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attentato

Matteo risponde (male)

«Il regime saudita è un baluardo contro l’estremismo islamico… è grazie a Riyadh che il mondo islamico non è dominato dagli estremismi». Lo ha detto il leader di Italia Viva in una intervista in cui ha parlato del suo viaggio in Arabia Saudita. Dove c’è una costante violazione dei diritti umani

Ieri Matteo Renzi è stato intervistato da Maria Teresa Meli per il Corriere della Sera. Chiamarla intervista in realtà è una parola grossa visto che l’ex premier, come spesso accade, ha potuto comiziare per iscritto praticamente intervistandosi da solo, come piace a lui. Poiché ormai la notizia del suo viaggio in Arabia Saudita è diventato un fatto non scavalcabile il senatore fiorentino è stato costretto a rispondere sul punto (senza rispondere, ovvio) e ha inanellato una serie di panzane che farebbe impallidire anche il più sfrontato dei bugiardi ma che Renzi invece ha sciorinato come se fosse un dogma.

«La accusano di avere fatto da testimonial del regime saudita», dice Maria Teresa Meli e l’ex presidente del Consiglio risponde: «Sono stato a fare una conferenza. Ne faccio tante, ogni anno, in tutto il mondo, dalla Cina agli Stati Uniti, dal Medio Oriente alla Corea del Sud. È un’attività che viene svolta da molti ex primi ministri, almeno da chi è giudicato degno di ascolto e attenzioni in significativi consessi internazionali». Renzi non è andato a fare una semplice conferenza ma siede nel board della fondazione Future investment initiative che fa capo direttamente al principe Bin Salman e per questo è pagato fino a 80mila euro all’anno. Non era lì in veste di conferenziere ma è uno dei testimonial dell’organizzazione di queste iniziative. La differenza è notevole, mi pare. Poi: Renzi dice che molti ex primi ministri svolgono questa stessa attività ma dimentica di essere un senatore attualmente in carica, l’artefice principale di questa crisi di governo, un membro della commissione Difesa nonché lo stesso che chiedeva di avere in mano la delega ai Servizi. Se non vedete qualche problema di conflitti di interessi allora davvero risulta difficile perfino discuterne.

Poi, tanto per leccare un po’ il suo narcisismo e il suo odio personale per Conte Renzi aggiunge: «Sono certo che anche il presidente Conte, quando lascerà Palazzo Chigi, avrà le stesse opportunità di portare il suo contributo di idee». Roba da bisticci tra bambini. E addirittura rilancia: «E grazie a questo pago centinaia di migliaia di euro di tasse in Italia». Capito? Dovremmo ringraziarlo che paga le tasse. Dai, su.

Ma il capolavoro dell’intervista renziana sta in queste due frasi: «Il regime saudita è un baluardo contro l’estremismo islamico» e «Se vogliamo parlare di politica estera diciamolo: è grazie a Riyadh che il mondo islamico non è dominato dagli estremismi». E in effetti il senatore di Rignano deve avere dimenticato che 15 su 19 degli attentatori dell’11 settembre fossero sauditi (incluso Osama bin Laden) ma soprattutto che l’Arabia Saudita finanzi l’estremismo con molta indulgenza e pratichi l’estremismo proprio come forma di governo. Come quelli che sono interrogati in storia e non l’hanno studiata Renzi fa la cosa che gli viene più semplice: la riscrive. Infine, tanto per chiudere in bellezza, promette in futuro di rispondere «puntigliosamente in tutte le sedi» ventilando querele. Perfetto. Ovviamente nessuna osservazione da parte della giornalista: in Italia la seconda domanda è un tabù che non si riesce a superare.

Sarebbe anche interessante sapere da Renzi cosa ne pensi del “costo del lavoro” in Arabia Saudita che ha detto di invidiare, se è informato del fatto che il 76% dei lavoratori sono stranieri sottopagati che vivono in baracche malsane e che sono, di fatto, proprietà privata dei loro padroni che fino a qualche tempo fa addirittura tenevano i passaporti dei loro dipendenti come arma di ricatto per rispedirli a casa e che la situazione delle donne è perfino peggiore con “sponsor” che si spingono fino agli abusi psicologici e sessuali sulle loro dipendenti facendosi forza sul Corano che nella teocrazia saudita detta le leggi. E chissà se Renzi ha avuto il tempo almeno di leggersi una paginetta su Wikipedia (senza chiedere troppo) che dice chiaramente: «L’Arabia Saudita è uno di quegli Stati in cui le corti continuano a imporre punizioni corporali, inclusa l’amputazione delle mani e dei piedi per i ladri e la fustigazione per alcuni crimini come la cattiva condotta sessuale (omosessualità) e l’ubriachezza, lo spaccio o il gioco d’azzardo. Il numero di frustate non è chiaramente previsto dalla legge e varia a discrezione del giudice, da alcune dozzine a parecchie migliaia, inflitte generalmente lungo un periodo di settimane o di mesi. L’Arabia Saudita è anche uno dei Paesi in cui si applica la pena di morte, incluse le esecuzioni pubbliche effettuate tramite decapitazione».

Non c’è che dire: è proprio aria di Rinascimento. Davvero. O forse semplicemente Renzi ha detto la verità: lui invidia un mercato del lavoro così, dove il Jobs Act è stato scritto proprio come lo sognano i ricchi padroni.

Buon lunedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

La folle tesi di Salvini su Lamorgese “colpevole” per l’attentato di Nizza

Ecco che tornano a grandi falcate gli sciacalli, Salvini e Meloni, che vanno a braccetto su ciò che è accaduto a Nizza. Salvini ovviamente svetta e chiede le dimissioni della ministra Lamorgese perché, a suo dire, sarebbe colpevole del fatto che l’assassino di Nizza sarebbe sbarcato a Lampedusa e sarebbe stato identificato a Bari e poi non rimpatriato. La banalizzazione ovviamente in qualche modo funziona e così è tutto un rimbalzare di questa nuova trovata per cui addirittura l’ex ministro dell’Interno, senza nemmeno un briciolo di imbarazzo, si ritrova a chiedere scusa alla Francia gettando fango sul suo Paese (quello che da patriota vorrebbe difendere) per un’accusa che ha dell’incredibile.

Ora proviamo a ribaltare il giochetto, che tanto viene facile facile: Matteo Salvini dunque, da ministro dell’Interno, è colpevole del minimo storico di rimpatri con la Tunisia (lui che li aveva promessi e non è stato nemmeno capace di fare meglio dei ministri precedenti) e quindi anche dell’omicidio di don Malgesini, visto che il prete è stato ucciso da un uomo non rimpatriato proprio sotto l’epoca Salvini? Oppure, sempre continuando sulla falsariga del giochetto retorico di Salvini: Anis Amri, autore della strage al mercatino di Natale a Berlino nel 2016, sbarcò nel 2011 e venne trattenuto in Italia con Berlusconi presidente del consiglio e Maroni ministro agli Interni, quindi sarebbe colpa loro, evidentemente?

Il tema è sempre lo stesso: banalizzare questioni complesse per un po’ di propaganda è l’unico esercizio retorico che riesce a questa destra che è la peggiore destra di sempre. E ci sono pure quelli che abboccano e riescono a esultare per l’acutezza dell’osservazione dei due sovranisti. Ah: ovviamente Salvini ci ha messo dentro anche il suo processo, è riuscito perfino a fare anche questo, poiché per lui il mondo si riduce a se stesso, i suoi (pochi) pensieri e i suoi problemi. Tutto così, sempre così.

Leggi anche: 1. La nemesi di Salvini: quello che mangia in diretta tv contestato anche dai ristoratori / 2. Ora basta: dichiarate Forza Nuova fuorilegge, e lasciate le piazze a chi soffre e protesta civilmente

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“A Beirut, come a Damasco, è morta la speranza”: parla lo scrittore siriano Shady Hamadi

Shady Hamadi è uno scrittore di origine siriana e da sempre è un attento osservatore del Medio Oriente. Esilio dalla Siria. Una lotta contro lindifferenza”, edito da Add Editore è il suo ultimo libro.

Lesplosione a Beirut ha acceso le voci di solidarietà falsi cortesi degli esponenti politici con strafalcioni come quello di Manlio Di Stefano. Che sensazione ti provoca la superficialità della politica italiana sul Medio Oriente?
Mi provoca delusione perché l’Italia ha, geograficamente e storicamente, un ruolo di primo piano nei rapporti con il Medio Oriente. Geograficamente perché siamo la porta verso l’Europa; storicamente a causa della presenza araba, durata secoli, nel sud Italia. Gli sbagli eclatanti, come quello di Di Stefano, stanno diventando una prassi (a destra e a sinistra) che non solleva neanche più l’indignazione. Ricordo gli elogi di Renzi al suo “amico”Al Sisi, poco prima della morte di Regeni. O, ancora prima, nel 2011 Franco Frattini che elogiava la Siria per la sua stabilità durante l’ondata delle primavere arabe. Il risultato è davanti a tutti noi.

Come valuti la politica estera del governo italiano?
Sclerotica perché c’è incoerenza nelle azioni della Farnesina a causa della nostra instabilità politica. Prendiamo l’Egitto. Con Renzi, prima dell’uccisione di Regeni, i rapporti erano idilliaci. Ucciso il ricercatore, abbiamo virato completamente. Salvo poi rimandare l’ambasciatore al Cairo. Oggi che cosa rimane del nostro approccio verso l’Egitto, la questione della tutela dei diritti umani? Nulla, a parte la vicenda di Patrick Zaki che non cade nel dimenticatoio grazie all’attenzione di alcuni movimenti di sinistra e Amnesty.

Come valuti lattenzione della politica occidentale sul Medio Oriente?
Dovevamo accompagnare i paesi arabi verso una transizione, sostenendo quel corpo sociale che si chiama società civile ma non lo abbiamo fatto. Preferiamo ancora oggi sostenere militari che con la forza riportano lo status quo antecedente. Guardiamo alla Libia. Parte della comunità internazionale sostiene Haftar; altri Sarraj. All’interno dell’Unione Europea ci sono Stati che, seguendo il proprio interesse nazionale, sostengono gruppi differenti.

Cosa bisognerebbe avere il coraggio di dire/fare?
Abbiamo sbagliato. L’ammissione di colpa dovrebbe arrivare da chi si è seduto in parlamento in Italia come nella Ue. Hanno sbagliato nel guardare al Medio Oriente con i soliti preconcetti: se non c’è un dittatore c’è il fondamentalismo. Come se questi arabi non fossero capaci di emanciparsi da questi due mali, creando una terza via che li conduca verso la democrazia. Il male assoluto, secondo questa vulgata alla Magdi Allam, sarebbe l’Islam. Semplicisticamente sarebbe la religione a bloccare ogni trasformazione.

Da scrittore, con la tua storia, come valuti questo momento internazionale?
É una restaurazione. A Beirut come a Damasco manca la speranza. Sto parlando proprio del sentimento. Sperare di cambiare, di migliorare vita… la gioventù vive nel pessimismo. Questo stato di cose ha prodotto un aumento vertiginoso dei suicidi. Decine di giovani si tolgono la vita esausti non solo di vivere nella miseria ma di non vedere mai un cambiamento. Di chi è la responsabilità di queste morti?

Che ne pensi del rifinanziamento italiano alla Libia?
Abbiamo Salvini che grida contro gli sbarchi. Vuole che si fermino ma lui ed altri hanno firmato per il rifinanziamento della guardia costiera libica da più parti accusata di gestire il traffico di migranti con le mafie locali. Diamo soldi ai trafficanti. Ho idea che chi grida alla chiusura dei porti voglia il contrario. I migranti servono come merce di scambio elettorale, in barba alla sofferenza di quei nei lager.

In Italia haisentito” razzismo?
Personalmente no. Mi definisco da sempre sirio-brianzolo anche se ultimamente mi sento solo brianzolo. Penso che gli italiani non siano razzisti. Credo esista molta ignoranza. Molti politici la sfruttano perché viviamo in una epoca di slogan e non di discorsi culturali. Vede, oggi non vogliamo prenderci la briga di capire perché un nigeriano scappa da Lagos o un siriano da Aleppo. Vogliamo tutto subito, anche le spiegazioni. Il politico improvvisato che ormai dilaga nei talk show e nelle aule un tempo frequentate da Berlinguer, regala slogan. È un ignorante, che non sa che i libici abitano in Libia e che Pinochet non era il dittatore del Venezuela. Non è umile. Infatti non chiede scusa. Dobbiamo ripartire dalla cultura.

Leggi anche: 1. Libano: devastante esplosione al porto di Beirut. Le impressionanti immagini della deflagrazione / 2. Libano, ferito un militare italiano in un’esplosione al porto di Beirut / 3. Libano, esplosione al porto di Beirut: incidente o attentato? Tutte le ipotesi

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Non ci si scusa per il dolore che si prova

Mi hanno colpito le parole di Valeria Kadija Collina, madre di Youssef, uno degli attentatori di Londra. Mi ha colpito, moltissimo, quella loro casa a Castaello si Serravalle, paese di provincia dell’entroterra bolognese: fiori curati ai lati del vialetto in giardino.

“Mio figlio me lo ha portato via l’ignoranza e la cattiva informazione. Il cattivo Islam e il terrorismo sono questo. Ignoranza e cattiva informazione”, dice nella sua intervista a Repubblica Valeria: ha fatto una cosa “atroce”, che “non può e non deve essere giustificata”. E ha provocato un dolore talmente grande “che chiedere perdono ai familiari delle vittime sembra quasi banale”.

Racconta di come, da madre, ha perso contatto con il proprio figlio: Quando mi parlava della Siria e del fatto che voleva trasferirsi in quel Paese, non lo diceva certo perché volesse andare a combattere per l’Isis, ma perché sosteneva che in quella parte del mondo si poteva praticare l’Islam puro e perché voleva mettere su famiglia. Lo diceva sorridendo e io sorridendo gli divevo che era fuori di testa e che io non lo avrei seguito mai perché stavo bene dove sono”. Poi il cambiamento: “La radicalizzazione secondo me è avvenuta in Marocco attraverso internet e poi a Londra, frequentando gente che lo ha deviato facendogli credere cose sbagliate. Suo padre è un moderato, sua sorella non ha abbracciato la nostra fede, nessuno nella nostra famiglia è vicino in alcun modo con quel mondo fatto di stupidi radicalismi”.

E sembra, ad ascoltarla, una storia così simile alle tante che ci capita di leggere quando ci sono madri che si arrendono alla disperazione di non essere riuscite a salvare i proprio figli dalla droga, dal malaffare o dalle mafie: ha lo stesso dolore , lo stesso colore e la stessa naturale (seppur ferocissima) tragica fine.

Così, di colpo, il terrorismo assume anche una dimensione nuova e così lontana dalla retorica degli analisti di prima mano e cola una disperazione folle e pericolosa come tutte le disperazioni.

Buon giovedì.

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«Vado a fare il terrorista»

Il 15 marzo dell’anno scorso all’aeroporto di Bologna alcuni poliziotti notano un giovanotto agitato in coda al check-in del volo per la Turchia. Un biglietto di sola andata e uno zainetto erano  un’accoppiata piuttosto insolita per passare inosservata e così, quando gli uomini delle forze dell’ordine, gli hanno chiesto il motivo del suo viaggio quel passeggero rispose candidamente “vado a fare il terrorista”.

La madre, convocata in Questura, raccontò di essere molto preoccupata per quel figlio che “non sembrava più lui”: “non lo riconosco più – disse -, mi spaventa. Traffica tutto il giorno davanti al computer, vede cose stranissime”. Aggiunse che il ragazzo ormai viveva stabilmente a Londra dopo avere trovato lavoro in un ristorante pachistano e che da quando aveva cominciato a frequentare quell’ambiente i suoi atteggiamenti erano diventati molto preoccupanti.

Da un primo sommario esame del suo telefonino gli investigatori scoprirono video che inneggiavano l’Isis e la sua propaganda. Non fu possibile eseguire una ricerca più approfondita sui suoi dispositivi elettronici poiché il Tribunale del Riesame ordinò la restituzione del materiale informatico al sospettato accogliendo un suo ricorso.

Quel giovane era Yousef Zaghba, il terzo attentatore del London Bridge. Questa storiella, che oggi conosciamo e di cui possiamo scrivere, era stata inviata a suo tempo alla polizia inglese. Com’è andata a finire è cronaca di queste ore.

Buon mercoledì.

 

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Le balle (incendiarie) di Mattino 5 su Manchester

La vicenda va raccontata perché contiene tutte le peggiori pulsioni di un tempo di cui ci chiederanno il conto i nostri figli: durante la trasmissione Mattino 5 si discute della strage di Manchester in cui hanno perso la vita 22 persone dopo un concerto di Ariana Grande e qualcuno ha la brillante idea di dare la notizia (falsa) che in un bar di Pioltello (periferia milanese) si sarebbero tenuti veri e propri festeggiamenti appena ricevuta alla televisione la notizia della strage. Inutile sottolineare che il bar (dall’eloquente nome “Marrakech Lounge Bar”) sia gestito da persone di origine marocchina: un boccone troppo ghiotto per lasciarsi scappare la dose giornaliera di xenofobia.

Che la notizia sia falsa non lo dicono solo i proprietari del bar (“trasmettiamo solo musica, non abbiamo mai la televisione sintonizzata su canali di notizie”) ma lo dicono le forze dell’ordine che hanno addirittura riscontrato che l’orario in cui è stato segnalato “il festeggiamento” e un bel po’ precedente rispetto all’ora dell’attentato. Ma fa niente: il giornalista Mediaset Carmelo Abbate ha riferito di testimonianze da lui raccolte che gli avrebbero riferito di avere saputo per via indiretta dell’accaduto. Uno scoop, non c’è che dire, con fonti certe, come quelli che piacciono a un certo tipo di informazione che punta a stimolare la cintola fingendo di occuparsi delle coscienze.

 

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Mi terrorizza la ferocia di questi, oltre al terrore

Questa mattina, se mi permettete, non scriverò il mio consueto buongiorno. Quindi non mi dedicherò alle notizia di oggi (da Londra alla bagarre sui vitalizi fino alla prossima celebrazione dei trattati europei) ma vi racconto una sensazione.

Nella casella di posta stamattina molto presto mi è arrivato un messaggio, ovviamente da un profilo Facebook che non è riconducibile a nessuna persona reale: la foto del profilo è un soldato ripreso di spalle e il “nome” una semplice sigla “Dem Ken”. Dice, il messaggio, letteralmente:

«cara zecca, prenditela con gli extracomunitari terroristi, volevi anche tu l’europa dell’accoglienza? eccoti servito!»

Mi sono sforzato di immaginare quale strana connessione possa scattare nell’animo di qualcuno per prendersi la briga di scrivere una frase del genere a un insignificante editorialista, quale sia quell’organo così peloso che possa vomitare in una frase del genere gli accadimenti di Londra.

Poi, per immergermi nella meglio nel cassonetto a toccare con mano il percolato della ferocia, mi sono fatto un giro sulle pagine dei fomentatori professionisti (niente nomi, oggi nessuna pubblicità), ancora:

“Ennesimo attentato terroristico islamico a Londra ci conferma che l’Europa è ormai una fabbrica del terrorismo islamico.
Continuiamo ad importare “arricchimento” culturale…i risultati sono questi”

“QUANDO C’ERA IL FASCISMO MIO PADRE DICEVA SEMPRE TUTTI AVEVANO UN LAVORO E NON C’ERA DELIQUENZA!”

“adesso ho capito perche’ la boldrini vuole dare la cittadinanza ha tutti quelli che arrivano nel nostro paese , cosi risultano italiani quando uccidono qualcuno”

“E adesso ?… I buonisti quale caxxata si inventeranno per l’ennesimo attentato facendo passare per un squilibrato un paranoico ecc. senza ragionare un attimino che questi signori perbene attentatori stanno dichiarando guerra ai fessi della UE fallimentare?”

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L’11 settembre. Oggi.

Non l’abbiamo mai digerito l’11 settembre. Dopo quindici anni è un boccone di sabbia che ci è rimasto incastrato in gola e non serve la tosse, non serve tentare di berci sopra tutto il resto del mondo e nemmeno sfondarci le vene per svuotarle. Quell’11 settembre, se dovessimo dargli una forma, quell’11 settembre è l’architettura di un tempo che si sbriciola, mica solo le Torri, no: lì in fondo abbiamo ascoltato una paura che non sapevamo che voce avesse, che abbiamo voluto pensare seppellita tra i libri di storia e che abbiamo sperato, pavidi, di non incrociare mai di persona.

Non c’è solo la questione politica. La politica che sbava su quei morti passerà come sempre dal giudizio della Storia. Quel crollo è il tatuaggio in bocca a un’intera generazione che ha dovuto imparare di corsa, come corrono di corsa gli spaventati per scappare dalla sensazione di disperazione, un nuovo vocabolario della paura. Sotto pelle ci si è infilato un terrore possibile che non abbiamo mai dovuto esplorare prima, l’11 settembre è stato l’incendio della sicurezza di un mondo convinto di essere protetto da un civiltà presunta che in questo orrido gioco non conta e non vale; l’incendio degli anziani che pensavano di avere estinto il proprio debito con la violenza e di meritarsi la pensione almeno dalla ferocia; l’incendio di chi aveva scelto di non occuparsi del mondo chiedendo al mondo di non occuparsi di lui; l’incendio di un giornalismo e di una narrazione che avevano già sprecato tutte le iperboli possibili e sono rimasti di sale, muti; l’incendio di chi ancora oggi vorrebbe indicare saccente una razza o una religione a forma di nemico e invece rimane smutandato, nel privato, esattamente come noi; l’incendio di chi s’è ubriacato con il mito del controllo del mondo e intanto banchettava nei camerini di una bugia; l’incendio degli ultimi, sì anche degli ultimi, che ancora una volta sono sprofondati nel rumore e neanche ora si sono presi la briga di spiegargli gli scricchiolii.

Pensavo, stamattina, se davvero siamo capaci, almeno quindici anni dopo, di prenderci quella paura in mano e provare a riconoscere la forma che ha. Come fanno i bambini quando si trovano un oggetto in mano e in quei primi secondi si sforzano per trovarne il lato del gioco: così, noi, quell’11 settembre, ce lo ritroviamo tutti gli anni in mezzo alle gambe e non sappiamo che farci. Non sappiamo nemmeno se davvero il mondo sia cambiato come ci aveva promesso di impegnarsi a cambiare: gli sceriffi hanno dovuto ripulire altro sangue in mezzo alle strade, con cadaveri che avevano parlato fino a un minuto prima lingue diverse dall’accento di New York eppure con le stesse pupille larghe di chi è morto senza averlo capito e, dall’altra parte, i minimizzatori professionisti che non sanno più cosa filosofeggiare.

(il mio editoriale per Fanpage continua qui)