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morti bianche

Notizie da legarsi al dito: nel primo trimestre i morti sul lavoro sono stati 190, +12,4%

Nel primo trimestre le denunce di morti bianche sul lavoro sono aumentate del 12,4% rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente. Gli infortuni sul lavoro con esito mortale denunciati sono stati 190 contro le 169 del primo trimestre 2016. È quanto emerge dalla nota congiunta trimestrale che attribuisce l’incremento, in particolare, ai due gravi incidenti di gennaio 2017 per la valanga sull’albergo di Rigopiano e la caduta dell’elisoccorso a Campo Felice.

Complessivamente gli infortuni sul lavoro denunciati all’Inail nel primo trimestre sono stati 134mila di cui 112mila in occasione di lavoro e 22mila in itinere, in aumento del 5,9% (+7.430 denunce) rispetto al primo trimestre del 2016. Poco meno di un quarto dei decessi è avvenuto in itinere, ma l’incremento ha riguardato esclusivamente gli infortuni in occasione di lavoro (+18,5%). Del resto, a fronte di un calo in agricoltura (-10 decessi), l’aumento si concentra nell’industria e nei servizi (+31 decessi), a partire da commercio, sanità e trasporto-magazzinaggio.

(fonte)

Lombardia da record (per le morti sul lavoro)

Morti-biancheLa Lombardia è la prima regione per numero di morti bianche anche nel primo quadrimestre 2015. Sono 37 le vittime rilevate in occasione di lavoro da gennaio ad aprile su un totale di 269 decessi registrati in tutto il Paese. E gli infortuni mortali in Lombardia salgono a 51 considerando anche quelli avvenuti in itinere (in Italia si arriva a 305 considerando anche quelli in itinere).
Sono questi i dati che giungono dall’ultima indagine condotta dall’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro Vega Engineering di Mestre sulla base di dati Inail, che evidenziano ancora una volta l’emergenza morti bianche nella nostra Penisola e soprattutto in Lombardia.

Una mappatura tragica e dettagliata che vede la provincia di Milano come quella più colpita con 13 vittime rilevate nel primo quadrimestre 2015 (2 delle quali registrate in itinere), seguita da Brescia con 11 morti bianche (delle quali 6 in itinere), da Varese (6 vittime – 1 delle quali in itinere), da Bergamo, Cremona, Pavia, Lodi (4), Monza e Sondrio (2) e Mantova (1).
E anche nella graduatoria nazionale che definisce il numero di vittime in “occasione di lavoro” –  escludendo quindi i decessi in itinere – il capoluogo lombardo risulta tra le province maggiormente colpite nel nostro Paese. Con le sue 11 vittime in occasione di lavoro è seconda solo a Roma che ne conta 12.

Per quanto riguarda l’età delle vittime in Lombardia l’Osservatorio Vega Engineering sottolinea come siano quarantenni e cinquantenni i più coinvolti; sono 28 su 51 per la precisione i lavoratori deceduti che avevano un’età compresa tra i 40 e i 59 anni.
Intanto, il settore maggiormente provato dalle morti bianche è quello delle attività manifatturiere, dove si contano 9 vittime su 51; ed è seguito da quello dei trasporti e magazzinaggi (8 infortuni mortali), e dalle costruzioni (7).

Una mappatura precisa, dunque, in cui emerge nitido purtroppo un altro dato, ovvero quello delle morti sul lavoro che coinvolgono le donne. E sono 4 le lavoratrici che hanno perso la vita in Lombardia da gennaio ad aprile 2015 (2 delle quali in itinere). In Italia, invece, le donne decedute in occasione di lavoro nel primo quadrimestre 2015 sono 13.

Altro risultato significativo riguarda poi i lavoratori stranieri. Da gennaio ad aprile sono state registrate 14 vittime (5 delle quali in itinere). A livello nazionale gli stranieri deceduti in occasione di lavoro sono stati 33.
Diversa, infine, è la situazione quando si osservano le incidenze di mortalità rispetto alla popolazione lavorativa. Perché la Lombardia con un indice di 8,6 è ‘finalmente’ al di sotto della media nazionale di 9,9.

(fonte)

Bentornati dalle vacanze: morto un operaio

Un operaio è morto nel crollo avvenuto in un cantiere di costruzione di una fognatura a La Cassa, nel torinese. L’incidente è avvenuto in borgata Mattodera. Sul posto sono intervenuti i carabinieri, il 118 e lo Spresal dell’Asl di Zona.

Io non so se succede anche a voi di sognare una politica che stupisca senza effetti speciali o grandi proclami ma semplicemente intervenendo prima che sanguini una tragedia abbastanza copiosamente per diventare un caso. Ecco, le morti bianche ce le abbiamo sul tavolo da qualche decina d’anni, ma niente.

Morti di lavoro

Altre quattro vittime sul più sanguinario punto del contratto dei lavoratori: la morte come se nulla fosse. Stancandosi sul serio di tutto questo misero cordoglio che si ferma ai comunicati stampa potrà essere una priorità sul serio? Con condanne certe, pene non tiepide e controlli seri? Perché essere commissariati dall’Europa per politica economica è già una desolazione ma meritarsi una procedura d’infrazione per la sicurezza sul lavoro ha il sapore dell’omicidio colposo.

Morti sul lavoro in “sensibile calo”? Magari.

Un bel pezzo di Carmine Tomeo su Agoravox per leggere più a fondo i dati di tutti gli indegnamente troppi morti che non meritano un funerale di Stato e (nemmeno) un’attenzione legislativa. L’Italia delle morti bianche quasi tutte in nero.

Come sempre accade, il rapporto annuale dell’Inail sollecita facili entusiami. Anche quest’anno. Ma non ci sono le giustificazioni reali. Una lettura critica dei dati dimostra che non ci sono stati reali miglioramenti nel 2010, rispetto all’anno precedente.

Come sempre accade, il rapporto annuale dell’Inail sollecita facili entusiasmi. Quest’anno non è andata diversamente. Enfaticamente Marco Fabio Sartori, presidente dell’Inail, ha dichiarato che «per la prima volta dal dopoguerra, nel 2010, la soglia dei morti sul lavoro è scesa sotto i mille casi-anno».

Addirittura il ministro Sacconi ha parlato di «dati incoraggianti», dovuti al fatto che «cresce la cultura della prevenzione malgrado il pressing della competizione». Un modo come un altro per raccontare la favola che si possono aumentare i ritmi di lavoro e ridurre i diritti dei lavoratori, senza causare danni alla loro salute e senza rischi per la loro incolumità.

Ma cosa dice, in sintesi, il rapporto annuale Inail? Mostrerebbe, dati alla mano, un calo degli infortuni sul lavoro e delle morti ipocritamente definite bianche. E’ segnalato nel 2010, rispetto all’anno precedente, un calo degli infortuni di oltre 14mila casi (nel 2009 erano 790.112) e conta 980 morti sul lavoro (contro i 1053 del 2009). A Sartoni e Sacconi pare sufficiente per fare intendere che la strada intrapresa contro gli infortuni è quella giusta. Vediamo se ci sono le giustificazioni.

Intanto sarà appena il caso di citare lo stesso rapporto Inail, il quale precisa che “i dati potranno considerarsi definitivi solo con l’aggiornamento al 31 ottobre dell’anno in corso” e che i 980 morti sul lavoro sono frutto di “stime previsionali”.

Il motivo è che considerando i decessi avvenuti entro 180 giorni dall’infortunio, “le statistiche relative ai casi mortali del 2010 non sono ancora complete”. Ma proviamo ad entrare nel merito dei numeri.

Il “sensibile calo” del numero degli infortuni e delle morti sul lavoro, non ha senso se mostrato solo nei suoi valori assoluti. Trascuriamo in questa occasione il discorso del lavoro nero, una piaga sociale che causa un elevatissimo numero di infortuni e morti sul lavoro: le cifre sono solo stimabili e si può dire che difficilmente potrebbero entrare in un rapporto ufficiale.

Sappiamo però che la crisi economica ha prodotto migliaia di disoccupati e molte migliaia di ore lavorate in meno. Questo dato non può essere lasciato da parte. Come utilizzarlo? Come richiesto da standard riconosciuti, e cioè considerando quanti infortuni sono avvenuti per milione di ore lavorate e quanti per ogni mille lavoratori. Si ha così un dato realmente raffrontabile. Eseguendo questo semplice rapporto, si nota come quei facili entusiasmi di cui si diceva non abbiano ragion d’essere.

Considerando i dati dell’Istat su ore lavorate e numero di lavoratori dipendenti, la fredda statistica racconta che il 2010 ha fatto registrare 25,6 infortuni ogni milione di ore lavorate, praticamente come il 2009 (quando erano stati 25,9). I dati infortunistici non migliorano se messi in rapporto con il numero di lavoratori, per cui,ogni 100mila dipendenti si sono infortunati in 41 nel 2010, come nel 2009. E per ogni 100mila dipendenti, nel 2010 sono morte sul lavoro poco più di 5 persone (5,5 è il rapporto nel 2009). E stiamo prendendo in considerazione i soli dati Inail.

Se considerassimo i dati dell’Osservatorio Indipendente di Bologna sulle morti per infortuni sul lavoro, che ha contato non 980 infortuni mortali, ma ben 1080, la situazione sarebbe ben peggiore.

Un dato da non sottovalutare è quello delle malattie professionali, troppo spesso messe in secondo piano nelle analisi sulle condizioni di salute e sicurezza sul lavoro. In realtà si tratta di una piaga enorme, che ogni anno, per migliaia di persone significa inabilità permanente al lavoro.

Le malattie denunciate nel 2010 sono cresciute del 22% rispetto all’anno precedente e di queste il grosso (oltre il 60%) è rappresentato da disturbi muscolo-scheletrici riconducibili all’intensità dei ritmi di lavoro. Un dato che dovrebbe rappresentare un monito per i sindacati “complici” (come li definì Sacconi) che hanno firmato gli accordi di Pomigliano e Mirafiori, che di fatto intensificano i carichi di lavoro e che l’accordo del 28 giugno con Confindustria (ed in questo caso anche Cgil) potrebbe estendere a tutto il mondo del lavoro.

E’ quindi facilmente intuibile che quegli accordi, mentre faranno accrescere le produttività aziendali, favoriranno anche la crescita delle patologie muscolo-scheletriche, creando un esercito di lavoratori con la salute compromessa e scartati spesso dal ciclo produttivo. I costi sociali sono già enormi (circa il 2% del PIL in Europa) e sono pagati dalla collettività.

Non solo: quella delle malattie professionali è una piaga che uccide. Solo per il 2010 l’Inail ha indennizzato 383 casi di morte per malattie professionali, ma “la ‘generazione completa’ di morti per patologie professionali denunciate nel 2010 è destinata, nel lungo periodo, ad attestarsi intorno alle 1.000 unità”, come ammette l’ente nel suo rapporto.

Insomma, «dati incoraggianti» possono essere letti solo con gli occhi di Sacconi, che nel 2008, quando ancora non era ministro, si era affrettato a dare giudizi negativi sul Testo Unico della sicurezza sul lavoro, tra le poche note positive del governo Prodi. La promessa conseguente di colui che sarebbe stato il ministro del Lavoro dell’attuale governo Berlusconi, è stata quella di ridiscutere quel testo normativo. Quella promessa fu mantenuta: il Testo unico sulla sicurezza lavoro è stato praticamente destrutturato nel 2009. Le conseguenze della riscrittura del Testo Unico stanno anche nei numeri che abbiamo citato.

La Regione Lombardia si è “dimenticata” gli infortuni sul lavoro

Che in Italia la sicurezza sul lavoro sia considerato un fastidioso “costo” piuttosto che un civile investimento è sotto gli occhi di tutti. Solo in Lombardia negli ultimi mesi abbiamo assistito a tragedie come lo scoppio della Eureco di Paderno Dugnano che hanno provocato vittime e fiamme che, viste da fuori, sembrano un bollettino di guerra di un paese di confino. Le vittime sul lavoro non hanno né funerali di Stato né bare avvolte nelle bandiere. Spesso il cadavere è la prima e unica “emersione” ufficiale di una vita rimasta in nero per il fisco, per l’anagrafe e per la dignità. Nel bilancio regionale che andremo a discutere nelle sedute consiliari della prossima settimana non esiste nessuna voce che preveda fondi e investimenti sul tema della sicurezza all’interno delle fabbriche e dei cantieri: se ne sono dimenticati mentre pensavano ad altro. Almeno per provare a rimettere “le cose a posto” proveremo a ricordarglielo bisbigliandogli ad un orecchio un ordine del giorno.

ORDINE DEL GIORNO AL PDL 61

BILANCIO DI PREVISIONE PER L’ESERCIZIO FINANZIARIO 2011 E BILANCIO PLURIENNALE 2011/2013 A LEGISLAZIONE VIGENTE E PROGRAMMATICO

IL CONSIGLIO REGIONALE DELLA LOMBARDIA

PREMESSO CHE

Nei cantieri e nelle fabbriche avvengono oltre un milione di infortuni e più di mille morti ogni anno;

PRESO ATTO CHE

L’attuale governo in tema di sicurezza sul lavoro ha da tempo tagliato le necessarie risorse affinché in tale ambito vi possano essere i doverosi controlli da parte degli uffici a ciò preposti e la realizzazione di interventi formativi in materia di tutela della salute e della sicurezza dei e nei luoghi di lavoro;

VERIFICATO CHE

Il bilancio di previsione del prossimo triennio 2011 – 2012 – 2013 non prevede per le voci sopra evidenziate appositi stanziamenti;

RILEVATO CHE

Controlli ed interventi formativi in materia di tutela della salute e della sicurezza appaiono strumenti fondamentali sia ai fini di una efficace prevenzione da infortuni e morti sul lavoro che di una loro reale ed efficace attuazione e appare quindi altresì necessario che anche da parte di Regione Lombardia vengano dedicate le necessarie risorse;

IMPEGNA IL PRESIDENTE E LA GIUNTA REGIONALE

A porre in essere tutti gli strumenti più idonei affinché nel bilancio di previsione del prossimo triennio 2011 – 2012 – 2013 vengano predisposti appositi stanziamenti atti a garantire il finanziamento concernente gli interventi formativi in materia di tutela della salute e della sicurezza dei luoghi di lavoro.

Milano, 16 dicembre 2010

Giulio Cavalli (IDV)

Francesco Patitucci (IDV)

Gabriele Sola (IDV)

Stefano Zamponi (IDV)