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Altro che trionfo di Biden. Ancora una volta sondaggi e opinionisti hanno toppato alla grande

È ancora una volta la sconfitta della bolla. Le elezioni Usa non hanno ancora un risultato finale, ci vorrà tempo per contare tutti i voti per posta, ma l’onda blu che per mesi molti media si sono prodigati a descrivere non è sicuramente arrivata, chiunque risulti vincitore. Ed è l’ennesima lezione di un certo modo di vedere la politica, soprattutto quella degli altri, con gli occhi e con gli algoritmi di chi ci sta intorno, come se tutte le bizzarre uscite di Trump, quelle che anche molti giornali qui da noi hanno riportato con tanto clamore, fossero davvero delle irresponsabili fanfare e invece non avessero una solida base elettorale a cui parlare, da convincere, da sostenere e da cui essere sostenuti.

Accade nella politica ma accade così un po’ dappertutto: forse anche per il funzionamento stesso dei social siamo portati a convincerci che ciò che riteniamo assolutamente ragionevole sia un senso comune accettato e condiviso, ci convinciamo che la gravità che noi osserviamo in certi ragionamenti e in certi atteggiamenti sia un pensiero popolare e consideriamo gli avversari politici semplicemente una minoranza che verrà smentita dai numeri e dagli eventi.

E invece non solo non è così ma negli Usa, basta dare un’occhiata ai social, già ci sono quelli che raccontano di tentativi da parte dei democratici di manipolare le elezioni, Trump (dopo avere negato che l’avrebbe fatto) si è già dichiarato vincitore paventando già possibili brogli, l’enorme vantaggio che certi sondaggi davano a Biden è una favola che si è schiantata con questi primi risultati. Ed è una lezione politica ma è anche una lezione di giornalismo e di atteggiamento sociale: la sicumera non porta mai bene in politica, è un terreno scivoloso in cui si sono incagliati grandi firme e quello che non piace a noi (così come quello che ci piace moltissimo) non è per forza la linea di pensiero generale. Queste elezioni Usa ce lo dicono ancora una volta, comunque finirà.

E se è vero che i candidati hanno tra i propri doveri di propaganda quello di apparire certi del proprio risultato, non si capisce perché i media debbano stare al loro gioco. Ora si contano i voti, uno dopo l’altro, quelli decisivi, ma la storia che arriva dalle elezioni presidenziali americane è già molto diversa rispetto alla narrazione che avevamo ascoltato fin qui. Chissà se qualcuno, una volta tanto, confesserà di essersi fatto prendere un po’ troppo la mano.

Leggi anche: 1. Elezioni Usa. La diretta con i risultati / 2. Usa 2020 on the road: viaggio nell’America al voto

L’articolo proviene da TPI.it qui

“Il problema degli Usa sono 400 anni di schiavitù, ma qui in Italia non siamo messi meglio”: parla Igiaba Scego

Igiaba Scego è una scrittrice di origini somale che vive a Roma. Da sempre si occupa di stranieri, di integrazione e di diritti. Il suo ultimo libro è “La linea del colore” edito da Bompiani che ha come protagonista una donna afroamericana dell’ottocento che scopre l’Italia. L’abbiamo intervistata per TPI.

Negli USA è in atto una vera e propria rivoluzione culturale. Lei si occupa da anni di questi temi, come vede la narrazione di ciò che accade?
Due tipi di narrazione. Quella dei media mainstream che non hanno capito niente di quello che sta succedendo: stanno osservando questi movimenti con delle lenti molto vecchie e anche sbagliate. Quando mi tolgo gli occhiali io che sono miope vedo tutto sfocato e molti media mi hanno dato questa stessa sensazione, tranne alcune eccezioni come la giornalista de Il Manifesto Marina Catucci, veramente puntuale, Arianna Farinelli, Martino Mazzonis. Questo mi ha meravigliato perché l’immaginario statunitense è molto popolare, si pensa “almeno li conosciamo” e invece no. Noto la stessa nebulosità che scorgo quando si parla di Africa. Poi per fortuna c’è quella che arriva da giornali e esperti in lingua originale. E devo dire che è quello che mi ha aiutato ad orientarmi. Per esempio non mi perdo mai i commenti della professoressa Ruth Ben Ghiat che da anni ci spiega i meccanismi dello stato americano.

Quale distorsione nota più delle altre?
Questo parlare di saccheggi piuttosto che parlare del cuore del movimento. Molti giornali non hanno raccontato ai lettori cosa c’era prima, quei 400 anni di oppressione. Mancano ponti tra qui e lì. Io sono scrittrice e la stessa cosa la vedo nell’editoria: l’editoria italiana ha pubblicato negli ultimi anni moltissimi afroamericani ma non c’è stato quel passaggio necessario da editoria ai giornali e media in genere che aprisse un sano dibattito su questi libri e permettesse una loro diffusione anche scolastica.

Quindi si è perso ciò che è avvenuto negli anni precedenti, non ci sono stati ambasciatori e ponti. Si arriva così a non capire perché questa lotta è così lunga, non si riflette sulla genesi della schiavitù, questo è un grosso gap scolastico che non ha permesso a molti italiani di capire fenomeni come schiavitù, segregazioni negli USA e perfino lotte per i diritti civili. Pochi hanno letto Toni Morrison, anche tra i professionisti dell’informazione. E quindi mi ha colpito questo indugiare su aspetti marginali senza andare al cuore del problema. Manca una preparazione all’America, io ho visto “molta ignoranza”. Molto non sapere. Quello che si conosce è solo superficiale.

Negli USA il dibattito si è aperto non solo sulla violenza che ha portato per ultimo alla morte di Floyd, ma anche sulla profilazione razziale delle Forze dell’Ordine. C’è un razzismo insito anche nella gestione italiana secondo lei?
Sulla polizia non saprei dirti. Posso dirti che loro, negli USA, hanno questa storia di schiavitù ma da loro anche chi è contro i neri sa cosa è successo mentre in Italia quello che c’è dietro di noi, come il colonialismo, non è molto conosciuto, c’è una rimozione totale e non ci fa capire che quegli stereotipi continuano a agire sui corpi del presente. A me ha sempre colpito come per esempio le leggi italiane sull’immigrazione si basino quasi sempre su un modello astratto, su questo cosidetto altro che non è un potenziale cittadino ma un potenziale suddito coloniale, il modello è quello del sudditto somalo, eritreo o libico dei tempi del colonialismo italiano. si continua cos’ a perpetuare l’idea dello straniero nella legislazione come suddito, una persona senza diritti.

Non è un caso che la Bossi-Fini e i Decreti Sicurezza più la mancata riforma sulla cittadinanza siano delle costanti nella politica italiana, perché vale lo ius sanguinis e non lo ius soli o lo ius culturae, un Paese trincerato nel suo sangue che poi se lo andiamo a “analizzare” storicamente questo famigerato sangue risulta essere è quello più meticcio del mondo. Questo mi sconvolge, questa storia passata mai discussa che si ripresenta in forma di legge e ci incasina il presente, il modello è ancora quello coloniale sarebbe interessantissimo che i giuristi ci lavorassero su questo, su come decolonizzare le leggi perché sono troppo pieni di passato.

Vede dei casi di razzismo endemici in Italia, anche da parte di quelli che non sono consapevolmente razzisti?
Il razzismo in Italia non è solo anti nero ma è anche anti meridionale. Ad esempio due ore fa stavo andando al supermercato, dove due persone stavano litigando e un signore ha detto a una signora “sporca calabrese”. Qui c’è una questione meridionale che è la mamma di tutti i razzismi italiani, quello che è stato fatto al Sud è lo stesso trattamento riservato alle colonie. Quando avevo 25 anni avevo fatto un colloquio di lavoro vestita come sono sempre vestita e la persona che avevo davanti mi ha detto “lei è musulmana, si vede” io gli ho detto “deve farmi colloquio di lavoro” e lui “ma voi volete pause di preghiera e ramadan”: sono uscita e ho pianto, è un razzismo altrettanto umiliante. Ho smesso perché ai tempi mi vedevano e mi dicevano sempre no. Lo vedi dallo sguardo e poi c’è stato tanto razzismo biologico, dalle elementari mi chiamavano sporca negra e mi hanno buttato un barattolo di coleotteri in testa “perché sono neri come te”. Oppure odiavo negli anni ’90, ero ancora adolescente, quando si fermavano le macchine mentre stavo alla fermata ad aspettare il bus e ti facevano vedere i soldi chiedendo sesso orale, perché nera significava prostituta.

Io ho imparato a schivarli anche. Ho imparato a reagire. Mia madre dice che il razzismo non lo combatti urlando, ma lo combatti con la riflessione e la conoscenza anche quando sei nel mezzo del disastro, lei mi ha sempre detto di uscirne con una frase arguta, è l’unico modo. Mia madre, James Baldwin e Malcom X sono stati i miei maestri nell’usare la riflessione, le parole, per questo scrivo. Volevo capire come mai mi succedevano una serie di cose e volevo capire qual era la radice, sempre storica. In tutto questo ho trovato molti alleati, penso alla mia professoressa di italiano alle superiori, ai professori universitari che mi hanno dato strumenti che mi hanno cambiato la prospettiva. Sandro Portelli mi ha insegnato molte cose della vita, con l’Italia che ha tutte l sue complicazioni. Ho applicato la strumentazione che loro hanno applicato alla loro lotta e alla loro riflessione teorica.

Come le sembra il dibattito politico italiano sul tema?
Qui non c’è dibattito. Qui il dibattito è finito con il tradimento sulla legge sulla cittadinanza. Poi si è riesumato un discorso sulle regolarizzazioni molto mercantile. Io ho questa sensazione di tante lotte fatte anche collettive: afrodiscendenti, albanesi, arabi, sudamericani, i loro figli nati qui italiani senza diritti e poi anche moltissimi italiani bianchi… Ecco tutti noi ci siamo ritrovati dal 2005 fino al governo Renzi a lottare in piazza, cambiavano le piazze, c’erano tanti bambini e tecnicamente con le scuole abbiamo lavorato moltissimo (penso a due scuole di Roma in particolare la Pisacane e la Di Donato i cui professori si sono spesi tantissimo per far avere diritti ai loro studenti) , però poi questa lotta è stata tradita da tutto l’arco costituzionale: la destra ha fatto ostruzionismo ma gli altri l’hanno reso possibile ed è una cicatrice che mi fa molto male.

Poi c’è stata la raccolta firme dei Radicali e quella era una buona iniziativa ma poi a causa degli eventi caduta nel vuoto e adesso il dibattito è stato sulle regolarizzazioni perché servivano braccia per l’ortofrutta e basta. Queste persone cadono in irregolarità per un meccanismo della Bossi-Fini, sono ricattabili in situazione di pandemia, dovremmo avere più persone regolari possibili ma così è stato un mercato degli schiavi. Io capisco gli sforzi di chi ha chiesto la regolarizzazione ma il risultato è stato misero. Servirebbe più coraggio: l’Italia non può pensare che sia un tema possibile da scacciare in eterno, il Paese è già cambiato, io alla manifestazione per George Floyd a Roma ero con i miei 46 anni vecchia in confronto a chi è sceso in piazza. Tu vedi che hai seconde e terze generazioni, più di 50 anni di popolazione transculturale che ha varie origini. Ma ancora tutto questo non si trasforma in quotidianità. E come se ci fossero enormi barriere. Così non vedi maestri, autisti dell’autobus, professori con altra origine: alcuni luoghi del lavoro non sono al passo con i tempi. Anche nell’editoria.

Lei è fiduciosa che la lezione che arriva dagli USA possa avere un impatto importante anche qui?
Secondo me quella americana è una grande rivoluzione culturale perché gli afrodiscendenti sono legati tra loro, è una rete, per noi sono un modello e quello che sta succedendo negli Usa è clamoroso, è una rivoluzione culturale, non è solo rabbia per Floyd ma è un momento che è stato preparato negli ultimi 20 anni. Da loro la cultura è sempre stata forte, nella musica nella letteratura, i premi Pulitzer quest’anno molti erano neri e penso al disco di Beyoncè di alcuni anni fa tutto sull’identità nera. Questo forse spingerà pure noi qui ad avere una riflessione più ampia e profonda, probabilmente ci spingerà a produrre più libri, più musica, più film, più lotte sociali e non solo afrodiscendenti, perché l’Italia ha una migrazione a mosaico, complessa, fatta di tante diversità che vanno dall’Est Europa al Sudamerica.

Già vedo dei talenti per esempio del giornalismo come Angelo Boccato e Adil Mauro che non parlano solo di immigrazione o della loro identità, ma usano il loro sguardo per riflettere sui nodi della società. Adil e Angelo mi fanno ben sperare per il futuro. Ma ecco tutto deve partire da una riflessione anche storica che attraversa il dolore che abbiamo provato, In Italia nel 1979 un uomo somalo, Ahmed Ali Giama, in piazza della Pace a Roma è stato bruciato viva e Giacomo Valent nel 1985 è stato ucciso con 63 coltellate, era il fratello della prima eurodeputata nera Dacia Valent, ho scritto per Feltrinelli su questo (“Politica della violenza”, Feltrinelli Editore). In Brasile c’è stata Marielle Franco e ognuno sta producendo cultura e rivendicazioni partendo dalle proprie ferite, dai propri martiri e chiaramente questo momento rimarrà a lungo e potrà provocare cambiamenti perché i cambiamenti sono sempre prima culturali e poi sociali.

Leggi anche: 1. Quanti contagi possono causare le proteste in Usa? Un virologo ha provato a calcolarlo / 2. Si sposano in mezzo alla protesta per George Floyd a Philadelphia: “È stato ancora più memorabile” /3.  George Floyd, Minneapolis smantella il dipartimento di polizia: “Vogliamo un nuovo modello di sicurezza” /4. Banksy e l’omaggio a George Floyd: “Il razzismo è un problema dei bianchi”

L’articolo proviene da TPI.it qui

Non sanno nemmeno raccogliere le firme

Ma questo referendum costituzionale esattamente cosa sta diventando? È la pallina anti stress di un’opposizione che blandamente si oppone? È l’esercizio retorico di noi che lavoriamo con le parole e partecipiamo al Circo Barnum girando per il Paese provando a iniettare un po’ di serotonina politica? È la scenetta di chi vorrebbe governare e poi non sa compilare i moduli? Andiamo con ordine.

I primi dati dicono che per il referendum sulla riforma Boschi di ottobre (o novembre, o dicembre o quando a Renzi parrà maturo) il Comitato del Sì (il Pd, per intendersi) ha raggiunto le 500.000 firme necessarie mentre il Comitato del No (il resto del mondo, per intendersi) si è fermato a 300.000 e consegnerà gli scatoloni, dicono, come “gesto simbolico”. Simbolico di cosa poi, se non di inettitudine, è tutto da capire.

In modi spicci si può dire che Renzi e il suo tribolatissimo partito sono riusciti a fare ciò che l’appuntitissimo Movimento 5 Stelle, la roboante Lega salviniana, l’archeologica sinistra italiana e destrorsi vari non riescono a raggiungere nemmeno sommandosi. 300.000 firme, per intendersi, sono meno di quanto Civati e Possibile (praticamente in solitaria) l’anno scorso sono riusciti a raccogliere sui quesiti referendari per Jobs Act, Italicum e Buona Scuola. Per dire.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

Per fare l’albero ci vuole un fiore. Con il referendum la riforma.

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Ma dai, ma davvero? Quando l’ho visto ammetto di avere pensato ad uno scherzo e non tanto per il messaggio in sé (arrivano sms di qualsiasi tipo da qualsiasi azienda, non scandalizziamoci per così poco) ma soprattutto per la forma. Perché le parole contano. Le parole sono importanti e, come diceva spesso una delle mie direttrici preferite, chi scrive male pensa male. Non c’è che dire.

Così quando ho letto il messaggio che il Partito Democratico ha inviato a molti italiani (a proposito: costa poco, un’interrogazione scritta, per sapere in base a quale iscrizione e con quali autorizzazioni) mi sono soffermato sulla prosa. Soffermato, inchiodato. Gelato forse. Sì Meglio.

«Per fare la riforma ci vuole il referendum, per fare il referendum la tua firma conta. Se non l’hai ancora fatto, puoi andare nel tuo comune e firmare il modulo blu del comitato Basta un sì. Lorenzo Guerini.»

Secondo Lorenzo Guerini (o chi per lui, e se si tratta di un ghost writer mio dio licenziatelo in fretta) dalla nostra firma dipende la riforma Boschi. Altro che democrazia diretta; qui di direttissimo c’è un messaggio che arriva come una spada di Damocle. Già si immaginano le scenette famigliari: “amore scappo in comune perché sto facendo saltare la riforma costituzionale!”, oppure un “mi scusi per il ritardo ma avevo un fine settimana al mare in famiglia e non pensavo di rallentare le riforme”. E fa niente se in fondo il referendum si farà comunque al di là delle firme raccolte (che come scrive Guerini “contano” nel senso che sono un euro l’una per ogni voto poi preso come ricco montepremi elettorale), l’importante è entrare nella testa. Rimanere in mento. Essere un motivato che si ricorda facilmente.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

Ma le firme del PD a Napoli non è che per caso siano illegali?

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Si legge nel sito del Ministero dell’Interno che le firme per la presentazione delle liste alle elezioni amministrative debbano essere apposte su fogli in cui sia stata compilato prima (prima) l’elenco dei candidati. Scritti ben leggibili e in stampatello. Dicono. Seguitemi.

Il 5 maggio esce un’agenzia di stampa:

«+COMUNALI NAPOLI, MANCA NUMERO LEGALE: ASSEMBLEA PD NON APPROVA LISTA+ (OMNINAPOLI) Napoli, 05 MAG – Manca il numero legale, l’assemblea provinciale del Pd Napoli non approva la lista dei candidati al Comune. Un ostacolo di natura tecnica dovuta ai conflitti interni ancora da sciogliere a poche ore dalla presentazione ufficiale.»

È datata 5 maggio. 2 giorni fa. Oggi hanno depositato le firme. Quindi, mi chiedo: poiché il 5 maggio evidentemente non avevano ancora la lista definitiva dei candidati e oggi hanno depositato lista e firme, hanno raccolto tutte le firme in 24 ore? Oppure nonostante “i conflitti interni” hanno indovinato comunque come sarebbe andata a finire?

—- aggiornamento 7 maggio 21.39 —-

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Senza vergogna fino all’ultimo minuto

OLYMPUS DIGITAL CAMERAAvevo parlato ieri del vergognoso epilogo della legislatura lombarda con spacchettamenti e rivoluzioni di gruppi per non dovere raccogliere le firme e vedo che ne riparla oggi anche Il Fatto Quotidiano. Un giochetto che intanto (ovviamente) continua a pesare sulle tasche dei contribuenti e che dimostra tutta l’impunità ostentata di una classe politica che legifera per salvarsi e ha priorità sempre più deviate e scollegate dalla realtà.

Mentre si tagliano i posti letto negli ospedali lombardi, mentre questo 2013 porterà alla crisi definitiva di aziende in agonia da mesi e mentre le inchieste decimano la credibilità politica in Consiglio Regionale si pensa a come mettersi comodi per le prossime elezioni con scorciatoie di legge.

Mi chiedo come sia possibile che questa classe dirigente (e indigeribile) non possa capire che l’elettorato è alfabetizzato alla grettezza politica e la riconosce da lontano. E mi chiedo perché anche nel centro sinistra si permetta un trucco simile senza proferire parola. Perché a me sembra vergognoso in modo bipartisan e spero anche per Umberto Ambrosoli.