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Indovina con chi va il Pd? Con Angelino Alfano. A Palermo, intanto

Nonostante sia un copione liso e scontato, provoca il sorriso la testardaggine con cui questi si ostinano a smentirla: a Palermo, in vista delle prossime elezioni amministrative, il Pd sosterrà l’attuale sindaco Leoluca Orlando (a cui, dicono, hanno fatto opposizione dura in questi ultimi cinque anni, per dire) insieme agli alsaziani (quel che ne resta) e ai rimasugli dell’Udc.

Ne esce una lista (dal nome appetitosissimo “Democratici e Popolari”) che richiama lontanamente i colori e le grafiche del Partito Democratico e di Alternativa Popolare (la neonata creatura di Angelino Alfano) senza però citarli; Leoluca Orlando, del resto, da mesi continua a spiegare un po’ dappertutto che Fassino ha perso proprio per “colpa” del partito. Quindi? Quindi tutti civici per finta con la pretesa di riuscire a darcela a bere. Democratici e popolari. Appunto.

 

(continua su Left)

Con rispetto per Scampia

Qualche tempo fa, mentre ero ospite di una trasmissione televisiva, ricordo di avere raccolto una bella sporta di insulti da esponenti leghisti e qualche rimbrotto piddino per una mia frase: “Milano in alcune sue zone è come Scampia”. Se non ricordo male il tema della puntata era proprio la rappresentazione televisiva di quel territorio campano diventato metafora di un certo agire criminale. Con il tempo mi sono pentito di quella frase effettivamente non tanto per Milano (che mi disgusta quando si ingegna per apparire compita) quanto per Scampia che non merita di diventare termine assoluto di paragone ad uso di una situazione milanese molto più complessa e per molti versi peggiore. Ieri su Il Fatto Quotidiano Davide Milosa, giornalista puntuale poiché sganciato dall’orrido bon ton lombardo sui temi mafiosi, ha scritto un articolo che riporta con precisione la situazione criminale di alcuni quartieri milanesi in un articolo dal titolo “Milano come Scampia: mafie, racket e droga nelle case popolari” e mi ha riportato all’episodio della mia ospitata televisiva. Forse davvero dovremmo trovare linguaggi nuovi per esprimere l’allarme di un territorio che comunque ospita tra le proprie pieghe episodi che vengono colti con la solita insopportabile insufficienza. Almeno per rispetto per Scampia. Basta leggere il pezzo di Davide per rendersene conto:

Maglietta nera, jeans, capelli rasati sui lati. Guarda. È insistente. Un pit bull gli pascola attorno. Dice: “Cerchi qualcuno?”. Risposta abbozzata: “Sì, anzi no, facevo un giro”. Oltre a lui adesso sono in sei, cinque ragazzi e una ragazza. Tutti italiani. Altri passeggiano sul grande spiazzo di cemento chiuso tra quattro palazzi di sette piani. Questo è territorio off limits. “Tra noi qualcuno è di troppo”, dice lei. Ride ma mica tanto. Meglio andare. Camminata rapida verso il cancello bianco che ti sputa sullo stradone di traffico. Il passo accompagnato dai bassi di un stereo che manda ritmi tecno dalla finestra.

Benvenuti a Milano nel fortino tra viale Sarca e viale Fulvio Testi, periferia nord della città. Case popolari. Gestione Aler in capo alla Regione che fu di Roberto Formigoni e che ora è di Bobo Maroni. Impronta leghista, ma identico risultato. E mentre la politica apparecchia il banchetto dell’Expo, Milano assiste alla frantumazione del suo tessuto sociale. Perché quello degli appartamenti gestiti dall’Azienda lombarda per l’edilizia residenziale è un fronte che monta ogni giorno. Con la cronaca che accatasta violenze, occupazioni abusive, voti comprati.

Dal Giambellino al Gallaratese, Aler si mostra impotente. L’azienda regionale, travolta dagli scandali, da sempre poltronificio per i partiti, in perenne rosso, controlla 72 mila alloggi. A Milano ha edificato 170 quartieri dove vivono 350 mila persone. Dal 1° dicembre, però, 28 mila alloggi torneranno sotto la gestione del Comune. “Ce ne assumiamo la responsabilità”, promette il sindaco Giuliano Pisapia. “Siamo pronti a vincere la sfida”.

Viale Sarca, comandano i clan e il voto costa 50 euro
“Il quartiere Sarca-Testi è il centro di tutto”, racconta un ex funzionario dell’Aler cacciato dall’amministrazione dopo che per qualche anno ha vigilato sui palazzoni, denunciando gli opachi rapporti tra i dirigenti pubblici e alcuni pregiudicati. Anche per questo si è fatto ben volere soprattutto dagli anziani. Non la pensa così l’azienda che gli ha fatto il vuoto attorno. “Qui rom e calabresi controllano tutto, dal racket allo spaccio”. Famiglie ben conosciute e con un pedigree criminale di tutto rispetto. Alcune di loro sono finite sotto la lente dell’antimafia.

“Qui anche i motorini dei postini vengono fatti a pezzi”, dice l’ex funzionario, “non succede la stessa cosa invece per certe fuoriserie”. In Sarca-Testi ci passa di tutto. “Anche gente di camorra legata al clan Gionta”. In questi palazzoni, poi, la politica viene spesso. “Nel 2010”, ricorda l’ex funzionario che chiede l’anonimato per timore di ritorsioni, “qui fece campagna elettorale un noto politico lombardo che entrò nella giunta Formigoni”. Non fa il nome, ma spiega: “Un voto vale 50 euro. Nel periodo pre-elettorale arrivano macchinoni e gente in giacca e cravatta. Gli accordi si prendono con i boss del clan Porcino e del clan Hudorovich. La mazzetta viene lasciata a una sola persona che ha poi l’incarico di distribuire il denaro ai vari inquilini”.

E se da un lato in questa enclave della mala politica incassa preferenze, dall’altro, funzionari Alervengono ricattati. “Qui si spaccia di giorno e di notte, e in certi casi i pusher hanno ripreso con i telefonini funzionari e impiegati dell’azienda mentre acquistano la droga, video che poi hanno utilizzato per ricattarli”. Come? “Per esempio per ottenere un cambio alloggio in tempi rapidissimi”. Il controllo del territorio è totale. “A tal punto”, spiega l’ex funzionario, “che nel 2010 qui trovò riparo un latitante, i carabinieri lo hanno cercato per settimane”. Quartieri sull’orlo di una crisi di nervi, e palazzi abbandonati. Anche questa è Aler.

E così da viale Sarca ci si sposta al civico 60 di via Adriano verso Crescenzago. Qui, qualche giorno fa, un marocchino di 30 anni, con precedenti per droga, è stato ammazzato. Lo hanno trovato su una montagnetta di rifiuti con la testa rotta. Precipitato dopo una rissa.

Guerra al Giambellino rom contro italiani
Abitava al terzo piano di uno stabile abbandonato. E come lui tanti altri disperati, gente che viene dal Nordafrica e dall’est Europa. Stabile Aler che, nei piani, doveva diventare una scuola. A testimoniarlo un cartello affisso al cancello. Si legge che “l’insegnante della prima ora deve fare l’appello e controllare le giustificazioni”. La data: 2008. Poi solo il degrado. Che si calpesta oggi metro dopo metro facendosi largo tra le erbacce e le montagne di immondizia. Ci sono finestre rotte, porte divelte e su per le scale si intravedono ombre. Dopo la morte del ragazzo nessuno parla. Si chiamava Moustafa.

Ma Aler oggi è anche corpo a corpo e lotta per la sopravvivenza. Una guerra tra poveri che infiamma il Giambellino. Succede tutto la notte del 1 ottobre scorso, quando al civico 58 arriva un camioncino. Quattro uomini entrano nel palazzo. Martellano, sfondano, occupano. Ci piazzano una ragazza con tre bimbi. I carabinieri arrivano ma non la cacciano. Il giorno dopo, in pieno pomeriggio, un gruppo di rom si presenta con sedie, tavoli, materassi. È la miccia che scatena la rivolta. “Arrivano gli zingari”, si sente urlare. La gente scende in cortile. Gli italiani fanno muro. Partono gli insulti. Si sfiora la rissa. Arrivano i carabinieri e i rom se ne vanno. “Qui non li vogliamo”.

Che fanno gli zingari? Si spostano di un chilometro verso via Odazio e piazza Tirana. Con donne, bambini e auto di lusso parcheggiate davanti al civico 4 di via Segneri. Sfilano davanti a una signora italiana con cagnolino al guinzaglio. Lei si sposta, loro tirano dritto, entrano nel cancello e scompaiono. “Ormai”, inizia la signora Rosa, “la piazza è roba loro”. Si avvicina un’altra donna. “Mi chiamo Carla e abito qua da 15 anni. Ogni giorno c’è un’aggressione, i furti sono aumentati, e poi ci sono le baby gang: ragazzi tra gli 11 e i 18 anni che fanno rapine ai passanti”.

Al Gallaratese le auto vanno a fuoco
In via Segneri la gente ha paura di protestare. Un dato comune anche in via Bolla 42, quartiere Gallaratese. Qui in una sola settimana la mafia del racket ha dato fuoco a tre macchine. Incendidolosi, non hanno dubbi gli investigatori. Ne sono certi gli inquilini che da anni protestano. Il ragionamento è questo: ora ti brucio la macchina e ti va bene così, la prossima volta, però, tocca alla tua famiglia. Da queste parti governano clan calabresi che non sfondano le porte ma i muri. “È più semplice”, dicono.

Dopodiché chi protesta, prima di essere minacciato, viene pagato. Dai 50 ai 100 euro. Tutto denaro che poi sarà recuperato con gli affitti abusivi. Succede in via Bolla come in via Asturie, non lontano da viale Sarca, dove il listino prezzi arriva fino a 3 mila euro per un appartamento di tre locali. Si occupa ovunque e Aler non pare in grado di bloccare quest’emergenza. Tanto che rispetto a cinque anni fa, gli sgomberi in flagranza sono calati del 60 per cento. In tutto questo succede anche che sulla giostra delle case popolari salgano abusivi e sbirri. Capita nei due palazzoni Aler di via San Dionigi 42 al confine con il quartiere Corvetto. Le occupazioni sono aumentate dopo la chiusura delcampo nomadi dietro via San Dionigi. La presenza di poliziotti, però, non è un deterrente. Gli abusivi non si fermano e occupano non solo gli appartamenti sfitti, ma anche quelli lasciati vuoti magari da un anziano che per qualche giorno si è ricoverato in ospedale. Il Comune di Milano, però, promette: “Sarà guerra agli abusivi e al racket”.

Da Il Fatto Quotidiano dell’8 ottobre 2014

30 euro al voto

Succede a Milano. Con di mezzo la camorra:

polizia-arrestoMaxi operazione dei carabinieri di Monza tra la Lombardia e la Campania per smantellare un’organizzazione camorristica che aveva stretti rapporti con ambienti della politica brianzola. L’indagine, denominata ‘Briantenopea’, ha avuto inizio nel 2010, da una rapina a un punto Snai a Gorgonzola nel mese di maggio, a cui sono seguiti altri due simili episodi a Brugherio ed Arcore, che hanno permesso, con intercettazioni e pedinamenti, di mettere in evidenza l’operatività di una “radicata associazione per delinquere composta, prevalentemente, da soggetti italiani di origine campana di elevato spessore criminale, in contatto con esponenti di clan camorristici del napoletano come Gionta e Mariano. Il nome più in evidenza è quello di Giuseppe Esposito, detto ‘Beppe ‘u curtu’. 

I carabinieri del gruppo di Monza hanno eseguito 43 ordinanze di misura cautelare, di cui 35 in carcere e 8 arresti domiciliari, nelle province di Monza, Milano, Lecco, Padova, Napoli, Avellino, e Salerno. Tra gli arrestati c’è anche l’ex assessore all’Ambiente e al Patrimonio del Comune di Monza, Giovanni Antonicelli (Pdl), a cui è stato contestato il reato di associazione a delinquere, come ad altri 20 soggetti. In sostanza, in cambio di voti, l’ex assessore avrebbe favorito gli affari del clan. Proprio sulla compravendita dei voti l’organizzazione avrebbe addirittura stilato un tariffario che andava dai 30 euro per il singolo ai 50 euro per il voto di un’intera famiglia. 

Due i fronti sui quali la magistratura di Monza, coordinata dal sostituto procuratore Salvatore Bellomo, ha concentrato le attenzioni nei confronti dell’ex assessore Antonicelli. Il primo è relativo alla manutenzione degli alloggi Aler, incarico affidato alla Pmg; il secondo riguarda la raccolta dei rifiuti nel capoluogo brianzolo, da anni affare della Sangalli. A giugno, la guardia di finanza si era presentata in Comune per acquisire materiale proprio sugli appalti delle case popolari e della raccolta rifiuti. Un passo a cui si era arrivati dopo che i carabinieri di Monza avevano messo in relazione una serie di scenari anomali su tutto il territorio. Scenari che hanno portato gli inquirenti a parlare di una vera e propria ‘enclave’ camorristica sul territorio di Monza in grado di respingere perfino tentativi di espansione della ‘ndrangheta.

I reati contestati in generale vanno dall’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di gravi delitti quali rapine, estorsioni, usura, furti, ricettazione, al riciclaggio, spaccio di banconote false, detenzione illecita di sostanze stupefacenti e di armi e di reati contro la pubblica amministrazione. Citato ma non indagato, anche un ex consigliere comunale milanese del Pdl Renzo De Biase, in carica nella scorsa legislatura.

Ma L’Aler?

Teresa, figlia del boss Eugenio Costantino, chiama il padre per informarlo di essere stata chiamata dalla direzione generale dell’Aler, l’ente che gestisce il patrimonio pubblico di case. “Sicuramente avrà chiamato Zambetti, come mi aveva promesso”

Negli atti che hanno portato all’arresto dell’ex assessore della Lombardia Domenico Zambetti c’è l’assunzione all’Aler della figlia del boss. Per non rischiare di guardare il dito e perdersi il resto bisogna dirci che l’Aler è una delle tante “sovrastrutture” regionali che in questi anni sembrano diventate isole indipendenti di favori e prebende dispensate con leggerezza e una certa facilità. Forse il formigonismo non è incarnato solo dal governatore ferito che in queste ore tenta la strenue ultima difesa ma anche, e soprattutto, dalle scatole cinesi (Aler, Infrastrtture Lombarde, Eupolis e molte altre) che sono risultate essere più bisacce a disposizione del portatore che enti effettivamente congrui al proprio ruolo. Perché la moralizzazione passa dal ridisegnare l’impianto di governo. Ma con coraggio. Davvero.

 



Buca le gomme

Io non so cosa deve succedere d’altro per raggiungere il colmo, non so nemmeno se l’etica sia finita qualche decennio fa e forse noi non ce ne siamo accorti e questi episodi non siano altro che le macerie che cominciano ad emergere e galleggiare ma che un Presidente dell’Aler (Antonio Piazza, uomo PDL a capo dell’Aler di Lecco) parcheggi la sua Jaguar in un posto riservato ai disabili e poi costretto a spostarla per le proteste di un disabile decida di tagliargli le gomme dell’auto mi sembra oggettivamente troppo. Perché qui non si tratta di antipolitica ma di un’insofferenza cronica per un malcostume che qui da noi diventa classe dirigente, per una carriera che sembra inversamente proporzionale allo spessore umano. Altro che meritocrazia, in Italia siamo arrivati alla perversione.

E la piccolezza si legge (ed è ancora più insopportabile) nelle scuse offerte dal dirigente: Venerdì ero a pranzo con 36 disabili. Dal punto di vista dell’azienda lombarda mi sono sempre comportato bene e non è nella mia indole offendere queste persone». Piazza, che faceva parte anche del direttivo provinciale del Pdl, vuole chiudere il capitolo. Le dimissioni? «Sono giustissime infatti le ho date, devo fare atto di penitenza, poi con il tempo, se c’è la passione e la possibilità di ripartire. Ma – aggiunge – c’è gente che ha fatto cose peggio di me ed è ancora lì. Io non sono così. Ognuno nelle proprie scelte è responsabile, io per quello che ho fatto ritengo che sia giusto dimettermi dalle cariche pubbliche che ricoprivo. Cercherò di tornare umile, di ripartire. Gli sbagli fanno crescere. Dice Piazza.

No, caro Piazza, gli sbagli fanno crescere se non sono sempre gli altri a pagarli. Altrimenti si chiamano danni, non errori. E in una Lombardia intollerante con le fragilità e le debolezze forse è arrivato il momento di diventare intolleranti con le prepotenze. Democraticamente intolleranti ma fermi. Perché un dirigente pubblico che taglia le gomme di un disabile non può essere classe dirigente nel Paese che vogliamo costruire. Per questo abbiamo scritto oggi all’assessore competente chiedendo che le dimissioni del presidente Aler vengano accettate il prima possibile e che ne venga data tempestiva comunicazione.