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legge 194

Pagare meno i medici obiettori, ad esempio

(Una provocazione ma non troppo di Marco Faraci in un suo articolo per Strade)

Il tema dell’obiezione di coscienza all’aborto è tornato in questi giorni all’onore delle cronache, in seguito alla triste vicenda della donna di Catania morta in seguito a una complicazione nella gravidanza.

Il quadro non è sufficientemente chiaro per capire se alla base del decesso ci sia stato un ritardo nel deliberare il ricorso ad un aborto finalizzato a preservare la vita della madre. Nessuna conclusione particolare può essere quindi tratta, per ora, sul caso specifico, ma al tempo stesso quanto è avvenuto ha risvegliato l’attenzione sul tema più ampio della carenza di medici ospedalieri abilitati a compiere interruzioni della gravidanza, specie nelle regioni del Sud Italia, dove il 90% dei ginecologi sono obiettori.

La questione che deve essere posta in termini generali è se abbia senso considerare l’obiezione di coscienza all’aborto non come una normale scelta morale e culturale esercitata nel mercato, ma come un diritto positivo riconosciuto e tutelato dallo Stato. Siamo, evidentemente, di fronte ad una giurisprudenza anomala che non trova particolari similitudini in altri ambiti della vita economica, istituzionale e sociale del nostro paese, pur non essendo certo l’aborto l’unico argomento controverso ed eticamente sensibile.

Certo, per i sostenitori dell’obiezione all’aborto, esiste almeno un parallelo da cui derivare un fondamenti di legittimità, cioè il riconoscimento ufficiale, avvenuto a partire dal 1972, dell’obiezione di coscienza al servizio militare. Questo parallelo, tuttavia, appare poco convincente: il servizio di leva consisteva, infatti, in un obbligo imposto dallo Stato a cittadini che non avevano alcun desiderio di indossare la divisa; in questo contesto il riconoscimento dell’obiezione di coscienza e della possibilità di prestare un servizio alternativo rappresentava una forma di temperamento dell’impegno coatto a cui i nostri ragazzi venivano sottoposti.

Peraltro l’accesso all’obiezione di coscienza non era concesso “gratuitamente”; nei primi anni il servizio civile era più lungo del corrispondente servizio militare, e inoltre gli obiettori per tutta la vita erano soggetti a una serie di limitazioni che andavano dall’impossibilità di ottenere il porto d’armi al divieto di svolgere alcuni lavori.

L’obiezione dei medici non si configura, al contrario, come una forma di mitigazione di un arruolamento forzato, ma rappresenta invece un rifiuto rispetto ad alcuni contenuti di un lavoro volontariamente intrapreso. Certamente, a nessuno viene imposto di fare il ginecologo ospedaliero. L’obiezione dei medici non assomiglia quindi a quella di un diciottenne che non vuole essere obbligato ad imbracciare alle armi; semmai è l’obiezione di un dipendente che si rifiuta di ottemperare ad alcune delle mansioni che gli sono chieste dal datore di lavoro che ha liberamente scelto.

E’ la situazione, se vogliamo cercare degli esempi, di un ingegnere “pacifista” che lavora in un’azienda che tra i suoi clienti ha il Ministero della Difesa, ma che si rifiuta di lavorare su tutti i progetti militari, esigendo di lavorare solo in progetti civili. Di un autotrasportatore vegano, che pretende dall’azienda di trasporti per cui lavora di non trasportare carne. Di un professional del settore vendite, sostenitore dei diritti umani, che non vuole farsi mandare dalla sua azienda in trasferta in Arabia Saudita o in Iran. Di un Carabiniere, a suo agio con le mansioni amministrative, ma che ripudia ogni attività armata.

Intendiamoci, tutte queste preferenze sono più che legittime e possono avere motivazioni molto forti, fino a riguardare lo stesso valore che attribuiamo alla vita. Non tutto quello che è legale è necessariamente morale, secondo la moralità di ciascuno; e sulla base di quello che sentiamo come giusto e come sbagliato, ognuno di noi orienta le proprie decisioni e sceglie di perseguire determinate carriere e determinate opportunità, piuttosto che altre. Naturalmente nel mondo del lavoro capita di trovarsi davanti a determinate posizioni professionali che implicano aspetti ed attività ai quali si è interessati e altri ai quali si è moralmente contrari – ed è certo comprensibile il desiderio di ritagliarsi il meglio di quei ruoli, espungendo quanto invece è considerato “cattivo”.

In questi casi, tuttavia, o si opta direttamente per lavori diversi che non implichino attività moralmente controverse, oppure si deve essere sufficientemente bravi da convincere l’azienda a impiegarci negli ambiti a cui si è più affini. Quello che tuttavia non può essere accettabile da un punto di vista liberale è la pretesa di essere assunti a fronte di un’obiezione morale dichiarata ad effettuare determinate attività utili all’azienda, e pretendere allo stesso tempo che a tale obiezione non corrispondano forme di penalizzazione in termini di opportunità, carriera e stipendio.

E’ chiaro che in fase di colloquio si può legittimamente dire di non essere disponibili a fare determinate cose, ma a quel punto bisogna essere in grado di compensare questa rigidità con particolari livelli di eccellenza tali da rendersi comunque appetibili all’azienda.
 In ogni caso, si deve accettare che, a fronte di una minore flessibilità, si perdano alcune opportunità di lavoro, oppure si sia retribuiti con salari inferiori.

Se un ingegnere dice a un’impresa che opera anche con la Difesa che per ragioni di coscienza non può lavorare su progetti militari, deve accettare il rischio di non essere assunto, oppure di crescere meno in termini professionali e di stipendio, perché non impiegabile in determinati progetti. Sicuramente al colloquio dovrà presentarsi con un curriculum più pregiato, perché ceteris paribus non si vede la ragione per la quale la sua azienda non dovrebbe piuttosto assumere un ingegnere impiegabile in modo flessibile in qualsiasi progetto aziendale.

Lo stesso, ragionevolmente, deve avvenire nel caso di medici obiettori all’aborto. Gli ospedali dovrebbero essere liberi di gestire le proprie politiche del personale in modo da poter garantire l’erogazione di tutti i servizi previsti. Questo vuol dire che, specie a fronte dell’attuale penuria di medici non obiettori, i ginecologi che si rendono disponibili a effettuare interruzioni della gravidanza dovrebbero ragionevolmente essere ritenuti più “pregiati” e di conseguenza dovfebbero essere privilegiati in termini di assunzioni, promozioni e stipendio.

Nel mercato del lavoro mostrarsi moralmente neutri risulta normalmente premiante; introdurre considerazioni di tipo valoriale implica inevitabilmente dei costi, perché evidentemente riduce la propria utilizzabilità. Ciascuno di noi, nella ricerca di un impiego, è libero di decidere quale valore attribuire ai propri personali princìpi morali e di conseguenza qual è il costo che è disposto a sostenere in nome di essi. La verità è che l’erogazione dei servizi di interruzione della gravidanza non è in crisi per il fatto che alcuni medici, sulla base dei propri imperativi etici, si rifiutano di praticarla. E’ in crisi in virtù del pervertimento statalista dell’elementare principio del mercato secondo cui la “rigidità” comporta un costo.

Le norme sull’obiezione di coscienza per i medici addirittura ribaltano tale principio, generando una situazione nella quale tutti gli incentivi economici e professionali sono a favore dell’obiezione. Questa, infatti, non solo non “costa” nulla, ma produce vantaggi a chi la esercita, in quanto consente di evitare la gavetta di attività poco professionalizzanti. I medici non-obiettori, essendo in pochi, si trovano in pratica a effettuare solo aborti e quindi sono discriminati in termini di crescita professionale e in molti casi anche in termini di turni e di ferie. A queste condizioni non c’è affatto bisogno di essere moralmente contrari all’aborto per scegliere l’obiezione coscienza; anzi, l’obiezione diventa per tanti medici l’opzione più razionale di carriera. In queste condizioni si arriva al paradosso che è proprio la decisione di “non obiettare” che assurge a scelta morale e di principio, una “missione” che alcuni ginecologi scelgono pur a fronte degli svantaggi professionali che ne derivano.

Se ne esce solamente riportando la scelte dell’obiezione e della non-obiezione al loro naturale equilibrio di mercato. I dirigenti ospedalieri dovrebbero essere tenuti ad assicurare i servizi e dovrebbero gestire le politiche sulle risorse umane in maniera conseguente. La disponibilità a compiere qualsiasi lavoro dovrebbe essere considerata titolo preferenziale e valorizzata in termini di stipendi e di opportunità di crescita professionale. “Prezzare” correttamente la scelta dell’obiezione secondo il suo minore valore economico, contribuirebbe probabilmente a ricondurre il fenomeno ad una dimensione più genuina, scremando l’obiezione di opportunità, oggi rilevante.

La questione, in definitiva, non è quella di obbligare alcuno a fare alcunché, ma ricondurre la risoluzione di non praticare aborti a legittima scelta individuale che si esprime all’interno delle dinamiche del mercato, svestendola dell’attuale dimensione “sindacale” e statalizzata.

Aborto: l’Europa ci riporta sulla terra

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Il diritto delle donne ad abortire in Italia non è completamente garantito e i medici non obiettori sono discriminati. Il Consiglio d’Europa ha accolto un ricorso della Cgil per la mancata applicazione della norma che tutela la possibilità di interrompere la gravidanza. Per l’organizzazione europea le donne nel nostro Paese continuano a incontrare “notevoli difficoltà” nell’accesso ai servizi, nonostante quanto previsto dalla Legge 194. Per il Consiglio d’Europa inoltre, l’Italia discrimina medici e personale medico che non hanno optato per l’obiezione di coscienza. E sostiene che questi sanitari sono vittime di “diversi tipi di svantaggi lavorativi diretti e indiretti”. E’ la seconda volta che il comitato arriva alla conclusione che l’Italia non sta rispettando quanto stabilito dalla Legge 194.

A rendere problematico l’accesso all’aborto per le donne, secondoStrasburgo, sono tra l’altro una diminuzionesul territorio nazionale del numero di strutture dove si può abortire e la mancata sostituzionedel personale medico che garantisce il servizio quando un operatore è malato, in vacanza o va in pensione. A individuare i problemi è stato il comitato europeo per i diritti sociali del Consiglio d’Europa. Il comitato ha rilevato che le strutture sanitarie “non hanno ancora adottato le misure necessarie per rimediare alle carenze nel servizio causate dal personale che invoca il diritto all’obiezione di coscienza, o hanno adottato misure inadeguate”.

(l’articolo è qui)

A proposito di 8 marzo: per l’Europa l’Italia sulla legge 194 viola i diritti delle donne

Si parla di legge 194 e di una notizia che dovrebbe circolare infinitamente di più. La riporta il sito VOX, l’Osservatorio Italiano sui Diritti:

Lo dice un’importante sentenza del Comitato Europeo dei Diritti Sociali del Consiglio d’Europa, che ha ufficialmente riconosciuto che l’Italia viola i diritti delle donne che -alle condizioni prescritte dalla legge 194/1978 – intendono interrompere la gravidanza, a causa dell’elevato e crescente numero di medici obiettori di coscienza. Si tratta di un’importante vittoria, che arriva proprio oggi, data simbolica per la storia delle donne. Una vittoria, che porta anche la firma di Vox.

L’associazione non governativa che ha presentato il ricorso contro l’Italia, International Planned Parenthood Federation European Network, è stata assistita da Marilisa D’Amico, co- fondatrice di Vox e da Benedetta Liberali, tra le voci di Vox.

La legge 194/1978 prevede che, indipendentemente dalla dichiarazione di obiezione di coscienza dei medici, ogni singolo ospedale debba poter garantire sempre il diritto all’interruzione di gravidanza delle donne. Oggi purtroppo, a causa dell’elevato numero di medici obiettori, alcune strutture si trovano a non avere all’interno del proprio organico medici che possano garantire l’effettiva e corretta applicazione della legge. Il riconoscimento di violazione da parte dell’Europa mira a garantire la piena applicazione di una legge dello Stato, la 194, che la Corte costituzionale ha definito irrinunciabile.

La sintesi del reclamo la trovate qui.

#apply194 Legge 194 e obiezione di coscienza, tanto per tenere il punto

A 34 anni dall’approvazione della legge proviamo a parlarne al Pirellone. Per tenere il punto (che di questi tempi fa sempre bene) e perché forse è necessario chiarirci. Mentre l’UDC sappiamo bene come la pensa e il “nuovissimo” Renzi definisce la discussione sulla legge “ideologica e poco seria”.

Ecco, in tempi di coalizione confuse sui diritti civili, noi quello che pensiamo ce lo diciamo qui:

#SAVE194 i diritti conquistati vanno difesi in un Paese dalla memoria fragile

Leggo, aderisco e anche io copio e incollo:

“Sembra, ogni volta, di dover ricominciare da capo. Facciamolo, allora, e partiamo da una domanda. Questa: “tutte le donne italiane possono liberamente decidere di diventare madri?”. La risposta è no.
Non possono farlo, non liberamente, e non nelle condizioni ottimali, le donne che ricorrono alla fecondazione artificiale, drammaticamente limitata dalla legge 40.
Non possono farlo le donne che scelgono, o si trovano costrette a scegliere, di non essere madri: nonostante questo diritto venga loro garantito da una legge dello Stato, la 194.

Quella legge è, con crescente protervia, posta sotto accusa dai movimenti pro life, che hanno più volte preannunciato (anche durante l’ultima marcia per la vita), di volerla sottoporre (di nuovo) a referendum.

L’articolo 4 di quella legge sarà all’esame della Corte Costituzionale – il prossimo 20 giugno – che dovrà esaminarne la legittimità, in quanto violerebbe ” gli articoli 2, (diritti inviolabili dell’uomo), 32 I Comma (tutela della salute) e rappresenta una possibile lesione del diritto alla vita dell’embrione, in quanto uomo in fieri”.

Inoltre,  quella legge è svuotata dal suo interno da anni. Secondo il Ministero della Salute sono obiettori sette medici su dieci (per inciso, i cattolici praticanti in Italia, secondo i dati Eurispes 2006, sono il 36,8%): in pratica, si è passati dal 58,7 per cento del 2005 al 70,7 per cento del 2009 per quanto riguarda i ginecologi, per gli anestesisti dal 45,7 per cento al 51,7 per cento e per il personale non medico dal 38,6 per cento al 44,4 per cento. Secondo la Laiga, l’associazione che riunisce i ginecologi a difesa della 194, i “no” dei medici arriverebbero quasi al 90% del totale, specie se ci si riferisce agli aborti dopo la dodicesima settimana. Nei sette ospedali romani che eseguono aborti terapeutici, i medici disponibili sono due; tre (su 60) al Secondo Policlinico di Napoli. Al Sud ci sono ospedali totalmente “obiettanti”. In altre zone la percentuale di chi rifiuta di interrompere la gravidanza sfiora l’80 per cento, come in Molise, Campania, Sicilia, Bolzano. Siamo sopra l’85% in Basilicata. Da un’inchiesta dell’Espresso di fine 2011, risulta che i 1.655, non obiettori hanno effettuato nel solo 2009, con le loro scarse forze, 118.579 interruzioni di gravidanza, con il risultato che più del 40% delle donne aspetta dalle due settimane a un mese per accedere all’intervento, e non è raro che si torni all’estero, alla clinica privata (o, per le immigrate soprattutto, alle mammane). Oppure, al mercato nero delle pillole abortive.
Dunque, è importante agire. Vediamo come.

Intanto, queste sono alcune delle iniziative che sono state prese:
1) Lo scorso 8 giugno, Aied e Associazione Luca Coscioni hanno inviato a tutti i Presidenti e assessori alla sanità delle Regioni un documento sulle soluzioni da adottare per garantire la piena efficienza del servizio pubblico di IVG come previsto dalla legge. “Siamo altresì pronti a monitorare con attenzione l’applicazione corretta della legge e, se necessario, a denunciare per interruzione di pubblico servizio chi non ottempera a quanto prevede la legge”, hanno detto.
Le proposte sono:
Creazione di un albo pubblico dei medici obiettori di coscienza;
Elaborazione di una legge quadro che definisca e regolamenti l’obiezione di coscienza;
Concorsi pubblici riservati a medici non obiettori per la gestione dei servizi di IVG;
Utilizzo dei medici “gettonati” per sopperire urgentemente alle carenze dei medici non obiettori;
Deroga al blocco dei turnover nelle Regioni dove i servizi di IVG sono scoperti. 

2) La scorsa settimana ha preso il via la campagna contro l’obiezione della Consulta di Bioetica Onlus: qui trovate le informazioni e qui il video.

Diffondere queste informazioni è un primo passo. Ce ne possono essere altri. Fra quelli a cui, discutendo insieme, abbiamo pensato, ci sono:

1) Raccogliere testimonianze. Regione per regione, città per città, ospedale per ospedale, segnalateci gli ostacoli nell’accesso all’IVG e alla contraccezione d’emergenza. Potete farlo anche in forma anonima, nei commenti al blog. Ma è importante: perché solo creando una mappa dello svuotamento della legge è possibile informare su quanto sta avvenendo ed eventualmente pensare ad azioni anche legali.

2) Tenere alta l’attenzione in prossimità del 20 giugno. Lanciate su Twitter l’hashtag #save194, fin da ora.
L’intenzione di questo post è quella di informare. Non è che il primo passo: perché la libertà di scelta continui a essere tale, per tutte le donne italiane”.