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Abolizione province

Ma siamo sicuri che spariscano le province?

Perché Tito Boeri (qui) non ne sembra molto convinto:

In sostanza, quella approvata al Senato è una legge rinvio. Rinvia l’abolizione delle province e rinvia il riordino di funzioni e risorse fra i livelli di governo che dovrebbe sostituire i precedenti. Mentre il rinvio sul primo aspetto era inevitabile, non lo è sul secondo. Perché, ad esempio, non si è previsto che, una volta abolite le province sul piano costituzionale, tutte lefunzioni e risorse passassero direttamente all’ente di governo di livello superiore, cioè le Regioni? Queste ultime, a loro volta, avrebbero potuto decidere come delegare funzioni e risorse: a proprie suddivisioni amministrative o alle nuove unioni di comuni previste dalla stessa legge. In attesa della riforma costituzionale, si poteva adottare qualche semplice criterio forfettario deciso dal Governo, basato sul costo storico delle funzioni rimaste alle province, per suddividere le risorse tra provincia e Regione, a cui potevano essere attribuite per default le funzioni non lasciate alle province. Ma il sospetto è che, anche in questo caso, sulla razionalità delle scelte abbia prevalso la fretta di poter esibire qualche trofeo e di giustificare agli occhi della Consulta il blocco delle elezioni dei consigli provinciali.

Adesso scopro di essere un conservatore

Una volta (fino ad oggi e probabilmente ancora per un bel po’) Berlusconi ci diceva che eravamo contrari alle riforme in quanto “comunisti” e non importa se le sue riforme fossero pericolose per i diritti, per la democrazia, per la Costituzione e utili ai suoi interessi personali. Ora ci dicono che siamo contrari alle riforme perché siamo “conservatori” e lo dicono con la stessa spocchia, lo stesso rifiuto del confronto. Poiché l’imperativo è “cambiare” non si deve perdere tempo a discutere di “come” e “per andare dove”. Cambiare, in fretta, riformare, abbandonare il vecchio e basta. Ci deve bastare. Altrimenti siamo boicottatori. E non importa se la schifezza di legge elettorale in cantiere e la riforma del senato in fieri ci lascerebbero una rappresentanza a dir poco discutibile. Io sono d’accordo su quello che scrive oggi Alessandro qui:

Eppure questo frutto del Porcellum vuole arrogarsi il diritto di decidere che, dal prossimo giro, eleggeremo una sola Camera, in cui chi prende il 37 per cento prende la maggioranza assoluta, quindi potrà a sua volta cambiare la Costituzione a piacimento.

Insomma siamo stati fieri di essere “comunisti”, poi “amici delle toghe rosse”, poi addirittura “coglioni”: qualche mese da “conservatori” non ci può fare poi tanto male.

Scambiare una provincia per un mulino a vento

Anche se di Don Chisciotte in giro se ne vedono pochi (e intanto abbondano i Sancho Panza), il decreto che abolisce le province è uno degli argomenti da bar più caldi dell’estate. E io ho sempre subito il fascino di quei discorsi davanti al primo caffè prima di andare al lavoro perché dentro c’è la rappresentazione e la proiezione che una comunità scorge dietro una legge. Perché i tagli (anche delle province) mettono tutti d’accordo (noi, almeno) ma i criteri, gli obiettivi e il risultato sono “politica”. E forse ci sarebbe qualcosa da rivedere. Ne riflette anche Leonardo Tondelli su L’Unità:

Alla base di molte chiacchiere c’è una competenza geografica data per scontata e che invece tante volte scontata non è. Così ci si scandalizza del fatto che un piccolo centro, Sondrio, continui a esercitare prerogative da capoluogo, ignorando il fatto che per quanto Sondrio possa essere piccolo, il territorio a cui fa capo (la Valtellina) è immenso, e separato dal resto della Lombardia da confini naturali. Non è che non si possano trasferire uffici e competenze a Bergamo, ma rimane da stabilire se sia un risparmio. Per il Tesoro magari sì, almeno nell’immediato; ma per i cittadini? I tagli hanno di buono che sul bilancio si vedono subito: le magagne, i disastri “naturali” che possono derivare da una gestione miope e lontana del territorio, all’inizio non si vedono, e comunque a calcolarli servono mesi, a volte anni. Monti e il suo governo saranno già lontani.

Molto spesso poi chi parla di abolire le province mostra di non riconoscere che un Paese non è soltanto una comunità di persone, ma è anche il territorio in cui queste persone vivono. Il fatto che alcune province, anche vaste, siano poco popolate, non dovrebbe costituire di per sé un motivo sufficiente per eliminarle. La gestione dei fiumi, delle valli, delle strade, deve essere efficace: la risposta alle emergenze deve essere pronta, anche se in quel territorio abitano poche migliaia di persone. Si sa che in altri Paesi i territori poco popolati sono compensati, in sede istituzionale, da una maggior rappresentatività: negli USA anche i grandi Stati del Midwest hanno i loro due seggi al Senato, anche se la loro popolazione è molto inferiore a quella degli Stati sulla costa. È un metodo, certo non perfetto, di riequilibrare grandi territori poco popolati e piccoli Stati fortemente urbanizzati.

La distribuzione della popolazione, in Italia, è molto diversa. Ma spesso chi ritiene inutili le province vive in grandi centri, come Milano o Roma o Napoli, dove a conti fatti la provincia è davvero un doppione, la cui abolizione non sarà affatto rimpianta. Però la stragrande maggioranza degli italiani non vive in questi grandi centri, ma in territori diversificati dove l’organizzazione provinciale dei trasporti pubblici o delle scuole superiori ha ancora un senso. Di queste cose sarebbe bello discutere, non soltanto sotto l’ombrellone, mentre aspettiamo che Monti & co. ci mostrino la nuova cartina delle province italiane. Più che delle risse di cortile, dell’angoscia dei materani costretti a mescolarsi ai potentini, eccetera eccetera.

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