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cimiteri

«Volevo portare la salma di mio figlio al paese ma la burocrazia non ha pietà»

(la kafkiana storia raccontata da Marco Nese per Il Corriere)

Pur essendo una stradina dritta e stretta, a via del Verano ti ci puoi perdere. Se hai la sventura di mettere piede negli uffici allineati uno appresso all’altro, rischi di rimanerci prigioniero per giorni e giorni, preso nella morsa di una burocrazia delle carte più complicata di quella dei Borboni. Ne ho esperienza personale. Rimbalzato per oltre una settimana da un ufficio all’altro. La storia è questa. Io e mia moglie avevamo deciso di trasferire i resti di nostro figlio Giuseppe, morto nel 1995. Erano custoditi in una cassetta nel cimitero romano di Isola Farnese, sulla Cassia.

Volevamo portarli a Castellabate, nel Cilento, nostro paese d’origine. Prima tappa: via del Verano 72A. Lì c’è la distribuzione dei moduli. Lunga fila per conquistare il foglio con cui chiedere «l’estumulazione». L’impiegata consegna anche l’elenco dei documenti da allegare. «Prepari tutto e poi vada all’altro ufficio, al numero 74». Il giorno dopo al 74, altra lunga fila. Finché si arriva al cospetto di una signora che controlla le carte. Sono a posto. Bisogna pagare 129 euro per tasse varie. Ma non è finita. La burocrazia è un mostro con vari tentacoli. Il cimitero di Isola Farnese ricade sotto il controllo di un altro ufficio, i Suburbani. Con tutte le carte bisogna raggiungere un palazzone in fondo alla via al numero 68. Lì è il regno dei Suburbani.

Ma ormai è tardi, non c’è più nessuno. L’indomani, ai Suburbani nuova verifica delle carte, che ormai sono un bel mucchio. Tutto in regola. Allora l’impiegato telefona al custode del cimitero e gli spiega che martedì alle 8,30 deve procedere alla «estumulazione». Sembra finita. Invece no. Il martedì è necessario presentarsi al cimitero e farsi rilasciare dal custode il certificato per l’estumulazione avvenuta. A quel punto, c’è un cambio di rotta. Entra in ballo anche la Asl. Precisamente quella che ha sede sul Lungotevere della Vittoria. Al terzo piano della Asl, un signore cortese compila un altro modulo. È un decreto con cui autorizza il trasporto.

Per renderlo più autorevole ci si deve applicare una marca da 16 euro, reperibile dal tabaccaio dietro l’angolo. Stavolta, sembra davvero di essere al capitolo finale. Ma è solo un’illusione. Il giorno dopo, di nuovo in via del Verano, alla polizia mortuaria, dove un agente si mette a compilare l’ennesimo modulo. Di colpo si blocca: «Ah, ma andate fuori Roma, allora ci vuole l’ufficio esterni». L’aspetto fantastico di questi uffici è che tutti ti sorridono e ti guardano con aria di commiserazione. «Che ci vuole fare, è la burocrazia». C’è anche chi ti consiglia di affidarsi a un’agenzia invece di impazzire di qua e di là.

Ma ormai siamo in ballo e proseguiamo. All’ufficio esterni, una signora assicura che mi trovo nel posto giusto. Mette alcuni timbri, mi restituisce il pacco di carte e indica la prossima destinazione. Di nuovo ai Suburbani, al numero 68. Ai Suburbani fanno fotocopie di tutti i fogli, li ammucchiano su altre montagne di scartoffie. Dividono le carte in due spezzoni, uno va consegnato al custode, l’altro va portato al numero 74, ufficio Protocollo. Il signore del Protocollo non parla mai, mette timbri dappertutto, annota qualcosa su un registro, e finalmente restituisce il malloppo. Pensate che sia finita? C’è la sorpresa finale. In uno dei passaggi qualcuno ha fatto confusione: risulta che non è morto mio figlio, ma è deceduta mia moglie.