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Renzi d’Arabia

Nel mezzo della crisi di governo, il leader di Italia viva è volato a Riad per una conferenza del Fii institute controllato dalla famiglia reale. Pagato da un regime che viola i diritti umani

Dunque il curioso giornalista del quotidiano Domani, Emiliano Fittipaldi, ha scoperto che il prode Matteo Renzi, colui che ha provocato questa crisi di governo in piena pandemia, ha dovuto fare in fretta le valigie per tornare in Italia mentre se ne stava pasciuto in Arabia Saudita, a Riad, per il Fii events, organizzato dall’omonimo istituto voluto dalla famiglia reale, guidata dal re Salman e dal principe ereditario Mohammed bin Salman (detto MbS), leader incontrastato del Paese.

Renzi non era un semplice ospite e nemmeno un banale conferenziere come gli altri 150: il leader di Italia viva (che frequenta i sauditi dal 2017) siede nell’advisory board dell’Fii institute che si occupa di intelligenza artificiale, robotica e cybersicurezza per dare consigli «su come usare la cultura nelle città, che è un possibile driver del cambiamento del Paese mediorentale».

All’uscita della notizia gli scherani di Matteo sono subito accorsi per spiegarci come non ci sia nulla di male se un leader di un partito nazionale, senatore pagato con i soldi degli italiani, nel giorno della crisi che lui stesso ha scatenato (anche se ostinatamente insiste a negarlo come un Fontana qualsiasi), colui che ha accusato Conte di essere “un pericolo per la democrazia” sia pagato (si dice circa 80mila euro all’anno) da un regime che applica la Sharia nella sua forma più rigida, ossia dai governanti di un luogo dove le donne vengono discriminate più che in ogni altro posto al mondo, quella stessa Arabia Saudita che da anni sta devastando lo Yemen uccidendo civili (bambini inclusi) e bombardando ospedali, quella stessa Arabia Saudita che arresta e condanna giornalisti e attivisti e intellettuali per avere espresso delle libere opinioni, quella stessa Arabia Saudita che arbitrariamente ha arrestato i difensori dei diritti delle donne, quella stessa Arabia Saudita che ogni anno emette condanne a morte (anche tramite decapitazioni), quella stessa Arabia Saudita in cui Raif Badawi è stato condannato a 1.000 frustate e 10 anni di carcere semplicemente per aver scritto un blog, quella stessa Arabia Saudita in cui la tortura viene utilizzata come legittimo strumento punitivo, quella stessa Arabia Saudita in cui la discriminazione religiosa della minoranza sciita avviene alla luce del sole, quella stessa Arabia Saudita in cui è stato fatto pezzi il giornalista del Washington post Jamal Khashoggi.

Tutto bene, insomma. Anzi qualcuno ci dice che non essendoci nulla di illegale non se ne dovrebbe nemmeno parlare. Del resto la questione morale, dalle nostre parti, sembra contare ormai molto poco. Quando un anno fa Corrado Formigli gli chiese (dopo che un altro pezzo del Financial Times aveva segnalato la sua partecipazione a un meeting in Arabia) se da «senatore italiano» si ponesse «il problema etico quando tiene conferenze in Paesi che violano i diritti umani come l’Arabia Saudita», Renzi rispose sereno che non c’era alcun conflitto di interesse e che sarebbe sorto solo se lui avesse «fatto parte del governo come ministro o premier». Bei tempi quando in Italia si chiedeva la decadenza della cittadinanza italiana a Sandro Gozi in quanto consulente di Macron.

Intanto qui c’è una crisi di governo da sistemare. Che impiccio, per mister Renzi.

Buon mercoledì.

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Demolition man

Basta mettere in fila un po’ di commenti internazionali sull’ultima mossa politica di Renzi per capire quanto sia pessima l’opinione di lui che hanno i giornali esteri

Vi ricordate quando Renzi e i renziani volevano convincerci che la stampa internazionale impazzisse per lui e che solo grazie a lui l’Italia brillava nel mondo? Bene, ecco. Oggi proviamo solo a mettere in fila un po’ di commenti internazionali sull’ultima mossa politica di Renzi, perché ne vale la pena, perché rende l’idea e perché in fondo così il buongiorno si scrive praticamente da solo.

Demolition man Renzi mette sotto sopra Roma” è il titolo del Financial times, che scrive: «La crisi italiana minaccia di ostacolare il Recovery plan di Bruxelles». E poi aggiunge: «La mossa di Renzi potrebbe essere stata pensata per rafforzare il potere di interdizione del suo piccolo partito e la sua stessa immagine personale, ma potrebbe facilmente ritorcersi contro di lui, mentre il Paese combatte la pandemia».

Il Guardian scrive che la manovra «largamente impopolare» di Renzi arriva «nel momento peggiore possibile per l’Italia» e «lascia gli osservatori perplessi riguardo alle motivazioni». Nonostante siano stranieri hanno ben in mente i motivi della crisi: «La sua popolarità è crollata da quando ha dovuto dimettersi da premier dopo il fallito referendum del 2016. Italia viva nei sondaggi ha meno del 3% dei voti».

Andiamo avanti. El Paìs scrive di un «momento delicatissimo e difficile da spiegare». Il settimanale tedesco Die zeit scrive: «Con richieste sempre nuove» Renzi «ha portato alla caduta della coalizione di governo in Italia. Dietro c’è un calcolo di potere: il suo partito è basso nei sondaggi». «Renzi – conclude l’articolo – vuole far parte del prossimo governo», sia esso una riedizione «della coalizione precedente» sia nella forma di «una soluzione di tutti i partiti». «Ma se questo accadrà è scritto nelle stelle. È anche concepibile che Conte cerchi nuovi sostenitori tra i piccoli partiti di centro in Parlamento – e Renzi sederebbe poi all’opposizione senza alcuna influenza. O che si arrivi a nuove elezioni – e Italia viva lascerebbe quasi certamente il Parlamento. Renzi potrebbe allora passare alla storia come qualcuno che si è suicidato per paura della morte».

In Francia Le Figaro scrive: «Chi si assumerà la responsabilità della caduta del governo italiano in un momento in cui l’Italia sta attraversando una crisi senza precedenti?».

Insomma, un successo per Matteo. Pensate che aspirava alla Nato. Direi che anche questa missione è miseramente fallita.

Intanto la ministra Bonetti, quella che è stata dimessa da Renzi in una conferenza stampa che è stata tutto un attacco, ieri ha dichiarato: «Le mie dimissioni sono lo spazio perché questo tavolo si apra per le risposte da dare al Paese. Noi sgombriamo il campo, adesso si faccia la politica, noi ci stiamo». Aggiungendo di essere disposti a rimanere in maggioranza. Ettore Rosato, vicepresidente della Camera e presidente di Italia viva, è riuscito perfino a dire: «Se ci sono risposte concrete non abbiamo preclusioni rispetto a Giuseppe Conte».

Sempre peggio.

Buon venerdì.

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Ma quanto è brutta Itsart, la Netflix di Franceschini

Alla fine è comparso il sito. Non aspettatevi niente, per carità, ma se volete toccare con mano la stucchevole idea della “Netflix della cultura” che il ministro Franceschini sventola da un po’ come brillante ispirazione (con quello mania tutta italiana di inventare brutte e poco funzionali copie delle idee degli altri) allora potete farvi un giro sul sito www.itsart.tv, il portale che nella mente del ministro dovrebbe rilanciare lo spettacolo dal vivo.

Aperto il sito vi capiterà per ora di vivere una sensazione irreale di distonia internettiana: il logo .ITSART è di una bruttezza che fa spavento, completamente disallineato dai canoni attuali della grafica, una macchietta che sembra provenire direttamente dagli anni ’90 come se in mezzo non ci fosse stata tutta l’evoluzione del web a cui abbiamo assistito. Campeggia in alto una scritta che suona come una minaccia, “stiamo arrivando” è scritto tutto in maiuscolo, in un font “Segment Black” che costa 17,99 euro sui siti specializzati. Appena sotto la formidabile idea: «ITSART è il nuovo palcoscenico virtuale per teatro, musica, cinema, danza e ogni forma d’arte, live e on-demand, con contenuti disponibili in Italia e all’estero: una piattaforma che attraversa città d’arte e borghi, quinte e musei per celebrare e raccontare il patrimonio culturale italiano in tutte le sue forme e offrirlo al pubblico di tutto il mondo». Infine la mail dove inviare le proposte di contenuti, eventi e manifestazione culturali, come allo sportello di una pro loco di provincia che raccoglie idee per il proprio volantino. Se è vero che il mondo dello spettacolo da sempre è la fabbrica delle emozioni e dello stupore c’è da dire che la sua mastodontica casa pensata dal ministero per navigare nella rete appare una premessa piuttosto sgonfiata.

Ma il punto sostanziale è un altro: il progetto per la creazione della prima piattaforma digitale della cultura prende il via, su iniziativa del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo insieme alla Cassa Deposito e Prestiti e dovrebbe “sostenere il settore delle arti dello spettacolo particolarmente colpito nel corso della pandemia”, sostiene il comunicato stampa. Per la gestione della piattaforma è stata costituita una nuova società (ovviamente) controllata al 51% da CDP e per il 49% dalla società privata CHILI Spa. Si sa ancora poco sui costi ma verrebbe subito da chiedersi perché lo Stato non abbia preso già in considerazione di avere un’enorme (e dispendiosa) “piattaforma per la cultura” che si chiama Rai e che ha la valorizzazione delle arti e dello spettacolo nel suo contratto di servizio. La Rai, tra l’altro, possiede anche una sua piattaforma web, Rai Play, che era stata pensata proprio per questo. Ma niente. Poi ci sarebbe da chiedere come possano risollevarsi le compagnie teatrali, di musica e di danza in un momento in cui sono state completamente dimenticate dalla politica. Ma forse, davvero, basta mandare la mail. E .ITSART li renderà tutti ricchi. C’è da scommetterci.

L’articolo Ma quanto è brutta Itsart, la Netflix di Franceschini proviene da Il Riformista.

Fonte

Quel tweet di Salvini in favore della deputata Usa che ha incitato all’insurrezione pro-Trump

Quel tweet di Salvini in favore della deputata Usa che ha incitato all’insurrezione pro-Trump

C’è una storia sotto traccia che vale la pena di essere raccontata a margine degli eventi di Capitol Hill, dell’assalto al Congresso Usa e della politica nostrana. Partiamo dall’inizio: il primo luglio 2020 il leader della Lega Matteo Salvini, che da sempre ha “lisciato” i più ferventi trumpiani, twitta un messaggio che spiazza i suoi elettori e che sfugge agli occhi dei cronisti.

Si congratula con una sconosciuta candidata al Congresso degli Stati Uniti, Lauren Boebert, che a novembre sarà poi eletta nel suo collegio in Colorado. Boebert ha appena sconfitto alle primarie del Partito repubblicano il deputato uscente Scott Tipton, che aveva l’appoggio ufficiale del presidente Trump.

Boebert era una candidata di posizioni talmente estreme che perfino i democratici avevano virato sul candidato repubblicano, pur di provare a non contribuire alla sua elezione. Ha 33 anni, vive in Colorado ed è una fervente sostenitrice delle armi, oltre ad avere posizioni di sostegno nei confronti di QAnon, la strampalata teoria che sostiene l’esistenza di un complotto per sovvertire la presidenza di Trump e che da tempo ciancia di network di pedofilia e satanismo tra i potenti del mondo e di “poteri forti”.

I seguaci della teoria di QAnon sono considerati una vera e propria setta e l’Fbi li giudica una minaccia alla sicurezza nazionale. La deputata Lauren Boebert nei mesi scorsi è finita sui giornali perché si è rifiutata di chiudere il suo ristorante durante le restrizioni imposte per la pandemia e perché, nel suo ristorante, lei e le sue cameriere sfilano con armi sempre in bella mostra, invitando i proprio clienti a fare lo stesso.

Quando è stata eletta ha dichiarato a proposito di QAnon: “Spero che sia vero perché significa solo che l’America sta diventando più forte, e la gente sta tornando ai valori conservatori. È qualcosa di motivante, che ti dà coraggio e mette insieme le persone più forti”.

Durante l’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021, Boebert ha compulsivamente twittato segnalando gli spostamenti dei senatori e della speaker della Camera Nancy Pelosi, suscitando un enorme sdegno nell’opinione pubblica americana e spingendo diversi politici dem e associazioni dei diritti civili a sottoscrivere una lettere in cui la si accusa di avere “incitato alla violenza”.

Una sorta di “talpa interna” dei manifestanti. “Oggi è il 1776”, aveva scritto durante gli scontri, inneggiando alla rivoluzione americana.

Ora aleggia un dubbio: che c’entra Salvini con una candidata che non ha nessuna rilevanza politica e nessun rapporto internazionale?

LEGGI ANCHE L’ultima vergogna della destra italiana: Roberto Fiore e Susanna Ceccardi compiangono i martiri pro-Trump (di G. Cavalli)

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L’assessore di FdI in Veneto canta “Faccetta nera” alla radio. C’è una destra ormai oltre la vergogna

L’ultimo è stato Guido Crosetto, giusto oggi, che in un’intervista dice “noi con il fascismo abbiamo già fatto i conti a Fiuggi, all’epoca di AN”. In Fratelli d’Italia è tutta una corsa a dire e non dire, a affermare e smentire, a prendere le distanze e poi rituffarsi: del resto per loro il fascismo è un qualcosa di cui si deve sentire solo il profumo, quel che basta per non perdere quei voti e in modo abbastanza furbo da non esser attaccabili.

Un equilibrio ipocrita e precario che poi ovviamente viene smentito appena si gratta poco poco la superficie. Come è accaduto con l’assessora all’Istruzione (badate bene: all’Istruzione) di Regione Veneto Elena Donazzan, ovviamente di Fratelli d’Italia, che ospite della trasmissione radiofonica “La zanzara” ci ha tenuto a dirci che lei tra “Bella ciao” e “Faccetta nera” preferisce la seconda e poi ha pensato bene di intonare tutta allegra la prima strofa.

Anzi, a ben vedere ne ha intonato solo le prime parole perché quelli innamorati della “storia” (non è questa la scusa che usano per mascherare il proprio revisionismo?) poi alla fine non conoscono nemmeno ciò di cui stanno parlando. Presa dall’euforia della pessima figura che stava collezionando, Donazzan ha pensato bene anche di elogiare la scelta dello zio Costantino, militare fascista, e il suo non rinnegare mai il fascismo.

Quando il conduttore David Parenzo le ha ricordato che per colpa di persone come suo zio la sua famiglia ebrea è stata costretta a fuggire in Svizzera, l’assessora veneta ha balbettato qualcosa e poi tutti giù a ridere. E via. Ovviamente si è levato il coro di sdegno di tutta l’opposizione e di tutti quelli che conoscono poco poco la Costituzione ma alla fine, vedrete, verrà tutto derubricato a uno “scherzo” male interpretato, quisquilie, cose di cui non tenere conto.

Ora voi provate a immaginare un’assessora di un Land tedesco che canticchi in una trasmissione una canzone nazista, immaginate quanto immediatamente verrebbe rimossa dal suo incarico e come la questione verrebbe presa seriamente. E poi notate come dalle nostre parti, incessantemente e soprattutto negli ultimi anni, il revisionismo continui a passare per momento “pop” occasionale su cui discutere un poco, accendere un tenue scontro politico, e poi dimenticarsene subito.

Un cumulo di provocazioni che giorno dopo giorno vengono lanciate da figure istituzionali e vengono lasciate cadere. E intanto, sotto sotto, condensano.

Leggi anche: 1. L’ultima vergogna della destra italiana: Roberto Fiore e Susanna Ceccardi compiangono i martiri pro-Trump / 2. Ora non dite che sono solo quattro patrioti sballati 

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L’ultima vergogna della destra italiana: Roberto Fiore e Susanna Ceccardi compiangono i martiri pro-Trump

Prima è arrivato Roberto Fiore, sì proprio lui. Il segretario di Forza Nuova, che in un Paese normale non sarebbe nemmeno un partito ma un’illegale accolita di fascisti violenti e rancorosi, ci illumina sulla politica USA con un epitaffio su Ashli Babbit, la donna rimasta uccisa negli scontri di Washington mentre assaltava il Congresso americano.

Sia chiaro, tanto per spazzare subito il campo: ogni perdita di vita umana è una sconfitta per tutti e ogni volta che una persona perde la vita in uno scontro con polizia e forze dell’ordine è dovere di verità e giustizia accertare le dinamiche, le cause e le responsabilità.

Torniamo a Fiore: “Onore ad #AshliBabbitt, morta per le libertà. Uccisa vigliaccamente dalla polizia con altri 3 dimostranti. È la prima eroina della Rivoluzione popolare americana e va ricordata come una donna disarmata e coraggiosa che ha offerto il petto e il volto a un potere corrotto e vile”, scrive sui suoi social. Per poi aggiungere: “Media e partiti si stracciano le vesti per assalto a ‘democrazia’ dei brogli e delle truffe. Nessuno pensa ai 4 manifestanti assassinati da sicari del Deep State. Uomini in nero uccidono a freddo per terrorizzare chi ama la sua Nazione. Come fu con Alba Dorata e ad Acca Larenzia”.

In pratica il segretario di Forza Nuova ci dice chiaramente che Babbit era dalla parte giusta della storia, che la polizia fosse al servizio di un “potere corrotto e vile” e che quell’assalto che tutto il mondo condanna sia stato addirittura un alto momento di democrazia. Qui, per dirla semplice semplice, stiamo parlando di veri e propri “fiancheggiatori” che rivendicano con orgoglio ciò che è accaduto negli USA. Segnatevelo bene, vi tornerà utile quando fingerete di stupirvi che anche qui da noi ci siano gli stessi fascisti esaltati che hanno imperversato con Trump.

Poi è arrivata Susanna Ceccardi, donna di punta della Lega di Matteo Salvini, che in modo più morbido, ma ugualmente disgustoso, scrive: “I morti in America dopo gli scontri sono ben 4. Tutti sostenitori di Trump. Si fosse trattato al contrario di una manifestazione di sinistra questi 4 sostenitori sarebbero stati già dei martiri contro lo Stato che reprime la libertà di pensiero. Invece erano di destra, quindi facinorosi. Ashli Babbit è una delle vittime, era una veterana delle forze armate. Era disarmata quando è morta”.

Insomma anche la Ceccardi non riesce a cogliere il problema di assalire il palazzo simbolo del governo. E badate bene: questi sono gli stessi che rivendicano il diritto della violenza per legittima difesa con il ladruncolo che salta dentro il proprio giardino. Sono gli stessi che urlano “ordine e disciplina” in ogni pezzo di conversazione. Sono quelli che scambiano la legge per una roncola da usare contro l’avversario, o calpestare in nome della libertà per se stessi. Sempre loro.

Leggi anche: 1. Il giorno più buio dell’America (di Giulio Gambino) // 2. Il golpe di Trump (di Luca Telese) // 3. La democrazia Usa cancellata per qualche ora, ma il vero sconfitto è Trump (di G. Gramaglia); // 4. Ora non dite che sono solo quattro patrioti sballati (di Giulio Cavalli); // 5. E se i manifestanti pro Trump che hanno assaltato il Congresso fossero stati neri?

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Omicidio Regeni, l’Egitto prende a schiaffi i pm italiani: il Governo faccia qualcosa

Ma che altro deve succedere perché l’Italia e la storia di Giulio Regeni non vengano usate come zerbino dall’Egitto? Ma che altro deve succedere perché il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, abbia un sussulto di dignità – lui e il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte – perché venga difesa non solo la memoria di un ragazzo che muore quasi ogni giorno sotto i colpi dell’impunità del governo di Al-Sisi, ma almeno la credibilità della Giustizia italiana, che viene addirittura definita “illogica” e basata su “fatti e prove errati, che costituivano uno squilibrio nella percezione dei fatti”?

È notizia recente la consegna di una fregata militare da parte dell’Italia all’Egitto che ecco subito dopo che la procura egiziana si diverte ad attaccare la procura di Roma, il procuratore capo Michele Prestipino e il sostituto Sergio Colaiocco.

In sostanza l’Egitto, quello stesso Egitto che nel corso di tutti questi mesi ha inscenato le più improbabili storture per nascondere l’omicidio di Stato del giovane ricercatore friulano, ora vorrebbe farci credere che qualcuno lo scorso 25 gennaio del 2016 avrebbe ucciso Giulio Regeni per poi addossare la colpa al governo egiziano.

Ma avete capito fino a quanto si possa spingere l’ipocrisia omicida di un governo? Dicono in pratica che Regeni sia morto per creare danno a loro. Loro, che continuano a stringere mani insanguinate con pezzi di governo italiano per scambiarsi armi, loro che insistono nel prendersi gioco bellamente dei nostri rappresentanti di governo che non riescono a produrre nulla di più di qualche pelosa dichiarazione d’indignazione da consegnare alla stampa e da dare in pasto all’opinione pubblica.

Ma oggi, mentre la procura egiziana smentisce la ricostruzione dell’Italia, senza nemmeno prendersi la fatica di offrire almeno un’altra versione dei fatti, senza nemmeno curarsi di indicare dei presunti colpevoli, lo sentite l’odore della vergogna che si spande tutto intorno?

Davvero si vuole ottenere verità su Giulio Regeni limitandosi a intitolargli qualche stanza o qualche convegno? Ma qual è la strategia del governo? Aspettare che ce ne dimentichiamo? Augurarsi che smettiamo di scriverne?

La storia di Giulio Regeni sanguina un vocabolario che ci stringe ogni giorno a scendere negli inferi dell’incredulità di fronte a atteggiamenti così irresponsabili: irresponsabile il silenzio italiano, irresponsabile l’odore del sangue slavato male che arriva dall’Egitto. Ma ne scriveremo tutti i giorni, tutto il giorno, senza tregua.

Leggi anche: 1. Alla vigilia di Natale, nel silenzio generale, l’Italia ha consegnato una nave militare all’Egitto. Con buona pace di Regeni / 2. La verità su Giulio Regeni è un diritto: l’Italia smetta subito di vendere armi all’Egitto (di Alessandro Di Battista)

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Alla vigilia di Natale, nel silenzio generale, l’Italia ha consegnato una nave militare all’Egitto. Con buona pace di Regeni

Questa volta niente cerimonia strombazzata con foto d’ordinanza e saluto militare. Lo scorso 23 dicembre, presso i cantieri di Muggiano, a La Spezia, mentre tutta l’Italia si affrettava per gli ultimi acquisti di Natale e il governo si concentrava su zone arancioni che sarebbero diventare rosse, Fincantieri ha consegnato agli ufficiali della Marina Militare dell’Egitto la fregata multiruolo Fremm Spartaco Schergat, ora ribattezzata “al-Galala”.

Se cercate in giro non troverete nessun comunicato, niente di niente: l’imbarazzo del governo è evidente e la morte di Giulio Regeni, con l’assurda carcerazione di Patrick Zaki, pesa come un macigno.

La consegna è solo il primo passo della vendita di due fregate Fremì all’Egitto di Al-Sisi che avrebbero dovuto essere destinate originariamente alla Marina Militare italiana e che invece sono state vendute all’Egitto senza nessuna comunicazione ufficiale al Parlamento.

La Rete Italiana Pace e Disarmo parla di una vendita “inammissibile” tenendo conto che è avvenuta “senza alcun dibattito in Parlamento in chiara violazione della legge 185 del 1990”. La legge infatti regolamenta le esportazioni militari e prevede il divieto “verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i princìpi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere”.

Del resto lo scorso 16 dicembre anche il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che denuncia l’aumento delle esecuzioni in Egitto, il ricorso alla pena capitale e le sistematiche violazioni di libertà. Proprio in quella risoluzione si esortano gli Stati membri dell’Ue a sospendere la vendita di armi all’Egitto.

Consiglio evidentemente inascoltato, se è vero che (lo dice Rete Italiana Pace e Disarmo) le forniture ipotizzate sono “di altre quattro fregate, 20 pattugliatori, unitamente a 24 caccia multiruolo Eurofighter e 20 aerei addestratori M346 ed altro materiale militare del valore tra i 9 e gli 11 miliardi di euro”.

Sullo sfondo risuonano le parole di indignazione del ministro Di Maio (“l’Italia è un Paese fondatore dell’Ue e sul tema dei diritti umani non è concesso fare passi indietro”), del presidente Conte e del presidente della Camera Roberto Fico, che parlò di “attuare decisioni dure contro l’Egitto”.

Parole che vengono rovesciate a fiumi sui giornali e che poi scompaiono quando si tratta di consegnare il prossimo armamento. La verità e la giustizia, intanto, attendono.

Leggi anche: 1. La verità su Giulio Regeni è un diritto: l’Italia smetta subito di vendere armi all’Egitto (di Alessandro Di Battista) / 2. Tutti a restituire la Legion d’Onore. Bene, ma l’Italia è ben peggio di Macron se non ferma la vendita delle armi all’Egitto (di G. Cavalli)

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Il senso del lavoro di Sgarbi

Vittorio Sgarbi, da sempre incapace di entrare nel merito nelle sue baldanzose e sconclusionate uscite in cui attacca gli avversari politici di turno, ha pensato bene di criticare Virginia Raggi con una bella provocazione classista delle sue, dicendo: «Secondo me prima di fare il sindaco era una cameriera nell’ufficio di avvocati e guadagnava 600 euro al mese». Essere cameriera e guadagnare 600 euro al mese evidentemente per il critico d’arte è elemento di vergogna e di inettitudine. Del resto, mica per niente, Sgarbi da sempre è l’assiduo frequentatore di immorali imprenditori. Virginia Raggi, da canto suo, ha risposto parlando della dignità dei camerieri e tutto il resto, seguita a ruota da Di Maio.

Ma c’è un aspetto interessante in tutto questo: Sgarbi ha pronunciato la sua infelice frase mentre si candidava come sindaco di Roma (e già cerca di attaccarsi ai pantaloni di Calenda) e praticamente in contemporanea ha annunciato la sua candidatura in Calabria. Del resto che Sgarbi sia terrorizzato dall’idea di dover lavorare senza politica lo racconta benissimo la sua storia politica che Fondazione Critica Liberale ha messo tutta in fila e che letta tutta d’un fiato fa parecchio spavento:

«1) Unione monarchica italiana; 2) Partito comunista italiano, accettando la proposta di candidarsi al consiglio comunale di Pesaro, nel 1990, candidatura poi fallita per avere contemporaneamente accettato anche la proposta di candidato per il Psi; 3) Partito socialista italiano, per il quale è stato eletto nel 1990 consigliere comunale a San Severino Marche; 4) Dc-Msi, alleanza con la quale è stato eletto sindaco di San Severino Marche nel 1992; 5) Partito liberale italiano, per il quale è stato deputato nel 1992; 6) Forza Italia, con la quale è stato eletto deputato nel 1994, nel 1996, nel 2001 e 2018; 7) Partito federalista, che ha fondato nel 1995 e poi lasciato per aderire alla 8) Lista Pannella-Sgarbi; 9) “I Liberal – Sgarbi”, movimento da lui fondato nel 1999; 10) Polo laico, movimento effimero esistito nel 2000 per garantire una rappresentanza alle elezioni dell’anno successivo ai Liberali e ai Radicali Italiani; 11) Lista consumatori, con la quale si è candidato, per le Politiche del 2006, senza essere eletto; 12) Udc-Dc, alleanza con la quale è stato eletto sindaco di Salemi nel 2008; 13) Movimento per le autonomie con il quale è stato candidato alle elezioni europee del 2009 nel cartello elettorale L’Autonomia nella Circoscrizione Isole; 14) Rete Liberal Sgarbi-Riformisti e Liberali nelle elezioni regionali 2010 del Lazio; 15) Partito della Rivoluzione-Laboratorio Sgarbi, movimento politico fondato dallo stesso Sgarbi ufficialmente il 14 luglio 2012; 16) Intesa popolare, partito fondato nel 2013 assieme a Giampiero Catone; 17) i Verdi, in occasione delle elezioni comunali a Urbino del 2014, hanno sostenuto la sua iniziale candidatura a sindaco e poi la proposta al sindaco eletto di nominarlo assessore alla Cultura del Comune di Urbino, a seguito dell’alleanza tra i Verdi e la coalizione di Centrodestra, guidata da Maurizio Gambini; 18) Rinascimento, partito da lui fondato con Giulio Tremonti nel 2017 con il quale inizialmente si candida come governatore alle Regionali in Sicilia; in seguito appoggerà la candidatura di Nello Musumeci per la coalizione di centrodestra, che risulterà eletto. In vista delle elezioni politiche del 2018 il partito si federa con Forza Italia; 19) Alleanza di centro, il 12 dicembre 2019, nel gruppo misto della Camera, sei giorni dopo che Sgarbi ha lasciato il gruppo di Forza Italia, si costituisce la componente “Noi con l’Italia – Usei – Alleanza di Centro”, poi divenuta, il successivo 18 dicembre, “Noi con l’Italia – Usei – Cambiamo! – Alleanza di Centro”».

Eccolo il senso del lavoro per Sgarbi: navigare da un partito all’altro in cerca di un ruolo pubblico. Poi si potrebbe ricordare la condanna in via definitiva a 6 mesi e 10 giorni per truffa aggravata e continuata e falso ai danni dello Stato, per produzione di documenti falsi e assenteismo nel periodo 1989-1990, mentre era dipendente del ministero dei Beni culturali.

Poi, oltre a quello che fa, c’è quello che dice e come lo dice. Ma qui si cadrebbe in un dirupo, sarebbe troppo, anche per un buongiorno.

Buon giovedì.

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