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Omicidio a Buccinasco, lo sfogo del sindaco: “Istituzioni assenti, non serve l’antimafia da salotto”


“Non serve l’antimafia da salotto”. A poco più di due settimane dall’omicidio di Paolo Salvaggio, eclatante esecuzione in stile mafioso compiuta in pieno giorno a Buccinasco, il sindaco Rino Pruiti si sfoga con Fanpage.it: “Chi le ha viste le istituzioni? A me non ha chiamato nessuno”. Pruiti lamenta la mancanza dello Stato, anche in relazione alla causa che oppone il Comune allo storico boss di ‘ndrangheta Papalia: “Se perderò quella causa non mi ricandiderò perché significa che qui io non servo a niente”.
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Buccinasco non era tranquilla: la ‘ndrangheta non è mai andata via, ma forse ne abbiamo parlato poco


L’omicidio di Paolo Salvaggio ha riacceso i riflettori su Buccinasco. Ma la cittadina dell’hinterland di Milano è ancora quella in cui la ‘ndrangheta allegramente risiede e non dismette le sue abitudini criminali. Non è mai andata via, la ‘ndrangheta, da Buccinasco e se si è ammorbidita l’attenzione nei suoi confronti, contribuendo a un’ingiustificata pacificazione generale, i motivi sono da cercare altrove.
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E intanto hanno preso Antonio Papalia, il nipote del boss di Buccinasco

Toh. Chi se lo immaginava?

BUCCINASCO – Un altro colpo alla ‘ndrangheta, quella che ha portato gli affari sporchi dalla provincia di Reggio Calabria a quella di Milano. I carabinieri di Locri e Platì, in sinergia con lo Squadrone Eliportato Cacciatori Calabria, hanno trovato un arsenale nascosto in un pollaio.

Il ritrovamento

Una Beretta calibro 22, un’altra pistola calibro 38 (entrambe rubate), un fucile mitragliatore marca Sten, un altro con matricola abrasa, caricatori per pistola e per la mitragliatrice, due silenziatori e decine di cartucce e proiettili. Nascoste anche una custodia per fucile e una fondina per pistola. Lì, ben occultate tra fieno e galline, le aveva messe Antonio Papalia, cognome noto perché appartenente alla cosca dei Barbaro-Papalia.

L’arrestato

Lui, Antonio, 49 anni, è figlio di Anna Barbaro e Michele, fratello di Rocco, Antonio e Domenico, i tre fratelli che hanno portato gli affari sporchi della ‘ndrangheta tra Buccinasco e Corsico (Rocco in casa lavoro in Abruzzo, Domenico e Antonio scontano l’ergastolo).

Antonio è legato anche ai Barbaro Castanu: Francesco, detto cicciu castanu, è il patriarca della stirpe. Uno dei suoi figli, Rocco, ha sposato la sorella di Antonio, rafforzando così i legami di sangue tra la famiglia e il prestigio. L’arrestato ha un passato di latitanza e precedenti legati al traffico di droga. Dovrà ora rispondere dell’accusa di detenzione abusiva di armi e munizioni e ricettazione.

(fonte)

Champagne e pasticcini per il ritorno del boss: Papalia arriva a Buccinasco

Ne scrive Cesare Giuzzi per il Corriere:

Via Nearco è un budello a senso unico. È una strada quasi insignificante, specie con questa pioggia fastidiosa. E non c’è neppure parcheggio anche se è sabato pomeriggio, ma sembra l’ora di punta, di un giorno di punta.

Eppure è qui, in un seminterrato al civico 6 con la porta blindata dalla quale escono voci di grandi e bambini, segnali di giochi e di festeggiamenti, che passano oggi i più delicati equilibri criminali del Nord Italia. E forse dell’Italia intera. Perché Nginu Rocco, Rocco Papalia, 66 anni, è tornato a casa. Dopo cinque lustri di carcere, dopo aver retto insieme ai fratelli Domenico e Antonio, il governo della ‘ndrangheta in Lombardia negli anni Novanta.

E non importa se quella casa Nginu neppure l’aveva mai vista, figuriamoci abitata. La sua, quella di via Papa Giovanni XXIII ad Assago dove viveva prima di essere arrestato nel ‘91, oggi è confiscata e affidata alla Caritas. E sul muretto esterno ha un graffito con il sorriso eterno di don Pino Puglisi, il prete di Brancaccio ucciso da Cosa Nostra.

Ma Rocco è tornato, nella sua Buccinasco. E nel battito d’ali che è bastato a far scattare la serratura della sua cella, il ritorno del boss ha spazzato via anni di lotta e cultura antimafia in una cittadina che ha cercato senza riuscirci di togliersi l’etichetta di Platì del Nord. Erano i tempi dei sequestri, dei cento omicidi all’anno tra Milano e provincia, del rapimento di Cesare Casella. Erano anni sanguinari, gli anni dei Sergi, dei fratelli Papalia, dei Barbaro, dei Trimboli, dei Molluso. E di fatto, dopo il blitz Nord-Sud del 1993, qualcosa era anche cambiato a Buccinasco, a Corsico, a Cesano Boscone. Ma mai del tutto.

Era cambiata certamente una cultura della legalità che qui organizza festival, incontri, dibattiti. Che ha portato alla confisca di una parte di quella villetta di via Nearco dove oggi si festeggia il ritorno del boss scarcerato venerdì sera da Secondigliano (Napoli). Nell’ala sequestrata c’è un appartamento gestito da un’associazione che dal 2015 ospita profughi e richiedenti asilo. Era stato confiscato a Serafina Papalia, 37 anni, figlia di Rocco, e al marito Salvatore Barbaro, del ramo dei pillari, coinvolto nelle operazioni Cerberus (2008) e Parco Sud (2009). Ora i migranti si troveranno a condividere il cortile proprio con il boss Papalia. Sul cancello c’è un cartello posto dal Comune di Buccinasco con tutti i nomi delle vittime di mafia. Poco più in là sull’ingresso pedonale c’è invece la targhetta d’ottone con il nome di «Papalia Rocco» e della moglie «Feletti Adriana». È lei adesso a portare i soldi a casa: con la figlia Serafina gestisce il bar Pancaffé di via Ludovico il Moro, 159. Ieri chiuso.

Intorno alle 17.20, all’ingresso di casa Papalia citofona un ragazzo sui 30 anni arrivato a piedi dopo aver parcheggiato una Smart bianca. Sotto braccio ha una confezione gialla con una bottiglia di champagne Veuve Clicquot. Suona, entra, scende i pochi gradini e sparisce. Alle 17.05 la scena si ripete. Stavolta il ragazzo è più giovane, indossa una tuta rossa, e ha capelli rasati sui lati. Stringe tra le braccia un’altra confezione di champagne. E poi bambini e genitori, nonni con confezioni di pasticcini.

Parenti e nipotini che Rocco Papalia, tra le carceri di Badu ‘e Carros e Secondigliano, in questi 26 anni neppure ha mai visto. Sono tutti parenti i Papalia, i Sergi, i Barbaro, i Trimboli, i Perre. E quindi conta poco il fatto che il neo uomo libero Rocco Papalia non possa frequentare pregiudicati come dispone la sorveglianza speciale che durerà tre anni e che gli impedirà di lasciare Buccinasco e lo obbligherà a stare in casa di notte. Ieri il sindaco Giambattista Maiorano ha protestato, per quanto si possa protestare per un provvedimento di scarcerazione che rispetta tutti i crismi della legge, che in uno Stato democratico è un diritto. Ma di certo il ritorno di Papalia agita (e non poco) i sonni dell’Antimafia milanese. Specie se si pensa che tra un mese ci sono le elezioni comunali.

Rocco era il solo dei tre fratelli a poter sperare un giorno di uscire dal carcere. Domenico e Antonio hanno condanne all’ergastolo (ostativo). E Nginu c’era andato vicino già tre anni fa, quando avrebbe dovuto usufruire dei primi permessi. Poi era arrivata una nuova misura cautelare per l’omicidio del nomade Giuseppe De Rosa, ucciso nel ‘76 fuori dalla discoteca Skylab. Ad incastrarlo una intercettazione di due affiliati che raccontarono a oltre trent’anni di distanza di come fu proprio Papalia a sparare. Quello, secondo i giudici, fu l’omicidio che segnò l’ascesa degli uomini di Platì (Reggio Calabria) a Milano. Per tenerlo in cella era necessario arrivare a una condanna all’ergastolo. Rocco Papalia,nel complesso gioco di aggravanti e attenuanti, venne condannato a trent’anni. Troppo poco. Così, una volta alla conta dei «cumuli» di pena, Papalia è stato scarcerato. «Un provvedimento di legge, non c’è da stupirsi di nulla», commenta ora l’avvocato Ambra Giovene. I parenti lo aspettavano a casa per giugno, la notizia ha sorpreso in parte anche loro.

E adesso preoccupa gli investigatori. Perché dopo gli arresti degli anni Novanta e gli ultimi colpi tra il 2010 e il 2014, il clan più potente del Nord Italia (il fratello Antonio era «capo della Lombardia») s’era ritrovato con un vuoto di potere. Una «vacanza» colmata solo in parte dagli eredi di famiglia. Personaggi come Domenico Trimboli, alias Micu Murruni, o come Antonio Musitano, alias Toto Brustia, seppure di buon pedigree mafioso, mai avrebbero potuto portare (e sopportare) un cappello tanto grande. Lo aveva fatto Rocco Barbaro, ‘u Sparitu, che dopo la scarcerazione aveva lavorato a Buccinasco come gommista. Ma pochi mesi dopo è tornato in Calabria per poi darsi latitante, inseguito da un ordine di cattura per mafia. Ora c’è Nginu. E con Rocco Papalia libero cambia tutto.

 

Buccinasco: arrestato il genero (latitante) di Papalia

Ne scrive Cesare Giuzzi per il Corriere della Sera:

Nella mafia si dice che non ci sia rifugio più sicuro che casa propria. E in effetti anche Giuseppe Grillo non era andato molto lontano. E non solo perché dalla sua casa di via Cadorna a Buccinasco al covo di via Mascagni 7, c’è poco più di un chilometro in linea d’aria. Ma perché quell’appartamento al quarto piano era stato, qualche anno prima, l’indirizzo di residenza di suo cognato, Domenico Papalia. La casa era vuota in attesa di essere venduta all’asta. Dentro solo pochi mobili: tavolo, sedie, un letto e un comodino. Sopra la copia del libro «L’invisibile» di Giacomo Di Girolamo sulla vita di Matteo Messina Denaro, l’uomo più ricercato d’Italia.

Giuseppe Grillo non è un mafioso. È nato a Locri, in provincia di Reggio Calabria, ma la sua famiglia è originaria di Platì, feudo delle cosche d’Aspromonte, regno dei Barbaro, dei Perre, dei Trimboli, degli Agresta, dei Musitano. Nel pedigree criminale di Grillo ci sono molte note e tutte di poco conto se si esclude la condanna, appunto, a 7 anni e 4 mesi rimediata in un’inchiesta antidroga dei carabinieri di Corsico che risale a dieci anni fa. La condanna è diventata definitiva a febbraio, con il rigetto da parte della Cassazione del suo ricorso, e di quello di altri trafficanti. Era da questa condanna che scappava da quasi tre mesi.

Ma la sua non è la storia di un semplice spacciatore di cocaina. Più dei precedenti (anche un’accusa di tentato furto) — secondo la polizia — conta il suo stato di famiglia. Perché dopo essersi trasferito a Buccinasco Giuseppe Grillo ha sposato Serafina Papalia, la figlia di Antonio, il boss dei sequestri degli anni Novanta. E Antonio, 63 anni, oggi all’ergastolo nel carcere di Padova dove scrive libri e viene premiato per le sue raccolte di poesie, insieme ai fratelli Domenico e Rocco è considerato uno dei padrini più importanti arrivati negli anni Settanta in Lombardia. E la famiglia Papalia è legata in modo indissolubile a tutti i rami della cosca dei Barbaro di Platì, dai nigri, ai rosi, ai potentissimi castani. E oggi condiziona anche i nuovi assetti delle cosche calabresi visto che il maggiore dei figli di Antonio, il 38enne Pasquale, ha sposato Giuseppina Pelle, la figlia di Peppe Pelle, a sua volta discendente del boss Toni Gambazza di San Luca. Il gotha della ‘ndrangheta della droga e dei sequestri riunito in una sola famiglia.

Che i matrimoni nella ‘ndrangheta siano strumento per alleanze criminali più che il coronamento di storie d’amore, lo sostengono molti investigatori e studiosi. Su tutti il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri. Che lo stesso valga nelle aule giudiziarie, invece, è ancora tutto da stabilire visto che proprio il processo Cerberus che vede alla sbarra i nuovi assetti dei Barbaro-Papalia è appena ricominciato (per la terza volta) in giudizio d’appello dopo il doppio rinvio della Cassazione. Perché per i giudici non basta un certificato di matrimonio a stabilire un patto tra clan o la presunta appartenenza alla ‘ndrangheta.

Per questo è impossibile sostenere che anche quello di Serafina Papalia e Giuseppe Grillo sia stato un matrimonio d’interesse. Ma sposare la figlia di un boss ergastolano come ’Ntoni Carciutu, il soprannome di Papalia, garantisce nell’ambiente criminale una sorta di aura di onnipotenza. E allora oggi a leggere i verbali dell’arresto di Grillo qualcuno potrebbe sorridere immaginando la scena di una latitanza quasi improvvisata, con la moglie pedinata mentre porta panni e spesa al marito chiuso in casa e i poliziotti della squadra Mobile nel parco che passeggiano con il cane fingendosi vicini di casa. Perché è stato davvero così, seguendo i movimenti di Serafina Papalia, che gli investigatori guidati da Lorenzo Bucossi sono arrivati a scoprire il covo del latitante e — mercoledì sera — a mettergli le manette. Lui ha detto che si sarebbe consegnato, che attendeva solo la prima comunione della figlia da qui a pochi giorni per presentarsi ai carabinieri. Tanto che ha mostrato la valigia già pronta accanto al letto. Ma le cose non sono andate proprio in maniera così artigianale. Anzi. E per gli agenti Giuseppe Grillo era pronto invece a fuggire. A cambiare covo o forse a cercare riparo nella sulle montagne di Platì, in attesa di tempi migliori. La sola certezza è che Grillo non s’è mai mosso da Buccinasco in questi tre mesi e che si sentiva sufficientemente sicuro. Almeno fino a mercoledì quando a Grillo sarebbe arrivata la soffiata che gli annunciava che sarebbero arrivate le guardie.

I poliziotti hanno seguito la moglie lungo la passeggiata Rossini, un percorso pedonale attraverso il verde che porta al complesso di via Mascagni. Poi sono riusciti a entrare nel palazzo attraverso i box e infine si sono appostati alla porta. Grillo ha cercato di rubare preziosi secondi prima di aprire la porta blindata che gli sono serviti per lanciare dal quarto piano il telefonino (un Nokia di vecchio tipo) con il quale effettuava chiamate brevissime e che accendeva solo pochi minuti al giorno. Il telefono però — a conferma della proverbiale fama dei vecchi cellulari — è rimasto intatto. E ora potrebbe svelare molti segreti sulla rete che lo ha protetto.

A Serafina Papalia gli investigatori erano arrivati durante un’indagine dell’Antirapine, il suo cellulare era in contatto con alcuni personaggi e intercettandolo i poliziotti hanno capito che era lei a fare da «vivandiera» al marito. E lo faceva stando attenda a parcheggiare lontano da via Mascagni e a raggiungere il covo solo a piedi. Lei e il marito fino allo scorso ottobre avevano gestito il bar Ritual di piazzetta San Biagio a Buccinasco. Contro l’apertura del locale si era subito schierato il Comune, poi i carabinieri della stazione di Buccinasco, guidati dal maresciallo Vincenzo Vullo, ne avevano ottenuto la chiusura dalla Prefettura. Il motivo? Ovviamente i legami con il clan di famiglia. Ora il locale, dopo una lunga chiusura, ha cambiato gestione.

‘Ndrangheta «Parco Sud»: cade in Cassazione il 416 bis per i Barbaro-Papalia

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Notizie dal fronte per i signorotti di Buccinasco:

«La pronuncia, a seguito dei ricorsi proposti dalle difese, era stata in parte (per il solo art. 416 bis, associazione mafiosa) annullata dalla Prima sezione penale della Corte di Cassazione, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Milano che in sede di rinvio ha completamente assolto Domenico Papalia, assolvendo anche Francesco Barbaro e Antonio Perre dal solo reato di cui all’art. 416 bis, confermando nel resto.

Avverso quest’ultima sentenza, è stato proposto ricorso per Cassazione sia dalla Procura Generale milanese, per le tre assoluzioni, sia dalle difese degli imputati che hanno riportato condanna per i residui reati di possesso e ricettazione di armi (Domenico, Rosario, Salvatore e Francesco Barbaro, rispettivamente a 6 anni e 6 mesi, 2 anni, 4 anni, e 4 anni e sei mesi di reclusione; Antonio Perre a 5 anni).

Con la pronuncia odierna, la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso del Procuratore generale, confermando le pronunce assolutoriedal reato di associazione mafiosaper Domenico Papalia, che risulta completamente scagionato (difeso dall’avvocato Francesco Lojacono), per Francesco Barbaro e Antonio Perre (difesi rispettivamente dagli avvocati Renato Russo e Amedeo Rizza), ed ha rigettato i ricorsi degli altri imputati, le cui condanne divengono definitive.»

(fonte)

Il boss della Lombardia è un aiuto gommista

MANETTEAbita a Buccinasco in via Lecco e lavora dal gommista in via Idiomi affidato dal tribunale ai servizi sociali e quindi con metà stipendio pagato con soldi pubblici, per dire. Non è indagato (per ora) ma Rocco Barbaro è l’uomo da cui partire per leggere la nuova geografia della ‘ndrangheta in Lombardia. Dopo Carmelo Novella (ucciso nel 2008 in un bar di San Vittore Olona) e successivamente Vincenzo Zappia (coinvolto nell’inchiesta Infinito) oggi Rocco Barbaro detto u Sparitu nato a Platì il 30 giugno 1965 potrebbe essere il nuovo reggente lombardo. Rocco ha un curriculum criminale di tutto rispetto: latitante per anni (arrestato poi nel 2003 per traffico di droga) è uscito 2 anni fa dal carcere di Piacenza per tornare nella “sua” Buccinasco e assumere i gradi del capo per eredità famigliare: Rocco Barbaro, infatti, è il figlio di Francesco Barbaro Ciccio u Castanu, classe 1927, uno dei personaggi più in vista delle ‘ndirne da Platì, città  in cui è tornato il 5 febbraio dell’anno scorso con obbligo di soggiorno . Il fratello di Rocco invece, Giuseppe Barbaro è uno degli autori del primo sequestro di persona a Milano  (Giuseppe Ferrarini, il 9 luglio 1975) ed è da sempre vicino a Domenico Papalia (il fratello del potente Rocco). Ad ascoltare le parole intercettate ad Agostino Catanzariti con il compare Michele Grillo (entrambi arrestati nei giorni scorsi nell’operazione “Platino”) sembra che Rocco Barbaro abbia ottenuto le stigmate del reggente lombardo più per nobiltà parentali che una vera e propria decisione comune (“Lui è capo di tutti i capi (…) di quelli che fanno parte di queste parti” dice Cataranziti) anche se lo stesso Grillo, e sicuramente non solo lui, sembra non accettare nomine per eredità (“Capo mio non lo è! Non esiste, per me è un semplice picciotto”).

In Lombardia la ‘ndrangheta si riorganizza affidandosi al sangue e alla tradizione (come storicamente ha sempre fatto dopo gli arresti) e la geografia comincia ad assestarsi e noi non possiamo che seguirla con attenzione anche perché insieme a quelli che ci dicono che la mafia non esiste cominciano a spuntare i cretini che ci vorrebbero raccontare la ‘ndrangheta lombarda è stata decapitata.

Aspettando il grande capo Rocco Papalia

rocco-buccinasco-interna-nuovaViale del Buon Cammino, civico 19. Carcere di Cagliari. Le due del 23 aprile 2011. Un uomo ha appena varcato il portone d’ingresso. In strada respira il profumo dei pini marittimi. Il sole lo colpisce agli occhi. Abbassa lo sguardo. Lo rialza. Si stringe nella giacca. Poi gonfia il petto. Si sente libero come non lo era più stato dal 10 settembre 1992, quando iniziò la sua vita da carcerato. Diciannove anni dopo, il primo permesso e una sensazione che aveva imparato a dimenticare. Oggi la vita ricomincia, il sangue torna a scorrere, la mente a ingranare idee. Ancora, però, non è finita. Il rientro è fissato per le undici di sera. Meglio non pensarci. C’è la famiglia da riabbracciare, progetti da far ripartire.

Fino al blitz di questa mattina, quella data ha scavato come un tarlo nella testa dei carabinieri di Milano. Sì perché quel signore non alto, ma robusto, il volto indurito dagli anni di galera, lo sguardo che ghiaccia lo stomaco, non è uno qualsiasi, ma il boss dei boss, il padrino rispettato che assieme ai suoi due fratelli per oltre vent’anni ha giostrato gli affari della ‘ndrangheta all’ombra del Duomo. Questo, infatti, è Rocco Papalia nato a Platì il 24 ottobre 1950. Un supercapo che dal suo fortino diBuccinasco, comune dell’hinterland milanese, ha programmato sequestri e traffici di ogni genere. Erano gli anni Ottanta. All’alba dei Novanta, poi, lo Stato reagì. Centinaia di mafiosi finirono in carcere. Negli archivi giudiziari quel blitz fu classificato sotto il nome di Nord-sud. A dare la stura le parole del pentito Saverio Morabito, ascoltate e trascritte da un giudice coraggioso, Alberto Nobili, e da un sbirro eroico, Carmine Gallo. Il resto è una storia, quella che traghetta Milano verso il terzo millennio, fatta di dimenticanze politiche, smemoratezze istituzionali e voglia di cancellare l’assedio mosso all’epoca dalla mafia più potente del mondo.

Il brusco risveglio una mattina di luglio del 2008. Di nuovo la cosca Barbaro-Papalia, ancora l’incubo di un’ammissione che si può tradurre in un titolo: Milano provincia di ‘ndrangheta. L’operazione Cerberus fa saltare il tappo. In quattro anni la Procura mette a segno centinaia di arresti, narrando di una Lombardia che si è fatta mandamento mafioso con le sue regole e i suoi riti. Decine di informative raccontano di colletti bianchi e politici collusi. I giudici condannano senza sconti. Eppure tanta solerzia investigativa ha intaccato solo la superficie di una infiltrazione molto più profonda e devastante. Ecco perché questa storia non riguarda il passato, ma il presente e il futuro. Una storia sulla cosca Barbaro-Papalia, sui suoi nuovi assetti, sul suo tesoro (mai trovato), e sugli affari: dal traffico dei rifiuti agli appalti pubblici. Una storia che parte (o riparte) da Rocco Papalia e dai suoi fratelli (Antonio e Domenico), che, pur ergastolani, da anni ormai hanno abbandonato i rigori penitenziari del 41 bis. Ma anche da un gruppo di colonnelli, oggi tornati liberi, che negli anni Ottanta, stando alle parole di un pentito, componevano “il governo” della ‘ndrangheta a Corsico e Buccinasco.

Così, per capire quanto quel 23 aprile 2011 abbia tenuto gli investigatori inchiodati per oltre due anni sul territorio di Bucicnasco,  basta scorrere le oltre cento pagine di un’informativa del 17 giugno 2011. Nelle prime pagine dell’annotazione, che ha dato inizio all’indagine conclusa oggi, i militari, ricordando le ultime inchieste che hanno colpito la cosca Barbaro-Papalia (Cerberus nel 2008 eParco sud nel 2009), mettono nero su bianco un ragionamento che inquieta: “Non vi è alcun segnale che si sia verificato un vuoto di potere. Oggi, per di più, s’inizia a intravedere il giorno in cui Rocco Papalia potrà tornare a Milano e fruire dei permessi; il primo gli è stato concesso a Cagliari (…). Nel frattempo, sono tornati in libertà membri autorevoli dell’organizzazione (…) membri la cui fedeltà alla cosca e a Rocco Papalia, in particolare, è certificata nelle condanne passate in giudicato”. E ancora: “Le innumerevoli attività investigative che, dagli anni Ottanta a oggi, hanno riguardato la cosca insegnano che essa, nonostante gli arresti, le tante e pesantissime condanne, è caratterizzata da una solida continuità di comando. E da un rispetto assoluto delle gerarchie. E’ una cosca che, proprio in ragione di ciò, non ha mai subito né faide né scissioni”. Una data per capire: 1983. Scrive il brigadiere Giuseppe Furco della locale stazione di Platì: “In merito alla posizione di capo indiscusso, con ruolo di prestigio anche sugli altri capi non vi è dubbio, infatti, che Domenico Papalia, fratello di Antonio e Rocco, cugino dei Barbaro soprannominati I Nigri, è tenuto in ottima considerazione”. Ecco invece cosa annotano i carabinieri nel 2011: “Sono trascorsi quasi trent’anni da quando Giuseppe Furco scrisse quell’informativa (…) e gli equilibri, in seno alla cosca Barbaro-Papalia restano immutati”.

Corsico oggi. Un bar di via Salma. La storia riprende da qui e da una telefonata del 2011. “Sei al bar?”, chiede Agostino. “Sì”, risponde Michele. Il nastro delle intercettazioni registra. Il contenuto non è decisivo. Ai carabinieri serve per fissare nomi e luoghi della nuova pattuglia della cosca. Agostino, infatti, è Agostino Catanzariti nato a Platì nel 1947. Michele, invece, è Michele Grillo, anche lui platiota, anche lui classe ’47. Oltre all’anno di nascita, i due condividono l’appartenenza “al nucleo storico di ‘ndranghetisti che, alla fine degli Anni ’70, diede il via alla terribile stagione dei sequestri di persona in Lombardia“. Il 18 giugno 1987 Michele Grillo viene condannato a 18 anni per il sequestro di Tullia Kauten. Espiata la pena, oggi Grillo ufficialmente fa il camionista e vive a Casorate Primo, uno dei tanti comuni, a metà strada tra Buccinasco e Pavia, che rappresentano l’ultimo avamposto della ‘ndrangheta lombarda.

Di rapimenti è esperto anche Agostino Catanzariti. Secondo la ricostruzione dei carabinieri viene condannato per i sequestri di Angelo GalliAlberto Campari (1977)Giuseppe Scalari (1977),Evelina Cattaneo (1979). Il 24 maggio 1981 viene arrestato. In carcere ci resta fino al 2009. Quindi rientra a Corsico nella sua casa di via IV novembre dove finisce di scontare gli ultimi due anni ai domiciliari. Il 6 ottobre 1981, quando Catanzariti è in carcere da pochi mesi, la sua cella viene perquisita. Salta fuori un pizzino che i carabinieri riproducono integralmente nella loro informativa del 2011. “In quel pezzetto di carta – scrivono – si riesce a leggere: “Agostino Catanzariti capo, Rocco Papalia Supercapo”. Anche per questo: “Si ha motivo di ritenere che, nonostante la lunghissima carcerazione, egli sia tutt’ora personaggio autorevole”.

I luoghi in questa storia sono decisivi per cogliere affinità e rapporti. Ci sono i bar come quello di via Salma e come il Lyons di via dei Mille a Buccinasco, veri e propri “uffici dei Papalia”. Ma ci sono anche altri posti dove, secondo i carabinieri, la sola presenza è sinonimo di appartenenza. Uno di questi è il sagrato della parrocchia di San Silvestro. Qui il 30 aprile 2011 si celebra il funerale di un parente dei Papalia. I carabinieri ci sono, filmano, fotografano e scrivono: “È noto che nella ‘ndrangheta le cerimonie religiose (battesimi, matrimoni, funerali) sono occasioni sociali alle quali non è ammesso sottrarsi”. E in effetti l’album fotografico che ne viene fuori resta un documento importante per individuare i pretoriani della cosca. Agostino e Michele ci sono. Con loro i militari immortalano anche Natale Trimboli. Classe ’56, originario di Platì, Trimboli oggi vive a Zelo Surrigone. In passato è stato condannato a otto anni per armi e droga. Ufficialmente si occupa di movimento terra. Uno dei suoi figli assieme al pronipote di Catanzariti ha aperto un bar a Corsico in via Fratelli di Dio.

Alla cerimonia funebre, poi, compaiono altri due personaggi che fanno drizzare le orecchie ai militari. Quel giorno si vede Antonio Musitano detto Totò Brustia. Pure lui della truppa dei platioti di Buccinasco, Musitano fa 17 anni di carcere per l’operazione Nord-sud. Dal 2007 è libero. Di lui ha parlato a lungo il pentito Saverio Morabito: “Papalia si faceva coadiuvare da Antonio Musitano (…) Tra la fine dell’83 e dell’84 (…) Rocco Papalia si avvaleva della collaborazione di Musitano che si era rivelato un ragazzo sveglio”. Per molto tempo, racconta un investigatore, “è stato l’uomo di riferimento su Milano di Giuseppe Barbaro detto u’ Nigru”. Confermano i carabinieri nella loro informativa: “Antonio Musitano può essere considerato una delle figure apicali in seno alla cosca Papalia”. La riprova? “Il 27 maggio 2010, lo stesso Musitano accompagnò Rosa Sergi al carcere di Padova per un colloquio con il marito Antonio Papalia, fratello di Rocco”.

Funerali, ma non solo. I legami di sangue cementano il sodalizio. E come nella più rigorosa tradizione nobiliare, ci si sposa per elevare il lignaggio. Succede con Giuseppe Pangallo nato a Platì nel 1980. I compari lo chiamano Peppone. Oggi vive in provincia di Como assieme alla moglie Rosanna Papalia, figlia di Rocco. Dirà lei, intercettata durante l’inchiesta Marine della procura di Reggio Calabria. “Io stavo tanto bene con l’altro e mi hanno fatto sposare a te”. Definito “personaggio degno di attenzione”, nel 2005 viene condannato a 3 anni per droga, ma andrà assolto in Appello.

Questi sono i personaggi che vengono monitorati dai carabinieri di Milano. Eppure la storia non finisce qua. Negli ultimi anni, infatti, molti protagonisti dei maxi-processi degli anni Novanta sono tornati in libertà. Attualmente non risultano indagati e vivono da liberi cittadini nei comuni a sud di Buccinasco. Un lungo elenco dal quale spicca il nome di Paolo Sergi, boss di rango e cognato di Antonio Papalia. Al termine del processo Nord-sud incassò diversi ergastoli. Dal luglio 2011 vive in una villetta di Zibido San Giacomo con la possibilità di uscire solo poche ore al giorno. Suo fratello Francesco, invece, sconta l’ergastolo in carcere. Per tutti gli anni Ottanta ha gestito droga e sequestri ai tavolini del bar Trevi di via Bramante a Corsico. Il terzo fratello Sergi, Giuseppe detto Peppone, vive da libero cittadino e gestisce un esercizio commerciale a Corsico. Altro grande frequentatore dei bar-uffici della ‘ndrangheta è Antonio Parisi. Anche lui coinvolto nei maxi-blitz degli anni Novanta (condannato a 30 anni in primo grado), oggi vive a Buccinasco. Stesso destino per Diego Rechichi, ex luogotenente di Rocco Papalia, arrestato nell’aprile 2013 per traffico di droga. L’elenco è lungo. Ne fanno parte i fratelli Trimboli. Oltre a loro anche l’omonimo Domenico Tromboli, detto u Murruni, è tornato in libertà. In passato ha sposato una Papalia. Insomma, questa è la geografia. Un risiko fitto di protagonisti e comparse. Tutti in attesa del ritorno di Rocco Papalia, “il supercapo”.

(Un pezzo del solito Davide Milosa e dell’antimafia con nomi e cognomi come piace a noi da stampare e tenere in tasca)

“Teatrale e inopportuno”

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Musica e parole di Maria Barbaro, figlia di Domenico Barbaro detto l’Australiano. Secondo la Procura di Milano (e non solo) boss di ‘ndrangheta al Nord, residente in quel di Buccinasco (ora a Platì) e coprotagonista di A 100 PASSI DAL DUOMO.