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Fallisce la crociata di Zuccaro contro le Ong (appoggiata da Travaglio e Di Maio): ora il PM andrà a processo?

“Non lasciamo solo Zuccaro” intitolava il Blog Delle Stelle, sì, proprio lui, il magazine politico del Movimento 5 Stelle che si era schierato a testa bassa al fianco del procuratore di Catania Carmelo Zuccaro nella sua ennesima battaglia contro le Ong. Furono i grillini e furono i salviniani a cadere nel solito giochetto infimo della politica quando si appoggia alla magistratura per annaspare e trovare conferma delle proprie tesi. Il pensiero politico breve e debole ha sempre bisogno di un’indagine, di un rinvio a giudizio, di qualche carta processuale per certificare la propria visione del mondo.

Nel 2017 fu Zuccaro a denunciare il tentativo delle Ong di «destabilizzare l’economia italiana» attraverso il massiccio sbarco di migranti sulle nostre coste al fine di «trarne vantaggi». Zuccaro aveva anche aggiunto che, a suo avviso, «alcune Ong potrebbero essere finanziate dai trafficanti» perché, disse, «so di contatti» e inoltre si tratta di un «traffico che oggi sta fruttando quanto quello della droga». Si alzò un gran polverone e le parole del procuratore vennero agitate come una sciabola per affettare la discussione su diritti e immigrazione, le parole di Zuccaro vennero sventolate ai quattro venti, lui ebbe anche l’onore di essere audito dal Parlamento, i Zuccaro boys infestavano i social tutti fieri di avere scoperto che i “buoni erano cattivi” e quindi, per la proprietà inversa, i presunti “razzisti” sarebbero stati quelli che ci avrebbero salvato. Peccato che di quelle pesantissime affermazioni non rimase niente, non ci fu una controprova, non ci fu niente e tutto finì nel dimenticatoio per un anno, anche se ormai il rumore di fondo era stato generosamente sparpagliato e il governo Conte (il primo Conte, quello che non si era ancora travestito da “buono”) quando salì in carica nel 2018 con la sua formazione gialloverde poté ripetere le tesi di Zuccaro come condimento delle proprie decisioni politiche.

Arriviamo quindi al 2018, marzo, quando Carmelo Zuccaro torna a occuparsi dell’emergenza migranti nel Mediterraneo e lo fa a modo suo: mette sotto indagine il comandante della nave Open Arms, Marc Reig Creus, il capo della missione della Ong, Ana Isabel Montes Mier, e il coordinatore Oscar Camps. L’accusa ovviamente è di associazione a delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina. La Ong Proactiva Open Arms, secondo il teorema Zuccaro, opera nel disprezzo più totale degli accordi internazionali e del codice di comportamento firmato con il governo italiano, cercando in tutti i modi di far sbarcare migranti sulle nostre coste. Open Arms aveva soccorso 218 migranti al largo delle coste della Libia rifiutandosi di consegnarli alla cosiddetta “Guardia costiera libica” per via delle violenze e dei maltrattamenti che avrebbero potuto subire in quello che tutta la comunità internazionale ritiene un porto “non sicuro”. I migranti vennero poi fatti sbarcare nel porto di Pozzallo, in provincia di Ragusa, dopo l’autorizzazione da parte del governo italiano.

Cosa accadde poi? Il teorema di Zuccaro venne smontato dal Gip di Catania che nel confermare il sequestro aveva fatto cadere l’accusa di associazione a delinquere tenendo in piedi l’accusa di immigrazione clandestina e di violenza privata. Il fascicolo passa al Gip di Ragusa per competenza territoriale e viene disposto il dissequestro immediato della nave perché, scrive il Gip, l’Ong aveva agito «in uno stato di necessità» regolato dall’articolo 54 del codice penale (in cui si scrive di chi è «costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave»).

Ben due anni dopo quei fatti ora arriva la decisione del Tribunale di Ragusa che ha deciso il non luogo a procedere perché il fatto non sussiste per il reato di violenza privata e perché non punibile per stato di necessità per il reato di favoreggiamento. L’ha deciso il Gup al termine dell’udienza preliminare. Open Arms, in una sua nota, scrive che «ancora una volta è stato dimostrato che il nostro agire è sempre stato dettato dal rispetto delle Convenzioni internazionali e dal Diritto del Mare, quello che ci muove è la difesa dei diritti umani e della vita, principi fondativi delle nostre Costituzioni democratiche».

E quindi? Quindi per l’ennesima volta molto rumore per nulla. Per l’ennesima volta sulla pelle dei migranti (e degli elettori e della dignità della politica) si è consumata una battaglia che non aveva basi giuridiche eppure ha dato l’occasione di sentenziare giudizi che si sono rivelati infondati. Ancora una volta è andata male a chi cercava un appiglio per poter essere feroce con il supporto della legge fingendo di non sapere che il gancio non c’è, fingendo di non sapere (come accade tutt’ora) che la “Guardia costiera libica” è il viatico di sofferenze che non hanno nulla a che vedere con i diritti e fingendo di non sapere di avere appaltato proprio a loro quel pezzo di Mediterraneo. La polvere si è posata e non è rimasto niente, niente di più del vociare sconsiderato di cui nessuno pagherà pegno.

L’articolo Fallisce la crociata di Zuccaro contro le Ong (appoggiata da Travaglio e Di Maio): ora il PM andrà a processo? proviene da Il Riformista.

Fonte

La vedova di David Rossi: “voglio la verità”

(Marco Gasperetti per Corriere della Sera)

«La storia dei festini? Io non ho mai sospettato nulla, ma s’indaghi anche su questo sino in fondo, senza reticenze, si arrivi alla verità. Costi quel che costi».

 

Signora, mi perdoni la domanda, ma se in questa vicenda fosse stato coinvolto anche suo marito? 
«Conoscevo David, la sua moralità, la sua voglia di vivere, il suo amore per la famiglia. E questo mi dà la forza di dire: andiamo avanti senza tralasciare alcuna pista, anche quella del più odioso pettegolezzo. Io ho la certezza che mio marito sia stato ucciso, che qualcuno l’ha gettato dalla finestra del suo ufficio. Spero si torni a indagare».

Antonella Tognazzi, la vedova di David Rossi, il responsabile della comunicazione del Monte dei Paschi precipitato da una finestra del suo studio di Rocca Salimbeni in circostanze ancora oggi poco chiare, dopo quattro anni e due inchieste archiviate non si è ancora arresa. Ha guardato la tv, ha letto l’intervista dell’ex sindaco Pierluigi Piccini (anche lui convinto che Rossi sia stato assassinato), e ha seguito le polemiche che si sono scatenate e l’apertura di un fascicolo da parte della magistratura di Genova dopo le voci su presunti festini ai quali secondo quanto riportato da Piccini avrebbero partecipato anche magistrati senesi. Ieri la presidente della Corte d’appello di Firenze, Margherita Cassano e il procuratore generale, Marcello Viola, hanno chiesto al Csm di aprire una «pratica a tutela» per i magistrati di Siena. Mentre Piccini, rispondendo alle critiche del sindaco di Siena, Bruno Valentini, sottolinea che «il vero problema è che il sindaco o quei pochi che mi criticano, sono stati comodamente omertosi, finora». Polemiche roventi. Nelle quali la vedova Rossi, non vuole entrare. «Si torni a indagare — ripete —, io chiedo solo verità e non mi fermerò sino a quando non l’avrò trovata».

Ma secondo lei perché si parla di festini proprio adesso?
«Guardi non ne ho idea. Forse qualcuno si vuole lavare la coscienza. Stamani (ieri mattina ndr) mi hanno detto che questa storia circolava da tempo in città e sarebbe stata collegata in qualche modo alla morte di mio marito. Io non sapevo niente, anche perché non mi interessano i pettegolezzi e mi faccio gli affari miei. Sono altre le mie convinzioni».

Quali sono, signora?
«Che David sia stato assassinato e che le indagini sono state fatte male. Non lo dico solo io ma anche l’anatomopatologa Cristina Cattaneo, perito incaricato dalla Procura, la stessa che ha lavorato sul caso di Yara Gambirasio. La dottoressa, tanto per farle un esempio, ha scritto che sul corpo di mio marito c’erano segni non compatibili con una caduta ma riconducibili a una colluttazione. Eppure di questo, nell’inchiesta, non si fa parola. Ed è solo un elemento, ce ne sono tanti altri ignorati. Io sono convinta che bisognerebbe aprire ancora una volta il caso e indagare come si deve».

Secondo lei suo marito aveva paura?
«Era molto spaventato. Chiedeva aiuto e lo aveva fatto anche con una mail a un alto dirigente di Mps».

Ma a lei David non ha mai confidato di temere d’essere ucciso?
«In quei giorni ero malata con febbre altissima e allucinazioni. Lui certe cose non me le avrebbe dette esplicitamente per difendermi, per tutelarmi. Poi nelle condizioni fisiche in cui mi trovavo non lo avrebbe fatto in nessun modo. Però oggi io ho rielaborato quei momenti, ci ho ripensato più volte».

Ed riuscita a capire qualcosa?
«Ricordando quegli ultimi giorni oggi ho la sensazione che David fosse minacciato. Era un uomo che aveva paura di essere ucciso. Anche una situazione di stress come quella non poteva giustificare la sua agitazione. Non lo avevo mai visto così, a fargli così tanta paura non poteva essere solo preoccupazione lavorativa e un’inchiesta nella quale oltretutto lui non era neppure indagato».

Le risposte che mancano su MPS. Spiegate bene.

(il pezzo di Massimo Giannini)

Abbiamo messo in sicurezza il risparmio”. Anche Paolo Gentiloni ricalca le orme di Matteo Renzi. Anche il nuovo premier, dopo aver varato il decreto salva-Mps, tira un sospiro di sollievo, come fece il vecchio premier il 22 novembre 2015, dopo aver varato il decreto salva-Etruria. Sollievo malriposto. Allora come oggi. Il salvataggio della banca più antica del mondo avrà costi enormi, ancora incalcolabili.

I 20 MILIARDI stanziati sono nuovi debiti pubblici.

Dall’anno prossimo peseranno sulle tasche di tutti i contribuenti. È giusto sacrificarsi per Siena. Ma a patto che si faccia luce sull’infinita catena di errori commessi in questi anni (magari proprio con quella famosa commissione d’inchiesta che Renzi lanciò a sproposito il 23 dicembre 2015). E a patto che si fissi almeno un punto fermo: chi ha sbagliato, una volta tanto, tolga il disturbo. A pagare il conto finale non può essere sempre e solo Pantalone. Pantalone siamo noi. Vorremmo almeno sapere, con qualche domanda, chi dobbiamo “ringraziare”.

IL TESORO.
In una lunga intervista al Sole 24 Ore, il ministro Padoan ripercorre a modo suo il calvario di Mps. Nulla c’è ancora di chiaro, sulle modalità con le quali saranno “coperti” gli obbligazionisti della banca, e quali saranno, anche in questo caso, i sommersi e i salvati. Per il resto, il ministro dice: “Non sono affatto pentito di aver sostenuto, nel rispetto del ruolo di tutti, l’operazione di mercato”. Ma non era forse già chiaro a luglio che la “strada privata” avrebbe portato a un vicolo cieco? Si può considerare il licenziamento di un amministratore delegato come Fabrizio Viola, deciso con una telefonata fatta “per conto” dell’allora premier Renzi il 7 settembre, una mossa “nel rispetto del ruolo di tutti”? O qui non c’è forse una clamorosa invasione di campo della politica, che invece di salvare la banca quando le condizioni lo consentivano si è avventurata in un’improbabile “operazione di mercato”? Padoan aggiunge: do il “pieno sostegno all’attuale management della banca”, compreso l’ad Marco Morelli. Considerato che in questi anni Mps ha bruciato 17 miliardi di patrimonio, non è il momento di attuare anche in Italia il metodo Obama, che nel 2009 varò il “Tarp”, un piano di intervento dello Stato nelle banche da 700 miliardi di dollari, che aveva come condizione l’azzeramento totale di tutti i vertici e la nomina di manager pro tempore scelti dallo Stato? Padoan si lamenta perché “nel nostro Paese non sono sanzionate abbastanza le responsabilità di singoli manager che hanno prodotto danni rilevanti a investitori, azionisti, risparmiatori”. Giusto, ma allora perché non presenta una legge che introduce e inasprisce queste sanzioni? Lui è il governo: ha l’obbligo politico e morale di parlare e di agire come il ministro del Tesoro, non come un cittadino qualunque.

LA BCE.
La Banca centrale europea ha avuto un ruolo cruciale, fa il suo mestiere. Ma il suo “accanimento terapeutico” nei confronti di Siena merita qualche chiarimento. Dopo gli stress test del 23 giugno, la Vigilanza europea guidata dalla francese Danièle Nouy impone la ricapitalizzazione da 5 miliardi entro il 31 dicembre. In base a quale criterio, solo 4 giorni fa, la Bce chiede per lettera al Monte di aumentare la ricapitalizzazione a 8,8 miliardi? Cosa è cambiato, in questo frattempo? E in base a quale principio Francoforte impone a Mps la stessa copertura patrimoniale (il Cet1, fissato all’8%) che nel 2015 applicò alle banche greche, mentre nelle stesse ore riduce dal 10,7 al 9,5% l’analogo parametro richiesto alla Deutsche Bank (la banca europea con il portafoglio più “zavorrato” dal peso dei titoli tossici)? Mario Draghi, giustamente, ha fatto della cosiddetta “accountability” la sua religione. Ma la necessità di “rendere conto” del proprio operato, a Francoforte, deve valere per tutti.

LA BANCA D’ITALIA.
Via Nazionale ha avuto un ruolo importante. Non tanto per quello che ha fatto, quanto per quello che non ha fatto. Sul fronte “esterno”: il governatore Visco siede nel board di Francoforte, e l’italiano Ignazio Angeloni siede in quello della Vigilanza europea. Perché sono mancate comunicazioni puntuali tra l’Eurotower e Palazzo Koch? Sul fronte interno: la direttiva sul bail in (che scarica i costi dei fallimenti bancari su azionisti, obbligazionisti e correntisti oltre i 100 mila euro) viene approvata dalla Ue nel 2014, e in Italia viene introdotta per la prima volta un anno dopo con il “decreto di risoluzione” su Banca Etruria, Marche, Cariferrara e Carichieti. Perché Bankitalia (che solo in seguito si dichiarerà contraria a quelle norme, applicate in modo retroattivo su tutti i risparmiatori) non fa una campagna per sensibilizzare l’opinione pubblica e convincere i governi a modificarla? E poi, più in particolare sull’affare Mps: perché il governatore ripete dal gennaio 2013 che la banca “non ha problemi di tenuta “, mentre nei due anni successivi Viola è costretto a chiedere aumenti di capitali per ben 8 miliardi? Perché in estate non si oppone alla cacciata dello stesso Viola, decisa da Renzi il 6 luglio dopo una colazione di lavoro a Palazzo Chigi con il presidente di Jp Morgan, Jamie Dimon? Perché in autunno non si oppone al rinvio dell’aumento da 5 miliardi, che Renzi decide di spostare a dopo il referendum costituzionale del 4 dicembre, per evitare di dover mettere la faccia su un sicuro fallimento? Queste risposte sarebbero necessarie. Al contrario di quello che avviene per le ispezioni (sulle quali pure ci sarebbero tante domande da fare) non si viola nessun segreto d’ufficio.

LA CONSOB. 
La commissione che vigila sulle società e la Borsa non può chiamarsi fuori dalle responsabilità. Stendiamo un velo pietoso sui derivati Alexandria e Santorini, che cinque anni fa nessuno vide e nessuno bloccò. Anche negli ultimi mesi su Mps sono accadute anomalie che una Vigilanza seria avrebbe potuto e dovuto intercettare. Almeno due delle emissioni obbligazionarie a rischio (“Lower Tier 2”, a scadenza 2020) risultano vendute ai clienti al dettaglio della banca durante la gestione di Giuseppe Vegas. Se questo è vero, perché la Consob non le ha valutate e non le ha bloccate? E se invece non è vero, perché non smentisce e non chiarisce esattamente chi e quando ha autorizzato che cosa?

I VERTICI MPS.
Il “groviglio armonioso”, a Siena, ha radici antiche. L’inizio della fine, com’è noto, comincia con Giuseppe Mussari, che compra Antonveneta dal Santander per oltre 9 miliardi, la cifra folle che fa esplodere i conti. Questa ormai è storia. La cronaca di questi ultimi mesi presenta zone d’ombra non meno inquietanti. Da settembre, dopo la famigerata “telefonata di licenziamento” di Padoan, ai vertici Mps siede Marco Morelli, già dirigente della banca ai tempi di Mussari. Insieme a Jp Morgan e Mediobanca (finora curiosamente rimasta “al riparo” da critiche) è proprio Morelli a farsi garante della cosiddetta operazione “di mercato”, cioe del reperimento dei 5 miliardi di capitali privati. Ed è proprio Morelli a ventilare fino all’ultimo la possibilità che grandi fondi esteri intervengano nella ricapitalizzazione, nel ruolo di “anchor investor”, convincendo il Tesoro a rinviare fino all’ultimo un intervento pubblico su Mps che si poteva e si doveva fare almeno sei mesi fa.

Dunque: quando e con chi ha parlato Morelli, tra i rappresentanti del fondo sovrano del Qatar? Quali sono stati i suoi interlocutori nel fondo gestito da George Soros? E quali offerte concrete aveva in mano, quando il 7 dicembre il cda della banca ha chiesto alla Bce una proroga al 20 gennaio 2017, per il closing dell’operazione? È il minimo che si possa chiedere a un manager che ha un compenso fisso di 1,4 milioni, superiore a quello del suo pari grado di Bnp Paribas. Per gestire la peggiore delle grandi banche europee, guadagna più di quello che guida la migliore. Come direbbero un Longanesi o un Flaiano: ah, les italiens…

Le banche “al nord” sempre così gentili con la ‘ndrangheta

mafia-tangenti-pizzo-corbis-672x351L’ho ripetuto spesso, soprattutto in questi ultimi anni, in ogni occasione pubblica in cui mi sia capitato di parlare e ascoltare di ‘ndrangheta al nord: un giorno, finite le banalizzazioni che vanno per la maggiore in questo periodo, credo che andremo a prendere a calci nel culo qualche direttore di filiale di banca che mentre chiede al normale cittadino diciotto firme per il rilascio di un bancomat con moltissima leggerezza presta soldi (senza o con pochissime garanzie) ad imprese più che sospette. Siamo zeppi di aziende edili che risultano senza mezzi, oppure cooperative che non risultano avere dipendenti e che ottengono comunque lauti fidi e mutui.

Intanto registriamo a Mantova l’ennesimo caso:

Un cantiere iniziato e sospeso con il 30% dei lavori realizzati. Una società, quella che ha iniziato i lavori, che è fallita, indebitata per oltre 30 milioni di euro, nonostante il tentativo di evitare il concordato fallimentare attraverso la ristrutturazione del debito. Una banca, Mps, che ha erogato più di 27 milioni a questa società che, a sua volta, ne ha spesi 13 e rotti. E altri 13 milioni e 750mila euro che non si sa dove siano finiti. Succede a Mantova. I protagonisti di questa intricata vicenda sono la società Edilizia Forum Mondadori (nulla a che fare con l’omonimo gruppo editoriale, ndr) e il costruttore Antonio Muto, liquidatore della società e già indagato nell’inchiesta “Pesci” della Procura Antimafia di Brescia per la lottizzazione Lagocastello – 200 villette e un albergo in riva al lago e di fronte al castello di San Giorgio, mai realizzate per il divieto di edificabilità imposto dal Consiglio di Stato -, inchiesta che vede coinvolto anche il sindaco di Mantova, Nicola Sodano, indagato per corruzione e peculato. E, coprotagonista della vicenda, anche una delle più grandi banche italiane, il Monte dei Paschi di Siena.

L’articolo è qui.

(PS Siamo in dirittura d’arrivo del nostro crowdfunding per il mio prossimo spettacolo e libro. Se volete darci una mano potete farlo qui. E passatene parola. Se potete e se volete. Grazie.)