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«Ci sono libri che, una volta terminati, si lasciano dietro un po’ di malinconia e tante domande»: Uno Scaffale di libri su ‘Mio padre in una scatola da scarpe’

Schermata 2016-02-03 alle 12.25.07Buongiorno, amanti della lettura.
Oggi parliamo di un libro importante, di un tema importante, di una storia vera.
Ringrazio Barbara Reverberi e Moira Perrusso, de MoBa comunicazione, per avermi proposto questa lettura per cui ci vuole una pioggia di due anni per lavarla via dai miei pensieri.
Trama:
Michele Landa non è un eroe, e neppure un criminale. Tutto ciò che desidera è coltivare il suo orto e godersi la famiglia; vuole guardarsi allo specchio e vederci dentro una persona pulita. Ma a Mondragone serve coraggio anche per vivere tranquilli: chi non cerca guai è costretto a confrontarsi ogni giorno con gli spari e le minacce dei Torre e con l’omertà dei compaesani. Michele conosce la posta in gioco, ha perso il lavoro e molti amici, ma è convinto, nonostante tutto, che in quel deserto si possa costruire qualcosa di bello e provare a essere felici. Al suo fianco c’è Rosalba, “la silenziosa”: dopo quarant’anni si amano come il primo giorno, sono diventati genitori e nonni, sognano una casa grande e un albero di mele. Ma si può immaginare una vita diversa, in una terra paralizzata dalla paura? Con una scrittura avvolgente e il piglio di un autentico cantastorie, Giulio Cavalli racconta un’Italia dimenticata e indifesa, ricordandoci che non serve fare rumore per diventare eroi delle piccole cose.
Recensione:
Ci sono libri che, una volta terminati, si lasciano dietro un po’ di malinconia e tante domande. Sono quelli dove non accettiamo come sono andate le cose, come si sono risolte, come non si sono risolte e, alla fine, semplicemente ci arrendiamo di fronte a una realtà che soffoca ogni tentativo di ribellione. Quei libri, come quello di Cavalli, per cui si desidera un finale diverso degno delle persone che lo hanno accompagnato, ma che senza quel finale in sé non sarebbero mai stati quei libri.
Questo paese funziona come una ferrovia: se esci dai binari rischi di fare il botto. E allora tutti in fila indiana: un paese con il coraggio di una gita delle scuole elementari.
Cavalli è uno scrittore coraggioso, come lo erano tutti una volta, e ci parla di mafia. Ma per essere coraggiosi bisogna esserlo per intero, non a metà, e così ci racconta una storia vera. Quella di Michele Landa, la sua famiglia, e la malavita. Malavita perché rende la cosa più genuina e legittima, la vita, in qualcosa che di genuino non ha nulla, il male.
 
Siamo nati male, Michele, siamo nati qua che alla fine nemmeno i sogni sanno correre, sudati come siamo.
Vivere è semplice, dicono alcuni, e il come è una scelta. Una scelta che si basa sul dove si vive, forse. Lo sa bene Michele che, sin da quando è diventato orfano, vive con il nonno a Mondragone che gli ha insegnato la cautela. La cautela è lavorare tutto il giorno, sgobbare, come si dice, tornare a casa con le mani in tasca, la testa chinata, la paura di essere felici, la paura di sognare. Glielo dice Rosalba, la silenziosa, quel giorno al lago: non aver paura di essere felice, lasciati andare. Ma ci vuole cautela anche per quello, rimanere sul chi va là, prevenire un dolore di una perdita se non la si conosce quella felicità.
Michele, tu sei un ragazzo intelligente e bravo, e ci hai preso tutto il cuore si tua madre e la scorza di tua nonna, ma questa nostra terra non è un allevamento di animi nobili o di cavalieri. Questa è la terra dei ladri che non vedi mai rubare, degli assassini che ci mangi allo stesso tavolo in osteria e dei diavoli che ognuno ha in corpo. E qui, da noi, qui il tavolo si sente più libero di passeggiare. Questa è una terra che va abitata in punta di piedi, Michele, va abitata in silenzio, qui le brave persone per difendersi diventano invisibili, Michele, in-vi-si-bi-li.
Una cautela che chi non abita lì può prendere come codardia, e chi abita lì e si rifiuta può andare via, scappare. Ma per quelli come Michele il massimo del coraggio è rimanere lì, non diventare orfano anche del paese natale. Lui ma anche quel ragazzone ripetente del suo amico Massimiliano, il fratello mai avuto, e la “silenziosa”. Rosalba gli ruba il cuore in tutto quel marcio – ha ragione Massimiliano, ci vuole una pioggia di due anni per lavar via tutto per bene, lì a Mondragone -, e lui la sposa, quel giorno al lago si promettono di farsi stare bene per il resto della vita. Lei di poche parole ma saggia e amorevole, anche con i loro quattro figli. Lui con la sua prudenza che in mezzo a tutto quella illegalità insegna ad Angela, Antonio, Andrea e Giovanni, l’onestà, una vita da eroi senza mantello, eroi di vita.
Il loro amore è un amore antico, se lo ripetono tutti i giorni, perché è tra persone che sono cresciute imparando ad aggiustare le cose senza buttarle.
 
Perché Cavalli ci racconta anche questo: la crescita. Quando tutto cambia senza cambiare mai. Quando il tempo passa ma la cautela è ancora la miglior cosa. Quando si ha lavorato un’intera vita e non si desidera altro che la pensione.
Il nostro riposo è la pensione. Il nostro porto è la pensione.
E infatti quello era l’ultimo giorno di lavoro per Michele, la guardia giurata, mancavano poche ore e finalmente avrebbe passato il resto della vita a coltivare i campi con la nipote, Michelina, a bere il caffè al mattino con Rosalba, la “silenziosa”. La stessa che quell’ultimo giorno squarcia il mattino urlando il suo dolore, la sua mancanza, per poi tornare di nuovo silenziosa.
L’attesa la invecchia, il tempo si trascina pesantemente, Michele non tornerà  più. Michele è stato ucciso e il suo corpo è stato bruciato.
C’è un momento nella vita di ognuno, uomo o donna, in cui si perde l’innocenza. E’ questione di un attimo, e magari non lo prendi nemmeno sul serio: capisci il tariffario dei valori e quanto sia normale toglierli dal cassetto in cui li tenevi chiusi a chiave. Capita a tutti. Capisci che costano, i valori: anche tenerseli costa. Qui in paese in questi anni è costato a tutti.
Ma perché?, mi sono chiesta io. Cos’ha visto, che ha detto, mi chiedevo subito dopo. Sono domande legittime che chiunque avesse letto il libro di Cavalli si sarebbe fatto. Cavalli che ci racconta una storia vera, anche se romanzata, a tratti poetica, e tra le righe ci fa leggere la crudeltà della mafia. Sempre tra le righe si legge la paura di ogni uomo o donna che sono costretti alla cautela nella vita, ma tra una fessura e l’altra, tra una lettera e l’altra, si legge anche di speranza. La speranza di una vita migliore, la felicità nel proprio piccolo, quella senza timore.
Giulio Cavalli ha scritto un libro importante, uno di quelli che gli adulti devono leggere per poter spiegare ai figli le cose, in attesa che loro vogliano farlo da sé.
– Sì papà, il discorso mio era un altro: vedi che alla fine i buoni perdono e i furbi vincono? –
– Non è detto. Bisogna tirare le somme alla fine… –
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LoSchermo.it su ‘Mio padre in una scatola da scarpe’ (di Nazareno Giusti)

(L’articolo originale è qui)

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LUCCA, 14 dicembre– Giulio Cavalli è un attore che, però, vive sotto scorta. Qualche decennio fa sarebbe stato definito un “artista impegnato”. Classe 1977, dopo aver mosso i primi passi nell’ambiente teatrale lodigiano, sin dall’inizio di carriera i suoi spettacoli sono stati contraddistinti da un forte impegno sociale e memorialistico. La visibilità arriva nel 2006 con “Kabum” in cui assieme a Paolo Rossi ripercorre la Resistenza italiana e “Linate 8 ottobre 2001: la strage” in cui cercava di far chiarezza sulla tragedia costata la vita a 118 persone. “Io sono solo lo spazzacamino della nebbia, non faccio un processo di piazza” chiarì a un giornalista dopo la prima dello spettacolo.

Nel 2011 in collaborazione con il regista Renato Sarti scrive e interpreta “L’innocenza di Giulio” a cui ha fatto seguito il volume, edito da Chiarelettere “L’innocenza di Giulio: Andreotti e la mafia”. Impegnato anche attivamente nel consiglio regionale della Lombardia prima con Idv, poi passa a Sel.
Due anni fa Luigi Bonaventura, per anni reggente della cosca crotonese dei Vrenna-Bonaventura e poi passato tra le fila dei pentiti, ha raccontato il progetto per farlo uccidere organizzato dalla cosca ‘ndranghetista De Stefano-Tegano.

Ma Cavalli sotto scorta c’era già dopo che, nel 2006, dopo la messa in scena dello spettacolo “Do Ut Des”, sulla vita dell’immaginario aspirante boss Totò Nessuno, aveva avuto numerose minacce di stampo mafioso. La sua vita era cambiata, irrimediabilmente, anche se non sembra pentirsene. Certo è difficile, ma può far affidamento alla compagna, la soubrette Miriana Trevisan.

Recentemente ha dato alle stampe, per i tipi di Rizzoli, “Mio padre in una scatola di scarpe”. Non solo un romanzo ma un progetto come sottolinea l’autore che lo porterà in scena in un reading che girerà l’Italia.

Il libro sarà presentato domani a Lucca, nella Sala Puccini di palazzo Bernardini, alle ore 18, grazie alla Società Lucchese dei Lettori con il Coordinamento imprenditoria femminile di Confindustria Lucca. Ad introdurre la serata, in cui Francesca Severini dialogherà con lo scrittore, il Prefetto di Lucca, Giovanna Cagliostro a cui farà seguito l’intervento del Provveditore Donatella Buonriposi. Mercoledì, invece, Cavalli parlerà ai ragazzi delle scuole superiori di legalità e lotta alle società criminali.

Il libro, che Cavalli ha definito “romanzo civile”, è nato dall’incontro con la figlia di quello che poi è divenuto il protagonista dello scritto: Michele Landa (“non è un eroe, e neppure un criminale. Tutto ciò che desidera è coltivare il suo orto e godersi la famiglia; vuole guardarsi allo specchio e vederci dentro una persona pulita” come sottolinea Cavalli).

Landa faceva la guardia giurata, il metronotte a Mondragone, in provincia di Caserta. Nell’alba livida del 6 settembre 2006 è stato ucciso a colpi di pistola e poi bruciato nella sua macchina. Aveva 61 anni, ancora qualche anno di turni di notte e sarebbe andato in pensione.

Il suo compito, quella notte maledetta era di piantonare un ripetitore per la telefonia mobile. Proprio in quel periodo i clan della camorra avevano scoperto il redditizio furto delle apparecchiature telefoniche. Forse Michele aveva visto o saputo qualcosa di troppo, qualcosa che non doveva. Il suo corpo fu ritrovato quattro giorni dopo carbonizzato in un fosso. Qualche trafiletto in cronaca locale, niente di più.

“Quella di Michele Landa- come sottolinea Cavalli che spera con il suo libro di far riaprire il caso sulla morte della guardia giurata che è ancora senza colpevoli-è una storia profondamente umana, non una vicenda “banalmente” di mafia, bensì la vicenda di un amore e di una famiglia molto unita che si ritrova coinvolta per caso in un dramma più grande di lei. A Mondragone Landa non era un eroe dell’antimafia; era, più semplicemente, una persona che non voleva avere a che fare con la camorra perché non voleva avere a che fare con l’illegalità in generale. Eppure è stato costretto a soccombere. Esatto, voleva solo seguire le regole con la geniale semplicità che fu dei nostri nonni. Negli anni l’antimafia ha spesso agito in modo vile, guidata da un sentimento di vendetta, io stesso dopo quello che mi è successo mi ero imbruttito, incattivito  Ho poi capito che a meritare ammirazione sono coloro che con la semplicità di cui sopra non perdono di vista i propri valori quando capita loro l’occasione di essere giusti”.

Insomma, si può fare antimafia anche raccontando storie piccole, minime ma importanti perché ci fanno capire ancora meglio la tragica attualità dell’argomento. “Dobbiamo ricominciare- conclude Cavalli- a innamorarci della legalità e ancor prima dei fragili e delle fragilità: la nostra attenzione dovrebbe essere rivolta verso chi ha paura, non verso chi ha le condizioni o la fortuna di poter non avere paura. La vera rivoluzione culturale e sociale avverrà quando comprenderemo che ognuno ha la propria battaglia personale da combattere, quindi va rispettato e trattato con gentilezza, come diceva Carlo Mazzacurati. “Mio padre in una scatola da scarpe” è un romanzo civile perché in un’epoca dominata dal cattivismo come quella attuale rilancia il buonismo non come debolezza, ma come senso di responsabilità sociale”.

Com’è bella Mondragone che abbraccia i Landa

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Se non ci siete stati non si riesce a raccontare ma avreste dovuto com’era bella Mondragone che abbracciava con gli occhi, con l’ascolto, con il battere di mani e con il cuore i figli di Michele Landa, che stavano seduto seminascosti tra le prime file di una sala strapiena come se all’improvviso la memoria fosse diventata davvero pop.

‘Mio padre in una scatola da scarpe’ è arrivato a Mondragone, o forse ci è tornato visto che proprio da lì nasce la storia di Michele Landa, guardia giurata prossima alla pensione con un culto per la famiglia e per la libertà. Presentare il romanzo a Mondragone non significava banalmente raccontare un libro, presentare il romanzo a Mondragone era solo il pretesto perché la città guardasse negli occhi Angela Landa e i suoi fratelli e vedere l’effetto che fa.

E l’effetto, davvero, è stato quello di una storia che si è fatta viva, presente, comune.

Io, nel mio piccolo posso solo ringraziare il lavoro meraviglioso di insegnanti, cittadini e di Libera che hanno organizzato un abbraccio così rumoroso.

Ora si riparte.

Il blog ‘per tutti’ su ‘mio padre in una scatola da scarpe’

L’articolo originale è qui.

 Dico subito che questo libro mi è piaciuto parecchio.

La prima cosa che ho apprezzato è la scrittura, perché lo stile di questo autore è moderno e dinamico, coinvolgente e incisivo, semplice e lineare ma non banale.

Mi piace come riesce a rendere bene l’atmosfera. Mi piacciono le sue osservazioni. Mi piacciono i dialoghi popolari e le metafore vivaci. Ha un modo di esprimersi che è decisamente nelle mie corde.

Inoltre è riuscito a dare a questa storia una pennellata di inevitabilità e malinconia senza cadere nella tristezza.

Andando avanti nella lettura ho imparato ad amare i personaggi: Michele, il protagonista, in primis, ma anche Rosalba e Massimiliano (…ciccione e stupido ma così ingenuamente coraggioso).

L’ambientazione, Mondragone in provincia di Caserta, è un mondo che non conoscevo e di cui non avevo mai letto nulla, e mi ha suscitato molto interesse e curiosità. Viene descritto come un piccolo mondo paralizzato dalla paura dove le persone per bene per difendersi diventano invisibili e quindi soli.

La mafia, a tratti sussurrata e a tratti urlata, è la coprotagonista.

Leggendo ho capito subito che avevo tra le mani un libro piacevole e interessante; quindi a circa tre quarti di lettura ho deciso che ne avrei parlato qui nel blog e per portarmi avanti ho cominciato a cercare informazioni su autore e genesi del romanzo.

Dovete sapere che che io ho il vizio di togliere subito le sovra-copertine dei libri. Le metto in qualche angolo in attesa di finire il libro e ricomporlo e spesso non leggo le informazioni riportate sulla terza e quarta di copertina. Anche questa volta ho fatto così! La sovra-copertina gialla è finita subito dimenticata nel comodino e io sono andata in giro per giorni con un anonimo libro grigio.

Se avessi letto le informazioni di base sopra riportate avrei saputo che quella raccontata in “mio padre in una scatola da scarpe” è una storia vera. L’ho scoperto cercando informazioni sul web per comporre questo breve scritto e mi sono rovinata inevitabilmente il finale.

Il romanzo si basa sulla storia di Michele Landa, ma, se non volete fare il mio errore, cercate questo nome e leggete cosa è successo nel 2006 solo dopo aver finito il libro.

Ho scoperto anche che l’autore è sotto scorta per il suo impegno contro la mafia.

Tutto questo dà a questo romanzo un valore aggiunto.

Se questo fosse un racconto di pura invenzione alla fine avrei inveito contro l’autore pretendendo uno straccio di perché… ma questo libro si basa sulla realtà dei fatti e quindi è così che doveva terminare.

Ho chiuso il libro con una sensazione di inevitabile ma ho sperato fino alla fine in un qualche tipo di riscatto…in un atto di coraggio…

…forse mi sono illusa che anche a Modragone potessero crescere i meli…

“Mio padre in una scatola da scarpe” di Giulio Cavalli edito da Rizzoli nel settembre del 2015 è un libro bello e importante che mi sento vivamente di consigliare.
Da leggere e da regalare…
Buona lettura!

Come sgorga un libro: “Ciò che rimaneva di mio padre era una scatola da scarpe” (parla Angela Landa, figlia di Michele)

Schermata 2015-11-02 alle 12.09.33In questo video parla Angela Landa, la figlia di Michele, ucciso e bruciato nella sua auto. In questa intervista c’è il cuore pulsante che ho provato, e spero di averlo fatto bene, a mettere a fette e delle fette farne pagine del mio libro ‘Mio padre in una scatola da scarpe’. Se c’è qualcosa di cui sono fiero, se c’è qualcosa che mi assomiglia e che parla (anche di me) è la fortuna di avere potuto scrivere questo romanzo. Per questo sorrido quando lo so letto, regalato o piaciuto.

Ecco il video:

Il libro lo potete anche comprare (a chilometro zero) qui.

Piccoli eroi della normalità

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Li chiama così, Marco Boschini, i protagonisti di ‘Mio padre in una scatola da scarpe’. E scrive:

“Il libro di Giulio Cavalli fa piangere, per la storia.

Indignare, per il silenzio ottuso di un’intera comunità.

Sperare, per il coraggio di tanti piccoli eroi quotidiani, che manifestano la loro grandezza nella normalità.

Leggetelo, davvero.”

(fonte)

Lettere che mi rendono felice

12122542_868262876576517_1348074369069251953_nContinuiamo a correre. Ed è un bene. Continuo ad incrociare librerie, librai e lettori che sembrano il presepe del paese raccontato in televisione e non credo che siano questi ad essere in cattività. A Napoli mentre presentavo ‘Mio padre in una scatola da scarpe’ avevo di fronte, in prima fili, fissi sul petto gli occhi dei figli di Michele Landa e il pubblico stralunato ha visto un libro a forma di famiglia e una famiglia a forma di libro, tutti e due insieme. Mentre mi faccio portare in giro dal mio libro respiro con quegli slanci tutti polmoni come quando ero ancora capace di meravigliarmi. Sono diventato terribilmente bambino. O meravigliosamente vecchio. Dentro la scatola da scarpe ci ho trovato anche qualche pezzo di me che per noncuranza avevo lasciato in giro.

Ma soprattutto ci sono le voci di chi l’ha letto che mi mostrano angoli nemmeno immaginati: Mario Portanova (che è sempre un onore avere di fianco per la sua pulizia intellettuale, oltre che la preparazione) ha detto che Michele, il protagonista del libro, è un “profugo stanziale” cioè uno che vive da straniero nel suo paese perché non ne accetta le dinamiche bieche. Una lettrice forte mi ha insegnato che dentro il libro c’è il coraggio di raccontare coloro che “fanno ciò che possono” ed ha ragione: forse davvero abbiamo scambiato i fragili per vigliacchi, tutti presi da questa muscolosità politica.

Poi mi è arrivata una lettera. Inaspettata perché disinteressata come si riesce ad essere disinteressati di fronte ad un libro che non vuole insegnare niente, solo raccontare. Me l’ha scritta Stefano e ha il colore delle lettere scritte di fretta, senza mediazioni. Dice:

 

“…ebbene sì, caro Giulio, scusa se mi permetto di essere diretto, ho letto il tuo ultimo libro e sento la necessità di ringraziarti.
Dopo cinque minuti, da che l’avevo chiuso già l’avevo passato a mio padre con cui condividiamo la passione per la lettura, vorrei sentire il suo parere…ma soprattutto vorrei che anche lui, come me, conosca Michele e Rosalba,
per respirare la polvere di Mondragone, apprezzare la semplice bellezza delle loro vite e della verità.
Spero che non mi deluda, che mi confermi  ciò che penso e cioè che chiunque legge “Mio padre in una scatola da scarpe” deve donarlo a chi ama con la promessa che egli faccia lo stesso.
Perchè poi, quando ne avrà bisogno ritroverà comunque ogni riga, ogni emozione scolpita in modo indelebile sul proprio cuore.
Spero che mi confermi ciò che penso…tu hai scritto un Capolavoro, grazie  alla vita di Michele che è una testimonianza rara di amore e verità.

Non preoccuparti comunque.. lo consiglierò a chiunque.. ne regalerò una coppia a tutti.. anche a chi non conosco.

ti abbraccio e, appunto, ti ringrazio dal profondo del mio cuore, della mia anima.

Stefano”

Quando l’ho letta ho pensato che non è mica indirizzata a me, piuttosto ai figli di quel Michele Landa che ha lasciato dei figli veri, mica solo dentro un libro. E quando Angela Landa l’ha letta mi ha scritto una risposta che è un fulmine:

“la mia felicità è che da una storia di dolore è nata una storia di amore”

Vedi quanto sono forti i libri. E i buoni.

Librerie.it su ‘Mio padre in una scatola da scarpe’

(l’articolo originale è qui)

Schermata 2015-10-16 alle 09.57.58Mio padre in una scatola di scarpe”: Giulio Cavalli racconta una storia vera di un uomo coraggioso e che non deve essere dimenticata

Il grande impegno dal punto di vista sociale e civile di Giulio Cavalli è tutto raccontato nelle opere teatrali e nelle sue pubblicazioni editoriali.

“Mio padre in una scatola di scarpe” vede al centro la storia di Michele Landa, metronotte di Mondragone ucciso nel 2006 nei pressi di Pescopagano e che non ha mai ricevuto giustizia.

Michele Landa

Chi è Michele? E’ semplicemente un uomo onesto, un uomo che vuole vivere in modo tranquillo. Lavora come metronotte, al suo fianco ha Rosalba – la donna con cui ha condiviso tutto la sua vita – e i suoi figli.

Michele, però, vive in un luogo del nostro Paese dove il senso stesso della vita sembra aver perduto valore, dove tutto è dominato solo dalla corruzione, dal degrado e, soprattutto, dove tutti abbassano la testa e restano in silenzio di fronte ai soprusi, perché in un luogo del genere è questo e non altro il modo di affrontare il quotidiano.

Una storia che non va dimenticata

Michele viene aggredito e ucciso in una notte del settembre 2006. I suoi aggressori, mai identificati, ne bruceranno il corpo e i suoi resti verranno consegnati alla famiglia dopo essere stati sistemati in una scatola di scarpe.

Giulio Cavalli ha preso la penna per far conoscere la storia di un uomo dignitoso, di un uomo onesto, di un uomo che per tutta la sua vita si è sacrificato lavorando per la famiglia e che avrebbe dovuto andare in pensione solo un mese dopo il suo omicidio.

Mio padre in una scatola di scarpe

Il titolo del romanzo fa riferimento ad una frase realmente pronunciata da uno dei figli di Michele e tutto quello che viene narrato, sia pure in modo romanzato, fa riferimento ad una realtà che deve essere conosciuta, portata alla luce, denunciata.

La storia di Michele deve essere ricordata, perché, al contrario si tende a dimenticarla. E perché è proprio l’omertà, la paura, la passività, che regnano sovrane in alcuni luoghi del nostro Paese, a generare e a dare forza a quella mostruosità che possiamo chiamare in tanti modi diversi, mafia, camorra, ma che deve essere combattuta con coraggio e con quella dignità che Landa ha pagato con la vita.