venuto dopo. Come ho detto Sarajevo non offriva più gli spunti classici. Mentre Srebrenica sì, visto che da quasi 18 anni è meta del ritorno delle famiglie delle vittime. Volevo confrontarmi non più tanto con il massacro che è stato, quanto con il ritorno delle persone che avviene ogni anno. Ogni luglio, le vedove, i figli e le figlie degli uomini uccisi a Srebrenica tornano per seppellire i resti dei loro cari disseppelliti negli anni.
Quello che ci permette di mettere insieme un progetto a così tanto tempo di distanza è il fatto che solo 5.000 bare siano state interrate, su un totale di 8.000 vittime accertate. Una settimana dopo il massacro, i serbi sono rientrati nel villaggio con dei bulldozer, hanno riaperto le fosse comuni e hanno cercato di insabbiare tutto, spostando i cadaveri in altre zone della Bosnia. Così facendo, i corpi sono stati maciullati nonché resi irriconoscibili. Alcuni sono stati messi in cisterne d’acqua, ad esempio, a marcire. Ovviamente rimettere insieme dei cadaveri richiede tempo. Ci sono famiglie che, ad oggi, hanno ritrovato solo un braccio o un teschio del proprio caro. Trovare il 100 percento di un corpo a Srebrenica è impossibile. Il lavoro di ricomposizione dei corpi spetta all’International Center for Missing Persons (ICMP), che da anni non fa che recuperare i resti, fare test del DNA e avvertire le famiglie quando qualcosa viene trovato. Se la famiglia decide che è abbastanza, si procede con il funerale. Ecco cosa avviene ogni anno: un funerale di massa.
Mattia Vacca intervistato da Matteo Congregalli (via)