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La maionese è impazzita

Dai cinque parlamentari che hanno fatto richiesta del bonus di 600 euro alla guerra alla politica senza senso della misura. E l’antipolitica è una pessima notizia

Ecco qua. Ci sono cinque parlamentari senza dignità che alla faccia nostra incassano i 600 euro che sarebbero serviti a persone certamente più bisognose e ora la guerra si allarga e si assiste al solito assolutismo italiano, quello che è l’ingrediente perfetto per scivolare ancora più in basso rispetto a dove siamo.

Sia chiaro, i cinque sono imperdonabili. Imperdonabili. Ne abbiamo parlato giusto nel buongiorno di ieri.

Ma si legge in giro qua e là che “addirittura dei sindaci, assessori e consiglieri comunali” avrebbero aderito al bonus Covid, come se davvero la gente fosse talmente cretina da non sapere che un consigliere comunale o un sindaco di un piccolo paese deve lavorare (eh, sì, incredibile, lavorare) per fare politica perché non può permettersi di vivere di quella. Così si butta tutto nel calderone.

Ieri una consigliera comunale di Milano, Anita Pirovano, ha provato a spiegarlo con calma: «Mi autodenuncio. Non vivo di politica perché non voglio e non potrei. Non potrei perché ho un mutuo, faccio la spesa, mantengo mia figlia e – addirittura – ogni tanto mi piace uscire e durante le ferie andare in vacanza. In più ho studiato fino al dottorato e all’esame di stato per diventare psicologa e ricercatrice sociale, professione in cui negli ultimi tempi mi sembra spesso di essere “più utile” alla società che in consiglio comunale (attività a cui comunque dedico tutto il tempo non lavorato e la passione di cui sono capace). Infine e soprattutto pur non cedendo alle sirene antipolitiche ho capito sulla mia pelle che avere un lavoro (nel mio caso più d’uno in regime di lavoro autonomo) mi consente di essere “più libera” nell’impegno politico presente e ancora più nelle scelte sul futuro, per definizione incerto. Come tanti mi indigno – perché è surreale – se un parlamentare in carica fruisce ammortizzatori sociali e penso sia paradossale che una misura di sostegno al reddito non preveda nessuna soglia di reddito».

Niente, è una guerra continua alla politica senza senso della misura e senza cognizione. Magari il presidente dell’Inps Tridico potrebbe anche spiegarci come mai non siano stati comunicati i furbetti delle casse integrazioni inventate o del Reddito di Cittadinanza. Sia chiaro, non è benaltrismo, è che vorremmo conoscerli tutti i furbetti. Tutti. Per avere cognizione di causa.

Intanto veleggia l’antipolitica, ancora una volta. Ed è una pessima notizia. Peggiore di quei cinque cretini.

Buon martedì.

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Conte ci spieghi perché Alzano e Nembro non si potevano chiudere, ma tutto il territorio nazionale sì

C’è più di qualcosa che va spiegato alla luce dei verbali che fioccano pubblicati sui giornali in queste ore. Qualcosa che va spiegato per bene perché la politica sta tutta nella responsabilità del prendere decisioni ma anche e soprattutto spiegarle, le decisioni, raccontarne il filo logico, rendere pubblico il dibattito e il ragionamento che sta dietro a certe scelte e motivarle anche, come succede in questo caso, a posteriori. Se c’è stato un tempo delle prese di posizioni urgente ora è il tempo dell’analisi delle responsabilità. È evidente.

Allora partiamo dalla cautela, che per qualcuno è stata troppa e per qualcuno è stata troppo poca, che appare piuttosto schizofrenica su due decisioni contrapposte prese nel giro di pochi giorni. Il 3 marzo nella bergamasca la situazione è ormai precipitata: nella provincia di Bergamo si registrano 372 contagiati, 56 a Nembro e 26 ad Alzano Lombardo e il Comitato tecnico scientifico si riunisce e scrive: “Nel tardo pomeriggio sono giunti all’Istituto Superiore di Sanità i dati relativi ai Comuni di Alzano Lombardo e Nembro. Al proposito è stato sentito per via telefonica l’assessore Gallera e il direttore generale Cajazzo che confermano i dati relativi all’aumento. I due Comuni si trovano in stretta prossimità di Bergamo e hanno una popolazione rispettivamente di 13.639 e 11.522 abitanti. Ciascuno dei due paesi ha fatto registrare attualmente oltre 20 casi, con molte probabilità ascrivibili a un’unica catena di trasmissione. Ne risulta pertanto che l’R0 è sicuramente superiore a 1, il che costituisce un indicatore di alto rischio di ulteriore diffusione del contagio. In merito il Comitato propone di adottare le opportune misure restrittive già adottate nei Comuni della zona rossa al fine di limitare la diffusione dell’infezione nelle aree contigue”.

Il governo e Regione Lombardia non prendono decisioni: rimane tutto aperto. Conte davanti ai magistrati dichiara addirittura di non avere “mai visto” quel documento. La linea è quella del rischio calcolato. Il 7 marzo il Comitato tecnico scientifico propone al governo di “adottare due livelli di misure di contenimento: uno nei territori in cui si è osservata maggiore diffusione del virus, l’altro sul territorio nazionale”. Due giorni dopo viene deciso il lockdown nazionale. La linea è quella dell’eccesso di cautela.

Cos’è cambiato nella linea del governo? Perché si è deciso di adottare due così diversi comportamenti nei confronti delle osservazioni del Comitato tecnico scientifico? Perché si è deciso di non chiudere ad Alzano e Nembro e invece si è deciso, pochi giorni dopo, di chiudere addirittura tutto il territorio nazionale quando le zone a rischio erano limitate al nord? In sostanza: non notate una diversa cautela nella chiusura delle zone industriali del nord rispetto a un sud che segue a ruota invece il settentrione pur non avendo numeri a alto rischio? Le risposte possono essere molte, molto condivisibili e figlie di due diversi ragionamento. Il tema però è fortemente politico: qualcuno deve spiegare perché il “supporto” del Comitato tecnico scientifico sia stato usato così diversamente. È il senso della politica, questo.

Leggi anche: 1. E se il focolaio fosse stato al sud, la Lombardia avrebbe chiuso tutto?  / 2. “Su Alzano e Nembro toccava a Conte chiudere, ma Fontana doveva insistere”: a TPI parla il consigliere lombardo che ha divulgato il verbale Cts 

L’inchiesta di TPI sulla mancata chiusura della Val Seriana per punti:

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“A Beirut, come a Damasco, è morta la speranza”: parla lo scrittore siriano Shady Hamadi

Shady Hamadi è uno scrittore di origine siriana e da sempre è un attento osservatore del Medio Oriente. Esilio dalla Siria. Una lotta contro lindifferenza”, edito da Add Editore è il suo ultimo libro.

Lesplosione a Beirut ha acceso le voci di solidarietà falsi cortesi degli esponenti politici con strafalcioni come quello di Manlio Di Stefano. Che sensazione ti provoca la superficialità della politica italiana sul Medio Oriente?
Mi provoca delusione perché l’Italia ha, geograficamente e storicamente, un ruolo di primo piano nei rapporti con il Medio Oriente. Geograficamente perché siamo la porta verso l’Europa; storicamente a causa della presenza araba, durata secoli, nel sud Italia. Gli sbagli eclatanti, come quello di Di Stefano, stanno diventando una prassi (a destra e a sinistra) che non solleva neanche più l’indignazione. Ricordo gli elogi di Renzi al suo “amico”Al Sisi, poco prima della morte di Regeni. O, ancora prima, nel 2011 Franco Frattini che elogiava la Siria per la sua stabilità durante l’ondata delle primavere arabe. Il risultato è davanti a tutti noi.

Come valuti la politica estera del governo italiano?
Sclerotica perché c’è incoerenza nelle azioni della Farnesina a causa della nostra instabilità politica. Prendiamo l’Egitto. Con Renzi, prima dell’uccisione di Regeni, i rapporti erano idilliaci. Ucciso il ricercatore, abbiamo virato completamente. Salvo poi rimandare l’ambasciatore al Cairo. Oggi che cosa rimane del nostro approccio verso l’Egitto, la questione della tutela dei diritti umani? Nulla, a parte la vicenda di Patrick Zaki che non cade nel dimenticatoio grazie all’attenzione di alcuni movimenti di sinistra e Amnesty.

Come valuti lattenzione della politica occidentale sul Medio Oriente?
Dovevamo accompagnare i paesi arabi verso una transizione, sostenendo quel corpo sociale che si chiama società civile ma non lo abbiamo fatto. Preferiamo ancora oggi sostenere militari che con la forza riportano lo status quo antecedente. Guardiamo alla Libia. Parte della comunità internazionale sostiene Haftar; altri Sarraj. All’interno dell’Unione Europea ci sono Stati che, seguendo il proprio interesse nazionale, sostengono gruppi differenti.

Cosa bisognerebbe avere il coraggio di dire/fare?
Abbiamo sbagliato. L’ammissione di colpa dovrebbe arrivare da chi si è seduto in parlamento in Italia come nella Ue. Hanno sbagliato nel guardare al Medio Oriente con i soliti preconcetti: se non c’è un dittatore c’è il fondamentalismo. Come se questi arabi non fossero capaci di emanciparsi da questi due mali, creando una terza via che li conduca verso la democrazia. Il male assoluto, secondo questa vulgata alla Magdi Allam, sarebbe l’Islam. Semplicisticamente sarebbe la religione a bloccare ogni trasformazione.

Da scrittore, con la tua storia, come valuti questo momento internazionale?
É una restaurazione. A Beirut come a Damasco manca la speranza. Sto parlando proprio del sentimento. Sperare di cambiare, di migliorare vita… la gioventù vive nel pessimismo. Questo stato di cose ha prodotto un aumento vertiginoso dei suicidi. Decine di giovani si tolgono la vita esausti non solo di vivere nella miseria ma di non vedere mai un cambiamento. Di chi è la responsabilità di queste morti?

Che ne pensi del rifinanziamento italiano alla Libia?
Abbiamo Salvini che grida contro gli sbarchi. Vuole che si fermino ma lui ed altri hanno firmato per il rifinanziamento della guardia costiera libica da più parti accusata di gestire il traffico di migranti con le mafie locali. Diamo soldi ai trafficanti. Ho idea che chi grida alla chiusura dei porti voglia il contrario. I migranti servono come merce di scambio elettorale, in barba alla sofferenza di quei nei lager.

In Italia haisentito” razzismo?
Personalmente no. Mi definisco da sempre sirio-brianzolo anche se ultimamente mi sento solo brianzolo. Penso che gli italiani non siano razzisti. Credo esista molta ignoranza. Molti politici la sfruttano perché viviamo in una epoca di slogan e non di discorsi culturali. Vede, oggi non vogliamo prenderci la briga di capire perché un nigeriano scappa da Lagos o un siriano da Aleppo. Vogliamo tutto subito, anche le spiegazioni. Il politico improvvisato che ormai dilaga nei talk show e nelle aule un tempo frequentate da Berlinguer, regala slogan. È un ignorante, che non sa che i libici abitano in Libia e che Pinochet non era il dittatore del Venezuela. Non è umile. Infatti non chiede scusa. Dobbiamo ripartire dalla cultura.

Leggi anche: 1. Libano: devastante esplosione al porto di Beirut. Le impressionanti immagini della deflagrazione / 2. Libano, ferito un militare italiano in un’esplosione al porto di Beirut / 3. Libano, esplosione al porto di Beirut: incidente o attentato? Tutte le ipotesi

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Contrordine, sovranisti: ora la mascherina va messa. La ridicola retromarcia di Trump e Salvini

Dice Trump che chi usa la mascherina è un vero patriota. Dice Salvini che bisogna usare la testa (è credibile come un bradipo che ci insegna come correre lesti) e che bisogna mettere la mascherina nei posti chiusi. Contrordine camerati! La mascherina non è più la spada con cui il sovranismo combatte la sua sacra guerra contro l’ordine mondiale e ora di colpo si diventa tutti responsabili. Bellissimi i messaggi disorientati di quelli che hanno creduto al Covid come una messinscena e avevano trovato i loro falsi profeti. Non hanno mica capito che Trump, Salvini e compagnia cantante hanno come arma di propaganda quella di leccare i complotti ma poi non hanno nemmeno il coraggio di cavalcarli davvero, con la faccia tosta di chi ci mette almeno la faccia.

No, Salvini butta l’amo e poi lo ritira subito, giusto in tempo per pescare in superficie i pesci che abboccano. Non hanno idee: sono opinioni omeopatiche che durano il tempo di qualche mi piace su Facebook o di qualche retweet ma poi sono pronti a cambiare fronte se i sondaggi scendono. E così quando i collaboratori del Trump originale e del nostro Trump in versione discount gli hanno fatto notare che con questa storia della mascherina stavano perdendo voti (presumibilmente anche solo quelli dei malati, dei famigliari delle vittime e degli amici dei malati, che nel nord Italia e che negli USA sono numeri considerevoli) allora hanno inforcato la retromarcia. E così il loro bullismo suona ancora più goffo, più stonato, risibile e estremamente pericoloso.

Avere dei leader di partito che come giochetto non fanno nient’altro che dire il contrario di quello che dicono i loro avversari politici li costringerà presto a affermare che il nero è bianco, che gli alberi hanno le ruote e che i tram crescono sotto i cavoli. Un trucco di propaganda talmente banale che li mostra per quello che sono: banalissimi propagatori di bufale che devono far credere che un nemico invisibili giochi tutto il giorno per portarli alla sconfitta.

La retromarcia sulle mascherine è un manifesto politico: prima era tutto un “non usatele, non usatele, viva la libertà” e ora che si sono ammalati gli altri è tutto un correre ai ripari per salvarsi la pelle. Del resto il vero sovranista ha un’unica Patria: se stesso. E per la propria autopreservazione sono disposti a tutto, anche a apparire più ridicoli di quello che sono già stati. E continueranno così finché ci sarà una nuova bufala da cavalcare per fomentare un po’ di gratuita indignazione.

Leggi anche: Lauree in Albania, soldi scudati in Svizzera: quando “serve” la Lega diventa internazionale (di G. Cavalli)

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Orfini a TPI: “Lamorgese non fa la ministra. I flussi di migranti sono gestibili, ma preferiamo finanziare i torturatori libici”

Se c’è una figura nel Partito Democratico che invoca una svolta, quanto alla gestione dei flussi migratori, già dall’epoca di Minniti, si tratta sicuramente di Matteo Orfini. Il tema dei migranti è ormai tornato al centro del dibattito politico, con l’aumento degli sbarchi, Salvini che ha ripreso la sua propaganda a tamburo battente e la maggioranza in pieno stallo, incapace di cambiare rotta. TPI ha intervistato il deputato del Pd per capire quali sono gli scenari futuri e quali decisioni prenderà la maggioranza di governo su una questione non più differibile.

Tre migranti sono stati uccisi dalla Guardia Costiera libica, e non erano passate nemmeno 24 ore dalla manifestazione che si teneva per contestare il rifinanziamento da parte del governo italiano. La notizia tra l’altro non sembra avere nemmeno indignato più di tanto.

Questa purtroppo è la storia di questi mesi, di questi anni. Non è una notizia, succede quasi tutti i giorni e fuori da ogni forma di ipocrisia e di circostanza è la ragione per cui paghiamo la Guardia Costiera libica: trattenere i migranti con ogni strumento e con ogni mezzo mettendo in conto che possono essere chiusi in un lager, torturati, seviziati e anche uccisi. Se tu finanzi torturatori e assassini, quelli torturano e assassinano.

Ci siamo abituati all’orrore?

C’è un’amnesia collettiva di fronte a un qualcosa di enorme che è e sarà una delle pagine più vergognose del nostro Paese nei libri di storia. Tutto questo oggi, purtroppo, non solleva una discussione adeguata nell’opinione pubblica e nella politica.

Ma qual è il blocco che impedisce di cambiare rotta nel governo? L’alleanza con il Movimento 5 Stelle o vogliamo ammettere che c’è anche un serio problema all’interno del Partito Democratico?

È ovvio che c’è un problema anche dentro al Partito Democratico, che per altro è ancora più incomprensibile quando addirittura Minniti è oggi su una linea differente, tanto che nelle ultime interviste ha definito “inapplicabile” quella politica che ha disegnato e concepito nelle ultime interviste. Siamo di fronte a un accanimento incomprensibile da parte della maggioranza e quindi anche del Pd. Questo atteggiamento è figlio della difficoltà a misurarsi con con una strategia radicalmente alternativa e della paura di una battaglia difficile. Mettere in discussione radicalmente quell’impianto significa affrontare uno scontro culturale e politico molto duro nel Paese e in Parlamento. Evidentemente spaventa.

Il Movimento 5 Stelle da questo punto di vista è più coerente: quell’impianto lì l’hanno sempre avuto e sono i coestensori dei decreti sicurezza. Io ricordo sempre che il secondo decreto sicurezza fu peggiorato dagli emendamenti del M5S rivendicati da Di Maio. Loro sono in continuità. È mancata la volontà del PD.

Carmelo Miceli in un’intervista a Il Foglio dice: “Io non ci sto a dire che l’immigrazione non è un problema. E dico anche, con buona pace dei buonisti, che bisogna rimpatriare chi non ha diritto di rimanere in Italia”. Se lo aspettava di sentire la parola “buonisti” usata come roncola da un suo compagno di partito?

Ormai mi aspetto di tutto. Non mi sorprendo più di nulla. Che vada rimpatriato chi non ha diritto mi pare un’evidenza. Il problema è se l’Italia sia in grado di garantire salvataggio nel Mediterraneo, accoglienza dignitosa e un percorso di integrazione. Di questo stiamo parlando: rinunciamo a salvare, paghiamo la Libia per respingimenti che sono illegali, nel momento in cui qualcuno arriva non siamo in grado di gestire l’accoglienza. In queste ore la ministra degli Interni continua a fare dichiarazioni ma non fa la ministra degli Interni: noi siamo di fronte a flussi ampiamente gestibili che diventano un’emergenza perché non c’è un piano.

Che gli sbarchi aumentino d’estate è così da sempre e di solito si dispone un meccanismo adeguato, non si chiudono 600 persone in un tendone sotto al sole in un posto che ne dovrebbe ospitare solo cento. Non è questo il modo. Caricare la pressione solo su alcune comunità locali non è una soluzione. Noi dovremo essere in grado di organizzarci, vedere chi ha diritto di restare e chi no e mettere in campo un processo di integrazione e invece tutto questo è stato smontato in larga parte dai decreti sicurezza e non c’è stato nessun tentativo di ricostruire un meccanismo complessivo.

Ma come può cambiare la linea del PD? Con la vittoria di una corrente interna, visto che la pressione degli elettori non sembra funzionare?

Io penso che servano entrambe le cose: deve crescere una battaglia interna nel Pd che si deve incrociare con una mobilitazione nel Paese. È chiaro che noi abbiamo perso. Il voto sulla Guardia Costiera libica è una sconfitta. L’assemblea del PD aveva votato contro il rifinanziamento e questa decisione non è stata rispettata: abbiamo anche un serio problema di democrazia interna.

Se Orfini potesse cosa cambierebbe, subito?

Intanto abrogherei le norme che ci sono. Dobbiamo abrogare (e non modificare) i decreti sicurezza, abrogare la Bossi-Fini e ricostruire da un punto di vista complessivo le norme che gestiscono i flussi migratori e che aprono canali legali. Poi abbiamo bisogno di una politica differente dall’altra parte del Mediterraneo che smonti quel meccanismo di sostegno ai respingimenti illegali e che ripristini ciò che accadeva con Mare Nostrum: ricerca e salvataggio di concerto con le Ong e le navi della Marina e della Guardia Costiera.

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Lauree in Albania, soldi scudati in Svizzera: quando “serve” la Lega diventa internazionale

Lauree in Albania, soldi scudati in Svizzera: se “serve”, la Lega è internazionale

Dice “prima gli italiani” ma la Lega ama l’estero, eccome se lo ama, e si riferisce a Paesi stranieri quando c’è da brigare affari di soldi e utilità. C’è la laurea di Renzo Bossi in Albania, all’Università albanese Kriistal di Tirana, che potrebbe essere la prima scena di questa brutta commedia all’italiana in cui gli odiati albanesi (quelli contro cui la Lega ha lanciato strali) sono gli stessi che poi incoronano il figlio dell’imperatore. Rimarrà negli annali anche la meravigliosa risposta del figlio del Senatur, che ai giornali disse di essersi laureato a sua insaputa.

Ma Umberto Bossi e i figli Riccardo e Renzo sono finiti anche in un processo che ci porta addirittura in Tanzania, dove l’ex tesoriere del partito Francesco Belsito ha investito parte dei rimborsi elettorali, acquistato partite di diamanti e poi distribuito soldi alla famiglia del segretario della Lega. Il tesoriere genovese Franco Belsito alla vigilia di Capodanno 2012 fa partire da Genova il bonifico da 4,5 milioni di euro, destinati a finire in Tanzania, svelando il giro di mega prelievi, operazioni offshore, movimenti di assegni, vorticosi giri tra Africa e Cipro, milioni di corone norvegesi e pacchi di dollari australiani. La seconda scena della commediola in salsa leghista potrebbe essere quella Audi A6 che parte da Genova a Milano con undici diamanti e dieci lingotti d’oro nel bagagliaio da consegnare direttamente in via Bellerio. Si tratta del famoso processo dei famosi 49 milioni di euro (di cui Salvini continua a parlare come “parte lesa” dimenticandosi di diritti lesi dei cittadini italiani) che si è chiuso con un’inedita trattativa per cui il partito di Salvini pagherà in 76 comode rate annuali da 600mila euro l’una. Data di estinzione del debito: 2094, alla faccia dei cittadini abituati alle rateizzazioni di Equitalia.

Poi c’è quell’incontro in Russia, con la visita a Mosca del leader leghista all’epoca ministro e vicepremier, in cui il suo ex portavoce Gianluca Savoini all’Hotel Metropoli il 18 ottobre del 2018 parla di alcuni fondi neri che dovrebbero arrivare al partito attraverso una fornitura di petrolio. L’inchiesta è ancora in corso ma la conversazione (al di là del fatto che Salvini sapesse o meno) l’abbiamo ascoltata tutti. Infine c’è il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, con il suo trust alle Bahamas con 5 milioni di euro, regolarizzati da uno scudo fiscale ma sulla cui origine nulla dice.

Prima gli italiani, dicono, ma questi leghisti hanno le mani in pasta sui conti correnti in giro per il mondo.

Leggi anche:

1. Esclusivo TPI: Ecco che fine hanno fatto i 49 milioni della Lega / 2. Fondi Lega, l’ex tesoriere Belsito: “Dovete chiedere a Maroni e Salvini come hanno usato quei soldi” / 3. Fondi Lega: tutto quello che c’è da sapere sulla truffa allo Stato e sui soldi del partito spariti nel nulla

4. Esclusivo TPI, ex tesoriere Lega: “I 49 milioni? Li abbiamo spesi scientemente. Salvini era d’accordo” / 5. Esclusivo TPI: L’ex segretaria di Bossi accusa anche Giorgetti: “I milioni della Lega usati per licenziare i dipendenti” / 6. Esclusiva TPI: “Salvini sapeva dei 49 milioni spariti, ma non fece nulla”. Le rivelazioni shock dell’ex dipendente della Lega che incastrano il Segretario

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I buoni e i cattivi

A Piacenza per la prima volta in Italia è stata posta sotto sequestro una caserma dei carabinieri. Un fatto che rompe il giochetto della narrazione dei “buoni” e dei “cattivi” 

Immaginate che qualcuno compia un reato, che ne so, che rubi due mele da un fruttivendolo. Accade tutti i giorni, accade un po’ dappertutto. Quello che ruba le mele è un ragioniere e un minuto dopo il suo arresto l’associazione nazionale dei ragionieri finisce dappertutto per dire che i ragionieri non sono tutti dei ladri di mele, di non permettersi nemmeno di pensarlo e tantomeno scriverlo.

Oppure immaginatevi un idraulico che uccida una persona. Immaginate un ex ministro dell’Interno che come prima reazione rilascia una bella intervista augurandosi che l’idraulico possa dimostrare la propria innocenza ma soprattutto che ringrazi la categoria degli idraulici per tutte le volte che sono stati ingiustamente accusati.

A Piacenza per la prima volta in Italia è stata posta sotto sequestro una caserma dei carabinieri, la caserma “Levante” in centro città, e i magistrati hanno raccontato di 18 persone coinvolte nell’inchiesta con rapporti molto stretti nei confronti di alcuni spacciatori (una sorta di onorata società che vede guardie e ladri mettersi in affari) contestando una caterva di reati: traffico e spaccio di stupefacenti, ricettazione, estorsione, arresto illegale, tortura, lesioni personali, peculato, abuso d’ufficio e falso ideologico. Una roba enorme. E ogni volta che si parla di carabinieri esce questo corporativismo che risulta petulante e fastidioso: se si accusa un carabiniere sembra obbligatorio doversi quasi scusare con tutti gli altri. Non conta che una persona che debba garantire la legalità abbia molte più responsabilità sociali proprio per la divisa che porta, no: accusare un carabiniere per molti significa porsi immediatamente nella parte di quelli che odiano i carabinieri, con buona pace della complessità e della percezione della realtà.

Ma c’è una spiegazione semplice semplice: i fatti come quelli di Piacenza rompono il giochetto della narrazione dei buoni e dei cattivi con cui certi superficiali propagandisti dividono il mondo. Sono gli stessi che vorrebbero classificare le persone per l’etichetta che gli si appiccica addosso e non per quello che fanno e per quello che sono. Sono gli stessi che hanno bisogno di banalizzare la realtà perché si riconoscono incapaci di coglierne le sfumature e ancora di più governarle.

Così se uno dei sicuramente buoni improvvisamente diventa cattivo credono che anche gli altri, quelli che invece sono ben consapevoli della moltitudine di sfumature della realtà, ragionino come loro e categorizzino il resto del mondo.

Buoni o cattivi. Bianco o nero. Deve apparire ben facile governare un mondo così.

Buon venerdì.

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Il cacciatore di aquiloni

Nell’Egitto di Al-Sisi far volare un aquilone è diventato una «minaccia alla sicurezza nazionale» e chi lo fa rischia pene severe. I prepotenti, del resto, sono terrorizzati dalla fantasia poiché sono incapaci di produrla

La credibilità di un potere si misura anche dalla portata delle sue proibizioni. Un Paese incattivito e impaurito prenderà sempre decisioni che risuonano goffe e farlocche perché si ostina a credere che i suoi cittadini siano semplicemente nemici dormienti da tenere a bada con misure sempre più restrittive. La libertà, del resto, si misura anche dai particolari.

«Era solo un sorriso, niente di più. Una piccola cosa. Una fogliolina in un bosco che trema al battito d’ali di un uccello spaventato», dice Amir nel film di Marc Foster Il cacciatore di aquiloni, tratto dal libro di Khaled Hosseini. E nell’Egitto di al-Sisi, quell’Egitto che vive sulle turpi violenze e sulle violente bugie di un potere spaventato da tutto perché incapace di governare con misura e con giudizio accade che si vieti l’acquisto e l’uso di aquiloni.

C’è il carcere per qualche giorno e l’enorme pena pecuniaria di 60 dollari (che sono moltissimo per un Paese soffocato dalla povertà) per chiunque venga beccato a fare volare leggero un aquilone, che sia un adulto o un bambino, che sia un gesto di libertà costretta in un filo e battito d’ali come accade nei quartieri più poveri d’Egitto.

L’aquilone che è lo svago di chi non ha soldi per giocattoli ma deve inventarseli, costruirseli oppure affidarsi a quelli a poco prezzo sulle bancarelle cittadine. Ebbene, quando lo fa, costui diventa improvvisamente nemico del governo. Sarà che durante la dura quarantena del popolo egiziano, quella stessa quarantena che sta mettendo in crisi la popolarità di al-Sisi, centinaia di bambini hanno trovato sfogo solo guardando il cielo trascinando un aquilone e sarà che le bancarelle hanno riscoperto questo gioco che ha dato ossigeno nel duro tempo del lockdown e sarà che molti ritrovatosi disoccupati si sono inventati disegnatori e costruttori di aquiloni: tutta questa fantasia nei cieli del Cairo ha urtato la sensibilità bellica del governo. I prepotenti, del resto, sono terrorizzati dalla fantasia poiché sono incapaci di produrla.

A scagliarsi contro gli aquiloni è stato il parlamentare Khaled Abu Talib che ha spiegato come l’aquilone sia un pericolo per la sicurezza nazionale per possibili futuri usi dell’aquilone usato come aereo-spia per fotografare siti sensibili. Dice Abu Talib che «in futuro qualcuno con intenzioni malvagie potrebbe usare bambini e giovani per atti illegali»· Abu Talib è membro del comitato parlamentare per la difesa e per la sicurezza nazionale e qualcuno deve averlo preso terribilmente sul serio.

Del resto funziona così: uno Stato di polizia vede pericoli ovunque perché è lui stesso portatore di pericolo, vede sospetti ovunque perché governa con l’arma del sospetto, si incaglia su frivolezze che lo smutandano dimostrandone tutta la presuntuosa inutilità.

Buon mercoledì.

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L’era della bile

Saremo persone migliori il giorno che riusciremo a non confondere la vendetta con la giustizia. Non sarà un cammino facile anche se è un percorso possibile: smettere di pensare alla nostra grandezza come risultato della demolizione di quelli che ci stanno intorno sarebbe il primo passo per essere persone migliori, comunità migliori, un Paese migliore e un mondo migliore.

Nell’era della bile invece la distruzione dell’avversario, qualsiasi avversario sia, è l’obiettivo primario: non votiamo perché una parte politica abbia buoni numeri per avere buona incidenza di governo ma votiamo sperando che gli altri spariscano, che facciano un tonfo, che vengano umiliati dai risultati. Non facciamo un lavoro per farlo bene ma troppo spesso ci ritroviamo a dover fare meglio del nostro concorrente che è praticamente un nemico, il suo fallimento ci gratifica quasi di più del nostro lavoro ben fatto.

Inutile dire poi della giustizia che in Italia è diventata una lecita persecuzione che inebria per l’odore del sangue: dei ladri importa che vengano umiliati e ci si dimentica quasi sempre del bottino, dei colpevoli ci interessa che siano messi in condizione di non potersi mai più riabilitare e che spariscano, “buttare via la chiave” è la frase che popola le discussioni, la pena capitale viene citata spessissimo.

Una competizione continua e perfino invertita: fai in modo che l’altro fallisca, questo è il comandamento laico dell’epoca della bile, lavora per il fallimento dell’altro, confida nella sua autodistruzione, godi dei suoi errori come se fossero tuoi traguardi.

Così finiamo per essere parte passiva e sempre in attesa delle disgrazie altrui. Così alla fine siamo arrivati qui dove siamo.

Costruite, costruite senza guardare i tetti degli altri.

Buon venerdì.

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Fare come i razzisti, ma al contrario

È una storia che va raccontata quella dell’aggressione a Beatrice Ion, atleta della nazionale italiana paralimpica di basket e di origine rumena. Bisogna raccontare il razzismo tutti i giorni così che diventi un’emergenza

«Vivo in Italia da 16 anni, ho la cittadinanza italiana e ho fatto qui tutte le scuole. Sto continuando gli studi all’Università, gioco a basket in carrozzina con la Nazionale italiana e mi considero in tutto e per tutto italiana. Eppure sono stata aggredita. Mio papà è in ospedale probabilmente con uno zigomo rotto perché a detta loro siamo stranieri del ca**o che devono tornare al loro paese. Tralascio le offese che mi sono presa perché sono disabile. Io e mamma eravamo dentro e un tipo ci urlava di uscire. Papà stava tornando dalla sua consueta passeggiata e non è riuscito quasi a parlare, colpito da una testata e altro. Urlava anche davanti ai carabinieri: ho un curriculum criminale, a tua figlia handicappata la becco per strada e mi faccio fare un lavoretto… Sono stati davvero brutti momenti. E non mi dite che il razzismo in Italia non esiste. L’ho vissuto oggi dopo 16 anni che vivo qui e fa molto male. A chi ci ha aggredito dico di vergognarsi, saremo anche stranieri ma abbiamo più dignità di loro e chi ha guardato tutto senza fare nulla si dovrebbe vergognare ancor di più».

A raccontare questa storia è Beatrice Ion, stella della nazionale italiana paralimpica di basket, italiana da ben 16 anni e di origine rumena. Beatrice ha incontrato il modello di razzista perfetto: quello che odia gli stranieri, odia i disabili e che riesce addirittura a vedere dei privilegi riservati ai deboli che lui non riesce a sopportare. È una storia significativa perché di fronte al razzismo e alla ferocia ci racconta che non basta nemmeno l’intervento di un genitore, della famiglia ma il razzismo è un liquido velenoso che ha bisogno che tutti si facciano argine per non permettergli di infilarsi dappertutto.

Ma è una storia che va raccontata. Ci ho pensato, mi sono detto che forse era una storia ormai vecchia di qualche giorno e che forse era un caso isolato e poco paradigmatico poi ho pensato che invece queste storie andrebbero raccontate tutte, una per una, tutti i giorni, tutte le volte, ripeterle sui giornali, per strada, al bar, con la stessa ostinazione con cui i razzisti giocano perfidi al sottile gioco di ripetere una bugia per farla diventare parvente verità.

Bisogna fare come loro, al contrario: raccontare il razzismo tutti i giorni così che diventi un’emergenza, qualcosa di cui ci stanchiamo di parlare e di sentire parlare, un atteggiamento troppo ripetuto per poter essere sostenibile. Una cosa così.

E allora, cara Beatrice, sappi che sono in molti a difenderti, moltissimi.

Buon mercoledì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.