Vai al contenuto

IVA

Cosa non cura il vaccino

Bisogna curare le disuguaglianze sociali, la frattura che si è creata in questa pandemia che ha reso i poveri ancora più poveri, i precari ancora più precari, gli sfruttati ancora più sfruttati. Il vaccino va fatto ma c’è molta altra strada da percorrere

Con una gran fanfara è arrivato il vaccino. Sono solo le prime dosi, quelle che il commissario Arcuri definisce “simboliche”, ma non si può non riconoscere la portata storica del momento. Dopo nemmeno un anno dall’inizio della pandemia la scienza ha trovato il primo argine per combattere il virus. Non sarà facile, non sarà breve: c’è un’enorme mole di organizzazione e di lavoro qui dove troppo spesso l’organizzazione del lavoro è risultata deficitaria, c’è un progetto culturale per iniettare credibilità insieme al vaccino che non può essere sminuito a una semplice battaglia tra favorevoli al vaccino (che quegli altri chiamano “pecore” e “servi”) e contrari al vaccino (che quegli altri chiamano “ignoranti” e “irresponsabili”). Bisogna non cedere all’errore (in cui siamo già incorsi) di credere che sia già tutto risolto, tutto finito: ci vorranno mesi, se tutto andrà bene, per raggiungere l’immunità di gregge necessaria a un presumibile ritorno a una parvente normalità. Ci salva la scienza, ci salvano quelli che per anni hanno messo la testa sui libri e si sono dedicati allo studio, ci salvano le competenze. Segnatevelo.

Il vaccino però non cura le disuguaglianze sociali, quelle no. Non cura la frattura ancora più larga che si è creata in questi mesi di pandemia, in Italia e nel mondo, e che ha reso ancora più poveri i poveri, ancora più precari i precari, ancora più sfruttati gli sfruttati, ancora più abbandonati gli abbandonati, ancora più soli i soli. E nella fetta di nuovi poveri ci sono finite famiglie che fino allo scorso febbraio pensavano di avere davanti una vita almeno tranquilla, un futuro almeno immaginabile e ora non hanno più immaginazione.

Il vaccino non cura il sistema sanitario nazionale, quello che ha ceduto troppe volte sotto i colpi di una cronica carenza di mezzi e di persone e che ha fatto scontare le sue falle mica solo ai malati di Covid ma anche a tutti quei malati che non hanno trovato più lo spazio di cui hanno diritto per essere curati. Il vaccino non cura nemmeno la privatizzazione sfrenata. No, non cura.

Il vaccino non cura le serrande abbassate, le partite iva con l’acqua alla gola, le imprese che non ce la faranno a fingersi salvate e vaccinate.

Il vaccino non cura l’odio sociale, fomentato anche in tempi di pandemia, appuntito dalla paura crescente, quello che si è riversato sui soliti disperati che tornano sempre buoni per essere obiettivi fin troppo facili. La disperazione non si sconfigge portando pacchi a Natale.

Il vaccino non cura la risibilità delle politiche ambientali, la pandemia che non vediamo e che non vogliamo vedere e che costerà (sta già costando) molto più di un Coronavirus e che non si risolve trovando una buona fiala ma che ha bisogno di soluzioni strutturate, di pensieri complessi, di visioni strutturate.

Il vaccino non cura il disagio psicologico che è sceso come una mannaia e che rende più difficile una situazione già difficile. Non cura la disperanza, non cura l’afflizione, non cura gli scogli che non si riescono a superare.

Il vaccino non cura l’impianto economico che arricchisce pochi, sfrutta molti e tutela troppo poco.

Il vaccino non cura dall’avere una classe dirigente spesso imbarazzante, quasi mai all’altezza, troppe volte incapace di leggere la realtà.

Il vaccino non cura dalle macerie che vanno ricostruite, seriamente e in fretta.

Il vaccino va fatto, va distribuito ma c’è molta altra strada da percorrere: discutere della “normalità” a cui si vuole tornare è uno dei momenti più delicati e importanti di tutti questi ultimi anni. La scienza è stata all’altezza, il resto è tutto da vedere.

Buon lunedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Un regalo: la comunanza

La comunanza è una chiave di lettura collettiva di persone che si riconoscono uguali in qualcosa. Sotto l’albero quest’anno vi auguro di trovarne un po’

La chiameremo comunanza anche se è una parola che si è impolverata parecchio in questi anni di verbi ipermuscolari, di termini affilati per tagliare i pochi caratteri dei social e di aggettivi sempre magniloquenti e turbo per dopare il dibattito. Comunanza invece è una parola mite come la presa di coscienza collettiva, che non è mica arrendevole anche se quest’anno ha avuto la tentazione di arrendersi spesso. La comunanza è una chiave di lettura collettiva di persone che si riconoscono uguali in qualcosa: pensiamo che sia il virus, no, non è così semplice, non è così immediato, non è così superficiale.

Sotto l’albero quest’anno vi auguro di trovare un po’ di comunanza, anche una fetta sottile, da dividere come si dividono il pane quelle comunità che vivono degne perché rifiutano e allontanano gli ingollatori, li giudicano indegnamente avari per potere essere membri della comunità.

Abbiamo la comunanza di paure. Ed è un collante straordinario la paura. Pensa se sotto l’albero trovassimo la forza e la lucidità di riconoscersi spaventati per elaborare, ognuno con l’esperienza del proprio spavento, una strategia comune per riconoscere le paure, riconoscerne la dignità e per prendersene cura. Pensa se sotto l’albero trovassimo un vocabolario contrario a quello di chi usa e ha usato le paure per esacerbare gli animi e invece trasformassimo le paure in un’occasione di nobiltà e di gentilezza. La comunanza di paure genera mostri oppure costruisce comunità.

Abbiamo la comunanza di affetti da manutenere difficoltosamente. E quest’anno potremmo avere in regalo l’occasione di capire che gli affetti per sbocciare dignitosamente e per essere innaffiati hanno bisogno di capacità di spostamenti, di avere gli strumenti per poter dire che “andrà tutto bene” perché la frase da sola è uno slogan che non salva nessuno. Gli affetti hanno bisogno di un futuro possibile. Ce ne siamo accorti: il diritto all’affetto non è il diritto all’abbraccio (rifiutarlo può essere una premura) ma è il diritto ad esercitarlo con dignità. Questo Natale non mancheranno i cenoni, mancherà per molti la possibilità di dirsi che sì, ce la faranno.

Abbiamo la comunanza di sperare nel lavoro. E nel lavoro non ci si dovrebbe sperare in un Paese normale. I diritti quando mancano mancano come manca l’aria e ora il reddito spaventa anche chi aveva il lusso di non interessarsene. È una comunanza dolorosa ma su cui si potrebbe costruire uno scenario diverso se non fossimo qui ad accapigliarci per i chilometri da percorrere.

Abbiamo la comunanza della dignità della malattia. Erano così meno i malati che i loro diritti sembravano una fissazione per pochi e invece ora sono diventati terribilmente popolari, tragicamente popolari. Pensa che regalo se ora diventassero un chiodo fisso per molti.

Ecco questo Natale vorrei che la comunanza trovata sotto l’albero non si disperdesse e diventasse lei, lei sì, virale davvero. Pensa come cambierebbe tutto.

Buon venerdì.

L’illustrazione in alto di Fabio Magnasciutti è una delle opere che compongono il calendario 2021 di Left. Lo trovate in edicola fino al 7 gennaio in allegato al numero 52 

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Il senso del lavoro di Sgarbi

Vittorio Sgarbi, da sempre incapace di entrare nel merito nelle sue baldanzose e sconclusionate uscite in cui attacca gli avversari politici di turno, ha pensato bene di criticare Virginia Raggi con una bella provocazione classista delle sue, dicendo: «Secondo me prima di fare il sindaco era una cameriera nell’ufficio di avvocati e guadagnava 600 euro al mese». Essere cameriera e guadagnare 600 euro al mese evidentemente per il critico d’arte è elemento di vergogna e di inettitudine. Del resto, mica per niente, Sgarbi da sempre è l’assiduo frequentatore di immorali imprenditori. Virginia Raggi, da canto suo, ha risposto parlando della dignità dei camerieri e tutto il resto, seguita a ruota da Di Maio.

Ma c’è un aspetto interessante in tutto questo: Sgarbi ha pronunciato la sua infelice frase mentre si candidava come sindaco di Roma (e già cerca di attaccarsi ai pantaloni di Calenda) e praticamente in contemporanea ha annunciato la sua candidatura in Calabria. Del resto che Sgarbi sia terrorizzato dall’idea di dover lavorare senza politica lo racconta benissimo la sua storia politica che Fondazione Critica Liberale ha messo tutta in fila e che letta tutta d’un fiato fa parecchio spavento:

«1) Unione monarchica italiana; 2) Partito comunista italiano, accettando la proposta di candidarsi al consiglio comunale di Pesaro, nel 1990, candidatura poi fallita per avere contemporaneamente accettato anche la proposta di candidato per il Psi; 3) Partito socialista italiano, per il quale è stato eletto nel 1990 consigliere comunale a San Severino Marche; 4) Dc-Msi, alleanza con la quale è stato eletto sindaco di San Severino Marche nel 1992; 5) Partito liberale italiano, per il quale è stato deputato nel 1992; 6) Forza Italia, con la quale è stato eletto deputato nel 1994, nel 1996, nel 2001 e 2018; 7) Partito federalista, che ha fondato nel 1995 e poi lasciato per aderire alla 8) Lista Pannella-Sgarbi; 9) “I Liberal – Sgarbi”, movimento da lui fondato nel 1999; 10) Polo laico, movimento effimero esistito nel 2000 per garantire una rappresentanza alle elezioni dell’anno successivo ai Liberali e ai Radicali Italiani; 11) Lista consumatori, con la quale si è candidato, per le Politiche del 2006, senza essere eletto; 12) Udc-Dc, alleanza con la quale è stato eletto sindaco di Salemi nel 2008; 13) Movimento per le autonomie con il quale è stato candidato alle elezioni europee del 2009 nel cartello elettorale L’Autonomia nella Circoscrizione Isole; 14) Rete Liberal Sgarbi-Riformisti e Liberali nelle elezioni regionali 2010 del Lazio; 15) Partito della Rivoluzione-Laboratorio Sgarbi, movimento politico fondato dallo stesso Sgarbi ufficialmente il 14 luglio 2012; 16) Intesa popolare, partito fondato nel 2013 assieme a Giampiero Catone; 17) i Verdi, in occasione delle elezioni comunali a Urbino del 2014, hanno sostenuto la sua iniziale candidatura a sindaco e poi la proposta al sindaco eletto di nominarlo assessore alla Cultura del Comune di Urbino, a seguito dell’alleanza tra i Verdi e la coalizione di Centrodestra, guidata da Maurizio Gambini; 18) Rinascimento, partito da lui fondato con Giulio Tremonti nel 2017 con il quale inizialmente si candida come governatore alle Regionali in Sicilia; in seguito appoggerà la candidatura di Nello Musumeci per la coalizione di centrodestra, che risulterà eletto. In vista delle elezioni politiche del 2018 il partito si federa con Forza Italia; 19) Alleanza di centro, il 12 dicembre 2019, nel gruppo misto della Camera, sei giorni dopo che Sgarbi ha lasciato il gruppo di Forza Italia, si costituisce la componente “Noi con l’Italia – Usei – Alleanza di Centro”, poi divenuta, il successivo 18 dicembre, “Noi con l’Italia – Usei – Cambiamo! – Alleanza di Centro”».

Eccolo il senso del lavoro per Sgarbi: navigare da un partito all’altro in cerca di un ruolo pubblico. Poi si potrebbe ricordare la condanna in via definitiva a 6 mesi e 10 giorni per truffa aggravata e continuata e falso ai danni dello Stato, per produzione di documenti falsi e assenteismo nel periodo 1989-1990, mentre era dipendente del ministero dei Beni culturali.

Poi, oltre a quello che fa, c’è quello che dice e come lo dice. Ma qui si cadrebbe in un dirupo, sarebbe troppo, anche per un buongiorno.

Buon giovedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Minacciare non è una trattativa

Dopo un incontro di oltre due ore, Italia viva sigla una tregua con Conte. Ma quanto ineleganti e irresponsabili sono stati i chili di minacce e di urlacci che i renziani hanno sparato in questi giorni

Dunque il presidente Conte ha incontrato la delegazione di Italia viva e le minacce urlacciate in questi ultimi giorni (con enormi esercizi di narcisismo del solito Renzi) alla fine si sono sciolte come neve al sole. Hanno fatto un cosa semplice: hanno discusso, si sono confrontati e hanno trovato un compromesso.

I dirigenti di Italia viva dopo due ore e mezza di incontro si sono detti soddisfatti perché, ha spiegato Teresa Bellanova, «è scomparsa tutta la questione sulla governance che si voleva portare con un emendamento in legge di Bilancio, e finalmente si comincia a discutere nel merito».

In sostanza il presidente del Consiglio ha rassicurato che tutti i passaggi e tutte le proposte passeranno dal Consiglio dei ministri e dal Parlamento. Quelli di Italia viva dicono che non ci sarà più “nessuna task force” e in realtà è una mezza verità: il ministro degli Affari europei Vincenzo Amendola ha chiarito che «la struttura la chiede l’Europa, ma non sostituirà i ministeri, e il Parlamento verrà coinvolto in tutti i passaggi».

Sono anche uscite le prime bozze del Recovery plan che contengono i capitoli di spesa e gli indirizzi per i prossimi mesi. Ora verranno condivise anche con le altre forze politiche di maggioranza e poi si fisserà entro la fine dell’anno un Consiglio dei ministri per trovare il punto d’incontro per tutti.

Insomma ieri semplicemente si è fatta politica, quella che andrebbe fatta con il senso di responsabilità di chi sa di essere al governo di un Paese, soprattutto in un’epoca di pandemia. Verrebbe da pensare a quanto siano ineleganti e irresponsabili i chili di minacce e di urlacci che i renziani hanno sparato in questi giorni ritagliandosi spazio nei media. Lo so già, qualcuno obbietterà che se non avessero fatto così non avrebbero ottenuto nulla. Peggio ancora. Significa che sono una manica di dilettanti, ma tutti, tutti.

E se volete capire quanto sia più forte di loro continuare con il ricatto allora potete leggere le parole di Bellanova appena uscita dall’incontro: «Il governo deve stare sereno se fa le cose. Se no è inutile». Non riescono proprio a stare sereni e a dismettere i panni dei bulli (con un partito da 2%). E vedrete che tra poco ricominciano di nuovo, con lo stesso atteggiamento, sul Mes. Perché quando gli incapaci sono troppo irrilevanti per aprire un dibattito (irrilevanti non solo nei numeri ma anche nei modi) allora provano a convincerci che la minaccia sia una trattativa. Fanno sempre così.

Buon mercoledì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Il Governo vara il “bonus presepe”, ma dice no ai fondi per le donne vittime di violenza

Manovra: pioggia di mance inutili e 1,3 milioni per i presepi

Maratona di votazioni in commissione Bilancio della Camera nello scorso fine settimana e, come ogni hanno, pioggia di mance per le più svariate attività con i deputati impegnati nella folle rincorsa di accontentare qualcuno. Peccato che quest’anno sia anno di pandemia, un anno in cui bisognerebbe avere un’attenzione particolare e una grande capacità di ascoltare il territorio per lenire le povertà dilaganti.

Dentro la prossima finanziaria ci sono i fondi per il Giubileo 2025 (nonostante non si sappia nemmeno come programmare i prossimi mesi), c’è un finanziamento di 3 milioni di euro per bande musicali (mentre servirebbe una riflessione strutturale sul comparto dello spettacolo dal vivo che sta franando), ci sono 100mila euro per l’attivazione di master in medicina clinica termale, ci sono 2 milioni di euro per l’acquisto di cargo bike e cargo bike a pedalata assistita, il bonus per rubinetti e soffioni della doccia (1.000 euro a famiglia), 1,3 milioni di euro per l’ottavo centenario del presepe (che ricorrerà nel 2023), il cellulare di stato, 5 milioni di euro incassati dal deputato forzista Pella (ovviamente biellese) per l’Unione industriale biellese e così via.

Bocciati gli emendamenti su assistenza domiciliare a donne vittime di violenza

Nelle scelte di una manovra di bilancio, ovviamente, si leggono anche le intenzioni politiche di un governo e allora vale la pena sottolineare come sotto questo profluvio di prebende siano invece state bocciati due emendamenti importanti. Non è passata la proposta di rafforzare l’assistenza domiciliare (lanciata da Cittadinanzattiva e oltre 70 organizzazioni, federazioni e associazioni) che avrebbe dovuto essere pagata dall’aumento della tassazione sul tabacco riscaldato: 40 milioni di euro che sono spariti nel giro di una notte con quelle risorse che si sono disperse in altri mille rivoli.

Fuori dalla Manovra anche l’istituzione di un fondo per l’assistenza legale gratuita alle donne vittime di violenza e di maltrattamenti, che avrebbe dovuto sostenere l’indipendenza economica delle donne garantendo loro l’assistenza legale a spese dello Stato in tutte le fasi processuali che non rientrano nel gratuito patrocinio.

Tutto questo mentre la pandemia ha aumentato esponenzialmente i casi di femminicidio e di violenza domestica. Insomma, “dimmi chi paghi e ti dirò chi sei” e, soprattutto, che tipo di Paese hai in mente per il futuro e che diritti hai intenzione di tutelare. Le premesse, duole dirlo, per ora non sono andate benissimo. No.

Leggi anche: 1. “Vaccino? Un lombardo vale più di un laziale”: l’eurodeputato Ciocca e l’infinito odio della Lega / 2. I penultimatum di Renzi al governo sono diventati una barzelletta / 3. Tutti a restituire la Legion d’Onore. Bene, ma l’Italia è ben peggio di Macron se non ferma la vendita delle armi all’Egitto

L’articolo proviene da TPI.it qui

Il Natale di Salvini

Nella bieca rincorsa a ritagliarsi un posto al sole per ottenere un po’ di visibilità e per andare “contro” al governo Matteo Salvini si è inventato un’altra delle sue invitando tutti a disubbidire alla zona rossa natalizia: “tutti fuori a fare volontariato”, dice Salvini, nel tentativo di incastrare con i buoni sentimenti la sua fregola di essere irresponsabile.

Peccato che la frase, nonostante possa fare breccia tra i suoi fan, non significhi assolutamente nulla, che sia assolutamente priva di senso e sia in netto contrasto con il suo modo di agire, di pensare e di parlare. “Fare volontariato” è una cosa terribilmente seria che non ha nulla a che vedere con il farsi foto insieme a qualche senza tetto. Fare volontariato significa impiegare il proprio tempo e il proprio ruolo in attività organizzate che garantiscano la dignità, se non il benessere, delle persone in difficoltà. Fare volontariato ad esempio significa anche riconoscere la povertà, vederla, conoscerla, abitarla: l’esatto opposto di quello che fece il vicesindaco di Trieste Paolo Polidori quando dichiarò di avere buttato via le coperte dei senzatetto “con soddisfazione” (disse proprio così), l’esatto opposto di quello che fece l’assessora leghista di Como che tolse la coperta a un senza tetto pubblicando tutta fiera il video su Facebook (lì a Como dove nel 2017 venne vietato proprio dalla Lega di dare un latte caldo proprio ai clochard).

Se invece vogliamo rimanere su Salvini allora sarebbe da capire come intenda il volontariato se proprio i suoi senatori hanno acceso una gazzarra in Parlamento mentre si archiviavano quegli orrendi decreti sicurezza dell’ex ministro.

Se Salvini vuole fare volontariato allora potrebbe benissimo ascoltare volontariamente i racconti dei pescatori da poco liberati in Libia che raccontano come quella detenzione fosse al di fuori di qualsiasi diritto umano. Proprio quella Libia che Salvini ritiene “un porto sicuro” in cui ammassare tutti i senza tetto del mondo che provano a trovarlo, un tetto.

Oppure potrebbe ammettere che anche la bontà in fondo per lui è solo un feticcio da sventolare alla bisogna. E potrebbe riconoscere che con questa sua uscita da finto filantropo fa sanguinare le orecchie per la contraddizione che contiene. Perché i buonisti sono naturalmente molto aperti ma non sopportano le minchiate.

Buon lunedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

La stalla e il verme

Dormivano in alloggi umidi e malsani che sarebbero sporchi anche per delle bestie. Una storia disumana di sfruttamento scoperta in provincia di Viterbo dopo la morte di un bracciante

Ci sono stalle fuori dai presepi che si portano addosso delle storie che sanguinano. Nel piccolo comune di Ischia di Castro, in provincia di Viterbo, dentro la stalla ci stavano uomini, braccianti. Solo che non erano uomini, no, erano cani, vermi, servi, li chiamavano così i loro “datori di lavoro” che li pagavano 1 euro all’ora per giornate che potevano durare fino a 17 ore nei campi.

Dormivano nelle stalle, in alloggi umidi e malsani che sarebbero sporchi anche per delle bestie. Non esistevano nemmeno i giorni: festivi, straordinari, turni notturni erano compresi nel prezzo, porzioni di lavoro da regalare al proprio padrone. Gli investigatori scrivono che «lo sfruttamento della manodopera è stato reso possibile dalla determinazione con cui la famiglia imprenditrice ha sfruttato le condizioni delle vittime, spesso quasi ai limiti dell’indigenza, fino ad assoggettarli completamente, poiché cittadini stranieri per lo più soli, con le famiglie da mantenere nei loro luoghi di origine, bisognosi della paga che veniva loro elargita come unica forma di sostentamento ed isolati dal resto della comunità, poiché di fatto impossibilitati per mancanza di tempo e di mezzi con cui muoversi ad uscire dall’azienda in cui vivevano e lavoravano».

Qui non c’è nessun bambinello. C’era un 44enne albanese, che si chiamava Petrit Ndreca e che avrebbe dovuto essere morto in auto con alcuni suoi famigliari. Questa è stata la versione dei fatti riportata ai carabinieri dopo la chiamata, solo che le forze dell’ordine si sono insospettite per la presenza sul posto anche dei due imprenditori agricoli e hanno avviato le indagini. Così alla fine la verità è venuta fuori: Petrit è morto in modo indegno all’interno dell’azienda dopo avere accusato un malore e i suoi datori di lavoro con le minacce sono riusciti a convincere i suoi famigliari a trasportarlo lontano da lì avvolto in una coperta. «Il corpo di Petrit è stato trattato come quello di una pecora», ha raccontato il cognato quando è crollato di fronte ai carabinieri. E così si è scoperto che nelle stesse condizioni di Petrit lavoravano altre 17 persone.

Quella stalla è il presepe della schiavitù che si consuma e della vita umana cha non vale niente. Se poi lo schiavo è straniero e senza documenti allora il gioco viene fin troppo facile. Auguri, a tutti.

Buon giovedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Qualcuno morirà, pazienza

La frase choc del presidente di Confindustria Macerata, secondo cui l’economia viene prima della vita delle persone, indica senza i soliti giri di parole ciò che pensa una buona fetta dell’imprenditoria italiana

Intervenendo all’evento “Made for Italy per la moda” l’imprenditore e presidente di Confindustria Macerata Domenico Guzzini ha detto, in uno stentato italiano: «Ci aspetta un Natale molto magro, stanno pensando di restringere ulteriormente. Questo significa andare a bloccare un retail che si stava rialzando per la seconda volta dalla crisi e lo stanno mettendo nuovamente in ginocchio. Io penso che le persone sono un po’ stanche e vorrebbero venirne fuori. Anche se qualcuno morirà, pazienza. Così diventa una situazione impossibile, impossibile per tutti».

Insomma, se muore qualcuno, pazienza, dice Guzzini, riuscendo nella mirabile impresa di dire piatto piatto, senza i soliti giri di parole e senza troppe edulcorazioni quello che pensa una buona fetta dell’imprenditoria italiana. Tra salute e profitto il profitto vince, il profitto interessa, il profitto conta.

Inquietante anche il tentativo di difesa di Claudio Schiavoni, presidente di Confindustria Marche che dice testualmente: «Non scuso le affermazioni di Guzzini, ma dico che oggi anche gli imprenditori sono sotto stress perché, comunque, stiamo portando avanti la carretta, stiamo facendo di tutto e di più per tenere in piedi le nostre aziende e quindi, ripeto, non giustificando queste parole, dico che in momenti di tensione si possono anche dire cose che uno non pensa, magari anche preso dalla foga o inserito in un altro discorso». In sostanza questi imprenditori, poveretti, si fanno prendere dalla foga e inciampano sui morti. C’è da capirli, eh.

Ma alla domanda “come siamo potuti arrivare fino a qui?” c’è una risposta semplice semplice: accettando anche solo di mettere sullo stesso piano salute e profitto, perdendo il senso dell’indecenza di fronte a chiunque usi questa bilancia. Come se avessimo perso il senso della misura. E così nel momento in cui abbiamo accettato la contrapposizione tra le due cose abbiamo sdoganato le vittime collaterali del fatturato, quelli che in questi mesi sono andati in fabbrica, sui mezzi pubblici, nei supermercati. Abbiamo accettato che ci fossero vittime collaterali. Non è mostruoso?

Accade da anni e noi non siamo ancora riusciti a mettere in discussione il nocciolo del discorso. Che è un nocciolo sbagliato. E ci convincono che debba per forza andare così.

Buon mercoledì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

La cupidigia dei due Mattei

«Hai visto? Gli ho fatto il mazzo!». Non sono due discoli in mezzo a una strada dopo qualche bighellonata, no, è Matteo Renzi che incassa soddisfatto i complimenti dell’altro Matteo, Salvini, che si congratula con lui per avere bastonato Conte in Parlamento e avere incrinato il governo. Una scena simbolica, per niente inaspettata.

Vi ricordate quando, mesi fa, qualcuno faceva notare le assonanze dei due Mattei? Vi ricordate come si offesero le rispettive tifoserie, convinti davvero che i due fossero distanti come mimavano? Eccoli qui, ora: la coppia perfetta con la loro danza macabra che si inventa una crisi di governo nel giorno in cui l’Italia diventa il Paese europeo con più morti in assoluto. Si assomigliano in molte cose i due Mattei, parecchie.

Sventolano entrambi la “responsabilità” per incassare qualcosa. Lo fanno entrambi. Renzi appicca una polemica sulla cabina di regia del Recovery Fund (che contiene dubbi intelligenti che vale la pena discutere) ma poi come suo solito lascia andare la frizione e si ributta a frugare per trovare un posticino al sole buttando all’aria tutto. L’altro Matteo leghista invece parla da sempre di “buon senso” ma è solo una perifrasi per provare a riprendersi lo spazio che si è mangiato con il suo suicidio politico.

Hanno giocato entrambi con la salute cianciando di libertà. Matteo Salvini, greve come sempre, sventola addirittura l’ombra della dittatura sanitaria mentre Matteo Renzi gioca a fare il turboliberista per anteporre il fatturato alla salute. Due lati diversi di uno stesso modo di pensare: per loro i decessi sono i naturali effetti collaterali del loro modo di vedere il mondo. A loro va bene così. E non è un caso che invocassero le riaperture con gli stessi tempi.

Entrambi temono le elezioni. Renzi sa che con il suo partito da zerovirgola rischierebbe di contare per quello che effettivamente conta, poco o quasi niente, e quindi punta a monetizzare le dimensioni dopate dalla sua scissione in corso d’opera. Salvini sa che di non essere più il padrone del centrodestra e ha capito da tempo che Meloni e Berlusconi non sono più disposti a incoronarlo re. E infatti in nome della “pacificazione nazionale” propongono un governo nuovo (meglio: propongono loro al governo) senza passare dalle elezioni.

Entrambi non si capisce bene cosa vorrebbero. Se scorrete le loro dichiarazioni risultano chili di errori addossati agli altri ma non si vede bene quale sia la proposta. O meglio: si capisce che si propongono come soluzione, non si sa con quale strategia.

Entrambi hanno la memoria corta. Renzi da padrone del Pd urlava contro gli scissionisti e se la prendeva con i piccoli partiti che mettono a rischio i governi. Se l’è dimenticato. Salvini invocava elezioni a ogni piè sospinto e ora si abbandona ai giochi di palazzo addirittura invocando quel Mattarella che ha vilipeso per mesi.

Fantastici. Uguali. Una coppia perfetta, appunto.

Buon lunedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.