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antimafia dei fatti

Il tema da non farsi scippare

Un consiglio (umile ma spero utile) agli amici di centrosinistra che in questi giorni stanno “attaccando bottone” in Lombardia per raccontare quanto sarebbe importante cogliere l’occasione di segnare la discontinuità con Umberto Ambrosoli alla guida della regione Lombardia:

  • ricordarsi di ricordare che il Formigoni che è sopravvissuto a tutti gli scandali che uno scrittore di thriller avrebbe potuto immaginare alla fine è caduto sotto i colpi dei presunti contatti con la ‘ndrangheta del suo assessore alla casa Domenico Zambetti. Il tema mafioso è entrato (per la forza della sua gravità) dentro tutte le case dove prima si discuteva di Renzo Bossi e Minetti: potremmo dire che, purtroppo, il tema è diventato popolare.
  • ricordarsi di ricordare che ogni volta è una sfida anche contro una retorica dell’eccellenza: con il Celeste era l’eccellenza sanitaria (nonostante Don Verzè, San Raffaele, Daccò, Santa Rita etc.) ora con Maroni è la retorica dell’antimafia dei fatti (nonostante Dell’Utri, Cosentino, i contatti mafiosi del tesoriere leghista Belsito etc.).
  • ricordarsi di ricordare che il governo Formigoni è stato appoggiato, sostenuto e condiviso dalla Lega Nord. Ricordarsi di ricordare che la Lega ha detto che ormai il PDL era insostenibile per il nuovo corso maroniano. Ricordarsi di ricordare che oggi PDL e Lega sono ancora insieme.
  • ricordarsi di ricordare che l’antimafia è una cosa seria. Che ha bisogno di una preparazione almeno all’altezza della mafia. E che quando diventa slogan la politica ha già perso.
  • ricordarsi di ricordare di stampare questo articolo del Corriere della Sera sui risultati del rapporto «Gli investimenti delle mafie», realizzato dal centro di ricerca Transcrime dell’Università Cattolica per il ministero dell’Interno, e tenerselo in tasca discutendone con i colleghi, gli amici, i parenti. Perché sarebbe ora di non farsi scippare il tema. Davvero.

 

grafico_pop_thumb[3]La mafia in Lombardia guadagna 10 milioni al giorno

La presenza di cosche a Milano è pari a Foggia o Trapani. Il mercato lombardo della droga è il più redditizio

Il Pil nero della Lombardia vale 3,7 miliardi di euro. E questo è il valore medio. Perché secondo la stima più elevata i ricavi complessivi dell’economia illegale in regione potrebbero essere superiori ai 5,2 miliardi. Per avere un termine di paragone: il bilancio dell’intera sanità lombarda, capitolo di spesa che assorbe gran parte del bilancio del Pirellone, ammonta a 16 miliardi.

Significa che le organizzazioni criminali italiane e straniere in regione ricavano circa 10 milioni di euro al giorno. Stringendo l’obiettivo, la provincia di Milano è la terza in Italia per numero di aziende confiscate alle mafie, indice significativo delle infiltrazioni criminali nell’economia legale. La radiografia delle penetrazioni mafiose in Lombardia (e in tutta Italia) è contenuta nel rapporto «Gli investimenti delle mafie», realizzato dal centro di ricerca Transcrime dell’Università Cattolica per il ministero dell’Interno.
La presenza mafiosa – Il primo capitolo dello studio analizza l’indice di presenza mafiosa nelle province italiane, un indicatore ricavato dall’incrocio di dati su indagini giudiziarie, reati, denunce e confische di beni. Si scopre così che Milano ha un «indice di presenza mafiosa» pari a quello di zone a tradizionale insediamento criminale come Foggia, Brindisi o Trapani, la provincia del capomafia Matteo Messina Denaro. E se in molte altre realtà le infiltrazioni criminali sono più pervasive, Milano è anche l’unica provincia nella quale esiste un contemporaneo e significativo radicamento di Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra. E proprio a partire dall’analisi della ricchezza della mafia calabrese si può approfondire il tema degli investimenti: la ‘ndrangheta ricava il 23 per cento dei suoi profitti nella propria regione d’origine, il 21 per cento in Piemonte e il 16 per cento in Lombardia, a conferma del ruolo strategico ricoperto dalle «colonie» del Nord.
La ricchezza criminale – Il mercato lombardo della droga è in assoluto il più redditizio in Italia, con ricavi stimati tra gli 840 milioni e i 2,4 miliardi di euro. Un valore doppio rispetto alla seconda regione in «classifica», la Campania (nonostante i clan che trattano stupefacenti tra le province di Napoli e Caserta siano tra i più potenti al mondo). Incrociando le tabelle messe a punto dai ricercatori di Transcrime si scopre però un dato interessante: soltanto un terzo di quei ricavi in Lombardia finisce alle organizzazioni criminali «tradizionali» (Cosa nostra, camorra e ‘ndrangheta). È la dimostrazione che Milano è un hub della droga per buona parte dell’Italia e del Sud Europa, un luogo di vendita e stoccaggio degli stupefacenti dove operano e guadagnano molto anche gruppi mafiosi stranieri (albanesi, serbi, marocchini).
La Lombardia ha anche il primato dei ricavi collegati alla contraffazione: circa un miliardo di euro l’anno che arrivano dal commercio illegale di attrezzature elettroniche e informatiche, abbigliamento, cosmetici e accessori falsi. Ricavi simili arrivano dallo sfruttamento della prostituzione, «settore» nel quale la Lombardia è seconda soltanto al Lazio.
Infiltrazioni nell’economia – Spiegano i ricercatori di Transcrime: «Interessante notare che nel settore “alberghi e ristoranti” i tassi più alti di concentrazione delle organizzazioni mafiose si registrano nel Nord Italia. Il valore più alto in assoluto a livello nazionale è quello della provincia di Lecco, seguito da Milano». Ovviamente qui si parla soltanto di aziende confiscate, quelle entrate nell’obiettivo della magistratura. Il quadro sconta quindi una «cifra nera» di sommerso che resta sconosciuta. Milano è comunque la terza provincia in Italia per numero assoluto di aziende confiscate. Si legge nell’analisi: «Al Nord la maggior parte delle aziende mafiose si concentra in Lombardia, dove le province di Lecco (7,3 confiscate ogni 10 mila registrate), Milano (3,4) e Brescia (2,7) mostrano tassi anche superiori a quelle di altre aree del Sud, testimoniando il grado di infiltrazione e di diffusione delle organizzazioni mafiose anche nell’economia del Nord». E mentre nelle zone d’origine non esistono commistioni, in Lombardia le mafie sperimentano infiltrazioni attraverso «joint venture» tra diverse organizzazioni criminali o sfruttando la disponibilità delle imprese legali.

Gianni Santucci

EXPO NO CRIME: parte la commissione che a Milano non deve esistere

Gli arresti di ieri  a Milano che hanno portato in carcere 15 uomini legati a Francesco Valle (classe 1937), per gli amici Don Ciccio, ha i soliti disgustosi ingredienti della ‘ndrangheta in Lombardia. Le solite caratteristiche che non dobbiamo mai dare per scontate in una Regione in piena fase di alfabetizzazione, che non dobbiamo stancarci di scrivere, che non dobbiamo smettere di raccontare sui giornali, sui blog, per strada, agli amici, nelle istituzioni. La presa di coscienza deve essere un trauma che distrugge i collusi, condanna gli indifferenti  e isola i negazionisti.

Ma soprattutto gli arresti ci dicono che le mafie sono già al lavoro su Expo al di là dei toni rassicuranti di qualcuno. Hanno concordato le strategie, oliato le amicizie, stretto nuovi rapporti e sono passate alla “fase d’opera”.

Adesso tocca a noi. Ognuno con il proprio ruolo e la propria storia siamo chiamati ad assumerci la responsabilità di un’azione politica e civile che diventa sempre più urgente: per questo nasce EXPO NO CRIME.

EXPO NO CRIME è il primo intergruppo interistituzionale che vuole coagulare i rappresentati della Regione Lombardia, Provincia di Milano e Comune di Milano in un percorso di vigilanza, dibattito e confronto nella realizzazione di EXPO 2015. Un luogo di partecipazione di politici, associazioni, movimenti, giornalisti, liberi cittadini dove fare domande ma soprattutto provare a costruire risposte. Un segnale chiaro per chi oggi infila il malaffare nelle pieghe della sonnolenza lombarda. Per dire che sappiamo chi sono “le famiglie” e quali sono “i modi” al banchetto dell’Expo ma adesso ci siamo anche noi.

EXPO NO CRIME è la sede che a Milano non deve esistere che si riunisce sotto l’unico simbolo della responsabilità.

Il silenzio è un atto politico e non è nel nostro programma.

Adesso è l’inizio, costruiamolo insieme.

Per adesioni exponocrime@gmail.com

Giulio Cavalli (IDV), Pippo Civati (PD), Chiara Cremonesi (SEL)

Un paio di osservazioni sulla “antimafia dei fatti” di questo Governo

Di fronte all’ennesima fanfara di numeri sventolata dal Governo nella recente campagna pubblicitaria intitolata “antimafia dei fatti” credo che vadano precisati alcuni punti. Non tanto per entrare nella desolante arena dialettica di un esibizionismo politico impacchettato con proclami in confezione regalo quanto almeno per un’onestà dei Fatti che sarebbe un vero peccato non prendersi la briga di raccontare.

Il 90% degli “arresti eccellenti” snocciolati dai recenti proclami (così come i loro patrimoni sequestrati) in questo ultimo anno sono il risultato o di rivelazioni di pentiti che hanno esercitato la parola nelle sedi competenti ( piuttosto che l’eroismo dell’omertà di manganiana memoria) o di quelle stesse intercettazioni che questo stesso governo sta trasformando in un desueto e antico fenomeno di costume. Ma la dicotomia più comica è che i magistrati che arrestano i mafiosi e sequestrano patrimoni sono gli stessi che a Palermo processano Dell’Utri per concorso esterno e indagano sulle trattative Stato-mafia. Gli stessi che a Caltanissetta e Firenze hanno riaperto le indagini sui mandanti occulti delle stragi del 1992-93. Gli stessi che a Napoli hanno chiesto e ottenuto un ordine di custodia per il sottosegretario Cosentino, ovviamente subito “stoppato” dalla Camera. Ed è proprio un peccato che in questa “trionfale marcia di numeri” il Governo abbia perso con Cosentino la possibilità di aggiungere un trofeo nella teca dell’antimafia.

Senza dimenticare il segnale culturalmente criminale dell’emendamento della finanziaria passato anche in Senato che consente la vendita degli immobili confiscati alle mafie; che potrà finalmente dare il via ad una numerologia di confische e restituzioni alle mafie come in una meravigliosa partita a Monopoli sulla tavola della legalità. Del resto è quasi stucchevole ricordare come siano proprio le mafie ad avere in questo momento la liquidità più facile per aspettare i 90 giorni passati dalla confisca senza assegnazione ed inviare qualche “testa di legno” amica all’asta di vendita. E, attenzione, non si tratta di pessimistiche ipotesi: i comuni di Canicattì in provincia di Agrigento e Nicotera in provincia di Vibo Valentia sono stati sciolti per mafia per avere assegnato beni confiscati a prestanome dei mafiosi colpiti dalla confisca. Un emendamento che riesce nella mirabolante impresa di tradire in poche righe sia il buon senso legislativo (affidando il meccanismo di vendita degli immobili ai funzionari locali del Demanio che per esposizione ambientale non sono nella posizione migliore di gestire “condizionamenti” nella vendita) sia alle centinaia di ragazzi che sotto la bandiera di Libera decidono di dedicare il proprio tempo e le proprie vacanze al volontariato sui beni confiscati a Corleone, Castelvolturno, San Giuseppe Jato e altri. E per finire in bellezza calpestando in un colpo solo quel milione di cittadini che nel ’96 firmarono l’appello di Don Ciotti per l’uso sociale dei beni confiscati alla mafia e la loro restituzione alla collettività: mandare sul marciapiede la dignità di un paese per fare cassa è azione da piazzisti piuttosto che Statisti.

In questo luccicante contesto di “antimafia dei fatti”, il recente scudo fiscale oltre a permettere il rientro di capitali dall’estero con penali da Repubblica delle Banane ha anche in parte cancellato e in parte indebolito l’obbligo di segnalare operazioni sospette rendendo pressoché sterile il sistema di rilevamento di possibili casi di riciclaggio. Infatti (come avverte Roberto Scarpinato) l’art. 13 bis, comma 3, del Dl n. 78 del 2009 ha disposto che non si applica l’obbligo della segnalazione delle operazioni sospette per tutti i casi i cui i capitali rimpatriati o regolarizzati derivino da una serie di reati sottostanti che vengono estinti dallo scudo fiscale: i reati tributari di omessa dichiarazione dei redditi o di dichiarazione fraudolenta e infedele. Vengono inoltre estinti una lunga serie di reati quando siano stati commessi per eseguire od occultare i reati tributari, ovvero per conseguirne il profitto: alcuni reati di falso previsti dal codice penale (articoli 482, 483, 484, 485, 489, 490, 491 bis e 492), di soppressione, distruzione e occultamento di atti veri, nonchè dei reati di false comunicazioni sociali previste dal codice civile (articoli 2621 e 2622): capitali di origine illegale immessi nel mercato a seguito di tale normazione e del regime di invisibilità assicurato ai capitali ‘scudati’. Si è venuta a determinare per il vastissimo popolo degli imprenditori collusi l’opportunità di fare rientrare dall’estero capitali sporchi dei loro soci mafiosi occulti, spacciandoli falsamente come frutto di evasione fiscale per poi immetterli nel circuito produttivo.

Non mi risulta che Presidente e Ministri abbiano deleghe da Catturandi per acciuffare latitanti (ed è un peccato, perché almeno le auto delle Forze dell’Ordine non avrebbero il problema di cadere a pezzi e avere il serbatoio vuoto), e non mi risulta nemmeno che abbiano deleghe di magistratura (senza volere suggerire un’idea…) per le indagini; sicuramente hanno la responsabilità politica di quanto scritto sopra. E questi sono Fatti. Quale forma abbiano non lo so. Ma, sicuro, l’antimafia è un’altra cosa.