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Come ti sconsiglio l’aborto in Umbria

In Umbria governa Donatella Tesei  la quale ha pensato bene che uno dei più annosi problemi da risolvere nella regione fosse allungare il tempo di ricovero per l’interruzione di gravidanza volontaria farmacologica, da sempre come sapete una delle fobie di leghisti e destrorsi vari che sognerebbero di abolirlo per intero, l’aborto.

Nel 2018 la Regione Umbria aveva introdotto la possibilità di abortire grazie alla pillola Ru486 entro la settima settimana di gravidanza e aveva chiesto a tutti gli ospedali di organizzarsi in modo che le donne potessero effettuare l’interruzione della gravidanza grazie a una prestazione di day hospital o anche solo grazie a un servizio di assistenza domiciliare. La possibilità di rinunciare alla gravidanza con la pillola Ru486 è utilizzata oltre il 90% dei casi in nord Europa, per il 60% in Francia e solo per il 18% in Italia.

Ora la Tesei e la sua Giunta hanno deciso che serviranno almeno tre giorni di ricovero obbligatori per accedere all’interruzione di gravidanza farmacologica, cianciando di non si sa bene quale maggiore tutela considerando che in nessun Paese al mondo l’aborto farmacologico avviene al di fuori del regime di day hospital. Per scoprire perché un’azione sia stata intrapresa basta osservare chi è il primo che esulta: in Umbria ha esultato tantissimo il senatore ultraconservatore della Lega Simone Pillon, promotore del Family Day nonché commissario della Lega in Umbria.

Sono riusciti a rendere ancora più difficilmente sostenibile, soprattutto psicologicamente, il ricorso all’interruzione di gravidanza. Non è un caso, no, è una lucida strategia che si inventa qualsiasi passaggio punitivo pur di scoraggiare un atto che non hanno il coraggio di discutere deliberatamente faccia a faccia con le donne. Il fatto poi che in tempi di Covid si aumentino i giorni di degenza, mentre i malati non riescono nemmeno a ottenere le cure che gli spettano, rende tutto talmente goffo da risultare tragicamente imbarazzante.

Buon martedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

In Lombardia i contagi si impennano di nuovo. Ma nessuno ne parla, tantomeno Fontana e Gallera

Che strano animale è questa narrazione tossica del Covid che si adagia sulle diverse fasi, cambia registro ogni volta che bisogna spingere ad aprire tutto prima e chiudere tutto poi. Ora provate a chiudere gli occhi e tornate con la mente al periodo della quarantena nazionale, quando tutti rimasero al guinzaglio del terrore rinchiusi in casa mentre ogni giorno si svolgeva la messa laica della Protezione Civile che snocciolava dati, infetti, decessi e guariti. Immaginate lì, in uno a caso di quei giorni, una Lombardia con un nuovo picco dei contagi che contiene il 66,4% dei nuovi contagiati totali su tutto il territorio nazionale, immaginate di sapere (perché è così) che solo oggi stanno facendo tamponi a persone che si sono ammalate talmente tanto tempo fa che sono già guarite (o morte) e che hanno dovuto affidarsi al proprio buonsenso per non infettare gli altri e per rimanere chiusi in casa senza essere registrati, tracciati e seguiti da nessuna Ats.

Immaginate un sindaco di una città importante come Bergamo, come Giorgio Gori, che scriva quello che ha scritto ieri quando ha dichiarato senza mezzi termini: “Leggo che in Lombardia ieri ci sono stati 32 decessi per Covid. Non si sa però dove, in quale provincia, perché la Regione non comunica più i dati divisi. Da quando abbiamo segnalato che i decessi reali erano molti dpiù di quelli ‘ufficiali’, hanno secretato i dati per provincia” e che “neppure i dati sui guariti vengono più comunicati, e sì che sarebbero importanti per capire che oggi le persone ammalate sono poche” e che “non vengono comunicati neanche i dati dei positivi Covid divisi per singolo comune”.

Tutto questo mentre diverse Procure indagano sulla mancata istituzione della zona rossa tra Alzano e Nembro e sulle troppe morti all’interno delle RSA lombarde. Immaginate quei numeri se fossero serviti per giustificare una chiusura totale e osservateli oggi come vengono bisbigliati per non disturbare l’apertura e l’operosità che non si può fermare: i numeri possono diventare opinioni quando serve. E notate, tanto che ci siete, il silenzio dei virologi, l’attenzione caduta delle trasmissioni televisive e la mancanza dei grandi pareri di opinionisti di ogni sorta. Il virus è finito, hanno deciso così, e per finirlo basta smettere di raccontarlo e fare passare tutto come una semplice naturale lunga coda. I morti di questi giorni sono morti accidentali, i contagiati sono laterali. Stiamo a posto così. Che strano animale è questa narrazione tossica del Covid che riesce sempre a essere perfetta per il duo Fontana e Gallera.

L’inchiesta di TPI sulla mancata chiusura della Val Seriana per punti:

L’articolo proviene da TPI.it qui

Con l’Egitto non servono “progressi”: serve la verità

Vendereste armi a qualcuno che vi ha massacrato un giovane studente e che si è inventato di tutto prima di ammettere a mezza bocca solo che tutto quello che aveva cercato di dire per depistare è falso? Pensateci bene. Vendereste armi a un Paese che ha poi ripetuto lo stesso schema con uno studente, questa volta non italiano ma praticamente adottato dalla città di Bologna dove studiava all’università, arrestato lo scorso 7 febbraio e tutt’ora in attesa di un giusto processo e sottoposto a una detenzione che solleva più di qualche dubbio?

Il Paese in questione è l’Egitto e i due studenti sono Giulio Regeni e Patrick Zaky. A Regeni, come sappiamo tutti, è andata molto peggio e non è un caso che i suoi genitori giusto pochi giorni fa abbiano ribadito di essere molto delusi dalle istituzioni italiane.

Con l’Egitto l’Italia sta trattando per un affare militare del valore di 9-11 miliardi di euro e il presidente del Consiglio Conte qualche giorno fa ha dato il via libera per la vendita di due fregate Fremm. Vendere armi a un regime è già qualcosa di orrendo, venderle a un Paese che insiste a prenderci in giro sulla morte di Regeni è qualcosa di insulso.

Ieri Liberi e Uguali ha presentato un’interrogazione al ministro Di Maio (se vi chiedete se governino insieme la risposta è sì, torniamo al #buongiorno di ieri della simbologia che annoia) in cui chiedeva conto di questa torbida situazione con Al-Sisi e il ministro Di Maio ha risposto precisando che «resta ferma la nostra incessante richiesta di progressi significativi nelle indagini sul caso del barbaro omicidio di Giulio Regeni. Il governo e le istituzioni italiane continuano ad esigere la verità dalle autorità egiziane attraverso una reale, fattiva ed efficace cooperazione».

Ed è una frase che non vuol dire nulla. Non c’è nessuna cooperazione tra Egitto e Italia sulla questione Regeni: l’hanno detto in molti, tra cui quelli che indagano. Esigere la verità stringendo accordi è quantomeno curioso. Di Maio ha anche aggiunto: «l’Egitto resta uno degli interlocutori fondamentali nel quadrante Mediterraneo, nell’ambito di importanti dossier, come il conflitto in Libia, la lotta al terrorismo e ai traffici illeciti, nonché la gestione dei flussi migratori e la cooperazione in campo energetico».

Ecco, no, non ci siamo proprio. Qui non servono “progressi”, non ci si avvicina ad annusare la verità. La verità è una, limpida e manca.

Grazie.

Buon giovedì.

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Bibbia in mano, mascherina abbassata: quei simboli branditi per coprire il vuoto politico

È un neo-simbolismo furioso e coprente, solo che copre il vuoto, copre il niente che c’è sotto e tutta una serie di commentatori finiscono per analizzare il cerotto dimenticandosi che sotto c’è il nulla. È un neo-simbolismo che attraversa la politica internazionale e si appiattisce sulla comunicazione veloce che è solo un vomito di spot (e no, non è colpa dei social, lancerebbero le loro tiritere anche solo nei dieci secondi montati in qualche tg nazionale, allo stesso modo) e che ha bisogno di rendersi riconoscibile. Qualcuno dice “indossate le mascherine” e loro non indossano le mascherine, qualcuno protesta dall’altra parte del mondo per un razzismo cancellato solo sulla carta e Trump risponde con i poliziotti a cavallo e la Bibbia in mano, qualcuno lamenta le morti nere in mare (che chissà perché valgono meno dei morti sotto le ginocchia) e qualcuno risponde sferragliando il rosario, alcuni dettano una regola e altri violano le regole rivendicando la violazione come eroico dissentimento.

Da Salvini con la mascherina abbassata a Bolsonaro che si assembra fino a Trump che invoca i proiettili, la politica di questi giorni è tutta una lava di gesti brevi e di metafore belliche che non rispondono a una che sia una delle questioni che sono sul tavolo. Trump risponde alla violenza invocando ancora più violenza e poi lamentandosi della violenza degli altri: rispondere a una questione complessa con uno spot di qualche parola è più da incapaci che irresponsabili. I Gilet Arancioni invocano un complotto mondiale ordito per mettere in scena una finta pandemia ma non si capisce chi ci stia guadagnato e che cosa: a domanda non rispondono, sono i soliti poteri forti. Bolsonaro in Brasile ci avvisa che tanto “moriremo tutti” prima o poi: mo’ me lo segno, grazie per l’illuminante rivelazione.

Dovunque si gratti non ci sono mai soluzioni, una che sia una. Esistono solo per contrapporsi senza nemmeno sentirsi in dovere di proporre un’alternativa. Chiedete a Trump, Salvini o Bolsonaro quale sia la via per vincere: l’eliminazione degli avversari. Solo quello, solo così, come dei ragazzini che giocano a battaglia navale sul tavolo della cucina. Vivono solo di riflesso dei loro nemici, se glieli togli balbetterebbero per ore di riforme che li mostrerebbe per quelli che sono: muri, condoni, preghiere mimate, sostegno ai più forti, calpestamento dei più deboli. Modelli economici impraticabili e culto di se stessi. Sono il niente mischiato con niente che usa i simboli per nascondere le proprie pudenda.

Leggi anche: 1. Per la Festa della Repubblica in piazza ci vanno i nemici della Repubblica (di Marco Revelli) / 2. Roma, gilet arancioni in piazza del Popolo senza protezioni. Pappalardo: “Abbracciatevi!”. Troupe di La7 aggredita in diretta 

L’articolo proviene da TPI.it qui

Così Umberto Bossi è salvo. Grazie a Salvini.

da repubblica

Il segretario di un partito non può disporre “a suo piacimento” dei fondi versati dagli associati o erogati dai presidenti di Camera o Senato come “rimborso delle spese elettorali”. E’ ribadito nelle motivazioni con cui, in assenza della querela da parte dell’attuale leader della Lega Matteo Salvini e necessaria ai fini del processo, lo scorso gennaio è stato dichiarato in appello il non luogo a procedere per Umberto Bossi e il figlio Renzo condannati in primo grado per l’uso dei soldi del Carroccio per spese personali.

Nelle motivazioni alla sentenza del processo nato dall’inchiesta ‘The Family’ sui conti della Lega, i giudici della Corte d’Appello di Milano spiegano di ritenere “provata la responsabilità” dell’ex tesoriere Francesco Belsito anche in relazione alla laurea in Albania di Renzo Bossi, uno dei capitoli più noti dell’indagine a livello mediatico.

Secondo i magistrati, Belsito avrebbe sottratto in modo illecito 1.771.310 euro dalle casse del partito, tra cui “un assegno bancario da 5mila euro, emesso da Belsito il 12 luglio 2011, e rilasciato a una persona esterna al mondo della Lega Nord, inserito nel mondo universitario e coinvolto nella vicenda relativa al conseguimento presso l’Università Kristal di Tirana dei titoli di studio di Renzo Bossi e Pierangelo Moscagiuro”. I magistrati definiscono queste delle “vicende private di Belsito e Renzo Bossi, del tutto estranee agli interessi e agli scopi del partito politico”.

«Io mi sento di dire grazie a Giulio per questo romanzo (per gli altri due, per i suoi spettacoli per il blog che leggo come un quotidiano) e di suggerirlo, portarlo nelle scuole, perché è un dono d’amore»: Marco Radessi recensisce Carnaio

GIULIO CAVALLI – CARNAIO FANDANGO EDITORE

A DF il pescatore Giovanni Ventimiglia trova un morto all’attaccatura del pontile e poi Fitto, il cane della Lilly, ne annusa un altro sulla spiaggia. In breve, la superficie del mare è un sipario orizzontale che si apre e sfonda del tutto paratie e quinte e sputa sul palcoscenico del paese cadaveri tutti simili per dimensioni e colore della pelle. I corpi occupano ogni spazio calpestabile di DF: nel parlare quotidiano diventano ‘quelli’, per restare separati dagli indigeni.
La città è in preda ad un’invasione di pelle e organi umani: maschi giovani e ugualmente muscolosi rendono necessaria la reazione delle autorità cittadine (sindaco, medico, parroco, commissario). Roma se ne frega delle richieste di aiuto e si decide per l’azione pensata e costruita in casa. Come liberarsi di questi morti? Come trasformare l’operazione di ripristino della normalità in una dimostrazione di ‘città del fare mica del parlare’ e in un tornaconto elettorale? L’imprenditore fatto in casa ha pronto il progetto. E’ necessario governare il tempo, ripristinare la misura giusta, borghese della città (parole della Lilly, mica…). Sì, la trovata c’è ed è geniale. Grazie al sindaco, proprio ‘uno di noi’, e al buon cuore dell’imprenditore locale che finanzia l’impresa, questa comunità di morti restituirà, a costo zero di manodopera, il paese ai ‘vivi’ che li ha (r)accolti, consegnando alla parola tolleranza il più atroce e delirante – ma non per questo incredibile – dei significati. Inizia così – per accelerazioni narrative e immagini iperboliche ben salde sotto il controllo preciso e puntuale dell’autore – l’unico finale possibile per questo paese che ha scelto l’isolamento. .
Il ritmo sostenuto della scrittura e l’acuta vitalità della storia di Giulio Cavalli, rende impietoso il ritratto di DF. Immagini crude e roventi come lapilli ci rimbalzano sotto il naso fino a ustionarci: lasciano il segno e mettono in moto la domanda: ma qual è il limite, a che punto si fermeranno? Fino a quanto oltre è disposto a spingersi il paese (che poi sono i vivi: persone, cittadini, autorità comunali e clericali…) per darsi ragione e autogratificarsi?
A un terzo della lettura mi sono chiesto qual è il gancio che mi tiene appeso a questo libro, al litorale, ai personaggi e al succedersi di fatti tanto deliranti e rocamboleschi. Cosa mi porta a calpestare questi cadaveri e perché non mi sento in un racconto di fantascienza?
Ho proseguito la lettura e la mia memoria ha ‘riportato a galla’ il ricordo dei trecentosessantotto morti e i venti dispersi di Lampedusa; tutti gli altri ‘futuri mancati’, mutati in semplici addendi da sommare; il blocco delle partenze nei ‘porti sicuri’ dell’Africa (aspetto che qualche genio in divisa organizzi, da papà, una colonia estiva per i bambini, in nome della lotta alla povertà (o ai poveri?); i porti chiusi, qui non sbarca più nessuno; Mimmo Lucano; la nave Diciotti della guardia costiera non può attraccare; barche, gommoni ed esseri umani usati come voto di scambio di una battaglia erlettoralnavale, fino alle frittelle solo per bambini italiani regalate al luna park e ‘mica prendiamo una di Palermo’ Altro che DF, Giulio! Ancora un paio di alzate di genio, riusciamo ad andare oltre.
Poi vado ad un incontro sul decreto sicurezza e sento che a gennaio febbraio 2017 gli sbarchi sono stati 9448 (nell’anno 119.000); negli stessi mesi del 2018, 4731 (nell’anno 23.000); nello stesso periodo 2019, 215 e penso a ‘quelli’ fermi nelle zone sicure della Libia. Sento che con cinque milioni circa di immigrati regolari che qui lavorano, pagano le tasse e lasciano alla fine un bel gruzzolo nelle casse dell’Inps, il problemone del momento è stato per settimane come evitare lo sbarco di 47 migranti dalla Sea Watch.
Allora ho detto ok, Carnaio di sicuro non è fantascienza.
Non so se il termine ‘narrativa civile’ sia già in uso, ma questo romanzo (con tema diverso da ‘Santamamma e ‘mio padre in una scatola di scarpe’) gli appartiene, proprio per il filo che lo lega a questi giorni, che ormai sono anni, di crudeltà e legnosità mentale verso un problema che nessun mare, paratia o interesse elettorale trasformato in interesse per gli italiani, (af)fondato sulla paura e la miseria, può fermare.
La mareggiata è pericolosa, mortale, trascina in fondo anche col mare basso.
Io mi sento di dire grazie a Giulio per questo romanzo (per gli altri due, per i suoi spettacoli per il blog che leggo come un quotidiano) e di suggerirlo, portarlo nelle scuole, perché è un dono d’amore, per la sua scrittura esilarante e puntuale, mai ‘scontata’ e senza ‘sconti intellettuali’, dalla schienadritta come il suo teatro. Sono quei momenti in cui mi capita di respirare il profumo di quella pulizia e trasparenza ormai rari che a me personalmente scalda il cuore, tiene allenata la memoria e mi offre la possibilità di un’informazione senza sconti e pelosità.

Marco Radessi

Caro Macron, non ci servono eroi. Grazie. Noi parliamo di diritti

La scena è degna di un film d’azione ed è normale che circoli virale sulle pagine Facebook: Mamoudou Gassama, 22 anni nato in Mali e illegalmente entrato in Francia dopo una disperata traversata del Niger e  dopo l’inferno della Libia, si è arrampicato sui balconi di un palazzo di Parigi per salvare un bambino di 4 anni, lasciato solo in casa dai genitori, che si teneva al bordo penzolando nel vuoto. Il salvataggio eclatante, il facile paragone con Spiderman e il morboso bisogno di Macron di ripulirsi splendere di fronte all’opinione pubblica hanno fatto il resto: ora Mamoudou è cittadino francese, il capo di Stato francese gli ha addirittura proposto un posto di lavoro nei vigili del fuoco, “gli eroi di ogni giorno”, ha detto Macron. Eroi dappertutto.

Eppure la favola non ha nulla a che vedere né con l’accoglienza, né con i doveri dell’Occidente e nemmeno con la sdolcineria che vorrebbe rivendersi come solidarietà. L’Europa ha il dovere di accogliere i disperati del mondo per quello che non hanno, per quello che non hanno potuto avere e per i talenti che non hanno mai potuto coltivare. Non gli eroi ma i cenci, quelli che alzano le mani sulla battigia dicendo “eccomi, sono qua, non so fare niente, non sono niente” rendono l’Europa quello che avrebbe dovuto esserequello che avrebbe voluto essere. La superiorità dell’Occidente, tutta declamata nei trattati firmati e nelle convenzioni mai rispettate sui diritti degli uomini, si pratica nel momento in cui si tende la mano a qualcuno non perché utile ma proprio perché inutile, reso inutile, da una storia di prevaricazioni e predoni che sono soprattutto europei.

Premiare gli eroi è una farsa. Farsi riempire la pancia da un eroe per caso mentre sulle Alpi l’inverno ha ghiacciato i corpi di illegali come Mamoudou che avrebbero voluto entrare in Francia è una miopia che non ci possiamo permettere. Questi anni potrebbero avere annegato, bruciato o congelato straordinari pittori, ottimi padri di famiglia, talentuosi carrozzieri, geniali matematici, bravi ingegneri, professionalissimi camerieri, onesti operai, fondamentali badanti, lucidissime giornaliste o qualsiasi altra cosa. Non stiamo parlando di persone che hanno dimostrato di non valere (nonostante la gazzarra xenofoba che prova a descriverli tutti delinquenti, smentita dai numeri): parliamo di persone che non hanno l’occasione di sopravvivere.

Non ci servono eroi, grazie.

Buon martedì.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2018/05/29/caro-macron-non-ci-servono-eroi-grazie-noi-parliamo-di-diritti/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.