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epica

Gli Schwazer dimenticati: ogni anno in Italia distrutta la vita a mille innocenti

Tra le vittorie di Alex Schwazer, il marciatore italiano che stava sulla cima del mondo ed è rotolato nel fango per un reato che non ha mai commesso, ce n’è una che non gli garantirà nessuna medaglia ma che potrebbe essere una lezione universale. Essere prosciolti da un’accusa ingiusta costa: costa in termini economici, costa per i traguardi bruciati, pesa per tutto il vilipendio feroce che si scatena ogni volta già nel momento dell’accusa ma soprattutto ferisce per il tempo. Sanguinano quei cinque anni che Schwazer ha passato per ottenere giustizia e che non gli verranno restituiti, mai. Forse potrebbero anche essere risarciti: ma voi fareste cambio per soldi del vostro tempo che non avete vissuto, della fama rovinata?

Sui giornali di ieri, nelle trasmissioni e sui social è un coro unanime di sdegno misto a vergogna in soccorso del marciatore altoatesino e rimbomba l’invocazione “giustizia” in modo bipartisan, ci sono dentro quelli considerati troppo garantisti e ci sono dentro anche quelli che solitamente agitano il cappio e invece questa volta si sciolgono di fronte allo sportivo che rende la vicenda fascinosamente epica, pronta per farci un editoriale cardiaco e per coniugare le fatiche della marcia, la linea del traguardo, la fatica di una rincorsa lunga: una narrazione troppo golosa per non buttarcisi a pesce.

Solo che in Italia siamo pieni di Schwazer. Non indossano divise e non finiscono sui quotidiani sportivi, hanno compiuto imprese senza il riconoscimento del podio e le loro marce contro la giustizia hanno gli stessi relitti: famiglie distrutte, rapporti professionali perduti, carriere che sono deragliate e poi non sono più ripartite, piccole gogne locali che hanno la stessa bile di quelle grandi e nazionali, la sensazione inumana di subire un’ingiustizia e di non trovare il modo per dirlo, lo stesso meccanismo turpemente lunghissimo per riuscire ad ottenere una sentenza che riabilita sulla carta ma che non riesce a rimetterti in piedi, la consapevolezza che la giustizia che deraglia sia il più grosso crimine che si possa vivere in un Paese democratico.

Per gli Schwazer senza scarpe da corsa la proclamazione della loro innocenza è un pacca sulla spalla che rimbomba per il vuoto che si è creato intorno, spesso non finisce nemmeno su quegli stessi giornali che li hanno crocifissi ed è una misera consolazione che non si riesce a condividere. Nemmeno da assolti spesso si riesce a urlare la propria innocenza. I dati delle vittime di ingiusta detenzione e di chi subisce un errore giudiziario sono mostruosi: dal 1991 al 31 dicembre 2019 sono 28.893 persone, 996 all’anno. E il costo di questa pandemia sotterranea che si fatica a proporre al dibattito pubblico non è solo sociale e umano ma è costato in 28 anni 823.691.326,45 euro: sono circa 28 milioni e 400mila euro all’anno.

La stragrande maggioranza di loro tra l’altro ha dovuto sopportare molto di più di un processo in giusto e della gogna: dal 1992 (anno da cui parte la contabilità ufficiale delle riparazioni per ingiusta detenzione nei registri conservati presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze) al 31 dicembre 2019 28.702 persone sono finite in custodia cautelare da innocenti, 1025 innocenti ingiustamente detenuti ogni anno, quasi tre al giorno.

Allora forse varrebbe la pena trasformare in un’occasione tutta questa giusta indignazione per il caso Schwazer in una riflessione generale, nell’impegno dello Stato di garantire il margine minimo di errore ma soprattutto in un principio di cautela (sprezzantemente chiamato “garantismo”) che dovrebbe indurci a riflettere su quante volte i carnefici siano quelli che stigmatizzano qualsiasi dubbio in un giudizio.

A Schwazer sono in molti a dover chiedere scusa, non solo i tribunali, per il marchio a fuoco che gli hanno impresso addosso e che ora in modo un po’ patetico cercano di spolverargli via. Siamo pieni di Schwazer in giro per strada, persone che incrociamo indifferenti convinti che non ci possa capitare. E quando capita si finisce dentro il buco. Questa sarebbe la medaglia da perseguire.

L’articolo Gli Schwazer dimenticati: ogni anno in Italia distrutta la vita a mille innocenti proviene da Il Riformista.

Fonte

L’intergruppo “Smutandati da Draghi”

I leghisti che plaudono alla cessione di sovranità all’Europa. I renziani entusiasti di un esecutivo che non parla di Mes. Il voto di fiducia al governo Draghi è stato il teatro di giravolte e capriole della politica

C’è talmente tanta ansia di comunicazione che alla fine tutti si esercitano nel solito esercizio: immaginare un programma di governo dalle parole di un discorso di insediamento vale più o meno come cavare il sangue da una rapa, soprattutto se il discorso al Parlamento è un elenco sartoriale (come l’oratore) di buoni propositi che possono voler dire tutto e il suo contrario.

Certo ieri Draghi ha fissato dei paletti e degli obiettivi dal profilo alto e di natura ambiziosa ma cosa ci possa essere dietro è ancora tutto da vedere. C’è dentro molta Europa (poi ci torniamo) com’era inevitabile che fosse ma bisogna capire se l’idea «di un’Unione europea sempre più integrata che approderà a un bilancio comune» indica una comunità di fatturati o di persone, c’è dentro la scuola ma si insiste sui «giorni di lezione persi» ed è un’affermazione falsa e piuttosto di pancia, c’è dentro finalmente la questione femminile collegata all’occupazione (ha detto Draghi: «aumento dell’occupazione, in primis, femminile, è obiettivo imprescindibile: benessere, autodeterminazione, legalità, sicurezza sono strettamente legati all’aumento dell’occupazione femminile nel Mezzogiorno») ma bisognerà vedere ovviamente come risolverla, c’è dentro molto ambiente (del resto lo chiede l’Europa, davvero), c’è dentro la cura per il patrimonio culturale anche se nella solita perversa visione della sua messa a reddito «per il turismo», c’è dentro la riforma strutturale del fisco che non può essere il mettere o togliere questo o quel balzello ma che ha bisogno di un pensiero totale che ne tocchi tutto l’impianto (ma bisogna vedere a favore di chi), ci sono dentro i giovani (quelli non mancano mai nei discorsi politici), c’è dentro il lavoro con una responsabilità politica enorme (scegliere quali aziende sostenere è una delle scelte più politiche che spetta a un governo, altro che tecnici), c’è dentro la promessa di politiche attive per i lavoratori (ma anche su questo non resta che aspettare i concreti provvedimenti). Volendo vedere ci sono anche parole che speriamo di avere interpretato male sull’immigrazione visto che è stata proposta come questione europea e l’esternalizzazione delle frontiere messa in atto dall’Europa è roba vergognosa che andrebbe rivista: nessuna parola su cittadinanza e integrazione, ad esempio. Parlando di ambiente è riuscito a buttarci dentro anche un ipotetico dialogo con il Signore, eh vabbè. Vedremo, osserveremo, vigileremo.

Però la giornata di ieri è stata anche e soprattutto la giornata dello smutandamento di politici ingarbugliati in capriole che sono stati smascherati da un governo che tra i suoi pregi ha sicuramente quello di svelare la bassa natura di alcuni protagonisti.

Per chi aspettava ad esempio con curiosità le parole dei renziani di Italia viva sul Mes che per Renzi era dirimente per l’eventuale fiducia al governo Conte (il 17 gennaio scorso disse «non voterò mai un governo che si ritiene il migliore del mondo e di fronte a 80mila morti non prende il Mes») c’è la fenomenale dichiarazione di Faraone: «Ci chiedono strumentalmente perché non chiediamo più il Mes. Non lo facciamo perché il nostro Mes è lei, presidente Draghi, e questo governo». Ecco, credo che non servano altri commenti.

Per chi ci diceva che il Recovery plan del precedente governo fosse “uno schifo” arrivano le parole di Draghi che confermano invece la «grande mole di lavoro» del governo precedente e l’intenzione di continuare in quella direzione. Così, per capire quanta ipocrisia ci siamo sorbiti nei giorni scorsi.

Draghi ha parlato di un rafforzamento della sanità territoriale e di fianco aveva Giorgetti, quello che diceva: «Mancheranno 45 mila medici di base, ma tanto nessuno va più da loro. È un mondo finito». Una scena epica.

Ma il campione delle giravolte è ovviamente Matteo Salvini che ieri è diventato turbo europeista lanciandosi a dire: «Vogliamo l’Europa 7 giorni su 7». Draghi ha parlato dell’irreversibilità dell’euro e lui si è inzerbinato, Draghi ha parlato di cessione della sovranità e il sovranista ha fatto sì sì con la testina. Un massacro. Se avete voglia di divertirvi andatevi a leggere i commenti dei suoi elettori sotto i suoi profili social: un’arena contro il capitano. Giorgia Meloni se la ride.

Lo slurp del giorno, manco a dirlo, lo vince Raffaella Paita di Italia viva: «Tra gli aspetti che mi hanno colpito del discorso di #Draghi c’è un dettaglio che probabilmente non tutti hanno notato. Quando veniva interrotto da applausi ricominciava il periodo dall’inizio per rispettare il rigore del ragionamento. #questionedistile #senato», ha scritto ieri. Evviva.

Buon giovedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.