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Aria fritta in Lombardia: persino la Corte dei Conti certifica il fallimento della Giunta di Fontana

Avviso a tutti quelli che si ritengono vittime di un non meglio precisato “spirito anti-lombardo” ogni volta che si scrive del disastroso stato di Regione Lombardia in campo sanitario e delle enormi falle in questo anno di pandemia (Fontana e Moratti in testa): c’è un documento di 331 pagine della Corte dei conti (Sezione regionale di controllo per la Lombardia) che mette nero su bianco il disastro della cricca leghista certificando il fallimento di Aria, la società per l’innovazione e gli acquisti del Pirellone, che proprio Fontana insisteva nel presentare come “fiore all’occhiello” di questa amministrazione.

Aria nasce nel 2019 fortemente voluta dalla Lega per “ridurre gli sprechi” e per provare a cancellare gli scandali che da anni travolgono la sanità lombarda. La Corte dei conti la descrive come un consulentificio per il “continuo ricorso ad incarichi esterni, con particolare riferimento a quelli legali, nonché una non significativa rotazione degli stessi”, una società con poco staff, che spende troppi soldi in consulenti spesso troppo ben pagati e che ha mancato il proprio scopo primario perché non partecipa “alla programmazione degli acquisti degli enti del Sistema sanitario regionale” e neppure “dispone dei loro piani biennali”. Per questo gli ospedali continuano il loro “sistematico ricorso a richieste di acquisto ‘estemporanee’”.

Tutto questo mentre la Giunta non ha “piena consapevolezza” della distanza tra la realtà e il traguardo, visto che non è stato adottato “alcun intervento correttivo”.

Forse adesso a qualcuno potrà risultare più chiaro perché in Lombardia la gestione del contenimento della pandemia prima e la gestione dei vaccini poi sia stata un’imperdonabile sequela di errori che poco hanno a che vedere con Gallera: la sanità lombarda era un coacervo di amici degli amici sotto la guida di Formigoni e continua ad esserlo nonostante la riverniciata leghista. Come avrebbe potuto Aria gestire i vaccini se non riesce nemmeno a gestire l’attività ordinaria per cui è stata creata?

E cosa serve d’altro per rendersi conto che siamo di fronte a un fallimento sistemico che non si risolve con gli annunci di Bertolaso o con le promesse di Letizia Moratti? Anche perché si sta parlando di un malfunzionamento che non ha provocato disagi o ritardi: si continua a contare gli infetti, i morti e i vaccini che stanno andando sparsi e a rilento.

Cosa altro serve per certificare il fallimento di una classe dirigente incompetente, inconsapevole e pericolosa?

Leggi anche: Vaccini, Regione Lombardia poteva usare gratis il portale di Poste ma ha deciso di spendere 22 milioni per Aria Spa (di L. Zacchetti) // Prima ha depredato la Sanità lombarda, ora gli restituiscono anche il vitalizio (di G. Cavalli)

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L’ispettore Bertolaso

Chiamato dalla signora Moratti a risolvere i problemi della Lombardia nell’emergenza sanitaria, Guido Bertolaso ha detto in conferenza stampa che forse le cose non stanno andando molto bene. E se l’è presa con i giovani specializzandi

Guido Bertolaso, il signor Wolf dei turboliberisti, il risolviproblemi che ha solo il piccolo difetto di non riuscire a risolvere i problemi, quello che se fosse giudicato dai voti in pagelle sarebbe da un decennio dietro la lavagna con le orecchie d’asino di cartone, il superPippo in salsa lombarda investito dalla signora Moratti, ieri ha tenuto una mesta conferenza stampa in cui ha indossato la maschera del dimesso e ci ha detto che forse le cose in Lombardia non stanno andando molto bene, riuscendo a partorire una faticosa analisi a cui erano arrivati già tutti da mesi mentre erano in fila dal panettiere.

«Il sistema delle vaccinazioni degli over 80 continua a funzionare male, a creare equivoci, ritardi», ha detto Bertolaso. Incredibile. A me, tanto perché va di moda sempre lo storytelling del giornalista che srotola la sua esperienza personale, capita di essere lombardo con padre lombardo dializzato e ultraottantenne e di avere prenotato sull’apposito sito la prenotazione per la vaccinazione: mi sono detto che un ultrottantenne con i reni ormai saltati e con un’invalidità al 100% sarebbe stata una priorità. Niente di niente. Per dire: non mi è arrivato nemmeno il messaggio di scuse per il ritardo. Chissà, forse Fontana ha riconosciuto il numero, mi sono detto.

Comunque ieri Bertolaso ha anche dato una grande lezione di sociologia dicendo, leggete e tremate:

«La legge dice che gli specializzandi sono chiamati a fare vaccinazioni. Non è facoltativo, è un obbligo. La pandemia di covid è un problema di profilassi internazionale – ricorda Bertolaso – e quindi è compito dello Stato in primis di intervenire. Scriverò al prefetto e gli chiederò di richiedere per la seconda volta, l’elenco degli specializzandi. La prima volta ha risposto un solo rettore».

Non vi basta? Ha anche aggiunto: «Mi basterebbe fare un appello a tutti quelli della mia età e il numero dei medici lo troveremmo subito ma non sarebbe giusto perché per un medico vaccinare è la cosa più nobile da fare. Solo vaccinando risolviamo questa emergenza».

Quindi il prode Bertolaso non è riuscito a risolvere i problemi della Lombardia ma ha trovato i colpevoli: i giovani. A posto così. L’ispettore Bertolaso ha chiuso le indagini. Saluti e baci.

Buon giovedì.

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Lombardia in tilt, ancora

La vaccinazione antinfluenzale fallita e finita. La “scoperta” che creare zone rosse era possibile. L’improvvisa rimozione del dg alla Sanità. Sì, si va proprio alla grande nella Regione amministrata da Fontana e Moratti

Varrebbe la pena andare a rivedere le immagini di Fontana e Gallera mentre assicuravano di non avere nulla da rimproverarsi sulle azioni messe in campo da Regione Lombardia per fronteggiare la pandemia. Varrebbe la pena scrutare con attenzione, tenerle bene a mente, quelle facce così convinte, quasi con sicumera, mentre accusavano noi giornalisti di voler remare contro, di vedere errori che non esistevano, mentre garantivano che tutto andava bene, che tutto sarebbe andato bene, che i vaccini antinfluenzali sarebbero stati fatti, che la Lombardia era solo vittima di una serie sfortunata di circostanze. Quelle circostanze sfortunate in effetti erano loro.

Gallera non c’è più, silurato perché ingenuo nelle dichiarazioni e perché gran collazionatore di figure di tolla (come si dice in Lombardia). È stato il capro espiatorio perfetto per essere linciato in nome della salvezza di tutti gli altri. Qualcuno ha osato pensare che avere cacciato Gallera fosse un’ammissione di colpa ma anche in questo caso Fontana se l’è presa sul personale e ha avuto il coraggio di dirci che no, che Gallera era solo un po’ “stanchino” (ha avuto il coraggio di dire davvero così). Peccato che qualche settimana dopo proprio Gallera si sia lasciato sfuggire in una trasmissione di una televisione locale che no, non era stanco, e che era stato Salvini a silurarlo.

Poi è arrivata Letizia Moratti con una nomina che ha tutto il sapore di un commissariamento. Ma come? La fulgida Lombardia aveva bisogno di una perdente per risollevarsi? Niente, non hanno mai risposto. Tra l’altro Moratti non ha fatto rimpiangere per niente Gallera in tema di figure barbine iniziando subito a bomba con la sua proposta di un vaccino in base al Pil. Intanto la campagna vaccinale antinfluenzale è miseramente fallita e finita. Poi ci hanno detto che entro giugno avrebbero vaccinato tutti i lombardi. Ora dicono che no, che si erano sbagliati. È arrivato pure Bertolaso. Ma come? Ma mica la Regione era talmente brava e competente?

Poi è successo che Regione Lombardia abbia chiuso dei comuni, trasformati in zona rossa per le varianti del virus. Ma come? Ma mica Fontana ci aveva detto che era compito del governo? E ora invece si può? E perché allora non si è chiusa la bergamasca? Quanti morti si potevano risparmiare? Nessuna risposta.

Ieri è stato fatto fuori il direttore generale alla Sanità Marco Trivelli. Sono rimasti sorpresi anche i consiglieri di maggioranza. Il comunicato della Regione è imperdibile: «Si tratta di destinare un’importante risorsa in termini di competenza ed esperienza alla guida di un’area strategica per la quale l’assessorato al Welfare di Regione Lombardia vuole riservare la massima attenzione». L’hanno spedito all’ospedale di Vimercate, il direttore generale, e vogliono farci credere che sia quasi una promozione.

Per inciso: Trivelli aveva sostituito 8 mesi fa, sotto Gallera, Luigi Cajazzo, oggi indagato dalla procura di Bergamo per il caso dell’ospedale di Alzano Lombardo, riaperto il 23 febbraio 2020 nonostante l’accertamento dei primi casi di Covid. Trivelli era quello che difendeva Fontana sui dati sbagliati inviati da Regione Lombardia, quello che ci assicurava che i vaccini antinfluenzali stavano andando alla grande.

Alla grande, proprio, sì, si va alla grande in Lombardia.

Buon venerdì.

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Un governo per niente impolitico

Il governo Draghi, quello che fa sognare i portatori d’acqua delle élite e i nuovi feticisti del merito usato come termometro personale per poter giudicare il mondo, ha già fissato un nuovo record: i suoi ministri hanno cominciato a litigare tra di loro quarantotto ore dopo il giuramento, due giorni prima addirittura di ottenere la fiducia, nemmeno il tempo di tornare a casa e svestirsi dei vestiti di ordinanza che erano serviti per apparire sobri. Tolti i vestiti, tolta la sobrietà. Il punto dirimente è stata la chiusura all’ultimo momento delle piste da sci alla luce dei nuovi dati sanitari (tra l’altro l’ennesimo colpo a un’economia che prova faticosamente e costosamente a rialzarsi e poi si ritrova con le gambe spezzate dal virus) ma non preoccupatevi perché sarebbe potuto accadere su un tema qualsiasi e accadrà, vedrete, su un altro milione di punti. Comunque è bastato il decreto firmato dal ministro Speranza (che mica per niente fino all’altro ieri era il capo della “dittatura sanitaria” strillata da destra) per accendere le voci di chi ha corso per scrollarsi di dosso la responsabilità e per apparire critico del governo per sembrare dalla parte dei lavoratori. In prima fila, ovviamente, ci sono stati i leghisti che sono quelli che più di tutti hanno meno da perdere nel fare gli sfascisti dall’interno e continuare a ondeggiare tra l’essere critici e responsabili, sovranisti e europeisti, patrioti e cosmopoliti.

Le bordate di Salvini, dei presidenti di Regione e dello Stato maggiore del partito avevano un unico obiettivo: scaricare su Speranza tutta la responsabilità, promettere che con loro queste cose non sarebbero mai più accadute e lanciare a Draghi il chiaro messaggio che loro no, non staranno tranquilli. Tant’è che proprio Palazzo Chigi (e hanno scritto tutti “Palazzo Chigi” perché gli tremano le dita a scrivere “Draghi”) ha dovuto smentire la fiumana critica che stava montando chiarendo che la decisione era stata condivisa in Consiglio dei ministri. Ovvero: questi fanno finta di non sapere e invece sono responsabili durante le riunioni con la maggioranza e poi si fanno esplodere appena gli capita davanti un microfono. E sarà così, sarà sempre così, sarà sempre di più così. Spiace anche vedere in giro gente che esulta confidando veramente sul fatto che Draghi riesca a tenere a bada i suoi ministri e i suoi sottosegretari: potrà anche accadere (sarà ben difficile, secondo me nemmeno questo accadrà) ma Draghi non potrà mai permettersi di zittire i partiti e sarà proprio dai partiti che arriveranno le bordate e non è un caso che i leader di partito si siano tenuti ben attenti tutti le mani libere. Ora da questo piccolo ma significativo episodio si può subito capire una cosa ben chiara: siamo di fronte a un governo con una connotazione fortemente politica (il “governo di quasi tutti i partiti”, altro che il governo dei tecnici) e noi dobbiamo valutarlo per questo. E allora che governo è il governo Draghi? La squadra di governo statisticamente disegna l’identikit di un maschio 55enne lombardo-veneto con 6 ministri di centrodestra (3 ciascuno per Lega e Forza Italia), 4 del M5s, 3 del Pd, 1 di Leu e 1 di Italia viva. Bastano le statistiche per capire di cosa stiamo parlando? Siamo di fronte a un governo con una maggioranza di ministeri dati al centrodestra (i numeri parlano) con il più promettente partito di destra, Fratelli d’Italia che presto volerà nei sondaggi, a capo dell’opposizione, con tecnici che provengono da una cultura bancaria a occupare le altre caselle, con una forte impronta cattolica (se non addirittura omofobi di derivazione ciellina) e con idee tutte’altro che progressiste in tema di diritti civili. Un governo, per intendersi, che dalle urne sarebbe uscito se la coalizione di Salvini e Berlusconi e Meloni avesse ottenuto la maggioranza dei voti e avesse potuto godere dell’appoggio esterno del presunto centrosinistra.

Questa è l’impronta, questa è la storia delle persone che sono al comando e non si capisce per quale ragione da un composto del genere dovrebbero uscire idee totalmente opposte ai loro curriculum. Allora forse conviene fare un patto, almeno con i lettori, e decidere che sia subito il caso di uscire da questo messianismo che ha immobilizzato un bel pezzo dell’opinione pubblica e che si cominci da subito a valutare il governo Draghi con lo stesso occhio clinico e attento che si userebbe per un governo di cui temiamo le mosse. Questo non per un miope pregiudizio di ideali (chi non si augurerebbe di vivere in un Paese che abbia la fortuna di trovare un ottimo governo?). Ma perché se continuiamo a rimanere imbrigliati nel tranello di considerare questo esecutivo “impolitico” allora saremo sempre pronti a digerire qualsiasi sua azione come “la meno peggio delle mediazioni possibili”. È un governo larghissimo? Sì, è vero, ma la responsabilità di tutta questa ampiezza se la sono presa Draghi e il presidente della Repubblica e se davvero siamo nell’epoca del “merito” allora se ne assumeranno tutte le responsabilità.

L’articolo prosegue su Left del 19-25 febbraio 2021

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Finalmente un po’ di programma

Scuola, lavoro, ambientalismo, vaccini… Si comincia a fare politica e finalmente usciamo dall’agiografia giornalistica. E adesso, finalmente, calano le maschere

Forse finalmente ci prepariamo ad uscire da questo nauseante fardello di agiografia giornalistica che negli ultimi giorni si è spremuto sul pasticciere di Draghi, sulla corsetta mattutina di Draghi, sulle opinioni dei compagni di classe di Draghi, sui gusti culinari di Draghi, sul “quanto è bello il silenzio compito della moglie di Draghi”, sulle analisi dei completi indossati da Draghi e si torna a parlare di politica. Finalmente, vedrete, ci farà bene, farà bene a tutti.

Nel secondo giro di consultazioni il Presidente del Consiglio incaricato sta presentando ai gruppi parlamentari un’idea di programma per il governo che potrebbe essere e si potrà testare quali siano le idee e soprattutto quale potrebbe essere l’apporto dei partiti. Per ora, com’è naturale che sia, siamo solo ai titoli declamati ma da questo possiamo partire per aprire un dibattito e delle riflessioni. È un passo in avanti, certo.

Ieri si è parlato un po’ dappertutto dell’ipotesi del prolungamento della scuola: secondo Draghi gli studenti hanno perso troppi giorni e occorre intervenire con una revisione del calendario scolastico fino a fine giugno. Draghi ha insistito anche sulla necessità di farsi trovare pronti per la ripresa dell’anno scolastico 2021-2022 per risolvere l’annoso problema delle 10mila cattedre vacanti di questo inizio di anno scolastico. Declinato così, ovviamente, questa idea sembra un colpo facile su cui presumibilmente saranno tutti d’accordo. Chissà che sia la volta buona che questo impegno non rimanga nel cassetto dei sogni. Anche perché proprio ieri una ricerca ha confermato quello che sappiamo da tempo: nell’Italia delle disuguaglianze una famiglia su tre ha difficoltà a sostenere e seguire il proprio figlio in Dad.

Poi c’è l’ambientalismo. Anche questo è un punto che si è sventolato spesso e che invece ha bisogno di azioni concrete e rapide. Ora sappiamo che il 37% delle risorse del Recovery finirà lì. Draghi ha ripetuto più volte che bisogna puntare sull’ambiente in modo trasversale, puntando il dito sull’inquinamento di zone d’Italia come la Lombardia (a proposito del “modello lombardo”) dichiarando di pensare all’ambiente anche come occasione di sviluppo e di crescita. Anche qui, certo, siamo ai titoli iniziali, ma la sfida è già una priorità di molti Paesi europei. Chissà che non diventi un tema prioritario anche qui, anche nelle agende dei partiti.

Poi c’è la campagna dei vaccini. Mentre Salvini riesce a sfiorare il ridicolo proponendo il “modello Lombardo” e il “modello Bertolaso” (con la Lombardia che svetta per numero di morti e con Bertolaso che per ora si è limitato a comporre un po’ di slide), l’idea di Draghi sarebbe quella di proporre il “modello inglese”. Per ora si parla di poco o niente, come abbiamo avuto occasione di vedere ciò che conta in una campagna vaccinale sono i numeri. Chissà almeno che non ci si liberi delle primule di Arcuri. C’è un aspetto che lascia un po’ perplessi: Draghi avrebbe anche chiesto di cambiare il “clima” generale della narrazione. Se così fosse sarebbe un peccato: l’ottimismo dopato dalla narrazione è una truffa, l’ottimismo si costruisce offrendo opportunità. Ma avete notato anche voi come sia già cambiata la percezione del virus in questi giorni nonostante le preoccupazioni delle varianti? Curioso, vero? Non è un bel segnale.

Poi c’è ovviamente l’atlantismo, ovvero il riposizionarsi con convinzioni sulle posizioni degli Usa di Biden in un quadrante geopolitico ben definito. Qui il terreno è molle: il confine tra alleanza e servitù è sottile.

Poi c’è il quadro degli aiuti per il lavoro (ci torniamo più largamente nei prossimi giorni) e su questo circolano già alcune parole chiave: niente «contributi a fondo perduto», si dice, e attenzione perché nella definizione del «fondo che si è perduto» si gioca la sostanziale differenza tra chi vuole sostenere le imprese o i lavoratori. Sul punto di equilibrio si definisce la posizione politica del governo che sarà (nonostante si finga che non ci sia connotazione politica). Se gli aiuti alle imprese che vengono sventolati finiranno ancora una volta a salvare il culo dei padroni mentre macellano i lavoratori non sarà un buon momento, no. E viste le facce che sostengono il governo viene da pensar male. Si dice che non ci sarà spazio per la proroga del blocco dei licenziamenti. Quindi che si farà? Questo è un bivio fondamentale. Ah, ci saranno consistenti aiuti per gli istituti di credito (che continuano a non dare credito). Chissà perché non ci stupisce.

Parole da prendere bene con le pinze sul fisco: si parla di una riforma strutturale per «alleggerire il ceto medio» in un Paese in cui il ceto medio esiste sempre meno e in cui il problema è la povertà, mica la piccola borghesia. E anche su questo la tiritera del governo senza colore politico cadrà inesorabilmente. Aspettiamo, con parecchia ansia.

Poi, come governo tecnico che si rispetti, si parla di “infrastrutture”. Anche qui la partita è semplice: siamo ancora il Paese che considera infrastruttura il ponte sullo Stretto o siamo il Paese capace finalmente di considerare le infrastrutture sociali che modernizzerebbero davvero il sistema Stato?

Insomma, si comincia a fare politica e finalmente l’aria si dipana, anche tutto questo sistema gassoso e fideistico che ormai ci ha annoiato. E adesso, finalmente, calano le maschere.

Buon martedì.

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Il Governo vara il “bonus presepe”, ma dice no ai fondi per le donne vittime di violenza

Manovra: pioggia di mance inutili e 1,3 milioni per i presepi

Maratona di votazioni in commissione Bilancio della Camera nello scorso fine settimana e, come ogni hanno, pioggia di mance per le più svariate attività con i deputati impegnati nella folle rincorsa di accontentare qualcuno. Peccato che quest’anno sia anno di pandemia, un anno in cui bisognerebbe avere un’attenzione particolare e una grande capacità di ascoltare il territorio per lenire le povertà dilaganti.

Dentro la prossima finanziaria ci sono i fondi per il Giubileo 2025 (nonostante non si sappia nemmeno come programmare i prossimi mesi), c’è un finanziamento di 3 milioni di euro per bande musicali (mentre servirebbe una riflessione strutturale sul comparto dello spettacolo dal vivo che sta franando), ci sono 100mila euro per l’attivazione di master in medicina clinica termale, ci sono 2 milioni di euro per l’acquisto di cargo bike e cargo bike a pedalata assistita, il bonus per rubinetti e soffioni della doccia (1.000 euro a famiglia), 1,3 milioni di euro per l’ottavo centenario del presepe (che ricorrerà nel 2023), il cellulare di stato, 5 milioni di euro incassati dal deputato forzista Pella (ovviamente biellese) per l’Unione industriale biellese e così via.

Bocciati gli emendamenti su assistenza domiciliare a donne vittime di violenza

Nelle scelte di una manovra di bilancio, ovviamente, si leggono anche le intenzioni politiche di un governo e allora vale la pena sottolineare come sotto questo profluvio di prebende siano invece state bocciati due emendamenti importanti. Non è passata la proposta di rafforzare l’assistenza domiciliare (lanciata da Cittadinanzattiva e oltre 70 organizzazioni, federazioni e associazioni) che avrebbe dovuto essere pagata dall’aumento della tassazione sul tabacco riscaldato: 40 milioni di euro che sono spariti nel giro di una notte con quelle risorse che si sono disperse in altri mille rivoli.

Fuori dalla Manovra anche l’istituzione di un fondo per l’assistenza legale gratuita alle donne vittime di violenza e di maltrattamenti, che avrebbe dovuto sostenere l’indipendenza economica delle donne garantendo loro l’assistenza legale a spese dello Stato in tutte le fasi processuali che non rientrano nel gratuito patrocinio.

Tutto questo mentre la pandemia ha aumentato esponenzialmente i casi di femminicidio e di violenza domestica. Insomma, “dimmi chi paghi e ti dirò chi sei” e, soprattutto, che tipo di Paese hai in mente per il futuro e che diritti hai intenzione di tutelare. Le premesse, duole dirlo, per ora non sono andate benissimo. No.

Leggi anche: 1. “Vaccino? Un lombardo vale più di un laziale”: l’eurodeputato Ciocca e l’infinito odio della Lega / 2. I penultimatum di Renzi al governo sono diventati una barzelletta / 3. Tutti a restituire la Legion d’Onore. Bene, ma l’Italia è ben peggio di Macron se non ferma la vendita delle armi all’Egitto

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“Vaccino? Un lombardo vale più di un laziale”: l’eurodeputato Ciocca e l’infinito odio della Lega

Centinaia di magliette, migliaia di manifesti, quintali di retorica: la Lega di Salvini che vorrebbe diventare “nazionale” ha usato tutti gli strumenti possibili in questi ultimi anni per convincerci che la sua matrice padana fosse solo un lontano ricordo, che fosse diventato un movimento interessato alle esigenze di tutti, che davvero fosse distante il ricordo di Bossi (e Salvini stesso) che se la prendevano con i terroni scansafatiche e con i romani ladroni.

Poi basta lasciarli parlare un po’, aspettare solo che mollino la frizione e alla fine il loro pensiero viene fuori e ritorna, mostruoso, disuguale e razzista come sempre, senza che sia cambiata una virgola. A cadere nella trappola questa volta ci pensa Angelo Ciocca, uno di quelli che più di una volta ha faticato nel tenersi a freno e uno di quelli che sa bene come funzioni nella Lega: dire una boiata, spararla grossa, è il modo migliore per farsi notare dai propri seguaci e mal che vada si finge di porgere delle tiepide scuse oppure si dichiara di essere fraintesi.

Dice Ciocca, eurodeputato della Lega, che “se si ammala un lombardo vale di più che se si ammala una persona di un’altra parte d’Italia” e quindi che bisogna vaccinare in base all’importanza economica del territorio. Niente vaccino quindi per chi non fattura, non produce e non torna utile alla produttività. La dichiarazione del resto non è molto distante da ciò che ha detto Guzzini di Confindustria Macerata qualche giorno fa, poi fortunatamente dimessosi per la pessima figuraccia per la frase sugli “affari che devono andare avanti e se muore qualcuno, pazienza”.

Ciocca, vale la pena ricordarlo, è lo stesso che a ottobre disse che il Covid era più diffuso in Francia e in Spagna “perché noi italiani siamo più puliti” e perché “abbiamo il bidet”. Il punto è che la Lega continua a contenere nella pancia quel germe del razzismo che quando non riesce a puntare verso gli stranieri devia inevitabilmente nella suddivisione fra gli italiani. È sempre così: a forza di odiare diventano tutti potenzialmente odiabili, è solo questione di tempo.

Ma la sensazione peggiore, quella che intossica questo tempo, è che in fondo Ciocca sia solo stato talmente ingenuo da avere detto ciò che in molti pensano. Sarebbe curioso sapere quanto quel suo ragionamento sia popolare tra pezzi di classe dirigente che al contrario di Ciocca hanno semplicemente la furbizia di non dire ma forse condizionano il proprio fare.

Leggi anche: 1. Matteo Salvini al Senato evoca il complotto sul Covid: “Tutto è cominciato in un laboratorio cinese” | VIDEO / 2. Vaccino Covid in Italia entro la Befana: l’Ema anticipa la data di approvazione al 21 dicembre / 3. Covid, lo sfogo di Ricciardi: “Siamo in guerra, più morti oggi che nel 1944. Cos’altro serve per il lockdown?” | VIDEO

4. Conte: “A Natale serve una stretta. Ma l’Italia non può reggere un nuovo lockdown” / 5. I vaccini no-profit di Cuba che salveranno i Paesi in via di sviluppo / 6. Milano anti-Covid, scatta il numero chiuso in Galleria Vittorio Emanuele

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“No al Sala bis”: il M5S Lombardo chiude le porte alla ricandidatura del sindaco di Milano

Il sindaco di Milano Beppe Sala annuncia la sua candidatura per il secondo mandato alla guida del Comune di Milano ma dal Movimento 5 Stelle in Regione Lombardia arriva subito una netta e decisa presa di distanze. TPI.it ha intervistato Dario Violi, consigliere regionale del M5S e candidato presidente nel 2018.

Violi, Beppe Sala annuncia la sua candidatura…
“Ah. Quindi alla fine non ha trovato niente di meglio?” (Sorride)
In che senso?
“È un’evidenza dei fatti: Sala ha preso tempo solo perché gli andava stretta la sua candidatura a sindaco. Qui a Milano lo sanno tutti.”.
E voi come Movimento 5 Stelle cosa ne pensate della sua ricandidatura?
“A noi cambia davvero ben poco. I gruppi locali stanno lavorando da mesi a un programma con tanti punti importanti, per una città che sia più verde e molto diversa da quella che ha in testa Sala. I gruppi locali lavoreranno sicuramente in quella direzione”

Però al governo nazionale siete con il Partito Democratico, perché non dovrebbe ripetersi quello stesso paradigma anche su una città importante come Milano?
“Io sono autonomista nell’anima, soprattutto in queste cose. Va rispettato il territorio e le decisioni che prendono i gruppi del territorio. Con Sala abbiamo discusso politicamente e in modo acceso per l’opera di cementificazione che ha in mente in zona Porta Romana, sarebbe incoerente: lo contestiamo fino a un giorno prima e poi ci andiamo insieme? E poi anche se coì fosse la scelta deve essere dei territori e non deve essere una scelta di comodo e di Palazzo che arriva da Roma”.
Quindi voi avete un giudizio negativo sull’operato di Sala come sindaco?
“Questo andrebbe chiesto ai consiglieri comunali, io direi molto negativo. Le nostre sensibilità su ambiente, sviluppo sostenibile, mobilità sono molto distanti”.

Calenda e Richetti hanno fatto gli auguri a Sala chiedendo al PD di non allearsi con voi. Che ne pensa?
“Quelli dello zero virgola devono parlare male del Movimento 5 Stelle per esistere. Se dicessero “in bocca al lupo a Sala” e basta non se li filerebbe nessuno”.
Quindi nessuna possibilità nemmeno di trattativa con il Partito Democratico?
“Per me è un tema di territorio e non un tema di persone e di partiti. Per me e per tanti di noi. Noi non “trattiamo” con nessuno ma al massimo valutiamo la condivisione dei programmi. Sala l’abbiamo contrastato per 5 anni. La vedo dura. Anche se non sono mai stato uno che dice di no a prescindere”.
E se da Roma vi chiedessero di farlo per la tenuta del governo?
“Sarebbe ridicolo che un governo dipenda da un’alleanza in un comune, anche se importante come Milano. Quel governo non avrebbe senso di esistere”.
A proposito, e gli accordi per le elezioni su Roma?
“Noi andiamo avanti con Virginia Raggi. A quanto pare il PD non vuole. Quegli altri (Calenda e soci) vogliono che vadano con loro. Per noi Virginia Raggi ha lavorato bene in una città in cui si fa molta fatica e con molti interessi anche esterni. Noi abbiamo cercato di portare la città e i suoi conti sulla buona strada”.

Leggi anche: 1. Beppe Sala a TPI: “Se tornassi indietro, parlerei di meno. Non so se mi ricandido a sindaco di Milano” / 2. Esclusivo TPI – Beppe Sala risponde alla lettera del M5S: “Dialoghiamo per la Milano del futuro” / 3. Esclusivo TPI – Milano, la lettera del M5S a Sala: “Confrontiamoci sui programmi contro le destre”

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Le sta sbagliando tutte

Matteo Salvini non fa proposte concrete e dimostra di non avere una strategia sull’emergenza pandemia. E continua a inanellare una serie incredibile di figuracce

Ieri nel Consiglio regionale lombardo, settima commissione ore 10/10.30 volano stracci in casa Lega: Massimiliano Bastoni insulta Salvini ma non si accorge di avere il microfono accesso. Il presidente di commissione Terzani lo rimprovera insieme a Paola Romeo (Forza Italia). Una scena meravigliosa ma indicativa. Eccolo qui:

Il piccolo incidente però è indicativo. Matteo Salvini le sta sbagliando tutte e sono in molti ormai nella Lega che glielo stanno facendo notare. Una premessa: governare un Paese in tempi di pandemia, con tutte le decisioni difficili da prendere, costa moltissimo in termini di consensi. Accade negli Usa con Trump, accade in Francia con Macron, accade in Brasile. Indici di gradimento che sono in continua discesa e le opposizioni che risalgono prepotentemente. È il gioco della politica da sempre: governare costa in termini di consenso e farlo in un periodo di incertezza e di crisi sanitaria ancora molto di più.

Lui no. Lui, Matteo Salvini, è riuscito a passare dal 37% dell’agosto 2019 al 24,3% dell’ultimo sondaggio e continua a inanellare una serie incredibile di figuracce. Ieri mattina è corso dal suo presidente della Lombardia Fontana perché diceva non condivideva il lockdown notturno pensato dal presidente della Lombardia. Ha anche sparato la solita tiritera sulla libertà: «le limitazioni delle libertà personali mi piacciono poco e devono essere l’ultima spiaggia», ha detto prima di entrare nel palazzo della Regione. Ne è uscito scornato. Fontana è rimasto sulla sua posizione e pace per il leader leghista.

Badate bene: Salvini è lo stesso che 15 giorni fa diceva che non ci fosse nessun bisogno di prolungare lo stato di emergenza. Anche in quel caso aveva parlato di scelta politica non suffragata da dati sanitari: in 15 giorni è stato seppellito dalla realtà.

Del resto è lo stesso  che questa estate ha rilanciato più volte l’ipotesi del professore Zangrillo che dichiarava il virus “clinicamente morto”. Com’è andata a finire lo sappiamo bene: perfino Zangrillo ha dovuto tornare sui suoi passi. Salvini ovviamente ha fatto finta di niente, come al solito. A fine luglio Salvini aveva partecipato al convegno dei negazionisti, proprio con Zangrillo e Sgarbi. Riascoltare oggi quello che dicevano in quei giorni fa venire la pelle d’oca.

E ve lo ricordate a febbraio, quando fece quel video in cui disse “riaprire, riaprire tutto, tornare alla libertà”, pochi giorni dopo il paziente uno di Codogno? Ecco, poi ci sono stati i morti e le bare di Bergamo. Ha fatto sparire il video dai suoi social ma poi ci era ricascato ancora. Senza contare tutte le volte che si è esibito fiero senza mascherina, fino a che perfino i suoi supporter lo hanno duramente criticato ed è stato costretto a cambiare rotta.

Due giorni fa si è lamentato perché il presidente del consiglio Conte aveva telefonato alla coppia Fedez e Ferragni per chiedere di sensibilizzare i giovani sull’uso della mascherina e lui, pensando di fare una bella figura, ha detto ai giornali «a me ha fatto solo una chiamata di 40 secondi negli ultimi mesi». Ora, pensateci un secondo: quale sarebbe la strategia di Salvini? Non c’è. Proposte concrete non ce ne sono.

Certo perdere consensi di questi tempi è un capolavoro di inettitudine e tra i suoi (Zaia in testa) sono in molti a dirlo sottovoce. Almeno c’è di buono che non ce lo siamo ritrovati come ministro. Almeno questo.

Buon giovedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Esclusivo TPI – Beppe Sala risponde alla lettera del M5S: “Dialoghiamo per la Milano del futuro”

TPI pubblica in esclusiva la lettera scritta dal sindaco di Milano, Beppe Sala, in risposta a Massimo De Rosa, capogruppo del Movimento 5 Stelle lombardo, che ieri – sempre in esclusiva su TPI – aveva a sua volta indirizzato una lettera al primo cittadino milanese in cui auspicava un confronto sui programmi per combattere insieme le destre.

La lettera del M5S lombardo muoveva dalle dichiarazioni fatte nei giorni scorsi da Sala sui Cinque Stelle (li aveva definiti “poco competenti“). Nel 2021 nel capoluogo lombardo si terranno le comunali e proprio qualche mese fa il sindaco di Milano aveva incontrato il garante del Movimento Beppe Grillo.

Esclusivo TPI – La lettera di Beppe Sala al M5S lombardo

“Caro Massimo,
ho letto con attenzione la tua lettera. Il Movimento 5 Stelle è un soggetto vivo, complesso e variegato. L’altro giorno, quando ho fatto riferimento al tema delle competenze, ho semplicemente sottolineato che i milanesi le apprezzano e le pretendono dalla politica, ma non intendevo certo denigrare o sottovalutare un movimento giovane che sta facendo esperienze importanti e passi in avanti nella formazione dei suoi gruppi dirigenti.

Come sai, ho sempre guardato con rispetto la strada intrapresa dal Movimento 5 Stelle e non è un mistero che già in tempi non sospetti io auspicassi un dialogo virtuoso tra il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle. Lo dicevo proprio perché ero consapevole che su tanti temi l’elettorato di sinistra e una parte consistente dell’elettorato del Movimento si “parlassero” già, tanto da essere spesso vicini e persino coincidenti. Condivido ciò che dici sulle competenze: esse passano sicuramente dalle battaglie che si fanno, ma anche dalle esperienze e dalle capacità personali, che si formano nel percorso di vita di ciascuno di noi.

Noi riteniamo di avere le idee chiare sulla Milano del futuro, ma ciò non toglie che vogliamo confrontarci rispetto alla costruzione di una città policentrica e in continuo dialogo con le metropoli europee, una città che valorizzi sempre di più il lavoro e che accompagni, con azioni coraggiose e di medio-lungo periodo, la transizione ambientale e la transizione digitale. La nostra amministrazione in questi anni è andata in questa direzione.

Su questi argomenti come su tanti altri ascolterò con piacere le vostre proposte. Confrontiamoci, come peraltro spesso già avviene in Consiglio Comunale, per il bene della città, anche se non siamo parte della stessa coalizione.

Parliamoci, pubblicamente, sui tanti temi che riguardano il futuro dei milanesi. Dialoghiamo, consapevoli delle differenze e dei rispettivi ruoli ma anche dei punti e valori che ci vedono uniti: questo sarà davvero utile per la nostra città, più che ogni discussione a tavolino sulle alleanze elettorali”.

Leggi anche: 1. Esclusivo TPI – Milano, la lettera del M5S a Sala: “Confrontiamoci sui programmi contro le destre”; // 2. L’unico governo oggi possibile (di Giulio Gambino)

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