Vai al contenuto

iran

La deputata Aiello a TPI: “Lascio il M5S, vanno avanti solo i soliti nomi”

La deputata Piera Aiello ha lasciato oggi il Movimento 5 Stelle pur continuando la sua attività di parlamentare. L’abbiamo intervistata per comprendere meglio la sua scelta.

Perché questa decisione di abbandonare il M5S? Quali sono le cose che l’hanno delusa?
Ero partita con un’idea ben precisa: quella di aiutare la categoria a cui appartengo, i testimoni di giustizia ma anche quella dei collaboratori e degli imprenditori vittime di racket e di usura. Quando io ho messo a disposizione la mia esperienza trentennale sono rimasta inascoltata, nessuno mi dava contezza di quello che si stava facendo. Molti testimoni, collaboratori e imprenditori si sono rivolti a me fiduciosi poiché sono nella commissione parlamentare antimafia e pensavano che io avessi il potere di aiutarli. Ma io quel potere non ce l’ho, non l’ho mai avuto e non l’ho cercato. Il potere adesso ce l’ha sicuramente Crimi che ha le deleghe al ministero con la commissione ex articolo 10 e quando io porto avanti le richieste di aiuto non vengo nemmeno sentita. Non mi sento valorizzata. L’ho sempre detto: non ho mai preteso nessun posto apicale ma la cosa che pretendevo di più era quella di essere ascoltata sulla base della mia esperienza. A me interessava poter aiutare le persone che mi chiedevano aiuto. E questa è stata la mia prima delusione. Io non sono un animale politico, sono una persona molto semplice, una donna del popolo cerco di risolvere le problematiche e da quello che ho visto problematiche non si risolvono.

Cosa non è stato fatto per i testimoni di giustizia che invece andava fatto?
I testimoni di giustizia alcuni sono stati auditi ma da quello che mi risulta non è stata risolta nessuna situazione, né economica e né di sicurezza. Andava fatto questo prima di tutto, mettere in sicurezza i testimoni e non fargli correre rischi inutili, come è capitato a Marcello Bruzzese, fratello di un testimone di giustizia, ucciso il 25 dicembre 2018 in una località protetta. Doveva essere una località sicura ma così non è stato. Molti corrono ancora questo rischio. Non è stato fatto nulla, non si sono risolte situazioni che sono incancrenite da moltissimi anni. Tante promesse ma nulla di fatto.

C’è stata un’effettiva involuzione del Movimento in questi anni?
Il movimento è cambiato, non rispecchia più il pensiero di Casaleggio, vedi il terzo mandato per la Raggi, cosa ci si deve aspettare che lo tolgano del tutto per far candidare i soliti?
È pentita della sua scelta della politica?
Non sono pentita della scelta che ho fatto, sono delusa, ma comunque faccio tesoro di tutto, metto un punto e vado avanti.

Ora inevitabilmente partiranno gli attacchi, le richieste di dimissioni, le accuse di tradimento: come risponde?
Si ho visto gli attacchi, me ne farò una ragione. A tutti quelli che pensano che rimango in parlamento dico che prima di entrare in politica ero un’impiegata regionale, la mia famiglia non se la passa poi male perché lavoriamo tutti onestamente, resto per completare il lavoro che ho iniziato in antimafia, resto perché ho depositato due leggi, una su testimoni e collaboratori l’altra su imprenditori vittime di racket ed usura, leggi che ha oggi sono insabbiate, che non vanno avanti, che sarebbero state il fiore all’occhiello. Sinceramente non mi sembra di aver tradito nessuno, direi il contrario, non ho intenzione di abbassare la testa davanti a nessuno, non lo ho fatto trent’anni fa con i mafiosi, non lo faccio adesso. Nella sua vita si è ritrovata sempre a prendere scelte che sono state coraggiose e che le sono costate molto dal punto di vista personale.
Crede che la politica sia pronta per dare il giusto spazio a testimonianze come la sua?
La politica è pronta se fa un programma forte contro le mafie, se tutto questo non viene preso in considerazione non andremo avanti, la criminalità e dappertutto, specialmente dove ci sono i soldi, questo lo abbiamo già costatato e lo costerneremo con l’arrivo dei soldi per l’emergenza Covid.

Ha intenzione di continuare comunque il suo percorso politico? Se sì, come?
Come dicevo prima ultimo i lavori iniziati difendendoli a spada tratta, anche se non ho un simbolo di appartenenza non vuol dire che non posso continuare, anzi direi che non avendo le mani legate, non stando agli ordini di scuderia, posso fare meglio e informare i cittadini di ciò che succede in parlamento.

Leggi anche: 1. Piera Aiello, storia della prima testimone di giustizia italiana, eletta con il M5S / 2. La deputata Piera Aiello dice addio al M5S: “Non mi rappresenta più”

L’articolo proviene da TPI.it qui

E i decreti sicurezza?

Avevano garantito che sarebbe stato il governo della discontinuità e invece dopo 362 giorni di Conte 2 le leggi di Salvini sono ancora in vigore

Conviene ricordarlo perché fa bene a noi e fa bene anche a loro, loro che sono al governo e che ci avevano garantito che sarebbe stato il governo della discontinuità, ci avevano rassicurato che si sarebbe cambiata rotta. E il bello è che continuano a dircelo ancora, insistono nel tranquillizzarci chiedendoci ancora pazienza. State buoni, abbiate fiducia, ora facciamo tutto.

I decreti sicurezza. Quei decreti sicurezza voluti con tanto ardore da Matteo Salvini e controfirmati da Luigi Di Maio e dal presidente del consiglio Giuseppe Conte, quei decreti sicurezza che in nome della discontinuità sarebbero stati abrogati e poi invece ci siamo dovuti accontentare che fossero modificati. Badate bene: della promessa che fossero modificati. Siamo sempre nel campo delle promesse. Sono passati 362 giorni dall’insediamento del governo Conte 2 e i decreti sicurezza continuano a restare là dove sono e, dalle notizie che girano dalle parti del governo, sembra che se ne riparli dopo le elezioni regionali, a ottobre. Vi ricordate la promessa che sarebbero stati all’ordine del giorno nel primo Consiglio dei ministri di settembre? Beh, scherzavano, non è così.

Le parole migliori le ha espresse Gianfranco Schiavone di Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione) a Redattore Sociale: «Questo rinvio è l’ennesimo gioco della paura: si rinuncia a presentare agli italiani la propria visione diversa e nuova sulle migrazioni per paura di perdere consenso. E’ ormai un circolo vizioso costante dal quale però bisogna uscire, soprattutto in un momento in cui bisognerebbe spiegare le proprie idee agli elettori. Quei decreti non vanno bene, perché non spiegare che i grandi centri creati da Salvini stanno creando problemi con l’emergenza sanitari di Covid-19? Che serve reintrodurre una forma di protezione? Così rimane solo l’impianto ideologico della destra. Se poi il rinvio significa che il voto influenzerà le modifiche, potremmo avere una crisi di quell’accordo che abbiamo raggiunto a fatica, c’è addirittura lo spettro di non fare nulla».

E così siamo alle solite: una politica che decide di non decidere sperando di continuare a galleggiare, come se niente fosse. Un centrodestra che può continuare a sparare a palle incatenate e intanto un centrosinistra che non ha nemmeno il coraggio di proporre un’alternativa. Qui ormai siamo oltre all’egemonia culturale della destra: qui siamo nel deserto di idee e di coraggio. Lo so, ancora, è sempre la solita storia.

Buon martedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Gli arraffoni

Cinque deputati hanno fatto richiesta all’Inps del bonus da 600 euro previsto dai decreti Cura Italia e Rilancio per sostenere partite Iva e autonomi in difficoltà durante l’emergenza coronavirus

La Direzione centrale Antifrode, Anticorruzione e Trasparenza dell’Inps ha scoperto che cinque deputati della Repubblica Italiana, gente che ha uno stipendio lauto e assicurato perfino in tempi di pandemia, hanno pensato bene di fare richiesta (e ottenere, come sancisce la legge) il bonus dei 600 euro che il governo aveva varato con i decreti Cura Italia e Rilancio e che erano destinati alle partite Iva e ad alcune specifiche categorie di autonomi. I bonus erano stati pensati per venire incontro alle partite Iva che scontavano il calo di lavoro durante il periodo di lockdown e che avrebbero potuto avere un po’ di ossigeno.

Sia chiaro: vi basta avere un amico commercialista per sapere che le pratiche dei bonus alle partite Iva sono state preparate per persone che non hanno avuto nessun problema economico e perfino per ricchi imprenditori che quella stessa cifra la spendono per un sostanzioso aperitivo in terrazza con gli amici. I furbi ormai non stupiscono più da un bel pezzo e in Italia (come nel resto del mondo) molto dell’impegno legislativo si consuma più nel non dare accesso ai furbi piuttosto che dare sostegno ai bisognosi. Anche questa è una stortura a cui siamo abituati.

I cinque parlamentari però sono degli arraffoni tutto tondo per due motivi almeno. Primo: mentre migliaia di persone hanno rinunciato al bonus (volontariamente) perché hanno ritenuto più giusto che finisse ad altri questi hanno dimostrato di avere un’etica che li rende indegni di essere cittadini, prima che parlamentari. Secondo: sono quegli stessi parlamentari che avrebbero potuto (e dovuto) riflettere sul fatto che il decreto così com’era scritto presentava evidenti falle e risultava iniquo e invece hanno sfruttato quelle falle.

Ma non preoccupatevi, diranno che è tutta colpa dei loro commercialisti. Andrà così.

E la bocca degli avidi non dirà mai: mi basta.

Buon lunedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Lauree in Albania, soldi scudati in Svizzera: quando “serve” la Lega diventa internazionale

Lauree in Albania, soldi scudati in Svizzera: se “serve”, la Lega è internazionale

Dice “prima gli italiani” ma la Lega ama l’estero, eccome se lo ama, e si riferisce a Paesi stranieri quando c’è da brigare affari di soldi e utilità. C’è la laurea di Renzo Bossi in Albania, all’Università albanese Kriistal di Tirana, che potrebbe essere la prima scena di questa brutta commedia all’italiana in cui gli odiati albanesi (quelli contro cui la Lega ha lanciato strali) sono gli stessi che poi incoronano il figlio dell’imperatore. Rimarrà negli annali anche la meravigliosa risposta del figlio del Senatur, che ai giornali disse di essersi laureato a sua insaputa.

Ma Umberto Bossi e i figli Riccardo e Renzo sono finiti anche in un processo che ci porta addirittura in Tanzania, dove l’ex tesoriere del partito Francesco Belsito ha investito parte dei rimborsi elettorali, acquistato partite di diamanti e poi distribuito soldi alla famiglia del segretario della Lega. Il tesoriere genovese Franco Belsito alla vigilia di Capodanno 2012 fa partire da Genova il bonifico da 4,5 milioni di euro, destinati a finire in Tanzania, svelando il giro di mega prelievi, operazioni offshore, movimenti di assegni, vorticosi giri tra Africa e Cipro, milioni di corone norvegesi e pacchi di dollari australiani. La seconda scena della commediola in salsa leghista potrebbe essere quella Audi A6 che parte da Genova a Milano con undici diamanti e dieci lingotti d’oro nel bagagliaio da consegnare direttamente in via Bellerio. Si tratta del famoso processo dei famosi 49 milioni di euro (di cui Salvini continua a parlare come “parte lesa” dimenticandosi di diritti lesi dei cittadini italiani) che si è chiuso con un’inedita trattativa per cui il partito di Salvini pagherà in 76 comode rate annuali da 600mila euro l’una. Data di estinzione del debito: 2094, alla faccia dei cittadini abituati alle rateizzazioni di Equitalia.

Poi c’è quell’incontro in Russia, con la visita a Mosca del leader leghista all’epoca ministro e vicepremier, in cui il suo ex portavoce Gianluca Savoini all’Hotel Metropoli il 18 ottobre del 2018 parla di alcuni fondi neri che dovrebbero arrivare al partito attraverso una fornitura di petrolio. L’inchiesta è ancora in corso ma la conversazione (al di là del fatto che Salvini sapesse o meno) l’abbiamo ascoltata tutti. Infine c’è il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, con il suo trust alle Bahamas con 5 milioni di euro, regolarizzati da uno scudo fiscale ma sulla cui origine nulla dice.

Prima gli italiani, dicono, ma questi leghisti hanno le mani in pasta sui conti correnti in giro per il mondo.

Leggi anche:

1. Esclusivo TPI: Ecco che fine hanno fatto i 49 milioni della Lega / 2. Fondi Lega, l’ex tesoriere Belsito: “Dovete chiedere a Maroni e Salvini come hanno usato quei soldi” / 3. Fondi Lega: tutto quello che c’è da sapere sulla truffa allo Stato e sui soldi del partito spariti nel nulla

4. Esclusivo TPI, ex tesoriere Lega: “I 49 milioni? Li abbiamo spesi scientemente. Salvini era d’accordo” / 5. Esclusivo TPI: L’ex segretaria di Bossi accusa anche Giorgetti: “I milioni della Lega usati per licenziare i dipendenti” / 6. Esclusiva TPI: “Salvini sapeva dei 49 milioni spariti, ma non fece nulla”. Le rivelazioni shock dell’ex dipendente della Lega che incastrano il Segretario

L’articolo proviene da TPI.it qui

Tante promesse per nulla

Niente, gli è andata male anche questa: Salvini ci teneva così tanto a fare il martire per il suo processo che avrebbe dovuto cominciare il prossimo 4 luglio, quello che lo vede imputato per sequestro di persona per il cosiddetto “caso Gregoretti” quando 131 migranti rimasero per quattro giorni su una nave militare italiana prima dello sbarco ad Augusta il 31 luglio del 2019. Ci teneva moltissimo Salvini perché avrebbe potuto mettere in scena la trama del povero perseguitato che viene messo all’angolo dalla magistratura cercando un legame (che non c’è) con la vicenda delle orrende intercettazioni del magistrato Palamara. E invece niente. «C’è mezza Italia ferma però mi è arrivata una convocazione a Catania per il 4 luglio», aveva dichiarato il leader leghista e invece il presidente dell’ufficio del giudice dell’udienza preliminare Nunzio Sarpietro è stato costretto al rinvio: «I nostri ruoli sono stati travolti dallo stop per l’emergenza coronavirus, ci sono migliaia di processi rinviati che hanno precedenza e ho dovuto spostare l’inizio del processo che vede imputato il senatore Salvini ad ottobre», spiega. E anche sui dubbi di un processo ingiusto Sarpietro tranquillizza l’ex ministro: «Stia tranquillo il senatore Salvini, avrà un processo equo, giusto e imparziale come tutti i cittadini. Né io né nessun giudice che si è occupato di questo fascicolo abbiamo nulla a che spartire con Palamara. E sono d’accordo con lui: quelle intercettazioni tra magistrati sono una vergogna».

Tutto fermo, quindi e niente scontro giudiziario come quelli che piacciono così tanto al centrodestra eppure l’ombra di Salvini, al di là delle vicende processuali, continua a pesare su questo governo e a essere un macigno per questo centro sinistra che si ritrova alleato con gli stessi alleati che furono di Salvini, con lo stesso presidente del Consiglio che celebrò proprio i decreti sicurezza e con un’aria stagnante per quello che riguarda il futuro prossimo sul tema. “Discontinuità”, avevano promesso proprio all’inizio del Conte bis. In molti si ricordano che le due leggi estremamente restrittive sull’immigrazione furono ampiamente contestate da buona parte del Partito democratico, in molti si ricordano le promesse che furono fatte e poi ripetute e in molti si ricordano che furono proprio i maggiorenti democratici a dirci di stare tranquilli che sarebbe cambiato tutto e che si sarebbe cancellato presto quell’abominio. Niente di niente. I decreti sicurezza sono lì e dopo otto mesi non sono stati cambiati. Non sono nemmeno state apportate le modifiche che addirittura il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, aveva chiesto in una sua comunicazione ufficiale. E se è vero che il numero di persone che cercano di attraversare il Mediterraneo è diminuito in questi primi mesi dell’anno è altresì vero che dopo la pandemia sicuramente ci si ritroverà di fronte allo stesso identico problema, con le stesse identiche strumentalizzazioni di Salvini (e della ringalluzzita Meloni) e ancora una volta si assisterà al cortocircuito del governo che tiene insieme quelli che andavano a visitare le barche tenute alla deriva di Salvini e quegli stessi che con Salvini definivano «taxi del mare» le navi delle Ong. Sono diverse le proposte di modifica depositate nei mesi: la riduzione delle multe che i decreti prevedono per le navi Ong impegnate nei salvataggi in mare (su cui anche Mattarella aveva avuto da ridire), il ripristino di alcune forme di protezione internazionale per rendere più facile la regolarizzazione delle persone sbarcate nonché maggiori investimenti nel sistema di accoglienza diffusa, quella che ha sempre funzionato meglio coinvolgendo piccoli gruppi in piccole strutture sparse sul territorio italiano. Niente di niente. Rimane solo qualche parola delle poche interviste rilasciate dalla ministra dell’Interno Lamorgese, l’ultima all’inizio di questa settimana, che ha più volte ripetuto di non essere favorevole allo stravolgimento delle leggi. A posto così. Figuratevi, tra l’altro, se in un contesto del genere si possa anche solo lontanamente parlare di ius soli o di ius culturae che erano altri capisaldi di una certa sinistra progressista che urlava ad alto volume contro Salvini e che ora si è inabissata in un penoso silenzio.

Ma è rimasto tutto fermo? No, no, è andata addirittura peggio di così: all’inizio di aprile il governo ha stabilito che i porti italiani non possono più essere definiti “porti sicuri” per le persone soccorse in mare e di nazionalità diversa da quella italiana, di fatto impedendo l’accesso delle navi delle Ong, riuscendo nel capolavoro di fare ciò che nemmeno Salvini era riuscito a fare con tutte le carte a posto. Nonostante la sanatoria approvata dal Consiglio dei ministri per rimpinzare di braccia i campi dell’ortofrutticolo e per garantire l’ingrasso della grande distribuzione il governo non ha nemmeno trovato il tempo di rivedere la legge Bossi-Fini del 2002 che di fatto rende impossibile trovare lavoro regolare per qualsiasi straniero extra comunitario. A metà dello scorso aprile dodici persone sono morte per sete e per annegamento (mentre altre cinquantuno sono state riportate nei lager libici) e anche l’indignazione per i morti sembra ormai essersi rarefatta. Il giornalista Francesco Cundari il 18 aprile ha colto perfettamente il punto: «Il governo ha abbandonato anche quel minimo di ipocrisia che ancora consentiva di accreditare una qualche differenza, almeno di principio, tra le parole d’ordine di Matteo Salvini e la linea della nuova maggioranza in tema di immigrazione, sicurezza e diritti umani», ha scritto per Linkiesta. Ed è proprio così: ormai la sinistra non finge nemmeno più di essere sinistra e spera solo che non si sollevi troppa polemica. Tutto si trascina in un desolante silenzio spezzato solo dalle inascoltate parole di qualche associazione umanitaria e dalla interrogazione parlamentare di Rossella Muroni sui respingimenti illegali, di cui leggerete nell’inchiesta di Leonardo Filippi che apre questo numero. Mentre in Parlamento ci si inginocchia in memoria di George Floyd qui ci si dimentica di quelli che senza ginocchio si riempiono i polmoni d’acqua per i criminali accordi che l’Italia continua a sostenere con la Libia e ci si dimentica di quelli che muoiono nelle baracche di qualche borgo di fortuna per schiavi.

Poi, in tutto questo, vedrete che arriverà il tempo in cui Salvini tornerà a fare il Salvini e tutti si mostreranno stupiti, ci diranno che vogliono fare tutto e che vogliono farlo presto e intanto sarà troppo tardi, intanto la gente muore, intanto gli elettori si allontanano e si ricomincia di nuovo daccapo.

L’editoriale è tratto da Left in edicola dal 19 giugno

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Che affare, la pandemia

La pandemia no non ci ha reso tutti uguali e secondo il premio Nobel Joseph Stiglitz e l’economista francese Thomas Piketty «ha esacerbato le diseguaglianze». «Le stesse grandi compagnie di Internet, fino a ieri impegnate in pratiche di elusione fiscale, sono state le principali beneficiarie del coronavirus», ha detto Stiglitz durante la conferenza stampa virtuale convocata dalla Commissione indipendente per la riforma della fiscalità internazionale d’impresa (Icrict) e dall’Ong Oxfam.

Facebook, Amazon, Apple, Alphabet, Google nel cuore dell’Europa, in Irlanda, «pagano tasse su una frazione del loro fatturato», dicono i due economisti che propongono anche un soluzione: un regime fiscale minimo. «Sarà molto difficile», ha detto Piketty, ma il fatto che tutta l’Europa stia riflettendo sul debito e stia muovendo somme impensabili potrebbe fare ritrovare il coraggio di parlarne una volta per tutte.

Eppure se ci pensate sono molte le disuguaglianze di cui si è discusso durante l’epidemia, quando davvero si credeva che potesse essere messo in discussione almeno un pezzo di sistema e invece è tornato già tutto nei binari normali. Anche gli eroi si sono già normalizzati, rientrati nei ranghi. Infermieri, insegnanti e perfino i rider, quelli che ringraziavamo ogni giorno su tutte le prime pagine dei giornali, sono finiti ancora nelle retrovie. La scuola è rimasta l’ultima preoccupazione del governo che non ha riaperto le aule e che non sa ancora quando e come si riapriranno mentre ci si assembra sui campi da calcio e nelle manifestazioni politiche. Gli artisti che hanno addolcito la quarantena sono lasciati a inventarsi qualcosa. Lo spettacolo dal vivo è ripartito claudicante.

Tutto bene, tutto normale. Che affare, la pandemia, per i ricchi che sono rimasti ricchi e non sono nemmeno stati messi in discussione. Che affare, la pandemia, per gli eroi che hanno avuto i loro 5 minuti di notorietà e ora devono tornare ai loro posti.

Buon mercoledì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Come ti sconsiglio l’aborto in Umbria

In Umbria governa Donatella Tesei  la quale ha pensato bene che uno dei più annosi problemi da risolvere nella regione fosse allungare il tempo di ricovero per l’interruzione di gravidanza volontaria farmacologica, da sempre come sapete una delle fobie di leghisti e destrorsi vari che sognerebbero di abolirlo per intero, l’aborto.

Nel 2018 la Regione Umbria aveva introdotto la possibilità di abortire grazie alla pillola Ru486 entro la settima settimana di gravidanza e aveva chiesto a tutti gli ospedali di organizzarsi in modo che le donne potessero effettuare l’interruzione della gravidanza grazie a una prestazione di day hospital o anche solo grazie a un servizio di assistenza domiciliare. La possibilità di rinunciare alla gravidanza con la pillola Ru486 è utilizzata oltre il 90% dei casi in nord Europa, per il 60% in Francia e solo per il 18% in Italia.

Ora la Tesei e la sua Giunta hanno deciso che serviranno almeno tre giorni di ricovero obbligatori per accedere all’interruzione di gravidanza farmacologica, cianciando di non si sa bene quale maggiore tutela considerando che in nessun Paese al mondo l’aborto farmacologico avviene al di fuori del regime di day hospital. Per scoprire perché un’azione sia stata intrapresa basta osservare chi è il primo che esulta: in Umbria ha esultato tantissimo il senatore ultraconservatore della Lega Simone Pillon, promotore del Family Day nonché commissario della Lega in Umbria.

Sono riusciti a rendere ancora più difficilmente sostenibile, soprattutto psicologicamente, il ricorso all’interruzione di gravidanza. Non è un caso, no, è una lucida strategia che si inventa qualsiasi passaggio punitivo pur di scoraggiare un atto che non hanno il coraggio di discutere deliberatamente faccia a faccia con le donne. Il fatto poi che in tempi di Covid si aumentino i giorni di degenza, mentre i malati non riescono nemmeno a ottenere le cure che gli spettano, rende tutto talmente goffo da risultare tragicamente imbarazzante.

Buon martedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

La Storia non è una statua inamovibile uguale a se stessa: ecco perché si può mettere in discussione

La Storia non è una statua, non rimane ferma, per fortuna, non è qualcosa di inamovibile che si ripresenta uguale a se stessa ogni giorno sottoposta nei secoli allo stesso identico giudizio. Le persone che sono state, siano il Montanelli che sventola da anni con la sua agiografia o qualsiasi altro rappresentato in qualche statua, non sono icone che sbiadiscono e si cementificio in arredo urbano come se fossero un lampione o un marciapiede allargato.

Sono personaggi che hanno compiuto cose alte e basse, che sono naufragati in piccolezze che a quel tempo erano tollerabili e ora lo sono meno. Tutto per un motivo semplice semplice che qualcuno si ostina a negare: il progresso del pensiero, l’evoluzione della sensibilità e, si spera, il progresso civile che rende normale qualcosa che prima non lo era e che rende insopportabile qualcosa che prima poteva essere sopportato.

C’è chi tira questa corda perché ogni giorno il mondo migliori di un pezzo, perché ci si ricordi che in fondo era accettato l’essere schiavi, l’essere inferiori perché femmine, l’essere escluso dal voto, l’essere considerato meno degno per condizione sociale o religiosa o di etnia. L’Italia che non permetteva il divorzio, che non concedeva l’aborto, che conviveva con il delitto d’onore e con il matrimonio riparatore non è la stessa Italia di oggi: se non cadessimo nel tranello di parlare del dito e perderci la luna in questi giorni parleremmo del mondo che è cambiato, solo dopo è cambiata la sensibilità con cui certi eroi vengono visti anche con occhi diversi. Sta tutto qui.

Il punto non è che Indro Montanelli abbia comprato una moglie che considerava una “docile bestiola” in un’era in cui era “normale” ma il punto è che nella nostra Storia abbiamo considerato potabili degli orrori che oggi fanno accapponare la pelle, semplicemente. E con il senno di poi, con il progresso civile, si potrebbe anche dire che sì, che era proprio una schifezza quella cosa lì, senza tirare in ballo una difesa a oltranza che è solo il pungolo di quelli che da sempre la corda la tirano dall’altra parte, quelli che sono cretinamente convinti che tutto sia immutabile e che il conservatorismo sia l’unica cosa che li rassicuri e li consoli.

La Storia non è una statua ed è doveroso riconoscerla come discutibile, tutti i giorni, una materia in continua evoluzione. Sarebbe da parlare di questo, senza gli eccessi di chi venera e di chi sgretola che non sono la notizia di cui parlare. Anche ridurre il progresso a ordine pubblico, ora che ci penso bene, è piuttosto schifoso.

Leggi anche: 1. Black Lives Matter, a Bristol i manifestanti buttano giù la statua di uno schiavista | VIDEO / 2. La storia va studiata, non cancellata. Abbattere i monumenti è pericoloso

L’articolo proviene da TPI.it qui

Cecilia Strada a TPI: “Vendere armi all’Egitto vuol dire sostenere torture e uccisioni come quella di Regeni”

Cecilia Strada a TPI: “Vendere armi all’Egitto vuol dire sostenere torture e uccisioni come quella di Regeni”

Cecilia Strada è una filantropa e saggista italiana, ex presidente di Emergency e figlia dei fondatori Teresa Sarti Strada e Gino Strada. La guerra la conosce perché l’ha vissuta da sempre in prima persona. L’abbiamo intervistata per TPI.
Cecilia Strada, alla fine l’Italia ha deciso di vendere armi all’Egitto. Come la vede?
Molto molto molto molto male. Sposo in toto la richiesta di Amnesty e di Rete Disarmo che chiedono almeno che se ne parli in parlamento. È una cosa contraria agli interessi dei cittadini italiani, qui si tratta di essere furbi non semplicemente disarmisti. C’è la legge 185/90 che dice che non si vendono armi a chi ha interessi contrari all’Italia e questo è il caso dell’Egitto, poiché in Libia non sostengono la stessa parte in causa: è una cosa poco furba oltre che poco etica. Vendere armi significa sostenere quello che l’Egitto sta facendo al suo interno (torture, ragazzi scomparsi, ammazzati, studenti come Regeni e Zaky). La legge dice che non potresti vendergli armi salvo diversa delibera del Consiglio dei ministri sentite le Camere, quantomeno che se ne parli in parlamento, è la legge, non è un sogno da pacifista. Gli interessi dell’Italia sono maggiori degli interessi delle fabbriche d’armi.

Di Maio ha definito l’Egitto un “partner imprescindibile”…
Partner imprescindibile su cosa? E poi bisogna decidere quali sono gli standard, chiediamo ai nostri partner il rispetto dei diritti umani? C’è un ragazzo italiano morto, le autorità hanno ostacolato le indagini, ridurre tutto al fattore economico è miope, non si fa l’interesse del proprio Paese.
Il pacifismo è sparito dall’agenda politica?
Il pacifismo non occupa spazio se non quando viene usato per dare del sognatore a qualcun altro. Il pacifismo è la non violenza, è riflettere sul modo in cui stiamo insieme, cercare il modo di evitare i conflitti, immaginare delle società alternative. Questo non c’è mai stato ed è un peccato. Sono comunque soldi, si dice, servono per l’economia italiana, ma se si investe nel civile il ritorno è maggiore rispetto al militare: se l’obbiettivo è creare posti di lavoro allora si investano fondi nel civile, come nelle energie alternative, l’investimento dà più posti di lavoro dell’industria bellica.

Intanto rimane in piedi la questione libica e continuano gli sbarchi…
Il Covid faceva paura e non c’era bisogno di inventarsi il nemico, Ong o migrante. Però gli sbarchi sono continuati, in numeri piccoli – poco più di 3mila persone da gennaio a oggi – ma ci sono stati, come anche le segnalazioni di naufragi difficilissimi da verificare perché non ci sono navi in mare che possano testimoniare, ci sono diversi casi di omissione di soccorso e almeno una strage a Pasquetta di una nave lasciata alla deriva con 12 persone morte dopo 5 giorni che chiedevano aiuto. Altri casi di cui non si saprà niente. Ora Mediterranea è tornata in mare, Sea Watch è ripartita poche ore prima con imponenti misure di sicurezza.
L’immigrazione tornerà a essere tema di scontro politico?
Dipende da quanto i politici sentiranno il bisogno di strumentalizzare facendo politica sulla pelle della gente. Io sto ancora aspettando la discontinuità promessa da questo governo, io ero in mezzo al mare sulla Mare Jonio di Mediterranea quando si insediò questo governo. I decreti sicurezza sono ancora lì. Non permetteremmo mai che dei bambini bianchi rimanessero su una nave dopo essere stati torturati, violentati e tenuti prigionieri. Discontinuità vuol dire stracciare gli accordi con la Libia: c’è una gravissima violazione dei diritti fondamentali dell’uomo, delle leggi, della Costituzione. I lager andrebbero evacuati e il sistema smantellato e bisognerebbe aprire canali d’accesso sicuri e legali sconfiggere il traffico di uomini. Tra l’altro non va bene che il soccorso in mare non venga fatto dagli Stati ma dalle Ong, non è normale.

Però in Parlamento alcuni si sono inginocchiati
Su questo ci penso da qualche giorno. I nostri parlamentari sanno chi è George Floyd, benissimo. Ma cosa sanno di Soumayla Sacko? Cosa sanno delle vittime del razzismo qui? Le vittime del nostro razzismo sistemico qualcuno le conosce? Possiamo interessarci a questo? Se sentiamo questo problema sollevato negli Usa allora dobbiamo guardarci intorno: i neri sono quelli nel Mediterraneo e quelli schiavi delle mafie nei campi a disposizione della grande distribuzione. Altrimenti inginocchiarsi servirà a poco.

Leggi anche: 1. L’Egitto acquista 2 navi militari italiane e tappa la bocca all’Italia sul caso Regeni /2. Regeni, Di Maio risponde alle accuse: “La vendita delle armi all’Egitto non è conclusa” /3. Patrick Zaky, gli affari con l’Egitto possono diventare un’arma per l’Italia

4. “Il problema degli Usa sono 400 anni di schiavitù, ma qui in Italia non siamo messi meglio”: parla Igiaba Scego /5. Torino, aggredita a 15 anni sul bus perché nera: “Il razzismo c’è anche in Italia”

L’articolo proviene da TPI.it qui

Iran: arrestano un quindicenne, lo impiccano l’anno successivo

Per la terza volta dal maggio 2016, si apprende da uno dei report periodici di Nessuno Tocchi Caino, le autorità iraniane hanno programmato l’esecuzione di Alireza Tajiki, arrestato nel 2012 e condannato a morte nel 2013, quando aveva rispettivamente 15 e 16 anni, con l’accusa di aver violentato e poi ucciso un suo amico. Il processo nei suoi confronti è risultato gravemente irregolare, basato prevalentemente su “confessioni” che Tajiki ha denunciato di essere stato costretto a fare sotto tortura e che ha successivamente ritrattato, dichiarandosi innocente dalla prima udienza in avanti. La mattina di tre giorni fa, Tajiki è stato trasferito in isolamento e alla famiglia è stato chiesto di recarsi alla prigione Adel Abad di Shiraz per l’ultimo saluto. Nessuna comunicazione ufficiale è invece arrivata all’avvocato, che secondo la legge dev’essere informato di un’imminente esecuzione con 48 ore di anticipo.

 

Disatteso il diritto internazionale. L’applicazione della pena di morte nei confronti di persone che all’epoca del reato avevano meno di 18 anni è contraria al diritto internazionale. A più riprese le autorità giudiziarie iraniane hanno dichiarato che Tajiki era “maturo” e pienamente consapevole “dell’illegalità dell’atto commesso e della conseguente punizione”. L’Iran è uno dei pochi paesi al mondo che continua a mettere a morte rei minorenni. Amnesty International ha i nomi di almeno 89 condannati a morte in attesa dell’esecuzione per reati commessi quando avevano meno di 18 anni.

(Fonte)