Vai al contenuto

fiori

Trump che paga Trump

Secondo il Washington Post il presidente Usa ha ottenuto diversi milioni di dollari dal governo e dal suo comitato elettorale per l’utilizzo di strutture di sua proprietà per alcuni eventi e per cene di Stato

Come si fa a diventare ricchi? Sicuramente funziona sbafare, sbafare a più non posso. Come si fa a diventare potenti? Rivendendosi ricchi ovvero vincenti e poi continuando a ingollarsi.

Il Washington Post ha scovato una notizia mica male che dipinge perfettamente Trump per quello che è: il presidente statunitense Donald Trump ha ottenuto diversi milioni di dollari dal governo e dalla sua campagna elettorale per l’utilizzo di strutture di sua proprietà per alcuni eventi, fra cui anche alcune cene di stato.

Nel corso della sua presidenza il capo di stato Usa ha visitato i suoi club e i suoi hotel circa 280 volte, anche in occasione di visite ufficiali e di appuntamenti in cui svolgeva il proprio ruolo di presidente. Secondo il quotidiano Usa nell’aprile 2018, tanto per fare un esempio lampante, incontrò il primo ministro giapponese Shinzo Abe nel suo esclusivo club privato di Mar-a-Lago si fece pagare dal governo 13.700 dollari per le stanze di albergo per entrambi gli staff, 16.500 dollari per il catering e 6mila dollari per i fiori che decoravano gli ambienti. Un anno prima, sempre lì, col presidente cinese Xi Jinping Trump cacciò il barista per poter parlare in maniera confidenziale e i due si bevvero super alcolici per migliaia di dollari. Pagati da chi? Dal governo Usa, ovviamente.

Qualche mese fa il figlio di Trump, Eric, in un’intervista a Yahoo Finance disse: «Se mio padre alloggia in una delle nostre proprietà, lo fa gratis, eccetto i costi necessari per la pulizia». E invece no, proprio no. Scrive il Washington Post: «Nei casi che abbiamo esaminato in cui le stanze sono state pagate, la Trump Organization sembra aver fatto pagare al governo la cifra massima consentita dalle leggi federali, e in alcuni casi anche di più».

Anche i soldi del suo comitato elettorale sono finiti (per un totale di 800mila dollari) in catering e cene nei propri hotel.

È Trump che paga Trump. Il politico che paga se stesso sotto altre vesti. Un metodo antico che ormai sembra non destare nemmeno più scalpore. Anzi, per qualcuno è un furbo, addirittura. Ed è così che è iniziata la discesa. Sperando che siano gli sgoccioli di una presidenza che non ci meritiamo, proprio no.

Buon venerdì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Niente fiori per Violeta

Aveva il nome di un fiore. Violeta. Violeta Senchiu. Quel cognome così cacofonico nella nazione di signori Rossi che tradisce subito l’odore di qualcuno che viene da fuori. Era rumena, Violeta, ma mica di quei rumeni che tornano utili per mungere percolato utile a innaffiare i piccoli e grandi razzismi. Violeta viveva da anni a Sala Consilina, sul confine tra Campania e Basilicata, aveva 32 anni, un compagno italiano, tre figli dai dieci ai due anni, “seria e lavoratrice” dicono di lei i suoi compaesani con quelle formulette che stanno sui morti come i fiori di plastica sui marmi delle tombe e una vita normale senza nessun appiglio per i benpensanti. Una di noi, Violeta. E poi, pensateci bene, ormai i rumeni hanno superato la graticola della razza da un bel pezzo: senza rumeni saremmo una nazione senza verande, balconi, case risistemate, pavimenti puliti e nonni accuditi. Troppo utili i rumeni per essere altro ormai.

Il convivente, Gimino Chirichella sabato scorso è uscito di casa di buona lena, ha riempito delle taniche di benzina, è tornato a casa e ha bruciato Violeta e un bel pezzo di appartamento. Nell’esplosione provocata dalle fiamme lei è finita inghiottita dal fuoco e perfino lui è rimasto ferito come succede quando l’odio straripa e diventa cieco. I bambini stavano giocando, fuori, sul piazzale, hanno sentito le urla e annusato il fumo.

Ha sofferto, Violeta, come si soffre quando si muore incollati sul letto nel centro grandi ustionati dell’Ospedale Cardarelli di Napoli. Lui, il convivente, ha avuto problemi con la giustizia: violenza sessuale, droga e esplosivi nel curriculum. All’inizio aveva raccontato che era stato un incidente domestico, In fondo ha ragione: l’incidente domestico che uccide la maggior parte delle donne in Italia sono gli assassini che condividono lo stesso tetto e tengono le chiavi dell’ingresso in tasca.

Non ci sono fiori sul luogo dove Violeta è stata uccisa. Ci sono due bottiglie d’acqua, di quelle usate per provare a allevare il dolore mentre si aspettavano i soccorsi e un lumino, uno solo, che non è nemmeno stato acceso. La notizia è finita in sordina, come quegli accidenti che alla stampa tocca stancamente riportare: un’interruzione d’energia elettrica, un furto in stazione, un incidente, una donna bruciata. È terrificante e sorprendente come non abbiate letto in giro di Violeta, vero?

Niente cortei, niente tweet, niente scontri ideologici sulla pelle delle donne, niente pornografia del dolore. Un solo dato certo: al di là del volume tutto intorno le donne muoiono lo stesso. Ma non servono. In fondo se fosse rimasta nel suo Paese tutto questo non le sarebbe successo. Colpa sua.

Buon giovedì.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2018/11/08/niente-fiori-per-violeta/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Non ci si scusa per il dolore che si prova

Mi hanno colpito le parole di Valeria Kadija Collina, madre di Youssef, uno degli attentatori di Londra. Mi ha colpito, moltissimo, quella loro casa a Castaello si Serravalle, paese di provincia dell’entroterra bolognese: fiori curati ai lati del vialetto in giardino.

“Mio figlio me lo ha portato via l’ignoranza e la cattiva informazione. Il cattivo Islam e il terrorismo sono questo. Ignoranza e cattiva informazione”, dice nella sua intervista a Repubblica Valeria: ha fatto una cosa “atroce”, che “non può e non deve essere giustificata”. E ha provocato un dolore talmente grande “che chiedere perdono ai familiari delle vittime sembra quasi banale”.

Racconta di come, da madre, ha perso contatto con il proprio figlio: Quando mi parlava della Siria e del fatto che voleva trasferirsi in quel Paese, non lo diceva certo perché volesse andare a combattere per l’Isis, ma perché sosteneva che in quella parte del mondo si poteva praticare l’Islam puro e perché voleva mettere su famiglia. Lo diceva sorridendo e io sorridendo gli divevo che era fuori di testa e che io non lo avrei seguito mai perché stavo bene dove sono”. Poi il cambiamento: “La radicalizzazione secondo me è avvenuta in Marocco attraverso internet e poi a Londra, frequentando gente che lo ha deviato facendogli credere cose sbagliate. Suo padre è un moderato, sua sorella non ha abbracciato la nostra fede, nessuno nella nostra famiglia è vicino in alcun modo con quel mondo fatto di stupidi radicalismi”.

E sembra, ad ascoltarla, una storia così simile alle tante che ci capita di leggere quando ci sono madri che si arrendono alla disperazione di non essere riuscite a salvare i proprio figli dalla droga, dal malaffare o dalle mafie: ha lo stesso dolore , lo stesso colore e la stessa naturale (seppur ferocissima) tragica fine.

Così, di colpo, il terrorismo assume anche una dimensione nuova e così lontana dalla retorica degli analisti di prima mano e cola una disperazione folle e pericolosa come tutte le disperazioni.

Buon giovedì.

(continua su Left)

Giornata storta per i “taxi del mare” e così muoiono in 34 (almeno)

Da una parte c’è il comunicato stampa della Guardia Costiera italiana:

«Per uno sbandamento verosimilmente causato dalle condizioni meteomarine e dallo spostamento repentino dei migranti su un fianco dell’imbarcazione – si legge nella nota -, circa 200 migranti sono caduti in mare da un barcone con circa 500 migranti a bordo. L’immediato intervento delle navi ‘Fiorillo’ della Guardia Costiera e ‘Phoenix’ del Moas ha consentito di trarre in salvo la maggior parte dei migranti caduti in acqua. Trentaquattro, invece, i corpi senza vita recuperati in mare dai soccorritori».

Dall’altra c’è la testimonianza di Medici Senza Frontiere:

«Due guardacoste libici, in uniforme e armati, sono saliti su uno dei gommoni. Hanno preso i telefoni, i soldi e altri oggetti che le persone portavano con sé”, racconta Annemarie Loof di Msf. “Le persone a bordo si sono sentite minacciate e sono entrate nel panico. Molti passeggeri, che fortunatamente avevano già ricevuto i giubbotti di salvataggio prima che iniziassero gli spari si sono buttati in acqua spinti dalla paura».

Piccolo promemoria: da settimane qualcuno dice che le ONG (quelli come Medici Senza Frontiere, appunto) avrebbero sporchi interessi sulla pelle dei migranti. Da qualche settimana quegli stessi rimestatori nel torbido, in mancanza di riscontri, citano la guardia costiera libica come fonte dei loro sospetti.

Ecco. Tirate voi le somme.

 

(continua su Left)