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L’unione fa la farsa

Chissà se Lorenzo Jovanotti nella sua giovanile e debordante ingenuità avrebbe mai potuto immaginare che il verso di una sua canzone diventasse perseverante programma politico che ciclicamente ritorna. Solitamente accade così: una parte politica (il centrosinistra più spesso) vince una tornata elettorale, le amministrative nel caso specifico. Vince (anche questo ormai è un genere letterario) perché dall’altra parte sono talmente scassati da non mettere insieme un mazzo di candidati che eviti di dire una castroneria al giorno, di farsi beccare con qualche grottesco nostalgico nelle liste, in una sola parola di di litigare. Una presunta coalizione politica che si fa opposizione in Parlamento, d’altronde, è già un capolavoro di fantasia. Non ha tutti i torti Salvini che si lamenta di un tran tran familiare con Giorgia Meloni così difficile da governare.

Ma dicevamo, il centrosinistra vince le amministrative e si coglie la sensazione che circoli perfino un po’ di stupore. Ci si aspetterebbe che la sonante vittoria sia il primo passo di un rafforzamento delle posizioni, di un maggiore convincimento delle proprie azioni, invece arriva regolare la sindrome del tuttodentrismo. Poiché abbiamo vinto – dicono – perché non proviamo a vincere di più mettendoci tutti insieme? Il tuttodentrismo è una cosa così, qualcosa molto vicino all’hybris, topos politico che coglie chi ancora è convinto che i voti dei partiti si possano sommare come gli ingredienti di un’amatriciana. Che gli elettori siano un capitale che puoi spostare come un giroconto, attraverso un paio di clic. Che il gioco delle elezioni sia solo una questione matematica di insiemi inscalfibili da mischiare a piacimento.

Dopo le elezioni ritorna ciclica l’idea di una grande coalizione

Ecco quindi, con le urne ancora calde, l’idea fulminante: perché non facciamo una coalizione che vada da Che Guevara a Madre Teresa? Perché non facciamo una grande coalizione contro il nemico unico per vedere come funziona? Perché non mettere insieme Fratoianni, Renzi, il Pd, Calenda, Conte e chi ne ha più ne metta? L’idea, bisogna ammetterlo, è perfino simpatica. Ve li vedete Calenda e Fratoianni redigere nello stesso governo un qualsiasi documento di programmazione economica che debba spartire i sussidi tra lavoratori e imprese? Ve li immaginate Conte e Renzi tutti i giorni, a una certa ora, impegnati nella commemorazione delle loro Idi di marzo? Oppure quelli del Pd, che ancora hanno i ancora i lividi, mentre se ne vanno a zonzo per il Transatlantico a Montecitorio e decidono che regalo fare all’emiro per il suo prossimo compleanno? E Calenda che confabula fitto fitto con Paola Taverna per stabilire le strategie economiche?

Dopo ogni elezione, specie se vinta dalla sinistra, si ripropone il tormentone di una mega coalizione che racchiuda tutti
Carlo Calenda (Getty)

Perché forse sarebbe il caso di essere realisti. È vero o no che Calenda ha deciso di fondare (legittimamente) Azione per dissenso verso il Pd e la sua alleanza con il M5S, oltre che per divergenze evidentemente non sanabili altrimenti? E poi: avete mai dato un’occhiata alle dichiarazioni di Renzi sul Pd, sui grillini, sulla sinistra a sinistra del PD? Che fate? Ci dite, guardate, abbiamo scherzato? Non pare anche a voi che una coalizione così larga disinneschi perfino il senso costituente di alcune forze politiche che ci sarebbero all’interno? Altro aspetto è la questione antropologica. Certo sarebbe un esperimento interessante convincere un nugolo di maschi alfa a cooperare. Una missione da Nobel per la pace. Ma non sono gli stessi che avevano fatto della loro muscolare autonomia un segno distintivo?

Troppo spesso ci si dimentica degli elettori, che votano un partito e le sue idee

C’è naturalmente anche la politica, di cui spesso ci si dimentica: gli elettori (nonostante siano sempre meno e siano sempre più bistrattati) votano un partito e le idee che propone. Certo ci sono voti volatili, dati per vendetta magari contro un odiato nemico, ma valgono pochi spicci, durano un alito e si sciolgono come neve al sole (il M5S insegna). Esattamente quale sarebbe la sintesi delle idee? Esattamente quando è successo che il brodo annacquato sia rivenduto come portata immancabile, perché capace di non dispiacere a nessuno? Che fine ha fatto il gusto? Il tuttodentrismo ha tra gli effetti collaterali uno pericolosissimo: fortifica quelli fuori. Giorgia Meloni, che di politica ne capisce più di come la raccontiamo, l’ha compreso perfettamente e ne sta raccogliendo i frutti. E invece i tuttidentristi non riescono a non cadere nella solita tentazione della tiepida normalizzazione. Non sono bastati evidentemente i decenni a capire che il meno peggio porta sempre al peggio e che le rimpatriate funzionano solo per le band rock.

Dopo ogni elezione, specie se vinta dalla sinistra, si ripropone il tormentone di una mega coalizione che racchiuda tutti
Giuseppe Conte (Getty)

Ci sarebbe, infine, un punto fondamentale che sembrano dimenticare in tanti. Tutti gli astenuti, quella montagna di persone che non vanno a votare perché non trovano risposta alle loro esigenze, quelli, non interessano davvero nessuno? Davvero conviene spendere energie per mischiare i pochi che votano piuttosto che temperare le proposte per quelli che non votano? Niente. Ma vuoi mettere il gusto di lanciare, almeno ogni volta ogni elezione, il «da Che Guevara a Madre Teresa»? Peccato, tra l’altro, che non si vedano Guevara e Madre Teresa in giro. Nemmeno quelle.

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La farsa del Difensore civico in Lombardia: rischio ricorsi anche dopo la nuova nomina


La storia del Difensore civico di Regione Lombardia è una fotografia impietosa delle dinamiche politiche. Dopo le vicissitudini del “vecchio” difensore regionale Carlo Lio, dichiarato decaduto dal Consiglio di Stato lo scorso maggio, adesso anche sul suo successore Gianalberico De Vecchi si preannunciano ricorsi: “La nomina del nuovo difensore civico è avvenuta senza nessuna comparazione tra i candidati e ci è stata impedita l’audizione degli stessi come previsto dalla normativa”, dice a Fanpage.it il consigliere regionale del M5S Marco Fumagalli.
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Grazie, Biden: dopo un anno orribile, in un solo giorno ci hai restituito la speranza nel futuro

Sono tempi magri per la politica questi, tempi in cui tocca esultare per essersi liberati di qualcuno rimanendo ancorati alla convinzione che non possa andare peggio di così e che per forza prima o poi, dopo avere toccato il fondo, si possa risalire. Però negli USA che finalmente si liberano di Trump, al di là dei lustrini per l’insediamento di Biden come nuovo presidente, arrivano anche 17 ordini esecutivi firmati nel primo giorno di presidenza Biden che già ci dicono qualcosa dello scenario futuro e che inducono all’ottimismo.

Per fronteggiare la pandemia, smettendola finalmente di lisciare complottisti e negazionisti vari, Biden ha creato il ruolo di Coordinatore della risposta alla Covid-19 che è stato affidato a Jeffrey D. Zients. È stato anche bloccato il ritiro degli USA dall’Organizzazione mondiale della sanità che Trump aveva accusato, ovviamente senza prove, di “cattiva gestione e insabbiamento della diffusione del coronavirus”.

È iniziato anche il percorso di reintegro degli USA negli accordi sul clima di Parigi, il più importante trattato ambientale degli ultimi anni, con l’impegno di contrastare il riscaldamento globale. Fermati invece i lavori dell’oleodotto Keystone XL, contestato dagli ambientalisti americani e che già Obama aveva bloccato durante la sua presidenza.

Smontati in poche ore anche tutti i provvedimenti razzisti di Trump che avevano fatto inorridire il mondo: è stato rafforzato il DACA (che serve per proteggere i bambini dalle espulsioni) e soprattutto cancellato il “travel ban” con cui si limitavano le concessioni dei visti per l’ingresso ai cittadini di alcuni Paesi africani a maggioranza musulmana. L’amministrazione Biden sta anche studiando delle forme di risarcimento per i cittadini che sono stati discriminati.

Ve lo ricordate la dispendiosissima (e inutile) costruzione del muro al confine con il Messico? Ecco, finalmente Biden ha messo la parola fine a quella farsa. Biden ha anche cancellato l’ordine di Trump che limitava (con l’intento di cancellarli) i corsi sulla diversità e sull’inclusione chiedendo invece la costituzione di un nuovo organo che si occupi di combattere la discriminazione all’interno delle organizzazioni federali.

A proposito di quelli che lavoreranno con lui, Biden ha stabilito anche alcune regole etiche con l’intento di “riguadagnare e conservare la fiducia nel governo”. Insomma, siamo solo all’inizio, ma molto di Trump si è già dissolto nelle prime 24 ore della nuova era americana. E questa è già una buona notizia: perché questi sono fatti, mica parole.

Leggi anche: 1. Biden è presidente, la buona America è tornata (di G. Gramaglia) / 2. Il primo discorso del presidente Biden: “Oggi è il giorno della democrazia” / 3. Il discorso d’addio di Trump: “Continuerò a combattere per voi, torneremo in un modo o nell’altro”

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Il caso Suarez ci dice che in Italia gli immigrati ricchi si accolgono e quelli poveri si odiano

È la fotografia della distorsione di un paese e, per questo, la vicenda del calciatore del Barcellona Luis Suarez va raccontata per bene e va tenuta a memoria. Non tanto per le dimensione di un’indagine, quella della Procura di Perugia, che forse ha scovato i soliti furbi fare i furbi per mettersi a disposizione del luccicante mondo dei ricchi, ma perché le disuguaglianze sono talmente evidenti che basta mettere in fila i fatti per comprendere come in Italia ci siano diverse velocità (e forse anche regolarità) di procedura per ottenere un diritto.

E cosa c’è di più schifoso di un diritto che dovrebbe universale e invece è accessibile solo a chi può permetterselo? Un calciatore del Barcellona nato in Uruguay briga per ottenere la cittadinanza italiana (ha sposato un’italiana) in poche settimane. È la stessa cittadinanza che, lo dicono le statistiche, tanti attendono in media in quattro anni. Anni contro settimane, tanto per rendere l’idea.

Suarez doveva ottenere la cittadinanza per firmare per venire a giocare in Italia e sostiene, come tutti, un esame di italiano. Secondo le intercettazioni Suarez “non coniuga i verbi”, “parla all’infinito” e quindi concordano l’esame “perché con 10 milioni a stagione di stipendio non glieli puoi far saltare”, dicono gli esaminatori e quindi il calciatore “sta memorizzando le varie parti d’esame” e addirittura il voto finale è stato comunicato in anticipo al candidato. Prima di un esame che è durato una manciata di minuti quando di solito dura circa due ore e mezza.

Così ora la Procura di Perugia indaga, tra gli altri, il Rettore dell’Università per Stranieri di Perugia, Giuliana Grego Bolli, e il direttore Generale dell’università, Simone Olivieri. Ma in fondo, se ci pensate bene, Suarez ha dimostrato di avere tutte le carte in regola per diventare un italiano, un italiano di quelli che sono convinti che questo Paese appartenga ai furbi, ai ricchi, agli amici degli amici, alle raccomandazioni, al servilismo di certi funzionari, al seguire gli interessi prima ancora delle regole e alla prepotenza di chi può permettersi di comprare risultati che andrebbero conseguiti per merito.

In questa sua predisposizione Suarez ha dimostrato di essere perfetto per diventare un italiano di quelli. Resta solo da spiegare ai tanti che sono italiani di fatto, ma che lottano per anni per vedersi riconosciuti, che gli immigrati qui pesano in base al loro reddito. Si accolgono i ricchi e si odiano i poveri, semplice semplice. E così quella che era già una farsa ora diventa ancora più vergognosa.

Leggi anche: Suarez, cittadinanza italiana ottenuta con truffa: il punteggio attribuito prima della prova

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Non c’è un giudice a Strasburgo?

Tocca parlare ancora di Turchia, perché i diritti sono sempre quelli degli altri e perché la finta contrizione per la morte di Ebru Timtik sembra non avere insegnato nulla, niente.

L’avvocato Aytaç Ünsal, collega di Ebru Timtik e anche lui al suo 214° giorno di sciopero della fame, anche lui condannato per terrorismo e ovviamente sottoposto a un processo farsa, ha rischiato di fare la stessa fine della sua collega e di altri che in questi mesi stanno protestando contro il governo di Erdogan e che sono accusati in modo strumentale per essere messo fuori gioco.

Nelle scorse ore, fortunatamente, la Corte di Cassazione di Ankara ha deciso la sua immediata scarcerazione per motivi di salute. I giudici hanno stabilito che l’avvocato 32enne debba essere “immediatamente liberato” a causa del “pericolo che rappresenta per la sua vita la permanenza in prigione”. Nei giorni scorsi, i sanitari avevano lanciato l’allarme sul deterioramento delle sue condizioni di salute.

Ma solamente due giorni fa, il 2 settembre, la Corte europea dei diritti dell’Uomo (Cedu) aveva bocciato il ricorso per la scarcerazione di Ünsal confermando la decisione della Corte costituzionale turca dello scorso 14 agosto. E già questo dovrebbe porre delle domande poiché giuristi di tutta Europa stavano sottolineando l’iniquità della giustizia turca nei confronti degli avvocati. Giusto per capire a che punto siamo arrivati basti pensare che il ministro dell’Interno, Süleyman Soylu, ha definito una «terrorista» l’avvocata morta, e ha denunciato l’ordine degli avvocati di Istanbul per averla commemorata. In Turchia sono vietate anche le lacrime.

Ma non è tutto, no: il presidente della Cedu, Robert Spano, è in questi giorni in Turchia per ricevere una Laurea Honoris Causa in Giurisprudenza a Istanbul e poi tenere, ad Ankara, una Lectio Magistralis presso l’Accademia di Giustizia turca. L’Università statale di Istanbul è stata al centro di una massiccia epurazione dopo il fallito “colpo di Stato” del 2016: furono licenziati 192 accademici. Quell’università è il simbolo dell’opera di pulizia da parte di Erdogan e che un giudice super partes decida di esserne ospite accende più di qualche dubbio.

Lo scrittore Mehmet Altan ha scritto a Spano: «Non so come si possa essere fieri di essere membri onorari di una università che condanna alla disoccupazione, alla povertà e al carcere centinaia di docenti solo per il loro pensiero e i loro scritti». Altan è un accademico di fama mondiale ed era stato espulso da quella università per le sue idee e fu tra i primi intellettuali arrestati nella repressione post-golpe. L’accusa, tanto per chiarire di cosa stiamo parlando, sarebbe quella di avere mandato “messaggi subliminali” durante un programma televisivo. Altan è stato poi prosciolto ma non è mai stato reintegrato all’università, marchiato come traditore.

In tutta la Turchia pendono qualcosa come 60mila richieste di reintegro da parte di lavoratori che hanno perso il proprio lavoro per le loro idee politiche. E sapete chi vaglierà quelle richieste? Robert Spano, quello che in questi giorni è in gita d’onore proprio in Turchia.

E questo per oggi è tutto.

Buon venerdì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Farsa di Stato

Siamo noi gli scheletri. Mica quelli che arrivano. Siamo noi, che siamo già annegati da un pezzo.