Vai al contenuto

commercio

Sui vaccini indaga Zuccaro, il ‘complottista delle Ong’ idolo di destra e grillini

Tra le procure che hanno aperto indagini sulle eventuali reazioni avverse dei vaccini c’è la procura di Catania, con il procuratore Zuccaro che sta indagando per il reato 443 c.p (“Commercio o somministrazione di medicinali guasti o imperfetti”) ed è bastato giusto il tempo di mettere in piedi una bella conferenza stampa per lanciarsi in una dichiarazione che lascia a dir poco interdetti: «Stiamo verificando – ha detto il procuratore Carmelo Zuccaro al quotidiano La Repubblica – se determinati soggetti trombofilici possano avere una predisposizione ad attivare alcuni fattori detonatori. Potrebbero esserci nel vaccino eventuali controindicazioni per alcune persone, controindicazioni che non sono state analizzate considerato il poco tempo a disposizione per la realizzazione del farmaco». E poi: «L’obiettivo della nostra indagine è raccogliere dati su questo aspetto particolare e provare a dare un contributo alla scienza. E così spazzare via tutte le diffidenze attorno a un vaccino che è indispensabile».

Evidentemente siamo ingenui noi a pensare che le indagini servano per indagare su un presunto reato senza sapere invece dell’esistenza di inchieste con finalità di ricerca scientifica: nelle parole del procuratore ci sono già le “reazioni gravi” (ma allora a che serve l’Ema?), c’è la poca informazione scientifica di chi parla di “sostanze o altro nelle fiale” (qui siamo oltre la chimica e la famaceutica: siamo in un film di spionaggio di 50 anni fa) e c’è il diritto del dubbio antiscientifico applicato alla scienza. Zuccaro, vale la pena ricordarlo, è sempre quello che nel 2017 parlò in lungo e in largo del suo personale bisogno di «denunciare un gravissimo fenomeno criminale» intorno alle Ong che a suo dire agivano in combutta con gli scafisti.

«Potrebbe anche essere, e sarebbe più inquietante, che queste Ong perseguono finalità di destabilizzazione dell’economia italiana», disse leggero in televisione, dando di gomito ai peggiori complotti finanziari internazionali. Venne intervistato, venne audito in Parlamento, divenne l’idolo di certa destra e del M5S. Peccato che mancassero quei piccoli particolari che in un processo si chiamano “prove”: «E’ possibile ma è solo un’ipotesi che al momento non ha riscontro», diceva. «Non lo posso escludere, ma non lo posso neanche sostenere».

Niente prove, niente riscontri (che evidentemente per un magistrato sono solo inezie) ma in compenso ci fu a lungo una gran caciara utile a ingrossare un certo clima. Il processo ovviamente finì in un buco nell’acqua, la sua mancanza di riservatezza è stata in fretta dimenticata. Ora Zuccaro si butta sui vaccini e ricomincia con la sua solita pacatezza come se non avesse imparato la lezione. A proposito della cautela dovuta in questa caso.

L’articolo Sui vaccini indaga Zuccaro, il ‘complottista delle Ong’ idolo di destra e grillini proviene da Il Riformista.

Fonte

Papa Francesco in Iraq ha fatto politica. Quella che non sanno fare i potenti

Forse ci metteremo anni a capire l’importanza storica della visita di Papa Francesco in Iraq e chissà che non si possa imparare in fretta come la diplomazia, parola sgraziata e scarnificata in questi anni di commercio con una spolverata di finti diritti, è un esercizio serissimo che richiede il coraggio di andare controvento.

Papa Francesco è atterrato in Iraq e in pochi giorni ha infilato il dito nelle ingiustizie di quella parte di mondo che pochi si prendono la briga di raccontare, in mezzo alle macerie che stanno lì ma che sono partorite da tutto l’Occidente. Gli avevano sconsigliato di andare, i venditori di morte occidentali, fingendosi consiglieri apprensivi ma non riuscendo a non apparire ipocriti.

È entrato a pregare in Mosul, l’ex capitale delle milizie del Califfato da cui il Daesh ha sparso morte e ha ripetuto a voce alta che non esiste nessuna possibile guerra in nome di nessun Dio, che non è consentito “odiare i fratelli” e che non bisogna cedere ai “nostri interessi egoistici, personali o di gruppo”.

Al di là del credo di ognuno quelle parole sono un atto politico potentissimo. Così come rimarrà nella storia l’incontro con Ali al Sistani, la massima autorità religiosa sciita del paese, in una stanza spoglia che profuma di sala d’attesa, e in cui si è stretto l’impegno di una collaborazione tra comunità religiose che troppo spesso la politica gioca a brandire l’una contro l’altra.

Sono due uomini che si battono contro le divisioni e che riportano il discorso finalmente a un livello più alto, abbandonando i bassifondi di un razzismo religioso che anche dalle nostre parti si è acuito sempre di più. È il viaggio in cui Papa Francesco ha ascoltato le parole del padre di Alan Kurdi, naufragato su una spiaggia turca nel settembre del 2015 mentre con la madre e con il fratello tentava di raggiungere l’Europa.

Una foto che ha fatto il giro del mondo ma di cui ancora nessuno ha chiesto scusa, nemmeno tra i responsabili politici di una tragedia che ancora oggi continua a rinnovarsi. Le cronache raccontano di un Papa che “ha ascoltato, più che parlare”: quella è una storia che va ascoltata e raccontata, ascoltata e raccontata.

Papa Francesco, comunque la si pensi, si è preso una responsabilità politica enorme gettando luce là dove molti vorrebbero convenientemente mantenere il buio esercitando la diplomazia nel suo senso più alto, guardando negli occhi e quindi legittimando le vittime. Mentre tutti sono concentrati sul proselitismo ascoltare diventa perfino un atto rivoluzionario.

Leggi anche: 1. La prima volta di un Papa in Iraq: Francesco va nei luoghi che furono dell’Isis per costruire la pace

L’articolo proviene da TPI.it qui

Basta assurdi egoismi, rendiamo pubblici i brevetti per produrre i vaccini anti-Covid

Se si volesse “restare alti”, come dicono in questi giorni alcuni esponenti politici (che di solito considerano “basso” rispondere alle domande che vengono loro poste), se si volesse davvero dare una “spinta” importante nella battaglia contro la pandemia, se ci fosse la voglia di combattere sul serio “i poteri forti” (quelli che vengono inutilmente evocati per battaglie immaginarie) e se si volesse dimostrare di tenere davvero alla salute pubblica più di ogni altra cosa in questo momento, allora c’è una battaglia già bell’e pronta da inforcare: superare il nodo dei brevetti dei vaccini e accelerare così la produzione e la distribuzione liberandosi dai lacci delle grandi aziende farmaceutiche.

Attenzione, stiamo parlando di un preciso accordo (Trips: Trade Related Intellectual Property Rights) relativo alla proprietà intellettuale dell’Organizzazione mondiale del commercio, che scrive nero su bianco come i governi possano in situazione di emergenza sanitaria (e non è questa l’emergenza sanitaria del secolo?) permettere anche ad aziende non detentrici del brevetto di produrre versioni generiche equivalenti dei farmaci pagando un’opportuna royalty all’azienda della proprietà intellettuale.

Lo stesso Carlo Cottarelli ieri, ospite da Fabio Fazio, ha chiesto uno “sforzo di guerra” per aumentare la produzione mettendo “più risorse per produrre i vaccini superando gli attuali vincoli di produzione”.

Sarebbe uno sforzo diplomatico, certo, ed economico. Ma forse varrebbe la pena, di fronte alla previsione che l’Italia per la pandemia perderà più o meno 300 miliardi di euro Pil nel biennio 2020-2021 a causa della pandemia.

Già a dicembre Medici Senza Frontiere esortava tutti i Paesi a raggiungere un accordo sulla proposta di India e Sudafrica di sospendere la proprietà intellettuale sui prodotti salvavita in pandemia. Qualche giorno fa il farmacologo Silvio Garattini in un’intervista a Il Mattino ha dichiarato che “se ci sono ragioni importanti di salute pubblica gli Stati possono chiedere o pretendere la licenza del farmaco per produrlo in grosse quantità”.

“L’Italia, l’Europa possono chiederlo. In un momento di grandi difficoltà bisognerebbe avere il coraggio di abolire i brevetti sui farmaci salva-vita come i vaccini”, ha detto Garattini.

Tra l’altro c’è da considerare che la ricerca che ci ha portato ad avere i vaccini in così breve tempo è stata possibile anche grazie alle ingenti risorse pubbliche e ai finanziamenti filantropici.

Nei giorni scorsi in Italia 43 associazioni (tra cui Acli, Arci, Cgil, Cisl, Uil, Emergency, Libera e altri) hanno dato vita al Comitato Italiano per l’Iniziativa Cittadini Europei “Per il diritto alla cura, nessun profitto sulla pandemia”, che chiede una immediata moratoria sui brevetti e la messa a disposizione di tutti dei vaccini quale bene comune.

“C’è ragione di essere in allarme”, scrive il comitato. “Con lo strapotere delle grandi aziende farmaceutiche, padrone dei brevetti per 20 anni, fonte di guadagni miliardari, e con l’attuale sistema di accordi commerciali, c’è il rischio di ‘tagliare fuori’ dalle vaccinazioni, interi Paesi e Continenti ‘poveri e incapienti’, con un rischio gravissimo per la salute mondiale”. La battaglia è qui, pronta. Ora non resta che avere il coraggio di farsene carico.

Leggi anche: 1. Il 14% dei Paesi ricchi avrà il 53% delle dosi di vaccino: la bomba sociale che l’Europa finge di non vedere / 2. I vaccini no-profit di Cuba che salveranno i Paesi in via di sviluppo

L’articolo proviene da TPI.it qui

Avanzi di Gallera

La Lombardia in zona rossa sulla base di dati sbagliati inviati all’Istituto superiore di sanità dalla Regione stessa. Fontana e Moratti scaricano le colpe sul governo. Dopo l’addio dell’ex assessore al Welfare, bisogna fare i conti con ciò che ha lasciato: il suo presidente, la sua sostituta e un Ente ormai completamente allo sbando

In Lombardia non bisogna mai correre il rischio di pensare che peggio di così non potrebbe andare perché ci si imbatte sempre in una delusione cocente, in quella terribile sensazione per cui gli uomini al governo della Lombardia (quelli che Salvini e compagnia cantante ci porgono tutti i giorni come alti esempi di ottima amministrazione) riescono sempre a toccare il fondo, poi scavare, poi scavare e poi scavare ancora.

Facciamo un salto indietro: il 17 gennaio la Lombardia è una delle poche regioni che viene indicata come “zona rossa”, ovvero una regione ad alto rischio di contagio dove devono essere prese misure molto stringenti che impattano enormemente sulla vita dei suoi cittadini e delle sue attività economiche. Badate bene: la decisione del governo viene presa sulla base dei dati che Fontana, Letizia Moratti e i tecnici regionali mandano regolarmente al ministero. I dati dalla regione sono stati consegnati il 13 gennaio e infatti non è un caso che se sfogliate i giornali di quei giorni potrete incrociare un Fontana contritissimo che avvisa tutti che si finirà in zona rossa e che bisogna stare attenti. Poi, per il solito gioco della propaganda e del rimpiattino con il governo, accade che Fontana si dica costernato e stupito della decisione del governo. In sostanza si è stupito di quello che egli stesso pensava fino a poche ore prima. E già fin qui la vicenda rasenta una tragica irresponsabilità. Fontana fa ricorso al Tar. Letizia Moratti si lancia a dire: «La Lombardia non merita la zona rossa. Indubbiamente il rischio per la regione è di fermarsi, di fermare il lavoro, le attività e la vita sociale. Per questo con il presidente Fontana abbiamo ritenuto di voler presentare un ricorso, per uscire dalla zona rossa».

Attenzione al capolavoro. Il 20 gennaio la Regione Lombardia invia nuovi dati e sono molto diversi rispetto ai dati precedenti. In sostanza si smentiscono. E si scopre che la Lombardia sulla base dei nuovi numeri avrebbe dovuto essere zona arancione. Il ministero della Salute spiega molto chiaramente che a falsare il calcolo dell’Rt sono stati numeri parziali inviati dalla Regione. In base all’aggiornamento del 20 gennaio, i casi sintomatici che hanno sviluppato dei sintomi – cioè un dato fondamentale per calcolare l’Rt – fra il 15 e  il 30 dicembre non erano più 14.180 come segnalato il 13 gennaio, bensì 4.918, quasi tre volte di meno. In Lombardia, dopo avere fatto la figura di quelli che non sanno nemmeno fare da conto, si scatenano. Fontana dice: «A Roma devono smetterla di calunniare la Lombardia per coprire le proprie mancanze», Moratti rincalza dicendo: «Nessuna rettifica, a seguito di un approfondimento relativo all’algoritmo dell’Iss, abbiamo inviato la rivalorizzazione dei dati». Rivalorizzare un numero significa averlo sbagliato, l’elegante Moratti però lo dice con una perifrasi che vorrebbe nascondere l’errore.

All’Istituto Superiore della Sanità rispondono chiaramente: «L’algoritmo è corretto, da aprile non è mai cambiato ed è uguale per tutte le Regioni che lo hanno utilizzato finora senza alcun problema – scrive l’Iss -. Questo algoritmo e le modalità di calcolo dell’Rt sono state spiegate in dettaglio a tutti i referenti regionali perché lo potessero calcolare e potessero verificare da soli le stime che noi produciamo, ed è perciò accessibile a tutti». In sostanza: siete voi che non sapete fare i calcoli. È anzi l’Iss a sottolineare come l’anomalia sia stata fatta notare più volte a Regione Lombardia.

Salvini chiede le dimissioni dei responsabili. In sostanza sta chiedendo le dimissioni del suo presidente Fontana, quindi. Roba da teatro dell’assurdo. Secondo alcune stime il danno per i circa 10mila negozianti costretti a chiudere domenica 17 gennaio sono stati di circa 485 milioni di euro solo a Milano tra abbigliamento e pubblici esercizi secondo Confcommercio. Immaginate i totali di tutta la regione. E in più ci sono le scuole, le persone. Roba gravissima.

Ecco, se pensavate che l’addio di Gallera fosse una buona notizia non avete fatto i conti con gli avanzi che Gallera ha lasciato: il suo presidente, la sua sostituta e una Regione ormai completamente allo sbando. In sostanza questi hanno ricorso al Tar contro se stessi. E ora fanno i pesci in barile scaricando le colpe sul governo. Ah, a proposito: come ultima dichiarazione ieri Fontana ha detto che «forse non è colpa di nessuno».

Bravi, bene, bis.

Buon lunedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Lombardia, M5s-PD a TPI: “Coprifuoco? Il Covid si diffonde in famiglia perché la Regione non sa dove mettere i positivi”

La Lombardia prepara le nuove restrizioni in accordo con il governo: “coprifuoco” a partire dalle 23 alle 5 del mattino. La misura è stata condivisa all’unanimità dai sindaci di tutti i Comuni capoluogo della Lombardia, dal presidente dell’Anci, Mauro Guerra, dai capigruppo di maggioranza e di opposizione e dal governatore Fontana. Per l’opposizione in Consiglio Regionale però si potrebbe e si dovrebbe fare di più: “La crescita dei contagi – dice a TPI Massimo De Rosa, capogruppo del Movimento 5 Stelle in Lombardia – impone una seria riflessione sulla peculiarità della Lombardia nell’affrontare il virus, anche alla luce delle sollecitazioni del comitato tecnico scientifico locale. Un maggior sforzo oggi tutelerà il tessuto economico e lo sviluppo di domani. Pretendiamo che questa volta la Regione non si faccia cogliere impreparata e abbia il coraggio di prendere decisione chiare e immediate. Decisioni attraverso le quali dare certezze ai cittadini, garantire l’agibilità per le imprese, e ridurre il numero di contagi”.

“Le soluzioni non per forza devono penalizzare la socialità e il commercio. Le istituzioni hanno il dovere di garantire mirate tutele ai commercianti e, più in generale, a chi ha compiuto sforzi, anche economici, per lavorare in sicurezza. Il Movimento Cinque Stelle insiste da tempo sulla necessità di test diagnostici rapidi per l’immediato tracciamento dei casi ed eventuali chiusure mirate. Auspichiamo che il dialogo, che sembra essersi instaurato, con la maggioranza riesca a portare a risultati, attraverso i quali arginare l’andamento esponenziale della curva dei contagi. I cittadini sono pronti a fare la loro parte”.

Critica invece Carmela Rozza, del Partito Democratico, che a TPI sul coprifuoco dice: “È una misura necessaria e spero utile. Ma non basta. La Regione continua a fare finta che non esistano le infezioni familiari e spesso i positivi si ritrovano in isolamento in appartamenti non adeguati. E noi non abbiamo più delle strutture dove poter isolare delle persone che non si possono isolare a casa. La Regione ha mollato il tema all’ATS, che fa gare in cui non si riescono a trovare alberghi adeguati come invece accadeva in primavera, ma ci deve essere la politica e devi convincere il proprietario dell’albergo del fatto che non avrà ricadute. Invece la Regione Lombardia ha affidato tutto alla burocrazia. Ma se tu mandi la gente a casa e la lasci infettare senza isolarla, succederà quello che è successo a Bergamo con la gente che muore dentro casa”.

Anche Carlo Borghetti, consigliere regionale del Partito Democratico, si augura che questa mossa non sia un alibi: “Chiamiamolo lockdown notturno dalle 23, non coprifuoco – dice a TPI – Utile, vista la crescita del contagio in Lombardia, ma non sia un alibi per Fontana e soci. La Regione è colpevole di averci portato fin qui senza aver potenziato davvero la sanità territoriale, strategica per arginare il contagio: sostegno ai medici di famiglia, tracciamento, USCA, alloggi di sorveglianza… Tutto rimasto al palo da 8 mesi. Per non parlare dell’errore drammatico già visto a marzo: stanno mischiando pazienti Covid e non-Covid negli ospedali lombardi. Hanno avuto soldi e autonomia da Roma, ora si diano una mossa”.

Leggi anche: 1. Coprifuoco in Lombardia: cosa cambia adesso / 2. Lombardia, i numeri che hanno deciso il coprifuoco: “600 persone in rianimazione entro fine mese e 4 mila ricoverati” / 3. Covid, l’allarme dell’Ats Milano: “Non riusciamo più a tracciare i contagi e a isolare i positivi”

L’articolo proviene da TPI.it qui

Il colloquio di lavoro

(Ripensavo a un testo per questo primo maggio e per questo lavoro piuttosto deteriorato e mi è venuto in mente un capitolo del mio romanzo Santamamma. Ora, non è mai bello autocitare un romanzo, suona sempre come mossa promozionale, eppure è una scena che contiene molte delle cose che ho vissuto io che sono di quella generazione a cavallo tra il “lavoro” come lo intendevano i nostri genitori e poi il “lavoro” come sarebbe diventato. Eccolo qui)

«Carlo Gatti»

«Sì, buongiorno. Eccomi.»

«Titolo di studio?»

«Maturità classica.»

«E basta?»

«Già, sì.»

«Strano, una maturità classica senza università…»

«Ho preferito cominciare a lavorare.»

«Sì. Ma non ha cominciato a lavorare visto che è qui per il colloquio.»

«Ho fatto il benzinaio.»

«Con la maturità classica. Un po’ pochino, eh. Chissà come saranno stati fieri i suoi genitori.»

«Lavoro estivo. Una cosetta così.»

«Ma qui c’è scritto settembre aprile.»

«Intendevo estivo nell’interpretazione. Anche se d’inverno.»

«Ah, nell’interpretazione, pensa te. Speriamo che non interpreti anche di fare finta di lavorare, ahinoi.»

L’ufficio aveva piante finte in tutti gli angoli. Smorte comunque. Almeno una spolverata, pensavo, almeno quella ci vorrebbe. Lui rigirava una penna. Lo insegnano a tutti gli ingiacchettati: tenere qualcosa tra le mani evita la fatica di pensare dove metterle. Trucchetto curioso per chi dovrebbe ribaltare l’economia del mondo, ma tant’è. I colloqui di lavoro hanno tutti un filo comune: la recitazione da parte dell’esaminato di un bisogno ma non troppo, di un entusiasmo ma non troppo, di competenze ma non troppo, di umiltà ma non troppo, di troppa buona educazione e una combinazione d’abiti che non vedi l’ora di dismettere. L’esaminatore, invece, sfoggia l’abilità di esaminare ma non troppo, annusa che tu sia brillante ma che non possa fare ombra, gioca al caporale e tu la truppa e poi diventa servo se entra il capo. Al decimo colloquio di lavoro potresti farne la regia in un teatro da mille posti, disegnarne la radiografia. Che messinscena.

«Suona. Anche.»

«Suonavo. Ho studiato pianoforte fin da piccolo. E violoncello.»

«La mia figlia più piccola va a danza. Le maestre dicono che sia portata. Vedremo un po’. Quindi ha suonato alla Scala?»

«Alla Scala c’è una stagione sinfonica. Non concerti solisti.»

«Ho capito, ho capito. Suonava così. Per passione…»

«Ho studiato. Frequentavo anche il conservatorio.»

«Ah, è diplomato! Allora un giorno la invito a vedere mia figlia ballare così mi dice.»

«Non mi sono diplomato. Mi sono fermato al nono anno.»

«Gatti, Gatti… non è riuscito a finirne una…»

«Ho avuto un lutto in famiglia.»

«Oh, mi spiace.»

Almeno un limite di potabilità, me lo ero imposto. Almeno non farsi sbavare addosso. E il lutto è un jolly: funziona a scuola per l’interrogazione e funziona anche qui. Del resto sono tutti maestrini, questi qui.

«Le spiego. Lei sa di cosa ci occupiamo?»

«Ho preso alcune informazioni. Consulenza aziendale specializzata in logistica, mobilità e ottimizzazione.»

«Ha sfogliato il depliant. Almeno quello l’ha finito.»

«Mi informo sempre. Amo sapere con chi sto andando a parlare.»

«Va bene Gatti, adesso non esageriamo. Quello è il mio lavoro. Comunque: esistiamo dal 1949 e il fondatore era un piccolo padroncino che si occupava di consegne e spedizioni nella zona fino poi a coprire tutto il territorio nazionale. Quando l’azienda è passata di mano al figlio, il signor Monti che poi è quello che la pagherebbe se io decido che lei può andare bene, abbiamo deciso di internazionalizzare l’impresa e oggi siamo tra i leader in Europa nella consulenza per le più importanti aziende logistiche. Trattiamo bancali e container che partono dall’Islanda e viaggiano fino alla Nuova Zelanda. Spedizioni che fanno il giro del mondo. Mi segue?»

È forte questa cosa degli incravattati che ripetono manfrine sulla storia dell’azienda com’è scritta sui volantini. È la recita di natale che si ripropone nella versione adulta, solo che qui a noi tocca fare i parenti commossi.

«Noi ci occupiamo che la spedizione avvenga con tutti i crismi: velocità, cortesia, qualità e produttività, soprattutto. Produttività. Abbiamo due divisioni: slancio e controllo. La figura che cerchiamo è per il reparto di slancio.»

«Sì. Di slancio. Che sarebbe?»

«Molto semplice. Il cliente x dice che deve spedire il bancale y da Roma a Berlino. Lei ha i numeri telefonici dei camionisti che collaborano con noi e il nostro sistema le fornisce un’indicazione di prezzo che noi chiamiamo cuneo. Il suo lavoro è di trovare velocemente quale dei nostri trasportatori è disposto a fare la tratta al prezzo più basso. Sulla differenza tra il cuneo e il prezzo che lei è riuscito ad ottenere le spetta una provvigione del 2,5% fino a un abbassamento del 25%, una provvigione del 5% fino al 50% e addirittura del 10% se il cuneo supera il cinquanta. Sembra difficile ma è molto semplice: quel viaggio dovrebbe costare 10.000 euro ma lei riesce a venderlo a un camionista a 5000 e con una telefonata si  è guadagnato 500 euro puliti. Mica male, eh?»

«Eh.»

«Già.»

«Ma perché slancio?»

«Il nome? Perché questo nome?»

«Sì. Una curiosità.»

«Mi sembra facile. Iniettiamo soldi nel mondo del lavoro, creiamo economia, spostiamo merci, accontentiamo clienti e lavoratori. Se al camionista non arrivasse quella telefonata avrebbe il camion fermo in giardino per farci giocare il figlioletto con il clacson e la leva del cambio. Il suo lavoro è tenere tutte queste persone in circolo, con tutti i loro talenti.»

Qui sorrise con trentadue canini. Era evidente che aveva trovato una formula diversa dalla consuetudine intirizzente e ne era entusiasta. L’avrebbe raccontata ai colleghi, agli amici del golf e alla mogliettina simulatamente fiera che l’avrebbe ascoltato mentre sceglieva il sushi. Da noi, in quegli anni lì, il sushi era un marziano con il salotto aperto solo agli eletti.

«Ma lei capisce, signor Gatti, che la responsabilità del ruolo e il prestigio dell’azienda ci impone di scegliere persone con i giusti talenti.»

Daje, con i talenti. Mi venne in mente zio Paperone. Con i sacchi di talenti.

«Per questo ho bisogno di sapere tutto di lei e di protocollo le farò anche delle domande personali. Dobbiamo avere la certezza di affidare il nostro slancio a persone che insieme a noi vogliano cambiare il mondo, aperte a sfide nuove e capaci di interagire con il futuro dandogli del tu.»

«Ovvio.»

«Mi dica Gatti, perché è interessato ad entrare nel mondo della logistica e della grande distribuzione?»

«Perché amo la mobilità. Ecco.»

«Cioè?»

«Credo che il commercio sia la più alta realizzazione delle capacità umane e essere partecipe di un’organizzazione che riesce a dare del tu a tutti i continenti sia una bella sfida.»

«Perfetto. Molto bravo. Ha già capito il nostro spirito. Siamo esploratori, noi. Ha intenzione di farsi una famiglia?»

«Certamente. Pur rispettando la mia autonomia.»

«Appunto. Perché qui non si può fermare il mondo per un anniversario, lei mi capisce. Questo non è un lavoro…»

«È una missione.»

«Una missione. Esattamente. Vuole avere figli?»

«Per ora no. Una famiglia mi basterebbe. Vorrei prima concentrarmi sulla realizzazione personale

«È molto maturo per essere un musicista della domenica, Gatti. Anche se ha letto il greco e latino.»

«La ringrazio.»

«Qui c’è gente che si è presentata in braghe di tela come lei e ora si porta a casa dodici, quindici, diciotto milioni al mese. Ma bisogna crederci, essere all’altezza dei propri sogni, come dice il nostro capo tutti gli anni alla cena di natale. Mi dica Gatti, ma lei è all’altezza dei suoi sogni?»

«Oh certo.»

«Perché qui ha il dovere di sognare. Non so se mi capisce. Questo non è un lavoro, come dirle, è l’affiliazione a un sogno. Qui non ci sono orari e domeniche perché i nostri collaboratori hanno bisogno di venire in ufficio, hanno bisogno di ribassare il cuneo e sentono la necessità di dimostrare al mondo che è possibile spostare un bancale di mille chilometri a metà del prezzo che la società ci vorrebbe imporre. È un fuoco che senti dentro».

«Capisco bene.»

«Capisce, va bene, ma lei ce l’ha il fuoco? Me lo faccia vedere! Ce l’ha il fuoco dentro?»

Sai che forse ci credono davvero questi a quello che dicono? Francesco una volta mi disse che sì, che secondo lui succede che a forza di riempire di polpettone il tacchino qualche tacchino si convince di essere polpettone. Lui aveva suo padre che vendeva porte blindate, le porte blindate più blindate tra le porte blindate, e quando a casa di Francesco gli zingari gli sono entrati in casa per rubargli pochi spicci, le mozzarelle e cagargli sul divano anche quella volta lì suo papà disse che dovevano essere una banda di professionisti, rapinatori da musei e ministeri, se erano riusciti a debellare la sua porta blindata.

«Io ce l’ho il fuoco. Me lo sento che brucia.»

«Perché questo è il punto di partenza essenziale. Senza quello io e lei non facciamo neanche questo appuntamento, altrimenti. Perché è lei che vuole venire con noi. Ma come lei ce ne sono migliaia. E bisogna scegliere bene chi ci prendiamo in famiglia.»

«Certamente. La sua è una bella responsabilità, mi immagino.»

«Lo può dire forte, Gatti! Lo può scrivere mille volte sulla lavagna! Ma lei cosa vuole fare da grande?»

«Essere in squadra per una grande impresa

«Molto bene.»

«Grazie.»

«Guardi questo test, guardi qui. Deve mettere una croce. È alla guida di un treno e c’è una biforcazione. Se continua sulla sua direzione troverà sei persone sui binari e inevitabilmente sarò costretto a ucciderli però può azionare lo scambio e decidere di prendere l’altra biforcazione dove sui binari c’è un uomo solo. Da che parte va, lei, Gatti?»

«Non è facile.»

«Non c’è tempo Gatti! Non ha troppo tempo! Non si può spegnere lo slancio!»

«Ne uccido uno solo, forse.»

«Ma è colpa sua, così!»

«Beh, non credo che se uccido gli altri sei mi facciano patrono del paese…»

«Sa qual è la risposta giusta?»

«No.»

«La risposta giusta anche se non c’è il quadretto della risposta giusta?»

«Mi dica.»

«La strada più breve. La più breve è la risposta giusta.»

«Ah, ok.»

«Ha qualche domanda?»

«Niente in particolare. Volevo chiedere, nel caso in cui io possa andare bene, l’inquadramento. Lo stipendio.»

«Le do un consiglio Gatti. Al di là di questo nostro incontro e che poi venga o no a lavorare con noi. Le do un consiglio. Parlare di soldi a un colloquio di lavoro è terribilmente inelegante».

«Sì, questo lo so».

«Però ci è ricascato. Pensi lei se io dovessi essere così rozzo da raccontarle che dispendio di soldi, tempo e energie è per noi fornirle una postazione, occuparci del telefono, le cuffie, il computer, i programmi, il suo armadietto, il badge, la mensa. Pensi quanto mi costa impiegare qualche collega esperto, di quelli che hanno lo slancio dentro, per spiegarle come funziona. Pensi a uno della nostra squadra che piuttosto che iniettare economia deve istruire uno appena arrivato. Gliene ho parlato? Forse mi ha sentito che le faccio pesare il fatto che qui da noi sapere sviolinare il pianoforte conta come il due di picche quando briscola è bastoni? È cambiato il mondo per voi giovani. Io vi invidio. Avete di fronte un futuro aperto a tutte le possibilità: la domanda che dovete fare non è «quanto mi pagate» ma «quanto valgo, io?». Io non le do niente, io non voglio essere come una volta il padrone della sua vita, io sono qui perché lei mi dica quanto guadagnerà. Sono io che glielo chiedo. Quanto guadagnerà Gatti?»

«C’è un rimborso spese?»

«Sono duecentocinquantamila lire di anticipo di provvigioni per i primi sei mesi. Volendo vedere c’è anche un milione di computer sulla sua scrivania, ottocentomila lire di media di bolletta telefonica per ogni collaboratore, la cancelleria e soprattuto questa azienda che vede, che il proprietario ha voluto bella e accogliente più di casa sua.»

«Ho capito. Mi è tutto chiaro.»

«Lei mi piace Gatti. Glielo confesso perché mi piace. Magari mi sbaglio anche se in tutta la carriera non mi sono sbagliato mai ma sento il suo fuoco. Mi prendo il rischio, via: se vuole domani ci vediamo alle 7 e iniziamo. Non lo dica a nessuno che l’ho deciso così su due piedi ma ogni tanto voglio fidarmi del mio istinto. Forse si è perso un po’ con la musica e la scuola ma le posso raccontare di un collega che non sapeva nemmeno parlare in italiano e ora è un caporeparto con la Golf aziendale e uno stipendio da favola. Non le dico il nome solo perché sarebbe inelegante ma lei ha quella luce negli occhi. Se lo prende qui da noi il diploma, si laurea in slancio. Eh?”

«Domani però non posso. Domani.»

«E perché?»

«Ho avuto un lutto.»

«Mi dispiace tanto.»

«Però vi chiamo. Vi chiamo io.»

«Va bene Gatti. Va bene. L’aspettiamo. Come una famiglia!»

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2018/05/01/il-colloquio-di-lavoro/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

I saldi alla carlona

Le agenzie di stampa sono molte. Prendiamone una:

Partono male le vendite promozionali, o pre-saldi decisi dalla Regione Lombardia. Nella prima giornata di sconti il Codacons ha registrato, nella città diMilano un calo medio delle vendite del 70% rispetto alla prima giornata di saldi estivi dello scorso anno ed un afflusso di cittadini nei negozi inferiore del 75%. Il dato fortemente negativo è influenzato dal fatto che la maggioranza dei negozianti non ha aderito all’iniziativa, o perché non ha voluto o perché i tempi stretti dell’approvazione della legge non hanno consentito loro di prepararsi in tempo. Poche le vetrine con offerte di sconti.

Anche la maggioranza dei consumatori non è stata adeguatamente informata della partenza delle vendite promozionali. Insomma, conclude il Codacons, l’iniziativa si presenta come un autentico flop. I commercianti, infatti, avevano l’opportunità di guadagnare, ma non l’hanno sfruttata. Al di la del fallimento della prima giornata, restano valide le previsioni dell’associazione sull’andamento complessivo dei saldi. Rispetto a quelli estivi dello scorso anno il Codacons prevede, per la città di Milano un calo delle vendite del 10%, con una spesa a famiglia che non supererà i 200 euro, contro i 220 dello scorso anno. Infine, solo il 40% dei milanesi si avvarrà degli sconti di fine stagione.

Presentare una mozione per la liberalizzazione dei saldi (con maggioranza e un pezzo di minoranza insieme) nella stessa seduta della mozione di sfiducia a Formigoni era già un atto poco illuminato. Votarla (tutti, escluso noi, tanto per chiarire) senza riflettere sul commercio di vicinato e sui pareri dei commercianti è stato incauto. Se le ricette contro la crisi sono la liberalizzazione dei saldi alla carlona forse dobbiamo interrogarci. Ma sul serio. E magari partendo dal lavoro.

Una favola equa e solidale: Tetiteatro e un chicco di caffè

In una settimana non facile una favola per smaltire la domenica con dolcezza. E’ di qualche anno fa. Scritta per alcune associazioni di commercio equosolidale aveva in scena un chicco di caffè sul palcoscenico di un teatro di pochi centimetri. E questo audio in sottofondo.

TETITEATRO E UN CHICCO DI CAFFE’

Diario di Iuta. 31 Dicembre.

 

Piove.

Piove e fa un freddo cane,

e per il freddo ci si incolla tutti e tra noi e al sacco che sembra che il cuore sia stato inscatolato in una confezione di pochicentimetritroppostretta.

Fa un freddo cane mamma qui sul camion, e l’umidità mi fa perdere il colore e l’allegria.

Ma rido.

Porcapannocchia come rido.

Perchè aveva ragione il nonno che fuori dal campo il mondo è sbilenco, e aveva ragione a dire che staccarsi dalla pianta è poi come entrare in un gran casinò perchè di tipi strani è pieno il mondo.

Il trattamento è ottimo, ci si è fatti tutti un po’ di viaggi in giro per il mondo, non si capisce perchè qui quasi ogni giorno il tour operator ci cambia guida e tutte che si urlano in faccia quandi ci lasciano dalla vecchia alla nuova.

Ma qui mamma gli uomini mi dicono che sono fatti così.

Parlano sempre più veloci di quanto pensino e stanno zitti solo a mangiare, bere o quando si inebetisticono.

Ma non preoccuparti il viaggio è proprio come c’era scritto sul depliant e io mi sto divertendo e poi almeno a noi non provano sul camion a venderci le pentole.

E poi ho conosciuto tanti chicchi ed è come essere una grande famiglia : spazio troppo stretto, piena condivisione delle buche sulla strada, delle nevrosi e degli odori.

Proprio come una grande famiglia.

E poi il camion su cui viaggiamo deve essere proprio un’invenzione genialiode di uno di questi uomini ; perchè anchese da fuori sembrauna casseruola da cotechino con le ruote arrugginita da una marea secolare…

beh….

ti devo dire che davvero l’apparenza inganna,

perchè anche se non ne hai la sensazione

(e qui nella iuta di sensazioni haiquelle dei piedi tuoi sulla testa di qualcun’altro e della polvere che si attacca all’umore e sulle pareti interne delle vene),

beh a parte l’aspetto

(ma deve essere un trucco perchè questi uomini truccanomicamale, che proprio ieri quello che ci ha preso ha convinto chiciha dato che eravamo bassoprodottodalavorazionisecondarie e poi ci ha dato ad un altro dicendogli di aromisaporigustodiprima, e io ti giuro che ho controllato (io personalmente con i piedi al buio di spago della iuta) eravamo sempre solo noi sempre gli stessi chicchi di caffè….

urlandosi a dueedue in faccia,

Come sempre che deve essere la loro buoneducazione.

E ti dicevo che beh, sto camion da zampone viaggia così veloce che va più veloce della clessidra delle stagioni.

In questi giorni ho visto ESTATEAUTUNNOINVERNOPRIMAVERAEPOIANCORAESTATE tutto di seguito di fila, come fossero una collana.

E’ geniale sta casseruola rotante…..

Anche perchè qui volano tutti via di testa per qusta cosa della velocità…

ed è sempre tutto con l’affanno di fare prima,

e si scontrano, si intercanoschiantano e sudano, sbaglianoritornano  s’intristiscono e si schiantano : ma sono felici lo stesso perchè l’hanno fatto veloce.

l’hanno fatto prima.

di cosa e chi non si capisce.non lo sanno neanche loro e non è importante.

Ma basta poco agli uomini per essere felici.

Di fianco a me c’è  uno che ne conosce di gente che ha fatto di questi viaggi : è parente della Rubiaccia quellla che sta sulla pianta dell’angolo sinistro, e che tu mi dici sempre che sono gente da giramondo.

Lui dice che dei suoi cugini gli hanno raccontato che  tra poco ci si mette tutti a prendere il sole proprio come dei gran pascià….e si entra in una specie di ottovolante.

E poi si riparte via…. belli abbronzati.

L’unica pecca è che mi sa che ci verrà una sete assassina, ma non si può mica pretendere tutto dalla vita………..

Non si seguono mica le stagioni come da noi qui fuori…

Immagina il mondo come  un prato steso su una palla da biliardo pieno di girasoli in tilt e con le gambe, come se gli proiettassero sulla cartadaforno del cielo soli all’impazzata, e d’inverno impermeabilizzano le bucce, d’estate  costeggiano le acque tutti in file da vitigni, d’autunno aprono  fiori finti incatramati, ma non le sentono mica per nient’altro le stagioni, mica come noi……e perchè porcapannocchia loro devono arrivarci prima delle stagioni (per quel loro strano virus…).

E così devono aver costruito cunicoli con magazzini glaciali, e d’estate mangiano pere e d’inverno le pesche .

E sono felici…..

Contenti loro, mamma….

Quacluno nel sacco dice che faremo una brutta fine, i più pessimisti raccontano di fratelli finti nelle moke smacchiatenonpefettamente dei bar di paese con la puzza di ms apiccicata ai muri, un arabico dell’altro sacco ha raccontato che i più sfortunati è capitato di finire invece nelle rosticcerie lussuose con i sorrisi di bigiotteria in centro e che vengono venduti a signore con capelli come impalcature e cotonati come campi di subbuteo.

Ma io mamma continuo a credere che questi siano accompagnatori di parola.

Anche perchè tra noi e loro ce l’hanno solo loro……la parola…porcapannocchia.

Pensa che addirittura un pazzo, un chicco che deve aver preso troppa ombra scrive lettere di carta di riso ad un compagno che racconta di essere diventato macchia e che abita sulla camicetta di una vecchina di gesso in inghilterra : e racconta dei campi verdi, di un clima ottimo, tranne qualche saponetta all’anice e smacchiatore al latte dimandorla e oliodifagiolo.

Porcapannocchia come rido….mamma.

E poi le mani, tu mi hai sempre detto di annusare come ti si mette la vita dalle mani : quando ci hanno staccato dal campo, già ti avevo scritto che quelle mani, sembrava di essere imbevuti in un abbraccio di cartavetrata, e poi le manciate, che arrivano sempre all’improvviso, quando nessuno nella iuta se lo aspetta, mentre tra noi si improvvisa almeno un tresette o un reteforbicesasso quelle mani, sono sempre più sudaticce, e grassoccie, perchè ho scoperto, che qui che è tutto prima, non si è mica tutti nello stesso campo, qualcuno ce l’ha nuovo appena scartato e agghindato come fosse un asciugamano da spiaggia trilocale più balcone, e alcuni altri ci nascono senza campo, e devono andarsi a ritirare, o strappare come ladri gli avanzi dei campi degli altri, ed è per quello che che diceva il nonno, tutto sembra fatto e cucito male, come un arlecchino che ha stracci morti e stracci di platino.

Come sono sbilenchi qui fuori mamma,e io perdo il colore e rido, e i ricchi sono sempre più maturi, sudaticci e urlano sempre più forti, non hanno il senso della misura, e chi ha fame non ha nemmeno da bere, nè il sole e nè un pizzico di allegria : anche i poveri qui fuori non hanno il senso della misura.

E porca pannocchia come rido.

Ma preparatevi, perchè quando torno lì da noi non sarà più niente come prima, perchè ho imparato cose, a girare questo mondo sguincio, e niente nel nostro campo sarà più come prima : ho imparato come attaccarsi di sforo al gambo e le radici dei vicini senza dover più pagare la bolletta all’acqua, ho imparato come sedersi all’ombra degli altri quando il sole gli brucia anche i sentimenti, e ho imparato ìa montare impalcature di sforo in gran velocità per andarcelo a prendere il sole, intrecciando gli altri come cestini di vimini, in quelle notti in cui l’umidità e la notte ti bollono a freddo il cuore, e ho imparato che nel campo piuttosto che tutti meglio pochi e grassocci : e l’importante è capirlo prima, e appena torno ci arriveremo prima.

E vedrai come staremo bene allora, e come sarà dal volare via dal ridere urlarci in faccia.

Domani è l’anno prossimo, e qui sono tutti a preparare tavoli apparecchiati con  piatti che hanno dentro cibi che di notte sembrano fluorescenti che nemmeno nei film di superman e apparecchiati così unti e lunghi di vino, cioccolato e tristezza che ho già l’acquolina in bocca….

E il mondo si è fermato con il dito sul tappo di spumante che puzza di porti arrugginiti, perchè chi arriva veloce e prima a capodanno è un po’ prima tutto l’anno, e loro sai sono felici con poco.

Pensa che i più furbi sono già sei sette mesi che sono lì in posizione di sparo capodannifero bollicinoso, e mi raccontano che villaggi interi stanno lì immobili, e le macchine in mezzo immobili alla strada, e le donne ferme con mezzo lenzuolo e una molletta, e bambini così, con il pallone sul piede che sarà sicuramente per il prossimo anno sicuramentegoal, il primo dell’anno, e i musicisti con il la maggiore già pronto : per sei sette mesi, così si arriva prima all’anno nuovo e la tristezza di quest’ultimo cade in prescrizione ed è come non averlo mai vissuto…

E porcapannocchia che ridere mamma….

E intanto continuamo a camionare…

e mentre ti scrivo

ci sono buche qui sotto,

che di rimbalzo ti ritrovi sotto la lingua il cuore.

E qui dentro al sacco,

c’è un odore che sembra di essere nei bagni pubblici

di caffè.

Se per caso domani che è l’anno prossimo dovessi arrivare dopo,

mamma,

raccomanda agli altri di gustarsi il più possibile il sole,

che qui fuori puzza di ammorbidente e plastica bruciata,

di guardarsi bene in faccia,

perchè qui c’è tanto di quel fuomo o nebbia che in pochi giorni si ciolgono

e diventano facce da carri di carnevale

e la voce un lamento elettronico.

Divertirsi con gli spaghi che vi accarezzano la sera,

perchè quelli di qui perdono ferro marcio e hanno il morso in bocca,

e raccomanda di ascoltare e ascoltarsi,

qui la voce la zittiscono i tonfi

di sacchi che

dentro alla fine ci diventiamo tutti sassi,

raccomandati di mettersi in tasca prima di partire

una bottiglietta della vostra aria,

qui quella che c’è esce dai tombini e puzza di

monete di resto al mercato nero.

Ma non preoccuparti mamma,

se fuori è così,

io non voglio essere moderno

potendo scegliere preferirei essere eterno.

E chiedi scusa alle pannocchie.