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Emile Roemer

La lezione olandese

Sarà che ci avevo visto giusto quando dicevo che la lezione olandese merita di essere seguita con attenzione ed analisi. Perché ora Roemer parla di sinistra, di Europa e soprattutto di alleanze. La responsabilità di dire cose di sinistra (senza cadere nelle facilonerie, ovvio) nel momento di crisi del liberismo è un imperativo che sembra essere più virale di quanto si pensi. E le nostre indecisioni e strategie sembrano ancora più incomprensibili mettendo il naso fuori dai confini nazionali e ascoltando la campagna elettorale olandese. Come racconta anche L’Espresso:

Ci sono un paio di cose da cambiare», afferma il leader socialista. «La principale è avere sul tavolo un’agenda sociale per l’Olanda e per l’Europa. Questa, adesso, è l’Europa per i mercati finanziari, per le grandi società, non è più l’Europa per le persone. Dobbiamo pensare che c’è una via sociale per uscire dalla crisi, dobbiamo avere la possibilità di dimostrare che esiste la possibilità di produrre lavoro, soprattutto per i giovani, di avere diritti sociali, buona sanità e buona istruzione e si può fare pagando tutti, non schiacciando il peso della crisi sulla pelle dei poveri». 

La sua ricetta è fatta di tasse più alte per i ricchi e per le società, rispettivamente al 65 per cento ed al 30 per cento, «cioè ai livelli di altri paesi europei», e di 3 miliardi di investimenti pubblici in infrastrutture. «Bisogna fare, non parlare». Quanto a parlare, ripete spesso la parola “solidarietà”, ma come un prodotto per la casa, non di esportazione. «Altri soldi alla Grecia? Non è una soluzione, negli ultimi mesi glieli abbiamo dati varie volte e le cose non stanno andando meglio. La Grecia ha bisogno di più tempo, non di più soldi». Spagna e Italia hanno invece bisogno di consolidare i conti pubblici e «di una Bce più attiva nel mercato dei titoli, è l’unico modo per abbattere le speculazioni e andare avanti». Sostegno quindi a Mario Draghi nel suo braccio di ferro con la Bundesbank. Quanto a Mario Monti, sospira, sorride e allarga le braccia: non è il suo tipo, glielo si legge in faccia. 

Il problema per Roemer è proprio quello delle alleanze, fuori e dentro l’Olanda. «Vedremo cosa succederà», conclude pensando al 12 settembre. «Io voglio un governo il più di sinistra possibile, voglio una risposta sociale alla crisi, non andrò al governo con nessun politico di destra e un’agenda liberale. E vorrei lavorare in Europa con altri governi socialisti». Merce rara.

Occhio all’Olanda

Ne sentiremo parlare. E’ un momento politico da studiare, seguire, analizzare. Ci siamo presi questo impegno, del resto. Intanto ne scrive Mario Pianta:

Nessuno in Italia ha mai sentito nominare Emile Roemer. È oggi il politico più popolare d’Olanda, capo del Partito socialista (di sinistra) che secondo i sondaggi potrebbe diventare il primo partito del paese nelle elezioni del 12 settembre prossimo. Secondo i sondaggi di Maurice de Hond, i socialisti potrebbero passare da 15 a 34 seggi, i liberali del primo ministro Mark Rutte scenderebbero a 32, la destra sarebbe in calo. Per governare, serve una maggioranza di 76 seggi; i socialisti potrebbero allearsi con il più moderato partito laburista e con la GreenLeft; i liberali hanno un alleato storico nei democristiani, ma tutti questi partiti sono a terra nei sondaggi. Una parte importante dell’elettorato laburista e verde è deciso a scegliere i socialisti, ma i sondaggi suggeriscono che potrebbero raccogliere voti anche a destra. Il perché di questo possibile successo? La politica anti-austerità proposta dai socialisti, con una ferma opposizione ai 13 miliardi di euro di tagli al bilancio imposti dal governo per portare il deficit sotto il 3% del Pil, come chiesto dal “Fiscal compact” deciso dall’Unione europea.

Al ritorno dalle vacanze potremmo avere una nuova lezione sul valore della democrazia e sulla forza elettorale che può avere un’alternativa alla crisi e alle politiche neoliberiste. Non verrebbe più, come nel giugno scorso, dal paese più in difficoltà d’Europa, la Grecia, dove la sinistra radicale di Syriza, guidata dal giovane Alexis Tsipras, è arrivata a un passo dalla maggioranza. Questa volta verrebbe da uno dei pilastri dell’ortodossia neoliberista, l’Olanda, il più fedele alleato di Berlino, il paese che per primo era andato alle elezioni dopo lo scoppio della crisi e – incredibilmente – aveva scelto la destra, il liberismo di Mark Rutte e l’alleanza con la destra xenofoba e populista, il Partito della libertà di Geert Wilders, proprio quando il crollo della finanza e la recessione del 2009 mostravano a tutti i disastri del liberismo. Oggi in Olanda tutto sembra cambiare. Il voto a sinistra, il possibile consolidamento di un blocco sociale post-liberista vengono dalla semplice necessità di difendere i propri interessi. Ben diverso dalla spinta al cambiamento esplosa ad Atene, nata dalla disperazione per la tragedia greca. A rompere con il passato sarebbero i cittadini di un paese appena scalfito dalla crisi, con un basso debito pubblico (ma con un altissimo debito privato), che ha lungamente praticato politiche liberiste di ogni tipo (mercato del lavoro flessibile, part time diffusissimo, finanziarizzazione dell’economia), ma che continua ad affidarsi al welfare state.