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L’intergruppo Pd-M5S-Leu: tra la lotta alle destre e la nostalgia di Conte

Mentre si insedia il governo Draghi al Senato la notizia che prova a incidere sulla geografia del Parlamento è la decisione della costituzione di un gruppo interparlamentare tra Pd, M5S e Leu che, “a partire dall’esperienza positiva del Governo Conte II, promuova iniziative comuni sulle grandi sfide del Paese, dalla emergenza sanitaria, economica e sociale fino alla transizione ecologica ed alla innovazione digitale”.

La notizia divide la platea degli elettori e dei commentatori, com’è normale che sia, ma segna una prima evoluzione del quadro politico nel centrosinistra. O un’involuzione, è da vedere. Da una parte che i tre partiti abbiano deciso di farsi “blocco unico” nella gestione delle proposte e dell’atteggiamento parlamentare rivendica l’azione di governo del Conte bis, che nessuno dei tre partiti ha mai rinnegato, per opporsi alla narrazione dell’esperienza fallimentare e dannosa.

È una questione di identità politica e di consapevolezza che facilita anche la composizione di alleanze sui territori in previsioni delle prossime elezioni amministrative e regionali e indica un preciso campo politico che continua ad aspirare a essere maggioranza di governo nell’ottica di future elezioni.

L’intergruppo (se funzionerà e se riuscirà a essere compatto) sarà l’interlocutore più importante per Draghi in termini di peso di governo e di parlamentari ed è un ottimo modo per arginare gli avversari politici. Potrà portare un contributo decisivo sui temi che il centrodestra ha interessa ad affievolire e può far pendere il governo verso se stesso. Ci sono anche i contro, non sono pochi: l’appiattimento sulla coalizione può costare molto in termini di consensi soprattutto al Partito Democratico che ha nel suo elettorato voci molto critiche su questa operazione che metterebbe a rischio l’identità del partito.

All’interno del partito poi anche alcuni tra i parlamentari (molti dei residui renziani) non condividono questa scelta preferendo guardare al centro (se non addirittura a destra) rispetto all’esperienza del governo Conte. Anche all’interno del Movimento 5 Stelle alcuni vorrebbero tornare all’intransigenza promesse alle origini senza sporcarsi in alleanze così impegnative.

Intanto anche a destra Giorgia Meloni lancia la stessa iniziativa: Salvini le risponde senza rispondere dicendo “l’avevo detto prima io” e Berlusconi per ora tace. Certo i campi opposti, nonostante il governo così largo, si stanno già posizionando. Sarà da vedere quanto in questi movimenti saranno leali comunque al governo.

Leggi anche: 1. Il Pd e il “mistero” dell’intergruppo parlamentare: Zingaretti non ne sapeva nulla / 2. Qui Radio Colle: Draghi sui sottosegretari dovrà decidere da solo. Niente “aiutini” da Mattarella

L’articolo proviene da TPI.it qui

Al Sisi? «Interlocutore appassionato alla ricerca di verità». Parola di un vergognosissimo Alfano

«Siamo convinti che il presidente egiziano Abdel Fatah al Sisi sia un interlocutore appassionato nella ricerca della verità».

E poi: «Confidiamo che le parole di al Sisi spingano ancora di più l’apparato egiziano nella ricerca della verità».

E infine: «Stiamo seguendo anche il canale della collaborazione con l’università di Cambridge, e quello diplomatico, avendo parlato io stesso di recente con il mio omologo britannico Boris Johnson».

Il vero dramma della famiglia Regeni, dopo la perdita del loro figlio Giulio, è quello di essere cittadini in un Italia in cui il servilismo al potente è condizione necessaria per garantirsi un posto al sole. Un Paese in cui gli eventuali cointeressi economici sono il discrimine principale per decidere chi è buono e chi è cattivo. Un Paese in cui la verità è una parola da pronunciare con tono stentoreo nei discorsi ufficiali per poi ripiegarla e metterla nel cassetto delle bomboniere da propaganda. Un Paese che si ostina a trattare l’Egitto come se le prepotenze e i soprusi, oltre alla congenita perdita progressiva di democrazia, siano qualcosa che non è affar nostro, da lasciare agli egiziani. Un Paese che permette a un capo di governo a forma di sultano di irriderci nel panorama internazionale con favolette da scuola elementare.

E noi, continuamente, servi. Proni. Sdraiati di fronte all’evidenza come se fosse solo un fastidio passeggero. E così succede che anche un Alfano qualsiasi possa impunemente rilasciare dichiarazioni del genere. O meglio, a pensarci bene: così succede che anche questo Alfano qui possa permettersi di fare il ministro.

Buon venerdì.

(continua su Left)