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contrario

Una storia al contrario dell’Italia che accoglie

(da Il Post)

Ripabottoni è un paese di poco più di 500 abitanti in provincia di Campobasso, in Molise, di cui negli ultimi giorni si è scritto sui giornali nazionali per via di una protesta degli abitanti a favore di un gruppo di richiedenti asilo. La ragione della protesta era la chiusura del centro di accoglienza straordinaria (CAS) Xenia, decisa dalla prefettura, che ospitava 32 persone. Centocinquanta abitanti di Ripabottoni – un numero considerevole tenendo conto della popolazione totale – hanno firmato una petizione contro la chiusura del CAS e molti hanno partecipato a un corteo di protesta perché fra gli abitanti e gli ospiti del centro «si sono create amicizie, intrecciate storie», come ha scritto il giornale locale Primo Numero.

La petizione comunque non è arrivata alla prefetta di Campobasso Maria Guia Federico perché i rappresentanti della protesta non sono stati ricevuti in prefettura. Lo Xenia è stato chiuso l’11 gennaio. I 32 richiedenti asilo sono stati smistati in altri paesi: Roccavivara, Petacciato, Montecilfone e Portocannone.

La decisione di chiudere il CAS è stata presa per motivi non ancora chiariti (tutti i CAS sono comunque destinati a rimanere aperti per un periodo di tempo limitato). I giornali locali ipotizzano che la prefetta abbia preso la decisione dietro le pressioni del sindaco Orazio Civetta, eletto nel 2013 con una lista civica. Tra le altre cose, la chiusura del centro ha fatto perdere il lavoro a 15 persone che ci lavoravano.

Ripabottoni, colpito dal terremoto del Molise del 2002, è uno di quei paesi isolati a elevato rischio di spopolamento, con sempre meno giovani: per questo la presenza dei richiedenti asilo era considerata una cosa positiva da molti abitanti. Il sito di notizie locali Primonumero scrive che questa storia ha a che fare con «il futuro dei paesini molisani dove la presenza di migranti – uomini e donne, e bambini che nascono qua – è in grado di ravvivare la comunità, abbassare l’età media, rimpolpare le squadre di calcio a corto di atleti, dare vita a un coro della chiesa che altrimenti non ci sarebbe».

Il messaggio pubblicato su Facebook da uno degli ospiti del centro Xenia

Anche il parroco del paese, Gabriele Tamilia, ha protestato contro la chiusura del centro, e ha stampato un volantino in cui spiega: «I nostri concittadini hanno iniziato a interagire con questi ragazzi stabilendo ottimi rapporti con loro. Le nostre due comunità cristiane, cattolica e protestante, li hanno inseriti nelle rispettive attività. Tante persone si sono attivate in diverse forme di aiuto».

Metti che un giorno l’Italia sia guerrafondaia e filonucleare: giocare d’anticipo, stavolta

Lo scorso ottobre durante una riunione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che trattava di disarmo e questioni di sicurezza internazionale, 123 nazioni hanno votato a favore della Risoluzione L.41,  mentre 38 (compresa l’Italia) hanno votato contro e ci sono stati 16 Paesi astenuti. La risoluzione votata (la trovate qui) si proponeva di fissare una conferenza programmatica di tutti gli Stati membri per individuare uno “strumento giuridicamente vincolante per vietare le armi nucleari, che porti verso la loro eliminazione totale”.

Il voto contrario dell’Italia (a braccetto con gli USA) scatenò nei mesi scorsi un folto coro di polemiche indignate. Brevi e postume, come al solito. Ovviamente. Fu piuttosto triste assistere anche al malcelato silenzio (o al massimo qualche editorialino sdraiato) da parte di una certa stampa che di quei tempi (era ottobre ma sembra un secolo fa) aveva la preoccupazione di non disturbare il manovratore Renzi.

E non fu un errore o una decisione presa d’improvviso: quel voto è avvenuto dopo una chiara risoluzione del Parlamento Europeo che invitava tutti gli Stati membri Ue a partecipare in modo costruttivo ai negoziati ma nemmeno questo era bastato.

(continua su Left)