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L’ultimo record del “nuovo Rinascimento”: l’Arabia saudita è il maggior acquirente di armi al mondo

Va forte il “nuovo Rinascimento” in Arabia Saudita, non c’è che dire, se è vero che il Paese ha scalato velocemente la classifica mondiale che racconta meglio di tutto quale sia l’aria da quelle parti: lo Stato del principe ereditario Mohammed bin Salman, quello che è stato presentato al mondo come fautore di nuovi diritti e nuove primavere dal senatore Matteo Renzi, è diventato il primo Paese importatore di armi al mondo, raggiungendo l’11% dell’import mondiale di armi ricevute.

Il primo fornitore dell’Arabia Saudita – secondo l’ultimo rapporto dell’Istituto internazionale della Ricerca sulla Pace – sono gli Stati Uniti, che coprono il 79% di tutti i loro acquisti: solo nel 2020 i sauditi hanno acquistato 91 aerei da combattimento.

In Europa per ben 5 volte sono state votate delle risoluzioni contro le esportazioni di armi verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi: l’ultima proprio a febbraio per chiedere “un divieto a livello europeo per quanto concerne l’esportazione, la vendita, l’aggiornamento e la manutenzione di qualsiasi forma di equipaggiamento di sicurezza a destinazione dei membri della coalizione, compresi l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, in considerazione delle gravi violazioni del diritto internazionale umanitario e del diritto internazionale in materia di diritti umani commesse nello Yemen”. Una guerra che a oggi conta 133mila morti e 3,6 milioni di sfollati interni.

In Italia lo scorso 29 gennaio il governo ha deciso di revocare le autorizzazioni per l’esportazione di missili e bombe d’aereo verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, revocando di fatto almeno 6 diverse autorizzazioni, già sospese a luglio del 2019, tra le quali la licenza Mae 45560 decisa verso l’Arabia Saudita nel 2016 durante il Governo Renzi relativa a quasi 20mila bombe aeree della serie MK, per un valore di oltre 411 milioni di euro.

L’atto del Governo Conte fece seguito alla mozione delle parlamentari della commissione Esteri della Camera Yana Chiara Ehm (M5s) e Lia Quartapelle (Pd), approvata il 22 dicembre 2020 dal Parlamento italiano.

L’Europa fa blocco, ma l’Arabia Saudita continua comunque a rifornirsi e a riempire gli arsenali da altre fonti. Del resto avere l’armadio stipato di missili e bombe deve essere la prima caratteristica del “nuovo Rinascimento”: quello che da quelle parti ha l’odore degli oppositori fatti a pezzi e della polvere da sparo. E forse questi numeri raccontano benissimo quali siano gli interessi del brillante principe ereditario.

Leggi anche: 1. Cinque domande a cui Matteo Renzi deve rispondere (a un giornalista) / 2. Omicidio Khashoggi, Renzi ribadisce che è “giusto avere rapporti con l’Arabia Saudita” / 3. Se Renzi vivesse in Arabia Saudita (di Selvaggia Lucarelli)

 

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Sui vaccini indaga Zuccaro, il ‘complottista delle Ong’ idolo di destra e grillini

Tra le procure che hanno aperto indagini sulle eventuali reazioni avverse dei vaccini c’è la procura di Catania, con il procuratore Zuccaro che sta indagando per il reato 443 c.p (“Commercio o somministrazione di medicinali guasti o imperfetti”) ed è bastato giusto il tempo di mettere in piedi una bella conferenza stampa per lanciarsi in una dichiarazione che lascia a dir poco interdetti: «Stiamo verificando – ha detto il procuratore Carmelo Zuccaro al quotidiano La Repubblica – se determinati soggetti trombofilici possano avere una predisposizione ad attivare alcuni fattori detonatori. Potrebbero esserci nel vaccino eventuali controindicazioni per alcune persone, controindicazioni che non sono state analizzate considerato il poco tempo a disposizione per la realizzazione del farmaco». E poi: «L’obiettivo della nostra indagine è raccogliere dati su questo aspetto particolare e provare a dare un contributo alla scienza. E così spazzare via tutte le diffidenze attorno a un vaccino che è indispensabile».

Evidentemente siamo ingenui noi a pensare che le indagini servano per indagare su un presunto reato senza sapere invece dell’esistenza di inchieste con finalità di ricerca scientifica: nelle parole del procuratore ci sono già le “reazioni gravi” (ma allora a che serve l’Ema?), c’è la poca informazione scientifica di chi parla di “sostanze o altro nelle fiale” (qui siamo oltre la chimica e la famaceutica: siamo in un film di spionaggio di 50 anni fa) e c’è il diritto del dubbio antiscientifico applicato alla scienza. Zuccaro, vale la pena ricordarlo, è sempre quello che nel 2017 parlò in lungo e in largo del suo personale bisogno di «denunciare un gravissimo fenomeno criminale» intorno alle Ong che a suo dire agivano in combutta con gli scafisti.

«Potrebbe anche essere, e sarebbe più inquietante, che queste Ong perseguono finalità di destabilizzazione dell’economia italiana», disse leggero in televisione, dando di gomito ai peggiori complotti finanziari internazionali. Venne intervistato, venne audito in Parlamento, divenne l’idolo di certa destra e del M5S. Peccato che mancassero quei piccoli particolari che in un processo si chiamano “prove”: «E’ possibile ma è solo un’ipotesi che al momento non ha riscontro», diceva. «Non lo posso escludere, ma non lo posso neanche sostenere».

Niente prove, niente riscontri (che evidentemente per un magistrato sono solo inezie) ma in compenso ci fu a lungo una gran caciara utile a ingrossare un certo clima. Il processo ovviamente finì in un buco nell’acqua, la sua mancanza di riservatezza è stata in fretta dimenticata. Ora Zuccaro si butta sui vaccini e ricomincia con la sua solita pacatezza come se non avesse imparato la lezione. A proposito della cautela dovuta in questa caso.

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Non irridere la paura

Il caos è evidente e non è, come qualcuno vorrebbe comodamente farci credere, un caos provocato dalla paura dei cittadini, quella che qualcuno chiama “irrazionalità della rete” o qualcun altro butta nel cestino dei “No vax”.

Al di là degli inevitabili complottisti di cui poco ci interessa (a proposito, notatelo: prima negavano che esistessero morti per Covid e oggi invece sono sicuri che esistano morti per il vaccino dappertutto, fenomenali) c’è una larga fascia di popolazione che ha paura, una paura alimentata dai messaggi contrastanti che arrivano in questi ultimi giorni, paura provocata dalla sensazione di non comprendere le decisioni di chi governa (per questo forse sarebbe stato il caso di ascoltare parole nette dal presidente del Consiglio uscendo da questo solito stolto silenzio), paura che è figlia anche di un anno usurante che ci propone una luce in fondo al tunnel che si allontana ogni giorno per un qualche motivo, paura per la stanchezza accumulata, paura per il futuro difficile non solo dal punto di vista sanitario.

E certo la paura non va alimentata, certo che no, e non va nemmeno sfruttata per fini di propaganda: la paura però merita risposte, va governata, bisogna affrontarne le cause e ha bisogno di assunzioni di responsabilità. La paura si governa con un trasparente dibattito democratico fatto di numeri, di prospettive e di credibilità messa in campo.

Irridere la paura significa in questo momento creare due opposte tifoserie, tra scetticismo e fideismo, e non serve assolutamente per tenere insieme il blocco sociale essenziale per uscire da questa crisi. Un percorso che costruisca fiducia (e ancora di più che la ricostruisca dopo questi giorni neri) ha bisogno di una naturale predisposizione all’ascolto. No, non è vero che tutti quelli che in queste ore sono tramortiti siano degli scellerati negazionisti. E non è nemmeno vero che la comunicazione politica e scientifica di questi giorni sia stata all’altezza.

La credibilità si costruisce giorno per giorno, si alimenta giorno dopo giorno, non si rivendica irridendo le preoccupazioni. Sarà un percorso lungo, ora ancora più difficile.

Buon mercoledì.

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Lamorgese peggio di Salvini, il Pd scelga: Travaglio o accoglienza?

Tenetevi forte perché manca poco al ritorno dello spettro dei migranti clandestini, degli sbarchi sconsiderati e di tutta quell’orrenda narrazione contro le Ong nel Mediterraneo lasciato sguarnito in modo criminale dall’Europa. E preparatevi perché se è vero che conosciamo già perfettamente alcuni personaggi in commedia, a partire da quel Salvini che già da qualche giorno è tornato sull’argomento per provare a frenare lo scontento tra quei suoi elettori affamati di cattivismo e ancora di più incattiviti dalla pandemia, e a ruota ovviamente Giorgia Meloni per occupare quello spazio politico, soprattutto tornerà alle origini quel Movimento 5 Stelle che si è ammantato di solidarietà per incastrarsi nel secondo governo Conte ma che ora è pronto al ritorno delle sue radici peggiori.

La tromba della carica l’ha suonata ovviamente Marco Travaglio in uno dei suoi editoriali che sostituiscono da soli le assemblee di partito e che ha usato tutto l’armamentario del razzismo con il colletto bianco per puntare il dito contro le Ong, per irridere le “anime belle” (che per Travaglio sono la categoria di tutti quelli che non la pensano come lui ma che non possono essere manganellati con qualche indagine trovata in giro) e mischiando come al solito le accuse con le sentenze, gli indagati con i colpevoli, le ipotesi dei magistrati come “fatti” e gli stantii pregiudizi come acute analisi. Così la chiusura delle indagini della procura di Trapani per un presunto reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina nel caso Iuventa basta al suggeritore dei grillini per richiamare tutti alle armi: picchiamo sui migranti, bastoniamo le Ong e chissà che non si riesca spremere qualche voto anche da qui.

E fa niente che sia dimostrato dai dati (e da anni) che “gli angeli delle Ong” (come li chiama Travaglio per mungere un po’ dalla vecchia accusa di “buonismo”) non “attirano e incoraggiano il traffico di esseri umani”: Travaglio trova terribilmente sospetto che delle organizzazioni dedite al soccorso in uno spicchio di mare conoscano perfettamente quel mare e i luoghi dei naufragi. La competenza del resto da quelle parti è vista con diffidente apprensione. Ma agli osservatori più attenti, quelli che semplicemente non si sono fatti infinocchiare dallo storytelling del Conte bis, forse non sarà sfuggito che Di Maio sia proprio quel Di Maio che discettava allegramente delle Ong come “taxi del mare” quando c’era da accarezzare l’alleato Salvini e Giuseppe Conte sia proprio quel Giuseppe Conte, nessuna omonimia, che partecipava allegramente alla televendita dei Decreti Sicurezza che andarono alla grande durante la stagione della Paura.

Ovviamente nessuna parola sull’omesso soccorso in violazione del Diritto internazionale del Mare che è un crimine di cui il governo italiano e l’Europa si macchiano almeno dal lontano 2014 quando il governo Renzi decise di stoppare l’operazione Mare Nostrum della nostra Marina militare e niente di niente su quella Libia (e qui invece ci sono tutte le prove e tutte le condanne per farci una decina di numeri di giornale) che è un enorme campo di concentramento a forma di Stato, così amico del governo italiano. Ma la domanda vera è chissà cosa ne pensa il Pd, questo Pd che ci promette tutti i giorni che domattina si risveglierà più umano e attento ai diritti e che è sempre pronto (giustamente) per opporsi sul tema a Salvini ma che è stato così terribilmente distratto con i tanti Salvini travestiti che ci sono qui intorno.

Il Pd che ci ha indicato come “punto di riferimento riformista” il presidente del Consiglio che fece di Salvini il più splendente Salvini, il Pd che ancora fatica a riconoscere le responsabilità del “suo” ministro Minniti, il Pd che con il precedente governo prometteva “un cambio di passo” sui diritti dei migranti fermandosi solo alla sua declamazione, mentre la ministra dell’Interno del Conte bis, lo racconta il ricercatore dell’Ispi Matteo Villa, bloccava contemporaneamente ben sette barche delle Ong tra il 9 ottobre e il 21 dicembre 2020 riuscendo a fare meglio perfino di Salvini, rispettando in tutto e per tutto la linea d’azione del leader leghista stando con la semplice differenza di non rivendicarla sui social insieme a pranzi e gattini.

Se il nuovo Pd di Letta vuole recuperare credibilità forse è il caso che ci dica parole chiare su questa irrefrenabile inclinazione dei suoi irrinunciabili alleati perché alla fine Salvini rischia di risultare onestamente feroce in mezzo a tutti questi feroci malamente travestiti.

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Ci sono anche buone notizie

Ieri la neo ministra della Giustizia Marta Cartabia è stata audita dalla commissione Giustizia della Camera sulle linee programmatiche del suo dicastero e si è avuta la netta sensazione di ascoltare finalmente parole nuove rispetto a certa giustizia turboferoce che abbiamo visto negli ultimi anni. Certo, dirà qualcuno, siamo solo alle parole ma le buone parole sono il preludio migliore per le augurabili buone azioni e mentre monta un certo cattivismo che vorrebbe “il carcere a vita” per qualcuno che viene processato direttamente sui social ascoltare un ritorno alla ragionevole umanità non può che essere una buona notizia.

La ministra ha chiarito che è impensabile pensare a una “riforma del sistema” vista l’enormemente larga maggioranza che sostiene questo governo (che sulla giustizia come su molti altri temi ha idee praticamente opposte) ma ha ribadito che vanno messi in campo «tutti gli sforzi tesi ad assicurare una più compiuta attuazione della Direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali». Cartabia ha anche parlato della «necessità che l’avvio delle indagini sia sempre condotto con il dovuto riserbo, lontano dagli strumenti mediatici per una effettiva tutela della presunzione di non colpevolezza, uno dei cardini del nostro sistema costituzionale».

Finalmente si sente anche una ministra che ha il coraggio di dichiarare «opportuna una seria riflessione sul sistema sanzionatorio penale che, assecondando una linea di pensiero che sempre più si sta facendo strada a livello internazionale, ci orienti verso il superamento dell’idea del carcere come unica effettiva risposta al reato». Con un parallelo la ministra ricorda in audizione ala Camera che «la certezza della pena non è la certezza del carcere, che per gli effetti desocializzanti che comporta deve essere invocato quale extrema ratio. Occorre valorizzare piuttosto le alternative al carcere, già quali pene principali. Un impegno che intendo assumere è di intraprendere ogni azione utile per restituire effettività alle pene pecuniarie, che in larga parte oggi, quando vengono inflitte, non sono eseguite. In prospettiva di riforma sarà opportuno dedicare una riflessione anche alle misure sospensive e di probation, nonché alle pene sostitutive delle pene detentive brevi, che pure scontano ampi margini di ineffettività, con l’eccezione del lavoro di pubblica utilità».

Erano anni che non si sentivano parole così, pensateci.

(Ah, per tutti quelli che ci faranno notare che proprio qui sul Buongiorno abbiamo criticato aspramente Cartabia per le sue posizioni oscurantiste sui matrimoni gay e per la sua vicinanza a Cl: sì, lo pensiamo ancora. Ma nel nostro patto con i lettori ci eravamo ripromessi di giudicare i fatti, passo dopo passo. E passare dal giustizialismo a un’ipotesi di giustizia giusta è una buona notizia)

Buon martedì.

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Letta Continua

Siamo nell’epoca Letta. Lo so, siamo in un momento politico strano, talmente nauseati che anche i cavalli di ritorno ci provocano sussulti, del resto già da un po’ ci siamo ridotti a rimpiangere la Prima Repubblica vista la consistenza di quelle venute dopo. Politicamente la notizia è questa: Enrico Letta è stato votato segretario da quelli che nel 2014 lo cacciarono. E, badate bene, i protagonisti sono sempre gli stessi, travestiti o mimetizzati o nella parte dei convertiti, sempre loro.

Però nel momento storico in cui tutti i leader di partito si accodano allo smussamento rivenduto come buona educazione (quando invece è solo insana pavidità politica) Enrico Letta ha deciso, nonostante lo dipingano come annacquato, di essere smodato e di porre questioni che gli altri hanno finto di dimenticare. I punti che ha posto all’assemblea del Partito democratico sono comunque aria fresca rispetto allo stantio parlare a cui eravamo abituati e avere il coraggio in un momento come questo di parlare di ius soli spazza via molte delle giustificazioni che sono sempre state adottate, quando c’era altro a cui pensare, quando si aveva paura di prendere posizione, quando sembrava addirittura una bestemmia prendere di petto Salvini e le sue politiche. Nella nazione in cui si celebrano le arance perché italiane, le auto perché italiane, le magliette perché italiane gli unici italiani non italiani sembrano essere rimasti i bambini nati in Italia.

Anche il voto ai giovani di 16 anni è un tema che ha attraversato l’Europa e che solo qui da noi ci ha sfiorato da lontano solo qualche volta. Eccolo, è arrivato. Si può essere d’accordo o meno ma aprire un dibattito è doveroso. Anche sui giovani, come spesso accade, si ascoltano gli adulti dare lezioni e poco altro.

In una democrazia matura che i partiti (di qualsiasi colore) riescano a trovare una leadership all’altezza è l’auspicio di tutti, no? Quindi nella fase delle parole, che è la fase più facile, c’è da dire che Letta ha avuto il coraggio di osare.

C’è un piccolo particolare, però, tanto per non cadere in facili entusiasmi e l’ha raccontato benissimo ieri Civati in un’intervista a Repubblica. Dice Civati: «Sono almeno 10 anni che tutti i leader del Pd parlano di ius soli. Lo abbiamo fatto? No. La verità è che la sinistra nel Pd non c’è più, sono tutti democristiani. Non c’è la sostanza, non c’è il conflitto, è un partito di sistema. Io spero tantissimo che Letta l’abbia imparato e che riesca a rompere gli schemi».

Ecco, appunto.

Buon lunedì.

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Da lunedì 3 settimane chiusi in casa ma nessuno ha il coraggio di chiamarlo per quel che è: lockdown

Avete seguito la conferenza di stampa di Draghi in cui ha illustrato il peggioramento dei colori delle regioni che di fatto istituisce il (doveroso, vista la situazione) lockdown praticamente su quasi tutto il territorio nazionale e che prevede nuove restrizioni in occasione delle prossime festività pasquali? No, perché non c’è stata nessuna conferenza stampa.

Avete sentito le voci di sdegno dei giornalisti che rivendicano (giustamente) il diritto di porre delle domande e di ottenere delle risposte, quelli che lamentavano (giustamente) lo storytelling imposto da Casalino senza nessuna possibilità di contraddittorio? No, perché non ce ne sono state.

A proposito: cosa ne dite delle comunicazioni al Parlamento (lungamente invocate) sulle prossime chiusure e della ricchissima discussione parlamentare che ne è seguita? Niente, nemmeno qui. Non ci sono state. Avete sentito, a proposito, gli strepiti di Salvini che contesta la dittatura sanitaria e che invita il ministro Speranza (è sempre lui il ministro, eh) ad andare a casa perché incapace di prendere qualsiasi altra decisione che non sia una chiusura totale? Niente, niente di niente. Zero.

L’Italia è nel pieno della terza ondata, lo dimostrano i numeri e purtroppo coloro che sono stati apostrofati come “catastrofisti” hanno avuto ragione e ancora una volta il governo è costretto (come accade in tutti i Paesi del mondo) a correre ai ripari con nuove restrizioni.

Si può discutere per giorni se è stato fatto tutto il possibile per mettere in sicurezza il Paese, si può (e si deve) controllare passo per passo la campagna vaccinale e la prontezza delle risposte del sistema sanitario ma la grande differenza del governo Draghi (che inevitabilmente si ritrova a dover prendere le stesse misure di prima) sembra essere un condono comunicativo che si dovrebbe accettare in nome di una non precisata presenza di “tecnici” a cui è permesso non comunicare.

Così accade che qualsiasi provvedimento necessario ma impopolare scivoli liscio come se fosse un naturale meccanismo che non ha bisogno di spiegazioni e che gode di una silenziosa accondiscendenza. Ma il punto sostanziale rimane uno: essere presidente del Consiglio significa ricoprire un apicale ruolo politico e la politica ha il dovere di accompagnare le azioni con esaurienti spiegazioni e con l’assunzione di responsabilità per il presente e per il futuro.

Draghi può essere “un tecnico” ma non può permettersi di fare “il tecnico” nel ruolo che ricopre. Non durerà a lungo questo velo, no, qualcuno glielo dica, per il suo bene e per il bene del governo.

Leggi anche: 1. I ristori ancora non si vedono, ma c’è Draghi e va tutto bene / 2. Prima si lamentavano per la “dittatura sanitaria”. Ma ora che le chiusure le fa Draghi va tutto bene

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A pochi metri dalla solita manfrina

Che Matteo Salvini sia terribilmente scomodo in questo governo allargato è un’evidenza negata solo da quelli che per convenienza hanno voluto rivenderci la svolta del leader leghista, tanto per magnificare preventivamente le doti di Draghi nel mondare salvificamente una politica che invece (purtroppo) rimane sempre uguale a se stessa. Che la base di Salvini sia in subbuglio, soprattutto quella più estrema ai limiti del negazionismo che ha accarezzato di sponda in tutti i mesi di questa pandemia è un fatto che basta verificare scorrendo i commenti ai suoi post su uno qualsiasi dei social che il segretario leghista utilizza con veemente frequenza. Anche i molti imprenditori che confidavano in lui per un fulmineo ritorno alle aperture e a una presunta normalità (perfino sfidando i ragionevoli rischi del virus) sono parecchio incazzati.

A questo aggiungeteci che all’interno del partito Salvini comincia a perdere appoggi importanti e a soffrire figure come quella di Giorgetti che viene considerato molto più affidabile dai ceti produttivi del nord, senza dimenticare Zaia che da tempo aspetta solo il momento giusto per provare a tirare la sua zampata e prendersi il partito. Se non bastasse là fuori c’è anche Giorgia Meloni che nella più comoda posizione di oppositrice al governo ha le mani libere per sparare a palle incatenate contro le decisioni di Draghi e dei ministri senza doversi prendere la responsabilità di proporre per forza delle alternative.

E che farà Salvini? Tornerà a essere il solito Salvini. Anzi, ha già cominciato. Nella distrazione generale ha cominciato a spargere un po’ di messaggi di odio e di razzismo: l’8 marzo ha commentato la notizia del referendum in Svizzera sul burqa mischiando un po’ le carte e parlando di «una decisione dei cittadini a difesa dei valori della civiltà occidentale ed europea, contro ogni violenza, discriminazione e sopraffazione»; lo stesso giorno ha scritto che «serve più rigore nel controllo degli sbarchi, anche alla luce del recente allarme dei Servizi di intelligence sui rischi di infiltrazione terroristica: i confini dell’Italia sono confini europei»; il 9 marzo è tornato ai fasti di un tempo annunciando l’intenzione di «confrontarmi al più presto con il Presidente Draghi e il ministro Lamorgese per trovare soluzioni. L’Italia soprattutto in pandemia – e con molti cittadini costretti a casa – non può permettersi sbarchi a raffica, clandestini a spasso e illegalità»; ieri è partito con le solite menzogne sbraitando «che il traffico di esseri umani sia un business per la malavita organizzata e che alcune Ong siano complici era una mia convinzione ed ora lo è anche di diverse procure» e dicendo chiaramente «continuo a pensare che, anche in un momento di pandemia, tornare a difendere i confini sia una necessità».

Come al solito, quando si trova in difficoltà, estrae dal cilindro migranti e confini che gli hanno fruttato tanta fortuna. Solo che il difficile momento nazionale (e la conformazione di questo governo) renderanno ancora più difficile la sua propaganda e allora urlerà ancora più forte, ancora più feroce, ancora più violento. E tornerà il solito Salvini, la sua conversione si dimostrerà una semplice posa e si ricomincia tutto da capo.

Segnatevelo.

Buon venerdì.

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I ristori ancora non si vedono, ma c’è Draghi e va tutto bene

Per ora hanno cambiato il nome: non si chiamano più “ristori”, ora si devono dire “sostegni” e, quando si è saputo in giro, la pletora di adoratori di Draghi e del Governo dei Migliori ha lanciato gridolini di gioia. A volte basta poco, evidentemente.

Però, che siano ristori o sostegni, la realtà dei fatti dice che di soldi per ora non ne siano arrivati: la crisi politica ha bloccato gli aiuti alle attività e alle imprese e da due mesi e mezzo (gli ultimi aiuti sono stati varati a dicembre) gli imprenditori si ritrovano senza aiuti nonostante le chiusure e, soprattutto, con la previsione di un’ulteriore stretta nei prossimi giorni.

Sui ritardi, tra l’ao, si registra un curioso silenzio della Lega (e infatti molti elettori sono infuriati con Salvini per questo improvviso cambio di rotta), interrotto solo dalle parole del ministro al Turismo Massimo Garavaglia che annuncia (ma non era il governo “del fare” senza annunci?) una prossima “misura importante per la montagna”.

Anche Fratelli d’Italia, pur essendo all’opposizione e nonostante per mesi abbia gridato allo scandalo per i ritardi degli aiuti di Stato, tace. Le voci (timide) di protesta si sono levate dal capogruppo del Pd al Senato, Andrea Marcucci, che parla di “ritardo accumulato” dicendo che “è urgente, urgentissimo, approvare il decreto sui ristori. “È passato del tempo ormai dallo scostamento di bilancio che approvammo in Parlamento con 32 miliardi previsti per le imprese”, fa notare il senatore dem.

Anche il capogruppo al Senato del M5S, Ettore Licheri, prova a porre il punto: “Adesso però un governo c’è, ed è bene che i ministeri competenti si attivino con maggiore decisione”, ha detto in una nota.

Poi c’è un ao aspetto curioso: da qualche settimana non si vedono più in televisione e sui giornali ristoratori e partite Iva che protestano, eppure proprio in queste ore si stanno preparando nuove manifestazioni. Forse ha ragione lo chef Gianfranco Vissani, che racconta di non essere più chiamato “in tv per parlare del problema, come avveniva invece durante il governo Conte”.

Fermi anche i congedi parentali e i bonus baby sitter per chi ha figli in Dad, aiuti non ancora rinnovati nonostante la chiusura di molte scuole sul territorio nazionale a causa della cosiddetta “terza ondata”.

Tra pochi giorni è un mese di Governo Draghi. Quello che doveva essere un fulmineo cambio di passo per ora è fermo al palo: per ora il piano vaccini è ancora quello di prima, le Regioni vanno in ordine sparso e i soldi non arrivano. Però c’è entusiasmo, finché dura.

Leggi anche: Produci, consuma, crepa: siamo liberi di andare a lavoro e rinchiusi in casa nel tempo libero. È coerente? (di G. Cavalli) 

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San Fatturato

La sentite l’aria che tira? A volte basta mettere insieme un po’ di pezzi, provare a ricomporre le tessere per farsi un’idea del punto in cui siamo, anche perché la preoccupante uniformità di pensiero che si respira ottunde le sensazioni e non c’è niente di meglio delle sensazioni ottuse per inseguire interessi particolari che così sfuggono più facilmente.

Ricapitoliamo: a inizio pandemia si sviluppa un pericoloso focolaio nella bergamasca che provoca una strage di cui abbiamo memoria per i camion militari costretti a trasportare le bare. Ci si interroga (anche la magistratura) sul perché non sia stata istituita per tempo una “zona rossa” che avrebbe potuto limitare i danni e Bonometti, presidente di Confindustria Lombardia, rilasciò una sconcertante intervista in cui disse testualmente che erano «contrari a fare una chiusura tout court così senza senso» e di averne parlato direttamente con la Regione: «Ci siamo confrontati, ma non si potevano fare zone rosse. Non si poteva fermare la produzione», disse.

Poi, pensateci: in un anno di pandemia abbiamo visto puntare il dito un po’ contro tutti, siamo passati dagli anziani che pisciano il cane ai corridori agli spiaggiati agli aperitivisti alle scuole – presumibilmente saremmo passati anche ai cinema e ai teatri, ma sono chiusi da un’eternità – e chi poi ne ha più ne metta. Niente su fabbriche e pochissimo sui pendolari. Il mondo del lavoro (soprattutto quello produttivo) sembra immune al virus, se fate la rassegna stampa di quest’anno.

In compenso certa stampa si è lanciata in un piuttosto ridicolo sforzo per dirci che fare il rider è un lavoro bellissimo: ve li ricordate quei giorni in cui si leggevano articoli che favoleggiavano di ciclisti che guadagnavano 4mila euro al mese (poi si scoprì che non era vero) tanto per convincerci che chi non trova lavoro è uno sfaticato e chi è povero è un fallito? Ecco, tenetelo a mente.

Poi. Qualche giorno fa Bonomi ha rilasciato un’intervista da brividi in cui ha chiesto di avere più possibilità di licenziare per rilanciare il lavoro. E nessuno che gli ha riso in faccia, pensa te.

Poi ve la ricordate Letizia Moratti che chiedeva di vaccinare in base al Pil? Prese gli applausi dei soliti turboliberisti ma poi fece un po’ marcia indietro. Bene: ieri Regione Lombardia (la disastrosa regione che non riesce a vaccinare poco più di qualche manciata di anziani che dovrebbero essere una priorità) ha annunciato in pompa magna di avere stretto un accordo con Confindustria (questa volta alla luce del sole) per vaccinare i dipendenti nelle aziende. Qualcuno ha fatto notare che forse ci sono altri problemi a cui dedicarsi e loro hanno risposto che sì, sì ma hanno fatto la conferenza stampa solo così per dire.

Tutto questo mentre ci si prepara per l’ennesima volta al lockdown che ci permetterà di uscire per andare a lavorare, di respirare aria aperta per tornare indietro e addirittura di avere una libera uscita per andare a comprare cibo.

Straordinario.

Buon giovedì.

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