Vai al contenuto

democrazia diretta

“Il Parlamento è inutile”

7 giugno 2013. Beppe Grillo scriveva sul suo blog: “Il Parlamento ha ancora un senso? Va riformato, abolito? Una cosa è certa, oggi non serve praticamente a nulla. Il Parlamento, luogo centrale della nostra democrazia, è stato spossessato dal suo ruolo di voce dei cittadini. Emette sussurri, rantoli, gemiti come un corpo in agonia che sono raccolti da volenterosi giornalisti per il gossip quotidiano. Chi rappresenta ormai questo luogo? Deputati e senatori sono nominati dai dirigenti della “ditta” del pdmenoelle (così si dice la chiami Gargamella Bersani in privato) e di un condannato in secondo grado per evasione fiscale che altrove sarebbe in fuga in lidi lontani. I parlamentari nominati dai partiti non rappresentano nessun elettore, neppure sé stessi. Sono solo impiegati con un ottimo stipendio adibiti a pigiare bottoni a comando. Qualcuno, scelto tra i più fedeli, viene utilizzato alla bisogna per raccontare frottole in televisione su canali lottizzati”.

E poi: “Fare leggi è il suo compito, ma le leggi, al suo posto, le fa il Governo sotto forma di decreti a pioggia, quasi sempre approvati in aula. Il Governo, in teoria, ha il compito di governare, non di sostituirsi al Parlamento”.

“Il Parlamento potrebbe chiudere domani, nessuno se accorgerebbe. È un simulacro, un monumento ai caduti, la tomba maleodorante della Seconda Repubblica. O lo seppelliamo o lo rifondiamo. La scatola di tonno è vuota. Ripeto: la scatola di tonno è vuota”.

Poi, luglio 2018. Dice Grillo nel corso di una intervista rilasciata alla trasmissione americana Gzero Word: “Io penso –  ha proseguito – che potremmo scegliere una delle due camere del Parlamento casualmente, in maniera proporzionata per età, sesso, reddito, provenienza geografica sud/nord. Solo così l’assemblea potrebbe essere veramente rappresentativa del Paese”.

Sempre in quei giorni Davide Casaleggio in un’intervista a La Verità diceva: “Il Parlamento continuerebbe ad esistere con il suo primitivo e più alto compito: garantire che il volere dei cittadini venga tradotto in atti concreti e coerenti. Ma tra qualche lustro è possibile che la sua esistenza non sia più necessaria nemmeno in questa sua forma. Anche perché c’è una democrazia diretta che è già una realtà grazie a Rousseau che per il momento è adottato solo dal M5s ma che potrebbe essere adottato in molti altri ambiti”. Per inciso: Rosseau è quella piattaforma che proprio ieri Casaleggio ha minacciato di chiudere, essendo una sua proprietà privata.

Ieri Grillo ha detto: “In Parlamento ci occupiamo di cose inutili, paradosso che le dittature funzionino meglio delle democrazie”.

Ora, ognuno la pensi come vuole, per carità, ma vi rassicurano queste parole che sono un certo impianto culturale che sta dietro al taglio dei parlamentari? Così, per sapere.

Buon giovedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Internet, la democrazia al chilo e le quirinarie

Non sopporto l’informazione al chilo, la cultura al chilo e negli ultimi giorni comincio a diventare intollerante di fronte a internet e democrazia vendute al chilo. Ne scrivevo giusto ieri qui di come sia semplicistico pensare ad una democrazia diretta direttamente dipendente alla rete in sostituzione di tutto il resto. Per carità, l’idea della rete come madre della democrazia è affascinante in un Paese come il nostro dove internet è ancora in piena fase pionieristica (dietro a Barbados e Panama, al 50° posto per economia digitale) ma l’alfabetizzazione all’analisi è ancora una chimera. Ieri sentivo qualcuno lamentarsi delle 55 cartelle di Fabrizio Barca nel suo documento per un buon Governo: non riusciamo ad avventurarci più in là del singolo click.

Per fare un altro esempio, il post di questo piccolo blog più letto di ieri (e scommetto che lo sarà anche di oggi) è questo e sono in molti ad avere commentato in facebook o su twitter semplicemente il titolo senza nemmeno avere aperto il link: la compulsione da click, appunto.

E anche sul presunto attacco hacker al blog di Beppe Grillo varrebbe la pena andare un po’ più a fondo. Federico Mello prova a ricostruire la vicenda con un po’ di logica e analisi, appunto:

Ma è proprio così? Qualcuno è volutamente entrato nel sistema della Casaleggio per boicottare questa prova di democrazia? Se fosse, sarebbe molto grave. Chi l’avrebbe fatto, per conto di chi? E non dovrebbero essere preoccupati, Grillo e i suoi, per questo boicottaggio? È come se il Pd avesse annullato le sue primarie dopo il furto di un gran numero di schede.

Ma la verità in questo caso è un’altra: non c’è stata alcuna intrusione esterna. Lo spiega bene il comunicato della Dnv, l’azienda specializzata che ha “certificato” le operazioni di voto. Dice infatti: «A seguito di uno dei controlli pianificati, relativo all’integrita del sistema, è stata rilevata un’anomalia, i cui effetti sono stati verbalizzati. L’anomalia ha compromesso in modo significativo la corrispondenza tra i voti registrati e l’espressione di voto del votante». Significa che sono stati registrati più votanti degli aventi diritto. Sempre la Bnv specifica inoltre: «Trattandosi di un controllo periodico non è stato possibile determinare con certezza il momento iniziale della compromissione».

Di hacker, non si fa alcun cenno. E non potrebbe essere altrimenti: la Bnv è una azienda di certificazione, non di sicurezza informatica. Nel suo “chi siamo”, spiega: «DNV Business Assurance Italia svolge, da parecchi anni, un’intensa e competente attività nel settore delle verifiche, ispezioni e certificazioni di sistemi di gestione, prodotti in campo industriale e nei settori dei servizi». Insomma, rispetto a procedure concordate, l’azienda verifica che vengano svolte in modo corretto. E non è un caso che abbia fatto dei “controlli periodici”: non ha le competenze informatiche per “difendere” un server, e non ha sistemi di monitoraggio, nè di tracking, di tracciamento, per risalire a possibili incursioni.

Dove è venuta fuori allora la storia degli hacker? Dalle parole di Grillo. E, indirettamente, da quelle di Messora. Perché? Bhè, la risposta non la sapremo mai. Ma l’ipotesi più probabile è che alcuni utenti abilitati al voto abbiamo potuto votare più volte per una difetto nel sistema costruito dalla Casaleggio. E, invece di ammettere l’errore, (un pessimo viatico per chi che nel suo statuto intende dare “al popolo della rete” la titolarità del governo), quando le cose non hanno funzionato, ecco subito gridare allo scandalo, all’attacco informatico.

Se vogliamo un approccio serio all’applicazione politica della rete non possiamo rinunciare ad una scolarizzazione seria e collettiva (democratica, appunto) sui suoi meccanismi e il Movimento 5 Stelle dovrebbe (o potrebbe) essere l’avamposto culturale. In fretta. Come dice Leonardo nel suo post di oggi:

Io credo che i militanti del M5S che chiedono insistentemente, da mesi, una piattaforma realmente democratica a Grillo e Casaleggio dovrebbero riflettere seriamente su quello che sta succedendo. Se la tanto promessa piattaforma non è mai pronta, forse non si tratta soltanto di un problema di tempo, come a volte avete letto su beppegrillo.it. Casaleggio avrà anche tanti impegni, ma quello che vi ha promesso, tecnicamente, non ve lo può dare. Il fatto che succeda di nuovo un incidente del genere, dopo i disguidi durante le parlamentarie, la dice lunga. Noi non sappiamo esattamente quanti siano gli iscritti al MoVimento al 31 dicembre 2012 (quelli che avevano diritto di votare), ma Casaleggio sì, lui lo sapeva. Ha tutti i dati necessari a capire quanta gente avrebbe votato ieri e a prevedere i possibili picchi di traffico. Ma non ci riesce. O non ne ha i mezzi o, probabilmente, non ne è capace. Ma non ha la minima importanza, così come non ne ha avuta per le parlamentarie. Non si tratta di eleggere veri rappresentanti: si tratta di vendere l’idea del movimento che decide in rete, con tutto il bello e tutto il brutto della rete, compresi i malvagi hacker inquinatori della volontà popolare. Grillo e Casaleggio non hanno la minima idea del futuro che stanno vendendo: è un pacco, intanto lo piazzano, se poi dentro c’è qualcosa che funziona tanto meglio, ma non dipende da loro. Loro fanno il marketing, loro piazzano il pacco.

Viene in mente la teoria di Steve Jobs su come i venditori rovinino le grandi aziende, quando vanno al potere al posto degli ingegneri. Il M5S non è una grande azienda, è un movimento politico, dentro un pacco. Volete che funzioni? Scartate via il pacco, licenziate i professionisti dei fiocchetti. Sono stati molto bravi, ma da qui in poi possono soltanto rovinare tutto.

Perché altrimenti non c’è differenza: stiamo semplicemente al Drive-In e il paraberlusconismo 2.0.

Wu Ming 1 su internet e Movimento 5 Stelle

internet_009Ecco l’audio della puntata di «Tutta la città ne parla» dedicata all’uso di Internet da parte del Movimento 5 Stelle. E’ andata in onda su Radio 3 la mattina del 6 marzo 2013. Conduce Giorgio Zanchini, le voci sono quelle di Luca SofriWu Ming 1Matteo Mangiacavallo (deputato M5S), Lella Mazzoli e Juan Carlos de Martin. Dura 43 minuti. L’ascolto è interessante perché la rete è libera ma terribilmente seria, soprattutto quando si parla di democrazia.

Vale la pena ascoltarlo. E per me vale la pena sapere cosa ne pensate. Qui il parere dei Wu Ming sul loro sito:

E’ doveroso incalzarli sulle loro contraddizioni, facendo esempi esempi esempi, chiudendo loro le scappatoie e prevenendo l’uso di formulette standardizzate. E’ necessario farlo, per incrinare la facciata del “feticismo digitale” grillino e rivelare il “doppio” verticistico e autoritario di quella che chiamano “democrazia diretta”, che in realtà sarebbe tutt’altra cosa.
Solo così, scegliendo non l’accondiscendenza ma la schiettezza, faremo un favore alle tante persone che hanno scelto il M5S credendo in un cambiamento democratico etc. Bisogna far notare che tra quel che Grillo dicee quel che Grillo fa c’è di mezzo un mare, e non è attraversabile a nuoto.

E se?

E se non fosse più il tempo delle blandizie centriste? Se non fosse più il momento dell’equilibrismo autoreferenziale, dei salotti, dei caminetti? Se non avessero più senso né la sicumera catastrofista di certi economisti dell’alta finanza né l’egocentrismo mediatico di lillipuziani segretari di partito? Se non fosse più il tempo della favola liberista (e liberticida)?

Se il mantra della crescita fosse solo un abbaglio? Se non servisse più accettare supinamente patti di stabilità, strette del credito, svendite, privatizzazioni? Se non fosse più eticamente accettabile dimenticare non solo i nomi dei morti ammazzati, ma anche quelli dei responsabili; i nomi e i cognomi di chi con ostinazione ancora infligge a questo Paese la pena più grave, quella dell’incoscienza? Se non volessimo chiedere consigli a oracoli ottuagenari, figli (se non padri) di una classe dirigente grigia e vergognosamente colpevole?

Se fosse giunto il momento della resa dei conti? Se fosse l’ora di parlar chiaro e parlarci, magari dando le spalle all’ombroso miraggio di confusi papocchi? Se provassimo a unire anziché dividere; a difendere un’idea invece di tramortirla e vivisezionarla per poi seppellirne le spoglie in qualche cimitero del diritto castale?

Per favore leggete qui Claudio oggi su Non Mi Fermo. Perché non è così difficile.

#nonmifermo La rivoluzione delle allodole

Lo scetticismo verso la “rivoluzione” è rivolto all’uso magico, irrazionale e, viene da dire, quasi feticistico di un concetto che, dogmatizzato, lastrica di presunti migliori intenti la strada verso l’inferno. La convinzione di essere nel “giusto”, o di essere il “buono”, quando è armata da un idealismo abbracciato alla stregua di una credenza pseudoreligiosa,  produce uno zelo che si alimenta di se stesso, o al limite dell’odio per un nemico, odio vissuto sotto il cielo di un postulato che suona così: “lui è il nemico, il nemico è empio; io avverso il nemico, quindi sono nel giusto”. E questo zelo è tanto più nichilista e distruttivo quanto più si ostina a essere cieco di fronte alla realtà che, quasi come un amico benevolo puntualmente frainteso, ne stressa i limiti o punta il dito contro le contraddizioni,  portando a galla quella complessità che lo zelo, semplificando irrazionalmente, nega e rimuove. Mi vengono in mente le parole di Milan Kundera in L’insostenibile leggerezza dell’essere: «i regimi criminali non furono creati da criminali ma da entusiasti, convinti di aver scoperto l’unica strada per il paradiso». Una riflessione da leggere di Matteo Pascoletti su #nonmifermo.

Perché mentre si usa la parola rivoluzione e se ne abusa, se ne svuota il senso.