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Ilaria Bonaccorsi

Santamamma. La recensione (bellissima) di Ilaria Bonaccorsi per Left

(pubblicato qui per Left, di Ilaria Bonaccorsi)

«Ogni lettore annoiato su una storia che è costata sangue e cuore è una doppia dannazione e io, scusatemi, sono troppo fragile per correre questo doppio rischio».

È quasi la conclusione di Santa Mamma, il nuovo libro di Giulio Cavalli (Fandango libri). Forse la sua paura più grande. E solo oggi, solo adesso, chiuso il libro, mi rendo conto del rischio – doppio – che si è preso Giulio. Una storia di sangue e cuore la sua, una storia intima, privata a tal punto da farti vergognare mentre la leggi. Perché lo cerchi tutto il tempo, cerchi Giulio, quello che arriva in riunione di redazione e a volte ti strizza il cuore per il casino che ha dentro, altre ti riempie di parole fino a confonderti. Cerchiamo umanità insieme su Left dal 2015. “Interviste umane” le chiamiamo le sue. Quelle dove cerchi la bontà. Sono i buoni che vogliamo trovare insieme io e Giulio, anche se non vanno di moda, come mi dice sempre. La bontà non va di moda. Abbiamo firmato le copertine più assurde con Giulio Cavalli, persino una che si intitolava “Elogio della gentilezza”. Ma questo è Giulio Cavalli ed è perfetto per Left, gliel’ho sempre detto. E quando ho letto il suo libro ho capito il senso intero, quello grande, quello che gli fa cercare i buoni. Non gli eroi, i buoni, quelli che sentono il buco ma non lo hanno. E capisco, dopo aver letto Santa Mamma, quanto debba averlo sentito quel buco, e quanto abbia scavato, terrorizzato dal trovare il vuoto. E invece nessun vuoto. Al massimo un gran casino, un casino magnetico che ti fa divorare la storia di Carlo Gatti, il suo protagonista.

«Forse è meglio che mi presenti ma non sono mai stato forte, vi confesso, né con gli inizi e ancora meno con i finali: solitamente finisco dentro qualcosa da cui mi sfilo vigliaccamente nel modo più indolore possibile. Cerco il protagonismo e poi ne soffro. Ogni volta ci ricasco. Deve essere per questa mia ossessione di scrivermi un inizio. Sono Carlo Gatti e sono nato con un buco».

La storia di un bambino adottato all’età di tre anni, eroe per caso e poi per finta, di un fratello e di una ribellione. La sua storia? Forse. Mentre leggo mi ritrovo a pensarlo, e mi spiace spiare, ma sento il rischio.

«Sì, ma nessuno si mette a leggere i tuoi miseri vizi privati. Nessuno si prende la briga di capire i tuoi drammi così patetici. La tua grandezza era solo la grandezza dei tuoi nemici. Non del fratello matto o delle tue paturnie».

Lo dice l’impresario/editore nel libro a Carlo Gatti che l’eroe non lo vuole più fare. Lo ha pensato Giulio? Ha pensato di essere un buco grande quanto la grandezza dei suoi nemici? Forse. Conoscevo, conosco Giulio, sono due anni che scrive ogni giorno per Left, ma non mi aspettavo un libro tanto bello. Tanto perfetto. Scusatemi per la sorpresa e anche l’emozione. Ho pensato di non scriverlo, ho pensato persino di dare il libro a un mio redattore e di lasciare sgonfiare il mio cuore con calma. Ma a Giulio lo devo e forse gli devo anche delle scuse perché non ho capito subito, non ho visto subito.
Un libro buffo e uno serio. Un libro su un Matteo e un libro su se stesso. Questo aveva proposto. E la risposta è stata scontata. Su te stesso. Non restava allora che tuffarsi per lui. Senza paura? No, con la paura di annegare per «quella placenta che gli si era seccata addosso», alla nascita a lui bambino «appaltato». Dovrò fare uso di psicofarmaci, mi ha detto scherzando. E ha inalato fumo alla vaniglia dalla sua sigaretta elettronica, poi è sparito. Inutile inseguirlo, era andato nel “suo buco”. C’era solo da aspettare.

Ci sono frasi o momenti in Santa Mamma che ti straziano il cuore (ma non posso e non voglio spoilerare la storia!), ci sono espressioni che non avevo mai letto prima, come «ha due occhi che mi prendono per i capelli», c’è un modo di usare la lingua che ti tira dentro e poi ti mette fuori, a leggere soltanto quello che solo lui ti racconta.

«Ti dimenticheranno in poco tempo» dice l’impresario/editore nel libro a Carlo Gatti «nato con un buco». Invece Giulio io penso che non ti dimenticheranno in poco tempo perché il libro è indimenticabile. Mi hai fatto “scendere dal mio naso”, come scrivi di te stesso, più e più volte e mi hai portato nella tua vita. E ho pensato quello che hai scritto per tuo fratello di noi due:

«Però non ci capisce nessuno vero?». «Adesso cominciamo. Cominciamo adesso».

Io il libro di Giulio Cavalli non so raccontarvelo, posso solo pregarvi (passatemi il termine!) di leggerlo.

Jeremy Corbyn e il sonno dei neoliberisti

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L’editoriale di Ilaria Bonaccorsi per il numero di Left, in edicola oggi:

L’alternativa non esiste dunque. Tenetevi ciò che avete, è il meglio che c’è. Lo ripete, lo ripetono in tanti sperando di “asfissiarci” le menti. Perché come diceva un amico qualche anno fa “chi è fallito non si preoccupa di se stesso, è già morto. Si preoccupa di chi non lo è. Di chi è vivo”. E allora questa settimana torniamo, indefessi sostenitori di un’umanità “naturalmente” di sinistra, a raccontarvi ancora una volta di chi nasce, di chi è vivo, di chi non si preoccupa di vincere o perdere ma di “cambiare” la vita degli altri. Di tutti gli altri. E in meglio. Di Jeremy Corbyn, probabile nuovo leader dei Labour inglesi. Colui che ha scatenato tale angoscia in Tony Blair da infiammarne persino la penna. «Anche se mi odiate, votate chiunque ma non lui», ha scritto sulle colonne del Guardian l’uomo della Terza via.

Continua qui.

LEFT di questa settimana: cosa ci abbiamo messo dentro

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La direttora Ilaria Bonaccorsi presenta il numero in uscita domani in tutte le edicole:

Il 6 aprile di sei anni fa L’Aquila tremava. Sei anni dopo L’Aquila teme. Teme di non tornare più alla vita.

Siamo tornati nella città con la macchina fotografica di Stefano D’Amadio che per Leftha realizzato un reportage e con le parole di Angela Ciano che ci ha accompagnato tra i vicoli di un “non luogo” abitato da operai, tecnici, capocantieri. “I mangiapolvere”, come li chiama il professor Colapietra.

La ricostruzione delle facciate procede ma è una ricostruzione sbagliata. Perché ha allontanato invece di riavvicinare, di unire la cittadinanza dispersa nelle new town di berlusconiana fattura. «La ricostruzione ha un carattere antiquiario, non c’è recupero urbano e sociale. Non c’è più quotidianità a L’Aquila…» racconta il professore, memoria storica della città e testardo abitante del centro storico. «Non ho mai voluto abbandonare i miei libri e i miei gatti». Leggerete la sua storia e le parole di Fabrizio Barca intervistato da Raffaele Lupoli, unico ministro (della Coesione territoriale dal 2011 al 2013) ad aver lavorato ad una strategia per il recupero della città: da una ricostruzione “autoritaria” era necessario passare a un vero proprio piano di sviluppo “da dentro” che mettesse in connessione natura e centri di competenza. Ma Renzi latita, così come una nuova regia per la città.

E poi tanto altro, Milano e cosa resta degli arancioni dopo la rinuncia di Giuliano Pisapia; una lunga e ragionata intervista a Sergio Cofferati che non risparmia critiche all’attuale segretario Cgil e fa il suo in bocca al lupo alla Coalizione sociale di Maurizio Landini; il gioco dell’oca delle leggi sulle Unioni civili, tra rinvii e stop con ritorno al via e apparenti lieti fine.

Negli esteri Maziyar Ghiabi ci racconta le banlieu parigine dopo Charlie Ebdo, dove tra islamofobia e violenza nasce il Red star football club e poi Bosnia e Yemen, nuova polveriera del Medio Oriente. In cultura Piero della Francesca, scienziato-artista e la grande mostra a lui dedicata inaugurata a Reggio Emilia; le meravigliose immagini delle grotte di Latmos. L’intervista ad Edgar Reitz nella quale ci racconta la storia dell’Altra Heimat, quando nel XIX secolo i tedeschi erano costretti a migrare in cerca di fortuna e per chiudere la musica dei Negrita. Buona lettura!

Non abituarsi mai al mal pensare

L’editoriale di Ilaria Bonaccorsi su Left in edicola di questa settimana. Ne vale la pena:

0429F01-benpensanteOgni volta mi chiedo cosa pensano i benpensanti, che poi sono malpensanti perché pensano male. Quelli che non volevano gli immigrati, quelli che dicevano che dovevano stare a casa loro, quelli infastiditi dall’“invasione” quotidiana e da quella solo immaginata nella loro testa.

Ogni volta penso: e ora? Ora, davanti ai morti di freddo ci penseranno a cosa vuol dire morire di freddo? Morire assiderati aspettando di essere salvati. Ma non essere salvati perché si è a qualche miglia più in là del previsto. Del concesso. Sì perché Mare nostrum che costava troppo (così ci diceva questa Europa qui) aveva la funzione di “ricerca e soccorso” e si spingeva sino a 172 miglia a largo. Arrivava, raccoglieva e portava in salvo.

Triton, figlio sempre di quest’Europa qui, ha invece l’obiettivo “di contrastare l’immigrazione irregolare”, di controllare le frontiere. E di proteggere la nostra Fortezza Europa. E non va più in là di 30 miglia. A 31 sei morto. Non sei più affar nostro. “Lasciateli lì” ha detto il peggiore dei benpensanti, Matteo Salvini. C’è stato un mese strano della mia vita, quasi un anno fa, passato in giro per l’Italia centrale a raccontare – tra le cose che ritenevo importanti – di un grande pannello, grande come il Mediterraneo, e di tante lucine che si accendevano ogni volta che in quel mare un’imbarcazione era in pericolo. Una lucina accesa voleva dire partire per cercare e salvare quelli lì fuori. A largo, soli. Immagino che oggi le stesse lucine continuino ad accendersi ma che quello stesso pannello grande come Il Mediterraneo non serva più a nulla. A meno che la distanza non sia quella “giusta” per quest’Europa qui. Vite umane considerate armi da fuoco dalle quali difendere la nostra Fortezza.

Come quando nel XV secolo riempirono le torri medievali facendone dei terrapieni per resistere alla polvere da sparo dei nuovi cannoni, oggi sbarrano le frontiere per resistere a uomini, donne e bambini che fuggono in massa da guerre e arrivano da noi frettolosi e disperati. Questa “Europa qui” è la stessa che non vuole concedere tempo, non denaro, alla Grecia per salvarsi. Ed è la stessa che ha calcolato il risparmio se invece di spingersi fino a 172 miglia per soccorrere qualcuno ci si ferma a 30 per proteggere se stessi. Quest’Europa qui calcola il risparmio e il guadagno. «Alla “colpa” di essere ebrei o zingari abbiamo sostituito quella di essere nati in Paesi resi invivibili. Ma poco per volta, ci abituiamo a tutto. Sembra che si parli di denaro. Invece si parla di sterminio», così scriveva qualche giorno fa Guido Viale su il Manifesto. Questo è il problema: «Sembra si parli di denaro, invece si parla di sterminio».

Ecco, Left è il luogo dove non ci si abitua. E non ci si abituerà mai a quel “mal” pensare. Perché quel pensare, come vi racconteranno due giovani giornalisti (Veronica e Giacomo) che firmano l’inchiesta di apertura, produce numeri, sbarre, farmaci, sofferenza, contenzione, abbandono. Trasforma centri di identificazione in veri carceri occupati a “contenere” (anche farmacologicamente) chi, per sua sfortuna, vi capita. Sulle pagine di Left, anche questa settimana come le prossime, troverete tutto quello che abbiamo in corpo.

Di alcune cose imperdibili di questo numero voglio dirvi qui: del primo (di molti) lungo editoriale di Emanuele Ferragina, del primo “monologo di carta” (di molti) di Giulio Cavalli e Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa, e di Sunjay Gookooluk. Giovane mauritiano recluso nel Cie di Ponte Galeria e autore di un magnifico diario di cui pubblichiamo alcuni stralci, come questo: «Non siamo extraterrestri, siamo umani. C’è chi scappa da una guerra, chi si vende tutto per andarsene dalla miseria, dai disastri naturali. Chi ha il potere, chiudesse tutti questi centri […] Ora sono le 22.30 e il carrello della terapia ha appena finito il suo giro. Oggi soffrirò le sbarre, la fame e anche l’insonnia visto che ho rifiutato tutti gli psicofarmaci. So solo che sono un artista, quello vorrei fare nella vita».

Il numero di Left in edicola domani: cosa ci abbiamo messo dentro

La presentazione del prossimo numero con le parole di Ilaria Bonaccorsi:

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Se sopravvivono e riescono a sbarcare vivi, li chiudiamo nei Cie. E se qualcuno di quei sopravvissuti capita nel Cie di Ponte Galeria a Roma è sfortunato il doppio. Perché oltre ad essere contenuto fisicamente dentro delle mura lo è anche farmacologicamente.

Questa settimana Left vi racconta come l’uso di psicofarmaci (antipsicotici, neurolettici, antidepressivi, benzodiazepine fino al metadone) in questa struttura sia  fuori controllo. Il risultato? Spesso “gli ospiti” escono con nuove dipendenze. Farmacologiche.

Uno di loro, un invisibile, come si definisce Sunjai, ha scritto uno splendido diario mentre era lì e ci ha permesso di pubblicarne ampli stralci che troverete su questo numero insieme al nostro primo monologo di carta. Primo di tanti, questa settimana Giulio Cavalli insieme a Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa, ha scritto “L’isola che c’è” e così ogni volta tenteremo di affrontare con la letteratura, il teatro, la poesia, fatti di attualità. Per trovare un’altra chiave, un altro modo  di raccontarvi ciò che accade.

Come troverete, il primo editoriale, di molti, di Emanuele Ferragina, autore di uno dei libri più interessanti del 2014 (La maggioranza invisibile) e poi lunghi e approfonditi servizi su l’Expo di Milano, la comunità araba in Italia che tutto vuole fare meno che  “invadere”, il fronte libico e l’Italia che scalda i motori, e quello ucraino.

L’intervento di Giulio Marcon (indipendente di Sel) che ci parla dell’art. 78 della nostra Costituzione. E sei pagine, per cercare di capire genesi e crescita della nuova sinistra spagnola di Podemos. Uno ad uno l’analisi dei riferimenti culturali del movimento e la mappa dei nuovi circoli che stanno nascendo in tutta Europa.

E poi tanta cultura, le commedie di Shakespeare e un ricordo di Elsa Morante. La scienza di Pietro Greco e tutto quello che avreste voluto fare questo fine settimana secondo noi! Buona lettura.

Ecco di che pasta siamo fatti:

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Esce oggi Left. Ci sono anch’io.

Ecco l’editoriale di Ilaria Bonaccorsi:

«No, scusate, non mi convinco no: non ha vinto Renzi, ma ha abdicato questa sempre più logora sinistra che non ha gli strumenti culturali per descrivere uno slancio, per riuscire a vivere il momento “politicissimo” delle elezioni presidenziali un po’ più “in alto” di una settenaria riunione condominiale». Così scrive questa settimana su Left lo scrittore e attore Giulio Cavalli, commentando il clima di unanime consenso intorno all’elezione di un ex Dc, Sergio Mattarella,  a nuovo presidente della Repubblica.

A questo è dedicato lo sfoglio di apertura, non al ritorno della Balena bianca ma all’arrivo della Balena tricolore, quella nazionale costruita ad arte da Matteo Renzi. Molte le nostre voci, lo storico Adriano Prosperi,  il politologo Gian Enrico Rusconi, il segretario nazionale della Uaar Raffaele Carcano, la leader radicale Emma Bonino. Tutti preoccupati dall’assenza di laicità nella nostra classe politica, affetta da un “perbenismo”, così lo definisce Emma Bonino, paralizzante.

Qui da noi, come ci racconta Checchino Antonini, l’ipotetica nuova sinistra, non riesce nemmeno, come ha fatto Syriza in Grecia, ad ancorarsi e connettersi con tutti quegli esperimenti di welfare autorganizzato sul territorio: dai medici sociali ai gruppi di acquisto popolari.  Mentre nascono nuove sigle e partitelli dal senso ancora non pervenuto: Italia Unica, Noi Italiani, Popolari per il Sud.

Ci siamo poi occupati di Primavere arabe e di sentire cosa ne pensa di questo e dell’avanzata dell’Isis in Africa, il viceministro degli Esteri Lapo Pistelli. Per continuare con l’intervista di Simona Maggiorelli alla scrittrice angloindiana e premio Pulitzer Jhumpa Lahiri che ci racconta di come si sia innamorata dell’italiano e di cosa abbia rappresentato scrivere il suo primo libro nella nostra lingua: «è avvenuto un cambiamento creativo ma anche personale. In questo nuovo percorso linguistico sono rinata. Spero che questo libro sia un nuovo inizio». E tanto altro, scienza, fiction e altre passioni. Buona lettura.