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compleanno

Il mago da compleanno

A proposito degli emendamenti presentati da Italia Viva per cambiare il Ddl Zan, non c’è una ragione con un senso che sia uno tra le giustificazioni di queste ore. Proprio come quei brutti trucchi alle feste…

C’è questa storia orientale che racconta di un governatore che decide di ridurre le corsie di un’autostrada da tre a due, dice ai suoi cittadini che per una questione economica bisogna effettuare un taglio del 33% e stringere i denti. Qualche tempo dopo ripristina la terza corsia e indice una grande festa. Quando qualcuno gli fa notare che le celebrazioni apparivano eccessive visto che era semplicemente stata ripristinata la situazione precedente lui disse: “Abbiamo prima dovuto effettuare un taglio del 33% ma poi abbiamo aumentato le corsie da due a tre con un incremento del 50%, quindi il saldo finale è positivo del 17%”.

Bluffare sui numeri come certi maghi tristi alle feste di compleanno è il trucco di chi vorrebbe stupire per nascondere la nefandezza del proprio agire e Matteo Renzi con i suoi di Italia Vile in queste ore sta dando il peggio di sé per provare a dare un senso alla sua mossa sul Ddl Zan come se non fosse una banale (e ributtante) strategia per fare il Renzi, è la sua natura, interferendo per esistere, togliendosi la soddisfazione di rompere perché incapace di costruire.

Allora conviene fare un po’ di chiarezza: Italia Vile ha presentato degli emendamenti al Ddl Zan che propongono di modificare l’articolo 1 (quello che contiene la definizione “identità di genere” e che è stato scritto, prima che approvato, alla Camera da un emendamento della deputata di IV Lucia Annibali) e di abolire l’articolo 4 (quello che tutela la libertà di opinione) che era stato proposto dal centrodestra e votato all’unanimità. Basterebbe già questo per dipingere il quadro della situazione. Vale la pena segnalare a proposito della proposta di togliere “identità di genere” dalla Legge Zan, che si tratta della stessa definizione usata da 16 capi di Stato europei, in occasione del giorno del 28 giugno, giornata internazionale del Gay Pride in un documento unitario a difesa dei diritti della persona LGBTI. A partire da Draghi.

Per rendersi conto dell’incoerenza si possono leggere le parole di Ivan Scalfarotto nella sua intervista del 26 giugno scorso a La Stampa:

Lei si sentirebbe garantito se al posto della definizione “identità di genere” si inserisse quella di sesso come chiedono alcuni?

«No perché il termine sesso non copre la transessualità: faremmo una legge che tutela le persone omosessuali ma non i transessuali, sarebbe quasi un invito alla discriminazione. E nella lettera dei 16 leader UE sul caso #Ungheria si leggono le parole “identità di genere” di uso comune nella letteratura scientifica».

Trova infondata la richiesta di chiarire che le scuole sono esonerate dall’aderire alla giornata del 17 maggio contro l’omofobia?

«La giornata è stata istituita nel 2004 e addirittura si è celebrata al Quirinale. È stata creata dall’Unione europea e ricorda l’eliminazione dell’omosessualità dalle malattie mentali. Nella legge di Zan si parla di aderire all’iniziativa nel rispetto dell’autonomia scolastica, quindi senza obblighi. E dato che il bullismo omofobico esiste nelle scuole, il fatto di veicolare un messaggio di rispetto e inclusione nei confronti di ragazzi gay non dovrebbe fare paura a nessuno. Se la scuola si mette accanto a loro fa il suo mestiere».

Ed è possibile limare i dubbi sulla libertà di espressione?

«Questa è l’obiezione più incomprensibile di tutte. Prima di tutto la libertà di opinione è protetta dall’articolo 21 della Costituzione. Poi, nel ddl Zan si chiarisce che sono perseguibili solo le espressioni idonee a provocare un concreto pericolo di atti discriminatori o violenti. Atti che non sono opinioni, ma reati, condotte che possono creare concretamente violenza. Dire invece che la famiglia naturale è quella tra uomo e donna, non comporta concretamente nessuna discriminazione o violenza».

Un ulteriore punto: dice Matteo Renzi che hanno proposto quelle modifiche perché non ci sarebbero i voti al Senato ma mente sapendo di mentire, visto che i voti che mancano sono proprio i suoi, della truppa di Italia Vile.

E ancora: ieri Renzi ha detto che loro voterebbero la legge “così com’è” ma allora sfugge il senso di presentare quegli emendamenti. Quindi che fa? Li ritira?

Insomma, non c’è una ragione con un senso che sia uno tra le giustificazioni di queste ore. Proprio come quei brutti trucchi dei maghi da compleanno.

Buon martedì.

Per approfondire, vedi

Left del 2-8 luglio 2021

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SOMMARIO

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Liliana Segre è una farfalla appoggiata sul filo spinato

(Ho avuto l’onore di scrivere la prefazione di un libro di Liliana Segre, “Scegliete sempre la vita – La mia storia raccontata ai ragazzi”, Edizioni Casagrande, e oggi ho pensato che forse fosse il caso di appoggiarne l’inizio qui, perché Liliana Segre è una persona che dobbiamo coltivare con cura, perché ieri ha festeggiato il suo compleanno sotto scorta e perché la memoria è un muscolo che va allenato con cura)

Liliana Segre è una farfalla appoggiata sul filo spinato e per questo è preziosa, è un fiore da preservare con cura e dovrebbe essere un gioiello non solo per i contenuti ma anche per i modi, per la visione d’insieme e per l’insegnamento di “cura del nostro tempo” che da anni impartisce in mezzo ai ragazzi. È anche un personaggio pubblico profondamente normale che ci costringe a riflettere sul ruolo dei testimoni in un tempo in cui tutto si fa spettacolo, tutto diventa tifo organizzato e tutto viene smisuratamente impugnato come clava per diventare arma bianca contro l’avversario politico di turno. Leggendo queste sue parole ai ragazzi, parole talmente lucide e misurate da sembrare un testo scritto recitato a memoria e non il contrario, ci si accorge di un’ecologia lessicale oltre che intellettuale a cui siamo completamente disabituati e che è il modus da cui ripartire per fronteggiare lo sbiadimento di un periodo storico che non ha a che vedere solo con il passato ma è l’antidoto a un presente che si ripresenta con altre facce, con un’alta capacità di simulazione e con punte ammorbidite degli stessi becchi che hanno portato una bambina, che era Liliana ma erano milioni di persone allo stesso modo, ad essere colpevole di essere nata.

Ciò che colpisce, innanzitutto, di Liliana Segre è la delicatezza che non si è fatta inquinare da ciò che ha vissuto: è la sua lezione più grande, quella che sarebbe da smontare per osservarne i meccanismi e i bulloni e capire come sia possibile rimanere ferocemente umani in questo tempo in cui riflettere sulla sentimentalità della vita (ovvero di come la vita sia spesso una questione di pressioni che la Storia sembra volere mettere nel cassetto delle cose passate e concluse) viene considerato un segno di debolezza. Liliana Segre è la prova vivente che ci sono purezze di sguardo e saldezza di valori (che ultimamente vengono chiamati in senso dispregiativo “buonismo”) che riescono ancora a essere le fondamenta su cui costruire uno sguardo diverso del presente e del futuro. Lei bambina, lei separata dal padre, la sua speranza di fuga che si infrange contro i calcoli sbagliati di chi sperava di salvarsi sono la metafora di un mondo in cui il “diritto a salvarsi” sembra ormai essere solo una concessione da dare a determinate categorie umane come se non esistesse un’unica razza umana.

Buon venerdì.

*-*

Per approfondire:

Liliana Segre, il futuro della memoria, Left dell’11 settembre 2020

La forza di Liliana Segre, Left del 15 novembre 2019

Liliana for President, Left del 7 giugno 2019

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Auguri, Liliana Segre. Come sempre, saprai perdonare chi ti obbliga a festeggiare i 90 anni sotto scorta

La memoria è un bene e raro prezioso, sarà per questo che in Italia si tende a risparmiarla. E che oggi Liliana Segre compia novant’anni e li debba celebrare sotto scorta, lei che è uscita viva dall’orrore di Auschwitz e che ha perduto gli affetti nella furia nazista, è la fotografia più urgente di quello che siamo. Allora buon compleanno, carissima Liliana Segre, ed è un buon giorno anche per noi che abbiamo tanto bisogno di una memoria che sia viva, reale, tattile, che abbia voce, che esista, che si permetta di essere argine ogni giorno contro un revisionismo che si infila in tutti i pori della politica, della comunicazione, della società.

Buon compleanno e grazie. Grazie di essere la prova che una testimonianza sopravvissuta al periodo più buio del nostro ultimo tempo passa essere decisa e misurata, grazie delle parole che ancora vengono usate bene quando sono dense di significato, quando le parole servono ancora a rimettere le cose al loro posto, grazie della sua presenza in un Paese che ha un disperato bisogno, tutti i giorni, di ricordarsi di ricordare.

E poi ci sarebbe il regalo da fare, come ogni buon compleanno che si rispetti, a Liliana Segre: c’è quella Commissione straordinaria contro odio, razzismo e antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza, da lei proposta e approvata in Senato il 30 ottobre 2019 che giace lì in attesa di entrare in funzione e che si propone di “osservare, vigilare, studiare e proporre iniziative atte a contrastare eventi e manifestazioni di razzismo, antisemitismo, intolleranza, istigazione all’odio e alla violenza nei confronti di persone o gruppi sociali sulla base dell’etnia, la religione, la provenienza, l’orientamento sessuale, l’identità di genere o di altre particolari condizioni fisiche o psichiche”. Il regalo migliore che potremmo farle, e che potremmo farci, è quello di rendere funzionale una commissione di cui c’è assolutamente bisogno in questo momento e che renderebbe questo Paese un posto sicuramente migliore.

E grazie Liliana Segre per tutte le volte che non si è sottratta dal parteggiare di fronte ai brutti casi che si sono succeduti in questi mesi. Anche sulla morte di Willy le parole migliori le ha pronunciate lei: “La morte di Willy mi ha fatto molta paura. È stata come una sconfitta personale, mi ha fatto pensare che tutto ciò che ho provato a fare contro la violenza e l’odio, alla fine è servito a poco. Se ancora ci sono in giro persone che pensano di risolvere le proprie sconfitte personali picchiando il prossimo, siamo ancora in una società lontana dalla civiltà”. Auguri, a lei e a noi.

Leggi anche: 1. Il commovente discorso di Liliana Segre agli studenti de La Sapienza: “Sarò sempre la ragazzina espulsa da scuola perché ebrea” / 2. “Io che ho vissuto Auschwitz sulla mia pelle, vi avverto: attenti a questa campagna d’odio”, intervista a Liliana Segre

L’articolo proviene da TPI.it qui

Io non mi ammorbidisco per il compleanno di Berlusconi

È il compleanno di Silvio Berlusconi. Sono 80. E per lassismo di memoria qui da noi, chissà perché, superata una tal soglia d’età cominciamo a smettere di ricordare. Attenzione: non a perdonare, che di per sé sarebbe azione altissima, qui si tratta piuttosto di lasciar seccare il ricordo in una poltiglia inoffensiva e spenta. È successo per Andreotti (vi ricordate? “lasciatelo in pace che ormai è vecchio” ci dicevano, come se fosse etico lasciare invecchiare le pagine buie di un Paese), sta succedendo per Dell’Utri (non ne parla più nessuno, le responsabilità politiche si sono misteriosamente sciolte e la stessa richiesta di grazia altro non è che il tentativo di legittimare un intero periodo storico) e, vedrete, accadrà per Berlusconi.

Buon compleanno Silvio ed è tutto un pullulare di articolesse che ci dicono che sì, certo, ha combinato i suoi guai, ma adesso che ha ottant’anni e che ci si presenta vecchio e stanco forse sarebbe il caso di soprassedere. Soprassedere è il metodo più in voga per non dover spiegare, per permettere di non raccontare. Soprassedere è il verbo migliore per disegnare un tempo in cui i nodi si scavalcano senza farsene carico.

Allora forse, al di là degli auguri di rito, sarebbe il caso di segnarsi su un foglietto l’impatto di Silvio Berlusconi sulla tenuta democratica di questo Paese, a futura memoria, come un pizzino (legalissimo) da lasciare ai figli e ai nipoti.

Berlusconi è l’uomo politico, dopo Andreotti e più di Andreotti, che ha legalizzato la mafia. Si è seduto con i boss mafiosi per studiare strategie imprenditoriali (se a sua insaputa comunque con la piena coscienza del suo braccio destro Marcello Dell’Utri, condannato anche per questo), ha costruito una propaganda elettorale eccezionalmente convergente con gli interessi di Cosa Nostra, ha ospitato un noto mafioso all’interno della sua dimora (Vittorio Mangano, teniamocelo a mente, segnatevelo, prima che scenda la nebbia) e ha costruito un movimento politico che è stato sponda di un altissimo numero di politici legati alla criminalità organizzata. Ma non solo, Berlusconi ha sdoganato culturalmente la mafia e questa forse è una colpa ancora più grave: con la sua simpatia di plastica e paratelevisiva ci ha convinto che Cosa Nostra fosse un’accolita di inoffensivi contadini a cui non prestare troppa attenzione, ha deriso chi ha speso una vita nella lotta al crimine organizzato, ha innalzato l’omertà a inestimabile virtù e definito eroico un boss mafioso. Silvio Berlusconi è stato il più potente spot di Cosa Nostra.

Silvio Berlusconi ha sdoganato la cinica spericolatezza e l’individualismo. Se oggi la tenuta etica del Paese si è ammorbidita a tal punto da esser pronta a piccole illegalità personali pur di ottenere comunque dei benefici pubblici è perché Silvio e la sua banda sono riusciti ad inculcare l’idea che “per arrivare in alto bisogna sporcarsi le mani”. Così fa niente se ci scappa un’evasione fiscale, qualche atto di corruzione o un paio di leggi ad personam: invocando una presunta invidia degli avversari il berlusconismo ha legalizzato la competitività che esce dalle regole. Il mito (scadente e patetico) dell’imprenditore (e del governante) che ha bisogno di forzare le regole per “fare del bene al Paese” è la realizzazione piena del berlusconismo. Mica per niente anche la parola “libertà” oggi è diventata sinonimo di “liberi dai lacci della solidarietà”.

Silvio Berlusconi ha impiantato in Parlamento il presidenzialismo culturale. Senza bisogno di leggi o di riforme (o forse senza la sfacciataggine che invece hanno questi nel proporle) Berlusconi ha trasformato il Parlamento in un votificio a disposizione del premier svuotandolo definitivamente di ogni autonomia decisionale. Berlusconi ha negato la Carta Costituzionale più di qualsiasi referendum e se n’è andato con un lascito pesantissimo: ora ci dicono che i suoi modi incostituzionali Berlusconi li usasse per se stesso mentre oggi servono per il bene del Paese. Ma quei modi restano.

Silvio Berlusconi ha nobilitato l’ignoranza. Ha chirurgicamente sviluppato il pensiero comune che chi ha troppo studiato e troppo si impegna intellettualmente sia un fannullone, un depravato intellettuale, un inoperoso, un ostacolo alla turboproduttività. Grazie anche a una televisione usata come arma di ignorantizzazione di massa Berlusconi ha reso démodé il pensiero autonomo, la critica e il dibattito preferendo il machismo, il tifo sguaiato, il bullismo ormonale e la comodità del pensiero unico. La linea editoriale di Berlusconi (in tutti i campi in cui si è ritrovato ad operare) è l’ebetismo comodo e funzionale. Funzionale ai cazzi suoi, principalmente.

Silvio Berlusconi ha svilito la politica. In cento modi, in mille sensi: dai senatori comprati, al gossip come arma, alla derisione pubblica dell’avversario (anche questa tutt’ora molto in voga pur senza di lui) fino alla demolizione dell’autorità dello Stato. L’antipolitica attuale, badate bene, è figlia di una lunga opera di banalizzazione che ha eroso le istituzioni. La magistratura? Una casta corrotta. Il Presidente della Repubblica? Un pupazzo in mano ai comunisti. La Corte Costituzionale? Un bivacco di vecchi invidiosi. L’opposizione? Coglioni. Gli elettori? Coglioni. I dissidenti? Venduti e traditori. Il Senato? Un’inutile rottura di palle. Le leggi? Liberticide. La Costituzione? Anacronistica. L’Anpi? Una banda di nostalgici. L’Antimafia? Un covo di comunisti. E così via. Ah, se trovate pericolose assonanze con il presente fate due conti.

(continua su Fanpage qui)

Il sogno realizzato: dieci anni di Bottega con il teatro nel cuore

Un compleanno importante e una festa semplice per abbracciare chi c’era, chi c’è oggi e chi sarà per i prossimi dieci anni. Fine settimana a cavallo tra la magia del teatro e la reale gratitudine, a Tavazzano, per il decennale della Bottega dei Mestieri teatrali. «Una festa popolare – ha annunciato il direttore artistico Giulio Cavalli, anche autore, scrittore e consigliere regionale della Lombardia – non per celebrare quelli che per noi sono dieci anni di amicizia e di lavoro. Solo per stare insieme e raccontarvi una storia». Quella iniziata a Lodi dieci anni fa prima dalla compagnia Teste di Legno, poi cresciuta sullo sfondo dell’amicizia tra lo stesso Cavalli e Marco Mozzato, anche primo regista della compagnia con lo spettacolo Parole d’acqua dolce, debutto del 2001 nella cornice della Piarda Ferrari. E in cui sono passati, negli anni, «più di cento persone che a vario titolo hanno lavorato con noi – ha ricordato ancora Cavalli accompagnato sul palco da Paola Vicari, amministratore di compagnia e Stefano Maj, memoria storica che con la Bottega ha fatto tutto, dall’attore, al dogsitter, per poi diventarne il responsabile tecnico (nella foto in basso, ndr) – : un percorso nato da un sogno che ci hanno più volte detto che era impossibile da realizzare. E non per tarparci le ali, ma solo perché fondare una compagnia professionale di teatro a Lodi sembra davvero impraticabile». Invece,i fondatori della Bottega ci avevano visto lungo. E da una sala prova in via Gorini sono arrivati a calcare il palco del Piccolo Teatro di Milano e a girare l’Italia in lungo e in largo con i loro spettacoli, che dalla commedia dell’arte sono arrivati all’impegno civile sempre portato in scena con l’animo dei giullari. E proprio quella commedia dell’arte degli esordi (portata in oltre 40 Comuni del Lodigiano con il Carro Poetico) è tornata sul palco del Nebiolo di Tavazzano (residenza teatrale della Bottega dal 2007) in una versione sospesa tra la poesia e il re-incontro dei compagni di viaggio e in cui hanno recitato lo stesso Cavalli in un Arlecchino di altri tempi, Marco Mozzato (Zanni), Stefano Maj nel suo ruolo di disturbatore atipico dal nome curioso (Scoreza), Cinzia Bregonzi (la Colombina di quella tournèe), Francesco Lanza (coautore di Do ut des) e Luciano Pagetti, «che siamo onorati di avere sempre al nostro fianco». Tra un brindisi e l’altro, sabato pomeriggio, la “scuola” per giullari di Progetto Nur (compagnia di Castellone nel circuito Alice nella città) che con Nicola Cazzalini, Umberto Bellodi, Alessandro Caproni e Sara Passerini ha portato a Tavazzano giocoleria e arte del sorriso. Ieri spazio ancora all’animazione di strada con la Ditta Gioco Fiaba che nel parco Collodi di via I Maggio ha portato il suo Il bibliotecario e il mostro dei libri che ha trascinato i bambini di Tavazzano in una festa a confini tra realtà e fantasia, chiusa con una lauta merenda. Dalle 18 in poi, invece, è stata la suggestione delle note della Contrabbanda a far risuonare il cielo sopra il Nebiolo. Dove, neanche a dirlo, c’era un altro ex “bottegaio”: il fisarmonicista Guido Baldoni, che accompagnò Cavalli nella prima tournèe di Kabum, come un paio di impossibilità, che poi lasciò il posto all’ottimo Davide Savarè. Tre giorni di festa che, per Cavalli, sono anche un modo di «prenderci la briga di ringraziare chi nel tempo abbiamo perso per strada», «chiedere scusa per le lunghe assenze dell’ultimo anno» e rilanciare «un nuovo patto per stare insieme, qui, in questo teatro in cui abbiamo iniziato a fare qualcosa di importante».

Rossella Mungiello

DA IL CITTADINO