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gianroberto casaleggio

Il problema non sono i furbetti dei 600 euro, ma i leader che li hanno portati in Parlamento

Guardare il dito e la luna. È una storia che comincia come una barzelletta: ci sono tre leghisti, c’è un Cinque Stelle e uno di Italia Viva, la caccia ai nomi sarà lo sport della giornata e forse anche dei prossimi giorni. Che in mezzo ai richiedenti ci siano anche presidenti di regioni (che certo non hanno stipendi inferiori ai parlamentari) sembra essere sfuggito ai più. L’importante sono i parlamentari, gli obiettivi sono i parlamentari, tutti addosso ai parlamentari. Sia chiaro: che i cinque siano l’antitesi di quella disciplina e di quell’onore che sono richiesti dalla Costituzione a chi si ritrova a governare la cosa pubblica è fuori da ogni dubbio.

Chiedere 600 euro nella comodissima posizione dell’essere parlamentare è un gesto infimo, siamo d’accordo ma una riflessione ragionata e ampia dovrebbe spingerci a porci domande e allargare la discussione. Una norma, ad esempio, che prevede un contributo a pioggia, senza limiti di reddito, a tutti è politicamente sbagliata e praticamente inutile ai fini dell’uguaglianza sociale: i parlamentari hanno sfruttato una falla nella legge (e fanno schifo anche per questo) che ha permesso a molti benestanti di usufruire di un bonus di cui non avevano bisogno. Diciamolo: dare 600 euro a tutti è stata una pessima idea, forse dettata dall’emergenza, ma una pessima idea. Il buon legislatore scrive le leggi (e i decreti) perché siano funzionali ai più bisognosi e perché sbarrino la strada ai furbi. In questo caso non è successo, diciamolo chiaramente.

Poi dell’epoca Covid sarebbe da raccontare anche quella parte di imprenditori che hanno usufruito della cassa integrazione senza avere nessuna riduzione di fatturato, sarebbe da parlare dei cassintegrati che hanno continuato a lavorare normalmente per qualche imprenditori che si ritene particolarmente furbo, sarebbe da parlare di chi in nome dell’emergenza si è addirittura arricchito usufruendo comunque degli aiuti di Stato. Facendo due conti siamo di fronte a un dissanguamento di denaro pubblico enormemente più grave di quel gruzzolo di 600 euro. Sarebbe bello che l’INPS ci parlasse anche di questo, no?

E infine un punto strettamente politico: quanto comodo fa all’antipolitica (quell’antipolitica che ci ha trascinati in questo gretto populismo) che dei parlamentari vengano sventolati come prova della fallacia di una legge che invece ha favorito una platea ben più vasta? Quanto gioca tutto questo per il prossimo referendum (populista) che ancora una volta punta sulla quantità e non sulla qualità? E soprattutto: ma chi ha scelto quei parlamentari, quelli che dovrebbero formare la classe dirigente di questo Paese, non ha nulla da dirci? Perché quei nomi li sappiamo già: Matteo Salvini, Gianroberto Casaleggio e Matteo Renzi. Loro non hanno nulla da dirci?

L’articolo proviene da TPI.it qui

Nuzzi su Casaleggio e Iacoboni

Gianluigi Nuzzi parla dell’esclusione di Iacoboni dalla kermesse di Casaleggio. Dalla sua intervista di oggi a Il Foglio:

«E’ stata una scelta personale di Davide Casaleggio. Una decisione sua. Sbagliata. E che io non condivido in nessun modo. A Ivrea non avevo capito quello che era successo, ero stato informato male. In una situazione in cui dovevo gestire decine di cose, ho saputo che una persona si era intrufolata in sala con un badge taroccato, un accredito fasullo. Così, quando Mentana ha citato il fatto, io ho ripetuto quello che sapevo. Poi domenica sera ho capito quello che era successo veramente. Anzi ho avuto la certezza che il giornalista era stato escluso perché sgradito al presidente dell’associazione. Una cosa inaccettabile.»

Tanto per evitare di citare cose a caso.

Web democracy e meetup: la politica nella rete

Al netto delle beghe interne tra Giovanni Favia, Casaleggio e Beppe Grillo (perché sarebbe bello ascoltare cosa pensano molti parlamentari dei propri leader) è interessante leggere l’uso della rete che il Movimento 5 Stelle ha lanciato come “mezzo” politico. Perché mentre in Europa il Partito Pirata ha costretto gli altri partiti ad alfabetizzarsi e professionalizzarsi qui il dibattito è “1.0” affidato a segreterie che credono ancora che “internet” sia poco di più che incollare i propri comunicati stampa sugli status di fb.

Francesco su Non Mi Fermo analizza (finalmente con un’analisi e senza livore) la piattaforma scelta da Beppe Grillo per sviluppare la democrazia sul web. E i limiti e le opportunità sono un suggerimento che vale per tutti perché forse internet non cambierà il mondo ma sicuramente sta già cambiando le competenze richieste nella comunicazione dei partiti Perché ogni tanto vedere le espressioni poco convinte mentre ne racconto le potenzialità mi provoca un certo sconforto e perché come scrive Francesco nel suo articolo per “dialettica”, si dovrebbe intendere un insieme di voci che giungono a un risultato medio che rappresenti il miglior compromesso tra le preposizioni iniziali e il risultato finale: il programma. Questo aspetto, più che la proprietà del simbolo, il marchio registrato e quant’altro, mi preoccupa. La poca consapevolezza periferica di quale sia la “stretegia di rete”, l’accettazione passiva di un sistema che non è stato progettato per organizzare un movimento politico nazionale. Mezzo inadeguato, insomma.