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critica

Il razzismo in divisa ha ammazzato ancora: e ora, caro Trump, è il momento di provare vergogna

È successo ancora. Succederà ancora. Come quando accade un incidente, che ne so, di un treno e tutti i giornali si mettono a scovare i più piccoli disguidi dei viaggi dei treni, così negli USA si moltiplicano le segnalazioni e le notizie delle violenze della polizia sua afroamericani. Solo che in questo caso Manuel Ellis è morto, a soli 33 anni, dopo un pestaggio violento in cui la divisa è solo un elemento scenografico di un pestaggio della peggior specie, niente a che vedere con il ruolo pubblico e la responsabilità che ci si aspetterebbe da un tutore della legge. È morto perché, dicono i poliziotti, ha aggredito lui per primo, come nelle risse fuori da scuola in cui la legge del taglione o l’abuso di una difesa sia una cosuccia normale da giustificare come un incidente di percorso.

Eppure che Manuel Ellis sia stato ammazzato lo dice chiaramente il medico legale e ora altri quattro poliziotti, dopo il caso Floyd, si ritrovano sotto i riflettori per l’uso sconsiderato della forza. Se sei nero, dalle parti degli USA, rischi di essere processato per direttissima dalle suole delle scarpe di chi dovrebbe garantirti giustizia.Il video rimbalzato sulle pagine del New York Times lascia poco spazio ai dubbi e infervora ancora di più una protesta che ha assunto proporzioni più ampie del solo sdegno per una morte. Oggi negli USA si critica uno sdoganamento della violenza come mezzo per controllare l’ordine pubblico e che la violenza chiami solo violenza è uno di quegli insegnamenti che di solito vengono dati fin da bambini e che hanno chiaro quasi tutti, escluso il presidente del Paese più potente del mondo.

Ora il giochetto sarà sempre lo stesso, quello che non è solo americano: lamentarsi per lo spirito poliziottofobico dell’opinione pubblica e per il troppo spirito indagatore dei media. Di solito quando un potere non riesce a fare smettere che accada una vergogna si concentra sul non farla raccontare, come se potesse funzionare un silenzio omeopatico che vorrebbe fare sparire i fatti. Di certo Manuel Ellis è morto e anche di questo cadavere qualcuno dovrà rispondere. Tra l’altro Trump ha anche la sfortuna che l’omicidio sia avvenuto ben prima delle proteste (sarebbe stato fin troppo facile dare la colpa ai contestatori) e ora dovrà inventarsi qualcosa di nuovo, probabilmente di stupido. E l’aspetto peggiore di tutta la vicenda è che probabilmente lo farà presto e senza nemmeno troppa fatica e troppa vergogna.

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Vitalizi in Calabria. E si arrabbiano pure

I consiglieri regionali della Calabria fanno marcia indietro sul privilegio per loro stessi introdotto all’unanimità pochi giorni fa. Ma non chiedono scusa, anzi

I consiglieri regionali della Calabria fanno marcia indietro sul privilegio per loro stessi introdotto all’unanimità pochi giorni fa. Ma non chiedono scusa, anzi

In piena crisi pandemia il Consiglio regionale calabrese ha definito una fondamentale priorità: la modifica dell’articolo 7 comma 4 della legge regionale numero 13 del 2019 con cui si abolivano i vitalizi per i consiglieri regionali. Con la modifica, un consigliere regionale che decade per qualsiasi motivo, anche con un solo giorno di legislatura, si guadagnerebbe un trattamento di fine mandato. In sostanza si ottiene un trattamento pensionistico anche senza avere maturato contributi e solo per avere ricoperto una carica. Non lo vogliono chiamare vitalizio ma è un vitalizio, de facto, una vincita al lotto, una garanzia per la vecchiaia.

Interessante anche come sia stata votata la legge: Giuseppe Graziano dell’Udc (sì, da queste parti esiste ed è viva l’Udc) alla richiesta del presidente Domenico Tallini di spiegare la norma prima di metterla ai voti, ha risposto: «Si illustra da sé». Voto all’unanimità. Due minuti in tutto.

Qualcuno fa notare che in quella legge c’è qualcosa che non va. I politici calabresi come prima cosa, accade spesso quando fai notare a un politico di avere fatto una cretinata, negano: sulla Gazzetta del Sud il presidente del Consiglio Domenico Tallini spiega che «i vitalizi in Calabria sono stati aboliti da tempo. Non vedo dov’è lo scandalo: a fronte di 38mila euro di contributi versati in una legislatura, si maturerebbe un’indennità di fine mandato, a 65 anni, da 600 euro netti al mese» dimenticandosi che si sta parlando di quelli che decadranno dal mandato. I consiglieri del Pd parlano di tempesta in un bicchiere d’acqua.

Poi? Poi fanno marcia indietro, ovviamente. Quindi evidentemente avevano ragione quelli che criticavano la scelta, uno si aspetta che chiedano scusa e invece niente. «Solo ai calabresi dobbiamo delle scuse per l’errore commesso» dice Tallini di Forza Italia. Secondo lui quelli che hanno criticato sono «ex candidati a presidente della Regione, paladini dell’antipolitica, nostalgici della prima Repubblica, antimeridionalisti a pagamento» e «giornalisti che si cimentano in fantasiosi racconti e gialli su manine che fanno proposte e poi scompaiono». Gli altri dicono di avere votato una proposta che era diversa da quella che gli era stata illustrata: hanno votato a loro insaputa, insomma. Il consigliere del Pd Nicola Irto è più o meno sulla stessa linea: «Qui resta un fatto, tra populismo e verità io scelgo sempre la verità e la trasparenza. Comprendo la reazione di molti calabresi. Non giustifico gli attacchi e il clima di odio».

Intanto il privilegio viene abrogato. E loro si lamentano pure.

Buon venerdì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

«Nomi cognomi e infami»: contro il “Potere” a colpi di sciabola [recensione di GM]

Recensione da GIORNALEMETROPOLITANO.

MILANO – Dice quello che pensa e pensa a quello che dice, Giulio Cavalli. Senza peli sulla lingua Cavalli, attore, scrittore, regista e politico milanese, apre uno squarcio su verità scomode, su personaggi dai mille segreti o dalle mille nefandezze. Coniugando, in un mix rigoroso, impegno civile e arte, coraggio e quel po’ di sapidità. Oppure tratteggiando eroi senza vocazione all’eroismo, modelli di virtù destinati a un ineluttabile sacrificio, tanto più meritevoli perché hanno operato in ambienti dove quieto vivere, egoismo e ipocrisia contrassegnano relazioni sociali ed equilibri politici.

Ecco perché vale la pena (ri)vedere questo «Nomi cognomi e infami», di scena al Teatro della Cooperativa fino a domenica 16 marzo. Per riprendere in mano la memoria. Per confessare verità amare e crude nel segno dell’ironia e della satira, riprendendo la plurisecolare tradizione dei giullari. Da Petrolini a Peppino Impastato, è evidente che il sorriso è l’arma più potente per sgretolare il potere. Anzi: il potere diventa prepotente perché non riesce più a governare secondo gli schemi consueti.

«Nomi, cognomi e infami» è un viaggio tra persone “normali” diventate eroiche per la pavidità che stava intorno al loro. Persone come lo stesso Impastato e Paolo Borsellino, Libero Grassi e Bruno Caccia, così stridenti rispetto a riti e conviti mafiosi che brillano solo per povertà culturale ed etica. Il monologo denuncia vergogne come il riciclaggio di denaro, la speculazione edilizia, episodi di mafia conclamati, che nessuno osa contestare.

Giulio Cavalli apre uno squarcio nella nostre angustie morali piccole e grandi. Soprattutto, testimonia che la paura può essere, se non schiacciata, almeno esorcizzata attraverso gli artifici propri degli antichi giullari.

di Vincenzo Sardelli

fino a domenica 16 marzo 2014

al Teatro della Cooperativa di Milano

 produzione Bottega dei Mestieri Teatrali

NOMI COGNOMI E INFAMI

di e con Giulio Cavalli

con il contributo di Next Regione Lombardia e Fondazione Cariplo-Etre

Teatro della Cooperativa (11/16 marzo 2014)

 ORARI: feriali h. 20.45 e festivo ore 16 –

PREZZI: intero 18 € – ridotti 13/9 €

www.teatrodellacooperativa.it – Via Hermada 8, Milano – tel. 02.64749997

L’autocritica no

Ho letto il programma elettorale di Roberto Maroni. Lo so, sono fatto così, mi piace terribilmente conoscere prima di deliberare ed esprimere giudizi. Nessuna autocritica, nessuna.

Nella sanità (oltre all’amore smisurato per il fondo Nasko) non c’è un’autocritica che sia una su San Raffaele, Santa Rita, Fondazione Maugeri e tutte quelle altre cose lì. Nemmeno una. Per dire.

Schermata 2013-02-07 alle 16.35.30