Vai al contenuto

metodo

Per il senatore leghista Ostellari “dare del fr*cio a un gay non è un’offesa”

Alla fine non ce l’ha fatta a trattenersi e il leghista Andrea Ostellari, quello che tiene in ostaggio in commissione giustizia al Senato il ddl Zan, si è fiondato in radio ospite di Cruciani e Parenzo a rivendicare il diritto di dare del ”fr*cio” ai gay, con grandi risate di Cruciani al seguito. “Non è offensiva. Dipende dal contesto”, ha detto Ostellari.

Del resto sul diritto costituzionale di dare del “fr*cio” a qualcuno si sta giocando tutta la lercia propaganda leghista da mesi: una volta ci si vergognava, ora diventa un tratto distintivo. Dice Ostellari che non serve “fare una legge nuova speciale per i gay” perché sono “normali”. E anche su questo punto dimostra tutta l’ignoranza poiché le tutele di legge per gruppi religiosi e etnici considerati più esposti esistono circa da trent’anni.

Anche gli oppositori della legge Mancino (nella sua versione del 1975) rivendicavano il diritto all’insulto e evocavano l’incostituzionalità ma una sentenza della corte costituzionale del 2015 (Cass. Pen. 36906/15) dice chiaramente che la libertà di manifestazione del pensiero cessa quando travalica in istigazione alla discriminazione e alla violenza di tipo razzista.

Ma Ostellari evidentemente è troppo preso dal suo essere “Ostellari” per occuparsi di queste quisquilie costituzionali, troppo preso a darsi di gomito con il prode Cruciani. Poi Ostellari si lancia in una considerazione che probabilmente ritiene geniale: “La legge Zan – dice a Cruciani – non è una legge che viene osteggiata dalla Lega o da Ostellari, omofobi e cattivi, è una legge che viene criticata in primis dal mondo femminista, da Arcilesbica”.

Quindi per Ostellari l’opinione di Marina Terragni (“femminismo” utile alla destra per essere usato come clava) improvvisamente assume il diritto di veto al voto. Peccato che il mondo del femminismo sia molto più ampio: altrimenti potremmo dire a Ostellari che il fatto che Alessandra Mussolini sia d’accordo con la legge significhi che “la destra” appoggi il ddl Zan, con lo stesso metodo.

Ma la soddisfazione è sempre la stessa: dire “fr*cio” in pubblico. Poi se quelle parole diventano spranghe o botte a Ostellari non interessa, lui ha avuto nella sua vita i suoi 5 minuti di fama, come sempre sulla pelle degli altri, come capita a chi ottiene luce dal negare diritti perché non sa inventarsene di nuovi.

Leggi anche: Ddl Zan: una grande opportunità per riscrivere le regole della convivenza sociale

L’articolo proviene da TPI.it qui

Prima ha depredato la Sanità lombarda, ora gli restituiscono anche il vitalizio

Il più grave danno al garantismo, quello che dovrebbe essere assicurato in uno Stato di diritto e che è sancito chiaro chiaro nella nostra Costituzione, è proprio il garantismo quando diventa peloso, quando serve per condonare i potenti e soprattutto quando viene utilizzato non come metodo universale ma solo per alcune categorie.

Il fatto che Roberto Formigoni stia pagando i suoi debiti con la giustizia è la normale conseguenza di un giusto processo che ha stabilito delle responsabilità penali. Il fatto che si pretenda l’oblio per un danno erariale di 47,5 milioni di euro di soldi pubblici per il caso Maugeri in Lombardia e che ci si aspetti che nessuno si permetta più di scrivere che la sua rete di amicizie e il suo “mercimonio della propria funzione” (lo scrive la sentenza di Cassazione) abbiano devastato la Sanità lombarda pare, invece, davvero un po’ troppo.

E allora la vicenda del suo vitalizio da 7mila euro al mese che il “Governo dei migliori” gli sta apparecchiando forse assume una prospettiva nettamente diversa: è etico che una persona condannata per reati gravissimi (che ne hanno comportato anche l’esclusione politica e che sono diventati sentenza definitiva) possa godere degli stessi benefici di chi ha svolto con moralità il proprio ruolo?

È normale e accettabile che esistano ruoli e cariche che beneficino di trattamenti diversi rispetto ai normali lavoratori? Conoscete qualcuno che, dopo essere incappato in una grave condanna che certifichi un suo danneggiamento verso l’azienda per cui lavorava, possa godere comunque di una pensione e un vitalizio?

La delibera Grasso-Boldrini fu approvata nel 2015 in Parlamento non per “punizione” ma per garantire uguaglianza tra i parlamentari e i “normali” lavoratori: qui il punto non è il garantismo ma decidere se abbia un senso che gli italiani continuino a mantenere una persona che li ha danneggiati.

E non c’è solo Formigoni: il ricorso dell’ex presidente di Regione Lombardia sblocca la situazione di Silvio Berlusconi, di Ottaviano Del Turco e perfino di Marcello Dell’Utri.

Infine, sorge un dubbio: ma Salvini e Meloni – quelli che “butterebbero le chiavi” quando si tratta di punire (per loro: vendicarsi) un povero disgraziato che commette un reato (seppur odioso) – non hanno niente da dire con i criminali grossi e potenti quando sono loro amici?

Tintinnano le manette per i ladri di polli e poi si diventa garantisti per i colletti bianchi condannati in via definitiva? Lo chiamano garantismo e invece è solo “essere amici degli amici”.

Leggi anche: Salvini contro i vaccini ai detenuti in Campania e Lazio, ma dimentica che va così anche nelle Regioni leghiste (di Giulio Cavalli)

L’articolo proviene da TPI.it qui

Prima si lamentavano per la “dittatura sanitaria”. Ma ora che le chiusure le fa Draghi va tutto bene

Ma ve la ricordate la “dittatura sanitaria”? Dico, vi ricordate tutto il baccano che si accendeva ogni volta che nell’aria si annusava il bisogno di un nuovo lockdown o anche semplicemente si ventilava l’ipotesi di nuove restrizioni?

C’era Salvini, era lui l’agitatore degli aperturisti, che strillava come un matto per convincerci che ogni nuova limitazione non fosse altro che la conferma dell’incapacità di quelli che governavano. Altri gli andavano dietro a scia, i suoi parlamentari e gli alleati di Fratelli d’Italia e anche qualche berlusconiano. Che vergogna, che schifo, ci dicevano, ora non si sentono più.

Ve le ricordate le prese per i fondelli per i colori delle regioni? Vi ricordate gli schiamazzi di chi ci spiegava che era un metodo punitivo che uccideva gli italiani e che veniva usato come arma politica? Ora i colori sono aumentati, c’è l’arancio scuro, il rosso rossissimo, il bianco con toni di grigio. Ma non si sente più nessuno strillare.

Vi ricordate le grandi battaglie di Salvini e dei suoi compagnucci aperturisti contro il coprifuoco? Vi ricordate tutte le ciance per la libertà e i vaneggiamenti sul diritto di pisciare il cane alle 4 del mattino? Che tempi: tutti esperti di Costituzione. Ora il coprifuoco potrebbe addirittura allargarsi e quelli, al solito, tutti zitti, spariti.

Vi ricordate le critiche ai Dpcm? Vi ricordate costituzionalisti, Renzi e Salvini, quelli che lamentavano la presenza di un governo autoritario? Sono gli stessi che criticavano la pletora di esperti che esautorava la politica e il Parlamento delle loro funzioni, quelli che chiamavano i tecnici “amichetti” e i consulenti li chiamavano “compagni”. Ora continuano i Dpcm, si allarga la schiera di esperti, eppure non s’ode una protesta manco a pagarla, niente.

E le scuole? Che vergogna, dicevano, le scuole chiuse e le famiglie in difficoltà che non sanno come tenere i propri figli. Ci risiamo, ma quelli che strillavano ora hanno perso il dono della protesta.

E vi ricordate quando dicevano di dare notizie certe, di smetterla di bisbigliare? Da giorni si discute di un lockdown senza fonti certi, retroscena dappertutto ma quelli tacciono, niente di niente.

E i ristori che arrivavano in ritardo? Ora è cambiato il nome, ma comunque si chiamino continuano a non arrivare, la sostanza non cambia, solo gli sfegatati oppositori tacciono. Insomma, il trucco era semplice semplice: bastava fare entrare i contestatori nel governo e continuare come prima. Intorno s’è fatto tutto accondiscendenza.

Leggi anche: Dagli oppioidi all’Arabia Suadita, le ombre su McKinsey: ecco a chi si è affidata l’Italia per il Recovery

L’articolo proviene da TPI.it qui

È la Lega, bellezza

Lombardia in zona rossa: nonostante una mail che conferma l’invio di dati errati da parte della Regione, anche Matteo Salvini, dopo il presidente Fontana, dà la colpa al ministro Speranza. E lo seguono i governatori leghisti che chiedono una «revisione immediata delle procedure». Che finora hanno sempre funzionato

Altra giornata convulsa ieri per Attilio Fontana, presidente della Regione Lombardia, il suo capo Matteo Salvini e la distintissima Moratti, assessora al Welfare che non sta per niente bene dalle parti della Lombardia. Mentre Salvini si sbraccia e arranca e si affanna per dare la colpa dei dati sballati della Lombardia al governo nazionale ora ci sono anche le mail che testimoniano come proprio la Regione non avesse compilato tutti i campi che doveva compilare nei moduli da inviare all’Istituto superiore della sanità, esattamente come quelli che non leggono le noticine dei contratti che firmano e poi si ritrovano la casa debba di enciclopedie.

Il 22 gennaio il direttore generale del Welfare in Regione Marco Trivelli invia una mail all’Iss che dice chiaramente:

«Gentilissimi, tenuto conto della integrazione nel flusso dati trasmesso mercoledì 20 us rispetto al flusso trasmesso mercoledì 13 us, effettuata a seguito del confronto tecnico tra Iss e Dg Welfare e relativa alla riqualificazione del campo stato clinico da assenza di informazioni in merito alla presenza di sintomi in stato asintomatico nei casi con data inizio sintomi, si chiede la rivalutazione dell’indice Rt sintomi per la settimana n.35 ora per allora. Cordiali saluti».

Quella che Trivelli chiama “riqualificazione” è semplicemente un errore. E a causa di quell’errore l’Rt della Lombardia risultava 1,4 invece che 0,88 poiché a causa del mancato aggiornamento dello stato clinico risultavano molti più sintomatici.

In un Paese normale il presidente di una Regione che commette un errore del genere (l’erronea zona rossa sarebbe costata 600 milioni alla Lombardia, di cui ben 200 solo a Milano) avrebbe provocato le immediate dimissioni dei cialtroni al governo. E invece?

Invece la Lega, per bocca del suo prode Salvini, decide di buttarsi sulla strada della menzogna e addirittura rilancia. Sentite cosa ha detto Salvini ieri: «C’è stato un clamoroso e drammatico errore di calcolo sulla pelle dei cittadini fatto dal ministero della Salute. Speriamo che Speranza sia ministro ancora per poco. Di danni ne ha fatti abbastanza». Tutto falso, ovviamente, nessuna prova a supporto della tesi, niente di niente. E se pensate che sia un comportamento solo del segretario vi sbagliate di grosso: ieri tutti i presidenti di Regione leghisti sono accorsi al fischio del padrone firmando tutti insieme una lettera in cui chiedono una «revisione immediata delle procedure» per determinare il colore dei territori in modo da «affrontare con serenità maggiore una grave situazione». Fa niente che quelle stesse procedure funzionino dall’inizio della pandemia, fa niente che solo la Lombardia abbia sbagliato mentre le altre regioni non hanno avuto problemi. Niente di niente. Massimiliano Fedriga (Friuli Venezia Giulia), Christian Solinas (Sardegna), Nino Spirlì (Calabria), Donatella Tesei (Umbria), addirittura Fontana (Lombardia) e Luca Zaia (Veneto) hanno deciso di esporsi al pubblico ludibrio. Ah, a proposito: proposte? Nessuna.

È il metodo leghista: dire una bugia, ripeterla, farla ripetere a tutti gli scherani, gridarla in coro, insistere fino a ammaestrare i propri elettori; ridurre una questione tecnica a una barzelletta di propaganda; non entrare mai nel merito delle questione ma rilanciare sempre un nuovo nemico da additare, senza nemmeno passare dalla verifica dei fatti. Poi c’è il viscido gioco delle loro amicizie perverse: Matteo Salvini, quello che indossa la mascherina che raffigura il giudice Borsellino, ha avuto il coraggio di proporre Berlusconi presidente della Repubblica. Per dire cosa riescono ad essere, dove riescono ad arrivare. Ora chiudete gli occhi e immaginate al governo delle persone così.

Buon martedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Porti chiusi. Per ‘ndrangheta

«Una delle vicende più assurde e paradossali della storia calabrese», dice un imprenditore che ha denunciato le pressioni subite dalla ‘ndrangheta per i lavori al porto di Badolato, in provincia di Catanzaro

Badolato è un gioiello calabrese appoggiato sulla costa jonica. Un comune in provincia di Catanzaro che negli anni 90 si è salvato dal declino dello spopolamento grazie ai molti turisti che lì hanno comprato dei vecchi edifici che sono stati messi in vendita e sono stati rimessi a nuovo. A Badolato da più di vent’anni si parla del nuovo porto come fiore all’occhiello di una rinascita calabrese che passi attraverso nuovi servizi e nuove infrastrutture. La storia potrebbe sembrare un piccola storia locale ed è invece il paradigma attraverso cui leggere un argomento che di questi tempi sembra sia passato completamente di moda: le mafie.

Il clan Gallace-Gallelli spadroneggia. Un’inchiesta passata, la Itaca Free-Boat, aveva evidenziato gli interessi di uomini di ‘ndrangheta per il porto. Bene, seguitemi: Carlo Stabellini è l’amministratore della Salteg che si occupa dei lavori di costruzione. Stabellini ha denunciato le pressioni subite dalla ‘ndrangheta e le sue dichiarazioni hanno permesso di fare luce su un sistema di oppressione mafiosa.

Il sindaco di Badolato è Gerardo Mannello, in carica dal 2016. Pochi giorni dopo la sua elezione è stato accusato di estorsione aggravata dal metodo mafioso in concorso proprio con gli uomini del clan Gallelli e proprio ai danni della Salteg, di Stabellini e dei suoi soci dell’epoca. E per quelle vicende è adesso sotto processo. Scrivono i magistrati che Mannello con altri, tra cui il boss mafioso della zona, si sarebbe adoperato negli anni dal 2001 al 2004 “per garantire la tranquillità nell’esecuzione dei lavori”, costringendo la Salteg ad una serie di assunzioni e ad affidare lavori in subappalto “per sbancamento, movimentazione terra, realizzazione della diga foranea alle ditte riconducibili a Vincenzo Gallelli “Macineju” e formalmente intestate ai generi Andrea Santillo e Luciano Antonio Papaleo, a quella del nipote Pietro Gallelli e a quella del suo storico referente Angelo Domenico Papaleo”. Il tutto con un’ estorsione anche di 100mila euro per il clan Guardavalle al tempo guidato da Vincenzo Gallace e Carmelo Novella.

Arriviamo ad oggi: il sindaco in carica Mannello (che non è decaduto) ha dichiarato cessata la concessione alla ditta Salteg (la stessa che è accusato di avere minacciato) per “gravi inadempienze contrattuali”. E fa niente che il tribunale scriva che il “persistente tentativo della ‘ndrangheta di condizionamento e infiltrazione nella gestione dell’attività portuale deducendone ulteriormente, che, a causa delle vertenze penali, il porto di Badolato è rimasto sequestrato dal 4 agosto 2004 al 6 maggio 2006 e dal 19 gennaio 2015 al 23 ottobre 2017 e che, pertanto la società non ha avuto la possibilità di completare i lavori ad essa demandati”.

“La burocrazia badolatese, con a capo il Sindaco Mannello – scrive in un’accorata lettera aperta Stabellini – ha ottenuto, volente o nolente, quello che i vari Saraco, Antonio Ranieri, Gallelli, Ammiragli, condannati nel procedimento penale “Itaca-Free Boat” per reati aggravati dal metodo mafioso, non erano riusciti a fare con le loro macchinazioni. Vedremo se il Consiglio di Stato, cui la Salteg ricorrerà, tra un anno saprà mettere fine ad una delle vicende più assurde e paradossali della storia calabrese”.

Dalla patria delle contraddizioni per ora è tutto.

Buon giovedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Trump che paga Trump

Secondo il Washington Post il presidente Usa ha ottenuto diversi milioni di dollari dal governo e dal suo comitato elettorale per l’utilizzo di strutture di sua proprietà per alcuni eventi e per cene di Stato

Come si fa a diventare ricchi? Sicuramente funziona sbafare, sbafare a più non posso. Come si fa a diventare potenti? Rivendendosi ricchi ovvero vincenti e poi continuando a ingollarsi.

Il Washington Post ha scovato una notizia mica male che dipinge perfettamente Trump per quello che è: il presidente statunitense Donald Trump ha ottenuto diversi milioni di dollari dal governo e dalla sua campagna elettorale per l’utilizzo di strutture di sua proprietà per alcuni eventi, fra cui anche alcune cene di stato.

Nel corso della sua presidenza il capo di stato Usa ha visitato i suoi club e i suoi hotel circa 280 volte, anche in occasione di visite ufficiali e di appuntamenti in cui svolgeva il proprio ruolo di presidente. Secondo il quotidiano Usa nell’aprile 2018, tanto per fare un esempio lampante, incontrò il primo ministro giapponese Shinzo Abe nel suo esclusivo club privato di Mar-a-Lago si fece pagare dal governo 13.700 dollari per le stanze di albergo per entrambi gli staff, 16.500 dollari per il catering e 6mila dollari per i fiori che decoravano gli ambienti. Un anno prima, sempre lì, col presidente cinese Xi Jinping Trump cacciò il barista per poter parlare in maniera confidenziale e i due si bevvero super alcolici per migliaia di dollari. Pagati da chi? Dal governo Usa, ovviamente.

Qualche mese fa il figlio di Trump, Eric, in un’intervista a Yahoo Finance disse: «Se mio padre alloggia in una delle nostre proprietà, lo fa gratis, eccetto i costi necessari per la pulizia». E invece no, proprio no. Scrive il Washington Post: «Nei casi che abbiamo esaminato in cui le stanze sono state pagate, la Trump Organization sembra aver fatto pagare al governo la cifra massima consentita dalle leggi federali, e in alcuni casi anche di più».

Anche i soldi del suo comitato elettorale sono finiti (per un totale di 800mila dollari) in catering e cene nei propri hotel.

È Trump che paga Trump. Il politico che paga se stesso sotto altre vesti. Un metodo antico che ormai sembra non destare nemmeno più scalpore. Anzi, per qualcuno è un furbo, addirittura. Ed è così che è iniziata la discesa. Sperando che siano gli sgoccioli di una presidenza che non ci meritiamo, proprio no.

Buon venerdì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Trascinarono nuda una malata psichica, sospesi due agenti

Sono due gli agenti della casa circondariale di Rebibbia sospesi dal loro incarico, una sovrintendente e un assistente capo coordinatore in servizio all’istituto che ora sono accusati di falso ideologico e abuso di autorità. La presunta vittima è una detenuta con problemi psichiatrici. I fatti risalgono alla notte dello scorso 21 luglio: la donna è stata trascinata con forza perché aveva rotto un termosifone, dopo avere chiesto una sigaretta e avendo ottenuto un rifiuto, e per questo sarebbe stata portata in un’altra stanza priva di telecamere di sorveglianza. Il tutto sarete avvenuto con la presenza di ben 5 agenti donne e un agente di sesso maschile che avrebbero poi redatto un verbale di servizio in cui era riportata una presunta aggressione da parte della detenuta nei confronti degli agenti che in realtà non sarebbe mai accaduta.

«Non risulta che la detenuta stesse tenendo un comportamento aggressivo che abbia reso necessario l’intervento di un agente di sesso maschile, né dai filmati risultano situazioni che rendessero necessario l’uso della forza per lo spostamento della detenuta, come sostenuto dagli indagati nell’interrogatorio» scrive nell’ordinanza la gip Mara Mattioli, che descrive anche i fatti successivi: «Il trascinamento di peso della detenuta, nuda e sull’acqua fredda, non è stato posto in essere per salvaguardare l’incolumità della stessa (avendo la detenuta già da un po’ cessato le intemperanze) apparendo invece chiaramente motivato da stizza e rabbia per i danni causati dalla donna». Nel video agli atti anzi la donna detenuta è evidentemente in imbarazzo proprio per la presenza di un uomo e cerca di coprirsi le parti intime. Scrive la gip: «L’agente entra nella stanza n.3 e ne esce tenendo ferma la nuca della detenuta che in quel momento appare collaborativa ed è completamente nuda, la accompagna all’interno della stanza n.1 resa nuovamente agibile».

Una circostanza che per l’eccezionale presenza di personale di sesso maschile non autorizzato doveva diversamente essere riportato agli atti. «Inoltre la telecamera esterna alle ore 2.01 del 22/7/2020 riprende nuovamente l’agente entrare nella stanza n.1 ove è rimasta la detenuta ed uscirne circa 24 secondi dopo. Di questo accesso non vi è traccia nei verbali né dai filmati si capisce sulla base di quale necessità un agente di sesso maschile sia intervenuto da solo presso la cella della detenuta (peraltro ancora completamente nuda)». Secondo quanto riportato dalla vittima nel suo interrogatorio sarebbe rimasta sola con l’agente uomo nella stanza mentre era minacciata di non rivelare quei fatti a nessuno altrimenti le violenze si sarebbero ripetute. Da qui la condanna di falso ideologico e di abuso di autorità che hanno portato anche alla sospensione del servizio: “personalità del tutto spregiudicate” che avrebbero potuto reiterare le violenze e che avrebbero potuto inquinare le prove. Secondo fonti interne al carcere, infatti, gli accusati non era la prima volta che eccedevano in violenze e risulterebbero diverse segnalazioni e condanne disciplinari nel loro curriculum.

Per il Garante dei detenuti del Lazio Stefano Anastasia «pur rimanendo ovviamente garantisti la loro sospensione è un segnale importante perché in molti casi di abusi, quando non vengono coperti con omertà, il personale resta normalmente in servizio e in molti casi restano in servizio nello stesso istituto se non addirittura nelle stesse sezioni». Per questo, dice Anastasia, «l’intervento del Dap è particolarmente apprezzabile perché è risultato abbastanza urgente, mentre spesso si aspetta l’esito del procedimento penale, quindi molti anni dopo, prima di intervenire e allontanare gli eventuali colpevoli»· Mentre ora le indagini faranno il suo corso e accerteranno eventuali responsabilità però resta da registrare un dato, che è sempre lo stesso: nelle carceri italiani continuano a consumarsi violenze che difficilmente riescono a rompere il muro di omertà che si crea tra agenti penitenziari. In questo caso i video delle telecamere di sorveglianza hanno potuto almeno appurare che non ci sia stata nessuna presumibile aggressione, motivazione molto spesso usata per proteggere la facciata di eventuali violenze, ma solo il lavoro delle indagini ha permesso di scoprire che il verbale redatto sull’accaduto non corrispondesse alla realtà dei fatti.

Poi c’è la questione, la solita annosa di cui spesso scriviamo anche sule pagine di questo giornale, di detenuti che non sono nelle condizioni psichiche di poter sicuramente stare in una cella: la donna vittima della violenza nel carcere di Rebibbia è descritta da tutti, anche dagli inquirenti, come una persona con gravi disturbi psichici. Ma siamo davvero sicuri che una situazione del genere non sia anche creata dalla mancanza di misure alternative al carcere che dovrebbero permettere a lei di scontare la propria pena con un metodo alternativo che comprenda anche le giuste cure (oltre alla propria dignità) e che non debba mettere operatori penitenziari (anche senza le giuste competenze) in condizioni così difficili? Il 4% dei detenuti è affetto da disturbi psichici contro l’1% della popolazione generale.

La depressione colpisce il 10% dei reclusi mentre il 65% convive con disturbi della personalità. Un detenuto su 4 assume regolarmente psicofarmaci. Tutto questo mentre una sentenza della Corte di Cassazione dello scorso agosto mette nero su bianco che è ora possibile concedere, alla persona affetta da gravi problematiche psichiatriche, la misura della detenzione domiciliare. La donna di questa terribile storia ancora prima che non essere maltrattata non doveva stare a Rebibbia.

L’articolo Trascinarono nuda una malata psichica, sospesi due agenti proviene da Il Riformista.

Fonte

Ecco a voi i nuovi sovranisti: ignoranti individualisti e negazionisti che cianciano di dittatura sanitaria

Non sono scettici come vorrebbero definirsi, quello sono altro e sono sale della democrazia: questi sono negazionisti veri e propri, gente che propone tesi contrarie a quelle della comunità scientifica con il solo gusto di andare controcorrente, non hanno nemmeno idee proprie: prendono quelle che secondo loro vanno “per la maggiore” e le invertono, stupidamente, rivendicando le proprie tesi come legittimate dalla ribellione senza nemmeno prendersi la briga di portare prove a sostegno. Provate a ascoltarlo un negazionista: vi dirà di non credere ai virologi che vanno in televisione (perché sono tutti pagati dai famosi “poteri forti” che lui combatte su Facebook, dice) ma in realtà vorrebbe applicare alla scienza un metodo non scientifico, vorrebbe essere pilota di Formula 1 senza patente.

Ma la piazza di oggi a Roma intanto ha già dato alcune risposte: oggi il vicesegretario di Forza Nuova Giuliano Castellino insieme ai suoi amici camerati hanno addirittura presentato il loro “governo di salvezza nazionale” che dovrebbe tirarci fuori dalla pandemia: Carlo Taormina, nominato ministro della Giustizia, l’ex avanguardia Nazionale Vincenzo Nardulli (Sport e tifosi) (condannato in primo grado, insieme a Castellino, a cinque anni e sei mesi per aggressione), e alla Difesa per non farsi mancare niente Leonardo Cabras, il coordinatore di Fn per l’Italia centrale, quello che oltre a negare il Covid ci aveva anche raccontato che nei campi di concentramento nazisti c’erano i cinema e le piscine. Eccolo lo spessore politico e culturale.

Del resto sono i nuovi sovranisti, quelli che ci dicono che vorrebbero difendere la Patria ma hanno come unica patria l’Io, il farsi i fatti propri, tutti turbospinti (come direbbe l’altro complottista, il filosofo Diego Fusaro) a un individualismo legittimato e addirittura doveroso. Vorrebbero essere dubbiosi e invece sono solo ignoranti individualisti che reclamano la “dittatura sanitaria” e sono innamorati persi dei dittatori. Usano la paura per racimolare un po’ di consenso e in mancanza di argomenti si gingillano nel negare gli argomenti degli altri. Sono quelli che hanno paura di essere spiati e lo scrivono sui social, sono quelli che ancora non ci hanno spiegato cosa ci guadagnerebbe un governo nel mettere in ginocchio la propria stessa economia.

E sono pericolosi, moltissimo, perché se uno vuole essere scemo non c’è nessun problema ma se danneggia gli altri allora diventa un pericolo anche per gli altri. Anche per quelli che stanno facendo sacrifici.

Leggi anche: No Mask e sovranisti scendono in piazza a Roma: la diretta della manifestazione | DIRETTA

L’articolo proviene da TPI.it qui

Due terzi degli americani non credono all’Olocausto: sondaggio shock negli Usa

Mentre nell’Italia dove un cantante in discesa rinchiuso nella casa del Grande Fratello Vip si sollazza a elogiare Mussolini in diretta televisiva, tra l’altro basandosi ovviamente su notizie false (Leali ha parlato ancora di pensioni, che molti revisionisti addebitano come merito a Mussolini ma il primo sistema pensionistico italiano è del 1895, ben 27 anni prima del fascismo, e tutti gli italiani presero la pensione dal 1919, tre anni prima della Marcia su Roma) The Guardian pubblica i dati di un sondaggio condotto sui cittadini statunitensi tra i 18 e i 39 anni ci dice che due terzi dei giovani adulti USA sono ignari dei 6 milioni di ebrei uccisi nell’Olocausto, affermando che quel periodo storico sarebbe un “mito”, che sia stato “esagerato nel ricordo” oppure di non conoscerne i contorni.

Quasi la metà degli intervistati (il 48 per cento) non conosceva il nome di un campo di concentramento o di un ghetto durante la seconda guerra mondiale. Il 23 per cento ha affermato di credere che l’Olocausto sia un mito. Uno su otto (il 12 per cento) ha affermato di non avere mai sentito parlare di Olocausto nella sua vita. Più della metà (il 56 per cento) ha affermato di aver incrociato simboli nazisti durante la frequentazioni social e ben il 49 per cento è incappata in articoli di negazione o distorsione dell’Olocausto online.

“I risultati sono sia scioccanti che tristi, e sottolineano perché dobbiamo agire ora mentre i sopravvissuti all’Olocausto sono ancora con noi per esprimere le loro storie”, ha detto Gideon Taylor, presidente della Conference on Jewish Material Claims Against Germany (Claims Conference) che ha commissionato il sondaggio.

Taylor ha aggiunto: “Dobbiamo capire perché non stiamo facendo meglio nell’educare una generazione più giovane sull’Olocausto e le lezioni del passato. Questo deve servire come un campanello d’allarme per tutti noi e come una road map su dove i funzionari governativi devono agire “. E questi numeri che arrivano dall’altra parte dell’oceano ci interessa perché siamo nella patri di Trump, il re di quella stessa propaganda populista (che funziona così bene anche qui da noi) che sulla distorsione (se non addirittura sulla negazione) della realtà costruisce tutto il suo consenso.

Ed è normale che un negazionismo partorisca poi altri negazionismi, così, a catena, a riprova di un metodo che funziona applicato su tutto. L’era della post-verità è già qui ed è un tempo che riesce a nascondere sotto il tappeto 6 milioni di cadaveri, il più grande crimine del ventesimo secolo. Buona fortuna. Agli USA e a noi.

Leggi anche: L’inquietante sfida di TikTok: imitare i deportati ebrei nei lager nazisti

L’articolo proviene da TPI.it qui