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almeno

Diritti di Cristello

Mi sembra che si parli molto poco, troppo poco, con quel silenzio cortese che si crea di solito per inzerbinarsi a qualche potente, della storia di Riccardo Cristello, che da 21 anni lavora all’ex Ilva di Taranto, che è stato operaio in magazzino e poi tecnico controllo costi dell’acciaieria, che ha aiutato anche in amministrazione per le fatture e che dopo una vita vissuta all’interno dell’azienda senza mai nemmeno una virgola fuori posto ora si ritrova disoccupato, licenziato per “giusta causa” solo che a guardarla da fuori la causa sembra tutt’altro che giusta.

La colpa di Cristello sarebbe quella di avere condiviso sul suo Facebook (e ci potete scommettere che Riccardo non sia propriamente un influencer capace di raggiungere milioni di persone) una lettera non sua, arrivata da un gruppo watshapp, in cui si invitava a seguire in televisione la fiction Svegliati amore mio (un programma con Sabrina Ferilli, eh, mica un pericoloso documentario di giornalismo di inchiesta) in cui si denunciano i danni che il siderurgico provoca in termini di salute pubblica. Sia chiaro: la serie televisiva non è sull’ex Ilva e non ha riferimenti su niente.

Seduto sul divano Riccardo Cristello e sua moglie devono avere pensato che valesse la pena sprecare una serata per un argomento così vicino alla loro vita e alla vita dei loro concittadini, in quella Taranto dove quasi tutti hanno un amico o un parente ucciso dalla gestione criminale dell’acciaieria, ben prima che arrivasse ArcelorMittal a gestirla.

«Dopo anni di rapporti umani vissuti nella fabbrica, mi hanno chiamato la domenica delle Palme dicendomi che c’era un problema di numero e che dovevo rimanere in cassa integrazione per una settimana. In verità mi stavano sospendendo per poi licenziarmi, senza nessun avvertimento, nessuna telefonata, se non la raccomandata col provvedimento», racconta in un’intervista a Repubblica Cristello. Licenziato così, su due piedi, per un post su Facebook che ha fatto rumore solo dopo il licenziamento. Una scelta di marketing tra l’altro che grida vendetta per stupidità e per cretineria.

Poi, volendo vedere, ci sarebbe anche quella vecchia questione dei diritti da rispettare, della politica che dovrebbe alzare la voce (almeno una parte) e di una violenza che ha distrutto la vita di una persona. «Ho l’impressione di essere il capro espiatorio. Lo spirito sembra sia quello di punirne uno per educarne cento. Non possiamo più parlare, non possiamo più commentare, dobbiamo stare zitti e basta», dice Cristello.

Viene da chiedersi se in questo periodo in cui alcuni vedono “dittatura” dappertutto non sia il caso di alzare la voce per una situazione del genere: c’è dentro il diritto al lavoro, il diritto alle proprie opinioni (che tra l’altro nulla c’entrano con l’azienda) e soprattutto c’è il diritto di dire forte che Taranto è stata devastata e sanguina ancora.

Aspettiamo con ansia.

Buon martedì.

Nella foto frame da una videointervista del Corriere della Sera

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Quante Malika ci sono in giro?

Sta facendo (per fortuna) molto rumore la storia di Malika, la ragazza di Castelfiorentino (Firenze) che nei giorni scorsi ha rilasciato la sua drammatica testimonianza a Fanpage.it in cui racconta di essere stata cacciata di casa, di essere stata umiliata e di essere minacciata di morte dalla sua famiglia dopo avere raccontato di essersi innamorata di una donna.

La storia ha tutti gli ingredienti della famosa “famiglia tradizionale” che si preoccupa molto più dell’orientamento sessuale dei propri figli che dei figli stessi. «Ti auguro un tumore», «Meglio una figlia drogata che lesbica», «Mi parli di altra gente? Son fortunati perché hanno figli normali, e solo noi s’ha uno schifo così», sono solo alcune delle frasi che la madre di Malika le ha rivolto con dei messaggi vocali. Il fratello da mesi – racconta Malika – la minaccia promettendole di tagliarle la gola. Lei è uscita con niente, solo quello che aveva addosso e da gennaio cerca di volta in volta una sistemazione di fortuna. Ha provato anche a ripresentarsi a casa della madre almeno per recuperare i suoi effetti personali ma la madre, di fronte agli agenti che accompagnavano la ragazza, l’ha addirittura disconosciuta.

Dopo l’uscita della notizia la mobilitazione è stata altissima: il sindaco della città si è subito attivato per aiutare la ragazza, molti cittadini si sono fatti avanti e Malika ha ricevuto anche qualche offerta di lavoro. Intanto la procura di Firenze, dopo 3 mesi e solo dopo l’enorme pubblicità che si è creata intorno all’evento, ha deciso di aprire un’inchiesta. La storia di Malika ha anche riacceso i fari sul Ddl Zan.

Insomma potrebbe sembrare una storia a lieto fine se non fosse che rimane addosso quella sensazione che c’è ogni volta che qualcosa si risolve dopo avere fatto rumore: quante Malika ci sono in giro? E la domanda giusta la pone proprio Malika intervistata da Fanpage quando dice: «Purtroppo ho dovuto sperimentare sulla mia pelle la lentezza della burocrazia italiana, che contribuisce a creare un clima di isolamento intorno a chi è vittima di odio omofobico, di bullismo, di stalking o di qualsiasi altro genere di violenza. Ho sporto denuncia contro i miei genitori il 18 gennaio 2021, ma fino a ieri l’altro non è stato fatto praticamente nulla di concreto. Ho dovuto ricorrere alla stampa per farmi sentire, sono felice che alla fine la mia richiesta di ascolto sia arrivata, ma mi chiedo: quante grida di aiuto si perdono nelle maglie della burocrazia italiana? Io ho dovuto urlare per vedere riconosciuto quello che è un mio diritto, se non l’avessi fatto sarei ancora invisibile».

Eccola, è questa la domanda.

Buon lunedì.

Nella foto un frame dell’intervista a Fanpage.it

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Perché von der Leyen ha incontrato Erdoğan, esecutore materiale della folle politica europea

Fa ancora discutere la sedia non concessa alla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen mentre il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel invece si godeva il suo posto d’onore con il sultano turco Recep Tayyip Erdoğan. Quello sgarbo è stata anche l’occasione di ricordare al mondo come il leader turco stia progressivamente fiaccando i diritti delle donne nel suo Paese, partendo da quel 2016 in cui disse che le donne fossero “da considerarsi prima di tutto delle madri”, relegandole al loro medievale scopo riproduttivo e poi fino ai giorni scorsi in cui il suo governo ha annunciato tronfio il ritiro dalla Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.

In Turchia tra l’altro si contano in media circa due femminicidi al giorno e le donne, complice anche la pandemia, hanno sempre minor accesso al mondo del lavoro e alla politica. Insomma, quello sgarbo ha radici profonde e ben venga quella sedia che è mancata per ricordarcelo. Nella discussione generale però sembra scomparso il motivo per cui l’Ue ha scelto di incontrare Erdoğan e il fatto non è secondario perché il sultano turco evidentemente può permettersi certi atteggiamenti, forte del suo ruolo internazionale. Allora bisognerebbe avere il coraggio di dirlo, di scriverlo che Erdoğan altro non è che l’esecutore materiale della folle politica europea che ha delegato alla Turchia l’esternalizzazione delle frontiere europee per controllare il flusso migratorio in modi anche poco leciti.

Nel 2016, in piena crisi migratoria, Bruxelles, su spinta soprattutto della Germania, ha firmato un accordo che garantiva 6 miliardi di euro alla Turchia per trattenere i migranti nei propri confini (si stima che siano almeno 4 milioni di persone) e grazie a quell’accordo tutti i migranti irregolari che arrivavano sulle isole greche attraverso il confine turco sono stati riportati in Turchia. Quei soldi hanno lo stesso odore di quelli che arrivano alla cosiddetta Guardia costiera libica (sì, proprio quella che Draghi ha blandito pochi giorni fa) per fare da tappo in Africa. Soldi che rendono ancora più forti governi che non hanno nulla di democratico e che non hanno nulla da spartire con i valori europei eppure tornano utili per essere i sicari dell’Unione europea. C’è qualcosa di più di quella sedia che manca. Giusto un anno fa, a marzo del 2020, Erdoğan ha ricattato l’Europa sulla gestione dei flussi per alcune partite geopolitiche come quella siriana e per reclamare altri soldi.

La Grecia aveva denunciato la Turchia di “spingere” verso la sua frontiera i migranti e alla fine l’Ue per garantire la propria “fortezza” ha deciso di continuare a foraggiare la Turchia: la presidente garantisce «la continuità dei fondi. E se la Turchia rispetta gli impegni, previene le partenze, prevede i rientri dalla Grecia, i fondi Ue garantiranno ancor più opportunità», dice la nota ufficiale. Del resto già a settembre Bruxelles aveva inserito un passaggio significativo nella sua proposta su asilo e immigrazione scrivendo nero su bianco che lo stanziamento di fondi alla Turchia «continua a rispondere a bisogni essenziali. Essenziale sarà perciò che l’Ue dia alla Turchia un sostegno finanziario continuativo». Su quella stessa linea si è assestato anche Mario Draghi che fin dal suo primo discorso pubblico a febbraio disse che gli accordi per esternalizzare le frontiere (che tradotto significa pagare anche Erdoğan) erano fondamentali per controllare l’immigrazione.

Da tempo diverse organizzazioni umanitarie, tra cui anche Amnesty International, giudicano la politica europea sulle frontiere disumana oltre che totalmente fallimentare eppure nessuno è mai riuscito a mettere in discussione questo modello che si annuncia valido anche per il futuro. Ad Ankara l’Ue ha manifestato anzi la volontà di rafforzare i legami economici con la Turchia, ha concesso la revisione del sistema di visti in ingresso nell’Ue e un’unione doganale per favorire il passaggio delle merci. Quando a von der Leyen è stato chiesto dei diritti calpestati in Turchia la presidente ha risposto: «I diritti umani non sono negoziabili. Vorremmo che la Turchia rivedesse la decisione di uscire dalla convenzione di Istanbul e che rispettasse i diritti umani». Insomma, siamo alle raccomandazioni per quanto riguarda il rispetto dei diritti e ai soldi fumanti invece per contenere i disperati. Forse se Erdoğan fa il bullo non è solo colpa sua.

L’articolo Perché von der Leyen ha incontrato Erdoğan, esecutore materiale della folle politica europea proviene da Il Riformista.

Fonte

Lo stolto guarda il dito

Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha incontrato il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel e la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen decidendo di fare apparecchiare una sedia accanto alla sua per il presidente del Consiglio Europeo e lasciando di lato la presidente della Commissione. Di lato, con tutto il significato simbolico che ha quell’immagine in cui i due maschi se la cantano e se la suonano in posizione padronale mentre Von der Leyen appare lì solo di passaggio. Erdoğan, come molti dei sovranisti di questa epoca triste, sa benissimo che un’immagine può essere utilissima per solleticare gli sfinteri dei suoi elettori senza nemmeno prendersi la briga di dovere aggiungere altro. Del resto chi è povero di contenuti ha sempre bisogno di simboli per non apparire vuoto.

Von der Leyen ha capito al volo e non ha gradito se è vero che il suo portavoce Eric Mamer in conferenza stampa ha raccontato come sia rimasta “sorpresa” e dopo la «sorpresa, Von der Leyen ha deciso di andare avanti, dando priorità alla sostanza dell’incontro più che al protocollo». Anche sul fatto che la scelta del premier turco sia stata presa contro le donne non sembra lasciare molti dubbi (e lo scriviamo prima che qualche fallocrate venga a spiegarci che si tratta delle solite fisime da femministe) se è vero che Mamer ha dichiarato apertamente che «indipendentemente dal fatto che von der Leyen sia una donna, la presidente doveva essere accomodata come le altre istituzioni europee».

C’è da dire che anche l’atteggiamento del presidente del Consiglio Europeo Charles Michel è riuscito a brillare per mediocrità: se è vero che da Erdoğan non ci sia molto di diverso da aspettarsi il collega di Von der Leyen avrebbe potuto fare un gesto, almeno un cenno, anche perché dalle informazioni a disposizione sembra che sia stato proprio il suo staff a eseguire il sopralluogo prima dell’incontro. Ma vuoi mettere la soddisfazione di fare il maschio tra maschi con una donna di lato? Deve essere stato irresistibile.

Poi, volendo, ci sarebbe il punto politico: Erdoğan già si è distinto per pessimi commenti discriminatori e offensivi nei confronti delle donne, nel 2016 disse che erano da considerarsi «prima di tutto delle madri». Poi il suo governo ha annunciato il ritiro dalla Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. In Turchia tra l’altro si viaggia alla media di due femminicidi al giorno e la pandemia ha escluso ulteriormente le donne dalla partecipazione al mondo del lavoro e alla politica.

Infine c’è la domanda delle domande e c’è anche la risposta: l’Europa si tiene stretto Erdoğan (con i nostri 6 miliardi regalati) per le sue ingerenze militari e per assolvere il lavoro sporco che l’Europa gli ha appaltato. I signori della guerra sono i sicari dell’Europa per fingere di dimenticarsi dei diritti umani. In cambio basta blandirli un po’ (come ha fatto nei giorni scorsi Draghi) oppure ingoiare qualche sgarbo nel cerimoniale. E chissà che i bifolchi non siano solo quelli che vengono colti in fallo, chissà che non si stia guardando il dito.

Buon giovedì.

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Tutte le falle del piano vaccinale

È sempre quella vecchia storia dell’innamorarsi degli uomini e di sottovalutare i sistemi: il “nuovo” piano vaccinale italiano, quello che avrebbe dovuto portare la sferzata decisiva per fare ripartire il Paese o almeno per uscire dal tunnel buio del virus è lastricato di buone intenzioni (com’era quell’altro) proferite da nuovi protagonisti ma nei fatti continua a incepparsi negli stessi granelli e ad ora continua a difettare allo stesso modo nei risultati. Se avessimo perso meno tempo a pesare e analizzare le posture e le parole di Draghi, di Figliuolo e di Salvini a cui ora tocca addirittura di sembrare “responsabile” forse avremmo potuto discutere di un impianto malato nelle fondamenta, di questa delega alle Regioni che rimane il punto critico di un’operazione che viene pensata a livello centrale ma poi si perde tra i rivoli dei regionalismi.

Il Piano strategico per la vaccinazione anti Sars-Cov-2 è stato elaborato lo scorso 12 dicembre dal ministero della Salute. Il decreto della sua attuazione ufficiale risale allo scorso 2 gennaio, con decreto del ministro, e poi aggiornato l’8 febbraio con il documento “Raccomandazioni ad interim sui gruppi target della vaccinazione anti Sars-Cov-2/Covid-19”. Leggendo il piano risulta subito evidente che il governo sia responsabile della definizione delle «procedure, gli standard operativi e il layout degli spazi per l’accettazione, la somministrazione e la sorveglianza degli eventuali effetti a breve termine»: risulta quindi evidente che gran parte della fase operativa e strategica sia sostanzialmente demandata alle autorità regionali e già questo potrebbe bastare per comprendere il motivo di risultati così diversi da regione e regione.

Il numero delle persone vaccinate, la percentuale di vaccini che rimangono inutilizzati, perfino…

L’articolo è tratto da Left del 2-8 aprile 2021

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Non ce n’è Covvidi!

I dati relativi all’andamento del contagio Covid che Regione Sicilia inviava quotidianamente all’Istituto superiore della sanità venivano alterati diminuendo il numero dei positivi e alzando il numero dei tamponi per rientrare nei parametri che evitano nuove restrizioni. È l’accusa rivolta dalla procura di Trapani ad alcuni dipendenti del Dipartimento regionale per le Attività sanitarie e osservatorio epidemiologico (Dasoe) dell’Assessorato della Salute della Regione Sicilia, indagati per falso materiale e ideologico. Per il giudice per le indagini preliminari si è trattato di un «disegno politico scellerato». E non si tratterebbe di qualche caso isolato: secondo la procura sarebbe accaduto almeno 40 volte. Si tratterebbe di un atteggiamento sistematico.

I dialoghi tra l’assessore alla Sanità della Regione Ruggero Razza (che ieri ha rassegnato le dimissioni) al telefono con la dirigente del Dasoe Maria Letizia Di Liberti sono di quelli che fanno venire la pelle d’oca per la ferocia e per il disinteresse verso la salute pubblica: discutono dei numeri dei morti dicendosi «Ma sono veri?». «Sì, solo che sono di tre giorni fa». «E spalmiamoli un poco…». «Ah, ok allora oggi gliene do uno e gli altri li spalmo in questi giorni, va bene, ok. Mentre quelli del San Marco, i sei sono veri e pure gli altri cinque sono tutti di ieri… quelli di Ragusa, Ragusa cinque! E questi sei al San Marco sono di ieri.. perché ieri il San Marco ne aveva avuti ieri altri cinque del giorno prima, in pratica. Va bene? Ok». «Ok». «Ciao, ci metto questi io».

Allo stesso modo ci si comportava con i nuovi contagi: «61 Agrigento, 75 Caltanissetta, 90 Catania, 508 Palermo…», snocciola il funzionario Salvatore Cusimano, uno dei tre dirigenti regionali finiti agli arresti domiciliari. Dati che fanno saltare sulla sedia Di Liberti, che urla: «Ma che dici? Ma che dici? No, scusa non può essere, se sono quei i dati definitivi, Palermo va in zona rossa subito, subito». E la zona rossa, come è accaduto anche dalle parti di Bergamo in Lombardia a inizio pandemia, deve essere evitata per non perdere soldi.

Allora conviene fare un passo indietro, al 5 novembre scorso, quando il presidente della Regione Sicilia Nello Musumeci sparava fuoco e fiamme contro il governo nazionale per le restrizioni imposte alla sua regione: anche in quell’occasione aveva parlato di un complotto antisiciliano, di un governo che chiudeva tutto senza «evidenza di dati» e di una «Sicilia senza colpe». Accade in Sicilia ma è un refrain a cui ormai siamo abituati: le restrizioni viste come “una punizione” possono essere buone per la propaganda di qualche complottista ma che a lanciare l’accusa siano stati spesso dei presidenti di Regione ha alimentato non poco l’idea di una dittatura sanitaria appiattendo un dibattito che invece meritava (e merita) di essere fatto senza che sia sempre e solo propaganda e scontro.

Non è una questione di profili penali (quelli ci penserà la giustizia a approfondirli): si tratta di un uso spregiudicato del potere che sembra non avere mai la capacità di valutare la salute pubblica serenamente, senza metterla in competizione con il fatturato. Siamo sempre qui, siamo ancora qui. E forse la questione è molto più larga della semplice Sicilia: da mesi molti analisti (gente che i numeri li maneggia per mestiere) segnalano “stranezze” nei dati giornalieri. E il dubbio è che il tempo ci mostri il vero volto del potere in questa pandemia. E non sarà un bel vedere.

Buon mercoledì.

* In foto, l’assessore alla Sanità della Regione Sicilia Ruggero Razza e il governatore Nello Musumeci

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“Avete superato la capienza della nave poiché salvate troppe persone dalla morte”, l’assurdo motivo con cui la Guardia costiera blocca la Sea Watch

Di questa storia, fidatevi, ne leggerete poco in giro perché l’anestesia istituzionale sul tema degli immigrati è roba che ci trasciniamo dal governo giallorosso e che non accenna a modificarsi. Dopo il primo governo con Conte alla presidenza del Consiglio e Salvini a urlare nelle vesti di ministro, l’atteggiamento dello Stato nei confronti delle Ong si è modificato nella forma ma non nei contenuti: dalla prosopopea dei porti chiusi rilanciata dappertutto si è passati a un ostruzionismo verso le navi di soccorso nel Mediterraneo che si è avvalso di carte bollate e di un po’ di insana burocrazia, senza dirlo troppo in giro. Nella desertificazione del Mediterraneo la ministra Lamorgese è riuscita ad ottenere risultati addirittura migliori di Salvini pur mantenendo le carte a posto e, chissà perché, apparendo perfino più “umana” del predecessore.

L’ultima penosa scena è accaduta porto di Augusta, domenica mattina, quando l’Ufficio di sanità marittima e di frontiera ha autorizzato la nave Sea-Watch 3 a lasciare il porto dopo la quarantena di 16 giorni. Era tutto pronto per ripartire ma due ufficiali della Guardia costiera hanno voluto effettuare un’ispezione straordinaria (che nonostante il nome è diventata di sconcertante ordinarietà per le navi delle Ong) contestando due mancate comunicazioni di arrivo in porto, la mancata sicurezza sul conferimento dei rifiuti, uno sversamento dei olio da una gru e soprattutto l’incredibile accusa di avere salvato “troppe” persone: i 363 naufraghi salvati dalle onde dalla nave hanno portato al superamento della capienza della nave. Sì, avete letto bene: per non irretire i burocrati della Guardia costiera evidentemente bisognava salvarne meno, contare i salvati fino al numero massimo consentito e poi lasciare gli altri in balia delle onde. Forse sarebbero morti, è vero, ma almeno sarebbe stato tutto meravigliosamente regolare.

Puntuale come sempre è arrivata anche la contestazione kafkiana di non possedere la certificazione per svolgere una regolare attività di salvataggio: anche questa è una scena che si continua a ripetere e tutte le volte tocca riscrivere e ricordare che non esista nessun tipo di certificazione né nell’ordinamento italiano e tantomeno nell’ordinamento tedesco a cui la Sea-Watch 3 fa riferimento battendo bandiera tedesca. Come nelle commedia all’italiana dove ci sono vigili che chiedono documenti che non esistono così succede nei nostri porti. Peccato che non faccia ridere nessuno e che intanto la gente continui a morire.

Tra le carte del controllo si scorge anche un’altra gravissima irregolarità che deve avere allarmato i solerti ispettori: un tubo di gomma intralciava un’uscita di sicurezza della sala macchine e anche se è bastato dargli un colpo con un piede per rimetterlo a posto, il grave delitto è stato prontamente verbalizzato. Diciotto irregolarità in tutto che ovviamente complicano il ritorno in mare. Per quanto riguarda la mancata certificazione Sar da parte dello stato di bandiera il Tar di Palermo in realtà si è già pronunciato sospendendo il freno di un’altra nave (la Sea-Watch 4) ma evidentemente le sentenze contano solo se tornano utili.

È il sottile gioco della burocrazia usata come clava che il governo Draghi perpetua in perfetta continuità con il governo precedente, con la ministra Lamorgese in testa ma anche con la collaborazione (anche questa sempre poco raccontata) del ministero della Salute (guidato da Roberto Speranza che con il suo partito dell’accoglienza ne fa pure un vanto) che mette tutte le navi delle Ong in quarantena a differenza di ciò che accade con le navi commerciali (anche quando queste ultime compiono salvataggi con migranti perfino positivi) e del ministero dei Trasporti che ha la responsabilità delle ispezioni della Guardia costiera. A proposito: ministro dei Trasporti è proprio quel Enrico Giovannini che fino a poco tempo fa sedeva nel direttivo di una Ong (Save The Children) e chissà che lui, almeno lui, non abbia qualcosa da dire.

L’articolo “Avete superato la capienza della nave poiché salvate troppe persone dalla morte”, l’assurdo motivo con cui la Guardia costiera blocca la Sea Watch proviene da Il Riformista.

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Errare è umano, perseverare è Bertolaso

Come va in Lombardia? Va molto Bertolaso, purtroppo. Va Bertolaso perché non passa un giorno che non accada un vergognoso malfunzionamento che se la Lombardia non fosse la Lombardia (e se Bertolaso non fosse così tanto Bertolaso) sarebbe su tutti i giornali, sentiremmo Giletti urlare come un ossesso, vedremmo decine di speciali televisivi con giornalisti indignati che ficcano il microfono sotto la bocca di Fontana, di Moratti e del Bertolaso così tanto Bertolaso.

Negli ultimi giorni è accaduto che Letizia Moratti si è perfino spettinata urlando tutta la sua vergogna contro «l’inaccettabile» inadeguatezza di Aria, la società della Regione titolare della piattaforma degli appuntamenti per i vaccini. Avete letto bene: Letizia Moratti se l’è presa con una società di Regione Lombardia di cui lei è vicepresidente, in pratica è il tennista che incolpa il suo gomito per la sconfitta. Ha ragione il dem Pierfrancesco Majorino quando dice che ormai non rimane che stare in attesa del comunicato in cui Letizia Moratti si indigna contro Letizia Moratti, così poi il quadro è completo, il cerchio è chiuso.

Ma in Lombardia continua ad andare tutto molto Bertolaso perché nei giorni scorsi Fontana e la sua allegra combriccola sono riusciti addirittura a superarsi per il caos che sono riusciti a produrre: sabato l’hub vaccinale di Cremona al mattino si è apparecchiato con vaccini, medici e infermieri e si è ritrovato 80 cittadini invece dei 600 previsti per un errore sulle comunicazioni della piattaforma. L’Asst si è messa a telefonare ai sindaci della zona per chiedere di recuperare in fretta e furia gente disposta a correre per farsi vaccinare e non buttare via le fiale inutilizzate. Deve essere stata una scena in cui il caos è esploso in modo inaudito se l’azienda sanitaria è stata costretta a un certo punto a lanciare un appello del genere: «Non venite qui, aspettate di essere chiamati. Continueremo a vaccinare le persone nelle categorie previste da questa fase del Piano vaccinale e quindi over 80, insegnanti, forze dell’ordine, personale sanitario ed extraospedaliero. Presentandosi di propria volontà si contribuisce alla creazione di file e di affollamento».

È andata molto Bertolaso anche a Como e Monza dove di persone ne sono arrivate meno di 20 e invece il personale sanitario ne aspettava 700. Via ancora con le telefonate. Per garantire il massimo dell’erogazione possibile, ha spiegato la direzione ospedaliera, sono state utilizzate liste interne di asili, Protezione Civile, volontari Auser fornite da Ats Brianza, e vaccinato personale scolastico che si è autopresentato, d’intesa con l’Ats e la Dg Welfare che è stata avvisata della problematica.

Qualcuno potrebbe immaginare che domenica almeno sia andata meglio e invece domenica a Cremona a mezzogiorno non si era presentato nessuno. Avete letto bene: nessuno. Zero. Nisba. Il “piano vaccinale” ancora una volta si è risolto in un convulso giro di telefonate per riuscire a svuotare i frigoriferi.

Errare è umano, perseverare è Bertolaso.

Buon lunedì.

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L’ultimo record del “nuovo Rinascimento”: l’Arabia saudita è il maggior acquirente di armi al mondo

Va forte il “nuovo Rinascimento” in Arabia Saudita, non c’è che dire, se è vero che il Paese ha scalato velocemente la classifica mondiale che racconta meglio di tutto quale sia l’aria da quelle parti: lo Stato del principe ereditario Mohammed bin Salman, quello che è stato presentato al mondo come fautore di nuovi diritti e nuove primavere dal senatore Matteo Renzi, è diventato il primo Paese importatore di armi al mondo, raggiungendo l’11% dell’import mondiale di armi ricevute.

Il primo fornitore dell’Arabia Saudita – secondo l’ultimo rapporto dell’Istituto internazionale della Ricerca sulla Pace – sono gli Stati Uniti, che coprono il 79% di tutti i loro acquisti: solo nel 2020 i sauditi hanno acquistato 91 aerei da combattimento.

In Europa per ben 5 volte sono state votate delle risoluzioni contro le esportazioni di armi verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi: l’ultima proprio a febbraio per chiedere “un divieto a livello europeo per quanto concerne l’esportazione, la vendita, l’aggiornamento e la manutenzione di qualsiasi forma di equipaggiamento di sicurezza a destinazione dei membri della coalizione, compresi l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, in considerazione delle gravi violazioni del diritto internazionale umanitario e del diritto internazionale in materia di diritti umani commesse nello Yemen”. Una guerra che a oggi conta 133mila morti e 3,6 milioni di sfollati interni.

In Italia lo scorso 29 gennaio il governo ha deciso di revocare le autorizzazioni per l’esportazione di missili e bombe d’aereo verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, revocando di fatto almeno 6 diverse autorizzazioni, già sospese a luglio del 2019, tra le quali la licenza Mae 45560 decisa verso l’Arabia Saudita nel 2016 durante il Governo Renzi relativa a quasi 20mila bombe aeree della serie MK, per un valore di oltre 411 milioni di euro.

L’atto del Governo Conte fece seguito alla mozione delle parlamentari della commissione Esteri della Camera Yana Chiara Ehm (M5s) e Lia Quartapelle (Pd), approvata il 22 dicembre 2020 dal Parlamento italiano.

L’Europa fa blocco, ma l’Arabia Saudita continua comunque a rifornirsi e a riempire gli arsenali da altre fonti. Del resto avere l’armadio stipato di missili e bombe deve essere la prima caratteristica del “nuovo Rinascimento”: quello che da quelle parti ha l’odore degli oppositori fatti a pezzi e della polvere da sparo. E forse questi numeri raccontano benissimo quali siano gli interessi del brillante principe ereditario.

Leggi anche: 1. Cinque domande a cui Matteo Renzi deve rispondere (a un giornalista) / 2. Omicidio Khashoggi, Renzi ribadisce che è “giusto avere rapporti con l’Arabia Saudita” / 3. Se Renzi vivesse in Arabia Saudita (di Selvaggia Lucarelli)

 

L’articolo proviene da TPI.it qui

Fontana commemora ma dimentica

Ieri è stato un giorno dolorosissimo per Bergamo, in ricordo delle numerose morti accadute un anno fa in quella zona a causa del virus. Hanno partecipato tutte le più alte cariche dello Stato e tra loro svettava anche Attilio Fontana, presidente di Regione Lombardia.

In Italia c’è da sempre questo vizio di sperare che commemorare una tragedia sia il modo migliore per evitare la responsabilità di raccontarla. Forse andrebbe scritto anche che molti famigliari di vittime di Covid nella bergamasca proprio ieri hanno manifestato tutto il loro disappunto contro Regione Lombardia per i ritardi e gli errori nella gestione della pandemia (dalla “zona rossa” dichiarata solo dopo alcuni giorni, all’ospedale di Alzano chiuso e poi riaperto e molto altro).

Il modo migliore per commemorare delle vittime è costruire un sistema in grado di evitare che si ripetano quelle tragedie. Il prode Fontana con la sua truppa sta sbagliando tutto anche per quello che riguarda le vaccinazioni, nonostante il tuttofare Bertolaso. Alcuni consiglieri del M5s nell’ultima seduta del Consiglio regionale avrebbero voluto fargli notare alcuni punti ma gli è stato impedito di parlarne in aula.

Per comodità del presidente glieli mettiamo qui, nel caso voglia spiegarci qualcosa:

1) Il sistema di prenotazione gestito da Aria ha convocato molti anziani lontano da casa perché non aveva aggiornato i Cap dei comuni.

2) Anziani costretti a percorrere 200 km per farsi vaccinare.

3) Decine di migliaia di utenti over 80 sono rimasti senza notizie poiché non è arrivato alcun feedback della piattaforma.

4) Decine di migliaia di lombardi hanno finalmente ricevuto una convocazione e subito dopo una smentita con un successivo sms (tralasciamo l’orario di ricezione degli sms).

5) La campagna vaccinale per le persone più fragili è partita solo il 14 marzo (malati oncologici, pazienti affetti da malattia respiratori o cardiaca…) con settimane di ritardo rispetto agli annunci delle conferenza stampa.

6) La campagna per gli insegnanti è partita tardi perché nessuno nei mesi precedenti si era dato il pensiero di chiedere alle scuole gli elenchi degli insegnanti stessi. La campagna per gli insegnanti è partita tardi poiché mancavano gli elenchi completi dalle scuole (!).

7) Per gli insegnanti nessun feedback, dovranno controllare più volte al giorno la piattaforma.

8) Non tutti gli insegnanti riescono a controllare se è stato fissato un appuntamento poiché non hanno un fascicolo sanitario in Lombardia.

9) Per 3 giorni si sono iscritti alla piattaforma (attraverso un baco) anche cittadini che non rientrano nelle categorie per le quali sono aperte le vaccinazioni e adesso dovranno controllare tra gli iscritti, chi rientra nella lista dei 200mila insegnanti (sperando sia finalmente completa).

10) Ancora non terminata la vaccinazione nelle Rsa

11) Mancano vaccinazioni domiciliari di disabili allettati (diverso dai fragili).

12) Manca personale sanitario per vaccinare.

13) A Pavia i centri vaccinali sono vuoti perché le persone non ricevono la convocazione e gli operatori sanitari stessi non hanno nemmeno in mano gli elenchi.

14) 900 anziani in fila fuori dal Niguarda per vostri errori.

15) Gli atenei alla fine pesano sul Servizio sanitario regionale, sia l’organizzazione che la supervisione resta a carico del SSR, in particolare del Pio Albergo Trivulzio che, oltre a dedicare posti a disposizione per gli universitari, avrebbe addirittura predisposto una piattaforma informatica dedicata.

16) Dosi di vaccino buttate, sprechi assurdi per incapacità di inviare sms.

17) Sono state almeno 4, in differenti conferenze stampa, le presentazioni del piano vaccinale, con altrettante modifiche e promesse irrealizzabili alla popolazione.

Fontana commemora ma dimentica. Fontana commemora ma non risponde.

Buon venerdì.

(nella foto da destra il presidente Fontana con il presidente del Consiglio Draghi e il sindaco di Bergamo Gori, da un video della cerimonia a Bergamo in ricordo delle vittime della pandemia)

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.