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Papa Francesco chiede accoglienza per i migranti, ma nessuno lo ascolta

No, stando zitti non cambia nulla e nemmeno fingendo di essersene dimenticati. Così quei cigliai di migranti accampati a Tripoli, in Libia, davanti alla sede dell’Unhcr sono ancora lì. L’unica differenza è il freddo che comincia a mordere e la pioggia che richiede dei teli di fortuna per trovare un riparo tra il marciapiede e la strada, usando le pareti di alcune abitazioni che fiancheggiano la strada come unico muro di stanze che non esistono. Gli appelli si sprecano, un appello del resto in questi tempi non si nega mai a nessuno, ma l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati ha dichiarato di avere sospeso la propria attività e il risultato degli ultimi rastrellamenti delle milizie libiche nel Paese ha portato migliaia di persone in mezzo alla strada, letteralmente, non è mica una metafora, in attesa di una soluzione che non arriva.

Uomini, donne e bambini sono senza cibo, senza acqua e senza alcun trattamento medico. Un riparo è un’aspirazione che non osano nemmeno: i ripari da queste parti sono i lager che il governo utilizza per contenere i disperati.
Nei giorni scorsi si sono svolte manifestazioni di solidarietà nel Regno Unito, in Svezia, in Canada, in Italia. Poi ci sono state le parole di Papa durante l’Angelus del 24 ottobre: «Ancora una volta chiedo alla comunità internazionale di mantenere le promesse di cercare soluzioni comuni, concrete e durevoli per la gestione dei flussi migratori in Libia e in tutto il Mediterraneo. E quanto soffrono coloro che sono respinti! Ci sono dei veri lager lì».

Papa Francesco ha evidenziato che «occorre porre fine al ritorno dei migranti in paesi non sicuri e dare priorità al soccorso di vite umane in mare con dispositivi di salvataggio e di sbarco prevedibile, garantire loro condizioni di vita degne, alternative alla detenzione, percorsi regolari di migrazione e accesso alle procedure di asilo». Anche la Cei ha auspicato: «siano posti in atto interventi efficaci, capaci di garantire il rispetto dei diritti umani e la tutela della persona.  Accogliere, proteggere, promuovere e integrare – verbi indicati dal pontefice – restano la bussola da seguire per affrontare la questione migratoria e trovare soluzioni adeguate a un dramma che continua a mietere vittime e infliggere sofferenze». Giorgia Linardi, portavoce di Sea Watch Italia, una delle tanto odiate Ong impegnate nel Mediterraneo in operazioni di salvataggio dice che le parole di Papa Francesco sono un manifesto da sottoscrivere punto per punto: «l’empatia che emerge dalle parole di Papa Francesco – dice Linardi – è proprio quella che da anni manca alla politica nella gestione dei flussi migratori, «se per politica si intende ancora protezione delle persone e non di altri interessi». «Ma c’è molto da fare anche nella sensibilizzazione dell’opinione pubblica – conclude Linardi – che davvero non riesce a comprendere il livello di sofferenza che colpisce queste persone».

Ma i politici cattolici, quelli che sventolano il rosario e che anche questo Natale celebrano la loro fede lanciando la solita guerra in difesa del presepe, quando si parla di Libia, diritti e di immigrazione riescono addirittura a farsi scivolare addosso del Santo Padre come se fossero frasi lette di sfuggita su Facebook. Del resto l’Italia con la Libia c’entra eccome: «L’Italia – scrive Annalisa Camilli in un lungo articolo per Internazionale – ha attive in Libia quattro missioni militari: la missione bilaterale di supporto alla Libia, il supporto alla guardia costiera libica, Unsmil (la missione dell’Onu in Libia) ed Eubam (la missione dell’Unione europea per il controllo delle frontiere). Inoltre è presente nel Mediterraneo centrale con le operazioni marittime Mare sicuro della marina militare, con la missione europea Eunavfor Med Irini e con la missione Nato Seaguardian. Dal 2017 Roma ha speso in Libia un totale di 784,3 milioni di euro, di cui 213,9 in missioni militari. Nel complesso i fondi sono aumentati di anno in anno con il doppio obiettivo di fermare l’arrivo di migranti e di accrescere l’influenza italiana nell’ex colonia nel caos dal 2011, dopo la caduta dell’ex dittatore Muammar Gheddafi. Per l’addestramento e il sostegno alla guardia costiera libica lo stanziamento di fondi è passato dai 3,6 milioni di euro nel 2017 ai dieci milioni previsti nel 2020».

Due giorni fa l’Unhcr ha esortato il governo della Libia a rispondere alla situazione disperata di richiedenti asilo e rifugiati con modalità che siano rispettose della dignità e dei diritti umani. Le irruzioni e gli arresti arbitrari compiuti recentemente dalle autorità libiche in aree popolate per lo più da rifugiati e richiedenti asilo hanno provocato numerose morti e portato migliaia di persone in detenzione, molti hanno perso la casa o sono ora ridotti in povertà.
«Dall’inizio delle irruzioni e degli arresti condotti dalle autorità libiche a ottobre per motivi di sicurezza, abbiamo assistito a un drastico deteriorarsi della situazione di richiedenti asilo e rifugiati vulnerabili a Tripoli», ha dichiarato Vincent Cochetel, Inviato Speciale dell’Unhcr per il Mediterraneo occidentale e centrale. «È necessario che le autorità libiche predispongano un piano efficace che ne rispetti i diritti e individui soluzioni durature». Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite a Tripoli sarebbero almeno 3.000 le persone all’addiaccio. Molte hanno subito gli effetti degli attacchi, tra cui la demolizione delle case, e sono fuggite dalla detenzione in condizioni terribili. Altre si sono riunite nella speranza di essere evacuate.

«In seguito alle cosiddette operazioni di sicurezza, essendo rimaste senza casa e avendo perduto tutti i propri effetti personali, molte persone ora dormono al freddo in condizioni di totale insicurezza. È una situazione assolutamente inaccettabile», ha affermato Cochetel. UNHCR e i partner hanno dovuto sospendere le attività presso il Centro CDC per motivi di sicurezza ma continuano a essere impegnati in un dialogo attivo coi rappresentanti dei manifestanti fuori dalla struttura per spiegare loro che il Centro può offrire solo assistenza limitata, tra cui aiuti in denaro e cibo.
Insieme ad altre agenzie delle Nazioni Unite, l’Unhcr si dichiara pronta a sostenere un piano d’azione urgente che possa alleviare le terribili sofferenze patite dai richiedenti asilo e rifugiati in Libia. L’Unhcr continua ad appellarsi alle autorità affinché rispettino la dignità e i diritti umani di richiedenti asilo e rifugiati, mettano fine agli arresti arbitrari e rilascino le persone trattenute in detenzione.

Per strada, sotto i teli cerati da cantiere e riparati con oggetti di fortuna, le persone provano a resistere come si può resistere senza nemmeno sapere cosa permettersi di sperare. Alcuni uomini sono feriti: dei migliaia fuggiti da Gharyan qualche centinaio è riuscito ad arrivare a Tripoli attraversando i boschi e le montagne. Hanno addosso i segni delle milizie, raccontano di molti morti. Nelle scorse ore si è diffusa la voce della scomparsa di Saddam al Saket, un giornalista libico che documentava la situazione.

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Fininvest finanziò Cosa Nostra, ma sui giornali non lo ha scritto praticamente nessuno

Forse, mi son detto, è il religioso rispetto del silenzio elettorale prima delle amministrative che ha reso certa stampa così sbadata da non accorgersi della sentenza della Corte di Cassazione secondo cui non è un reato scrivere che la società Fininvest di Silvio Berlusconi ha finanziato Cosa Nostra ed è stata in rapporti con la mafia.

Anche perché è durato ben sette anni il processo contro il magistrato Luca Tescaroli e il giornalista Ferruccio Pinotti per il loro libro “Colletti sporchi” in cui avevano “evocato il coinvolgimento di Fininvest nel riciclaggio di denaro di provenienza mafiosa”.

E forse sarebbe una notizia da dare quella che per l’ennesima volta viene certificata da un tribunale, ovvero la vicinanza tra Silvio Berlusconi e la mafia: quello stesso Berlusconi che qualcuno prova addirittura a spingere verso il Quirinale e che, non solo a destra, si ha molta fretta di riabilitare per poter quanto prima creare un grande centro, come melassa che torni ai fasti del “dentro tutti” per spartirsi il potere.

Un Paese che rimuove con tanta facilità che appartenenti a Cosa Nostra ricevessero da Berlusconi attraverso il gruppo Fininvest 200 milioni di lire al mese a titolo di contributo e che Riina nel 1991 disse di avere Berlusconi e Dell’Utri “nelle mani” è un Paese che difficilmente potrà risultare credibile nelle sue alchimie politiche e anti-mafiose.

C’è stato negli anni un lento processo di normalizzazione delle colpe di Berlusconi, utilissimo al centrodestra per ripulirsi senza pulirsi e al centrosinistra per evitare di fare i conti con la storia. È una pacificazione collusa, immorale e vergognosa: lo dice anche questa ennesima sentenza.
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Nessuno osi criticare la statua della spigolatrice di Sapri

La vicenda ormai circola da qualche ora ed è arrivata più o meno all’orecchio di tutti: succede che nelle scorse ore cominciano a circolare le foto dell’inaugurazione di una scultura dedicata alla spigolatrice di Sapri, protagonista di una celebre poesia di Luigi Mercantini (e c’è da scommetterci che non l’avrà letta quasi nessuno). Per farla breve e semplice: per rappresentare una contadina dell’800 l’artista (e il comune che è il committente) hanno pensato bene di puntare sui glutei in bella vista sotto una gonna aderentissima (non propriamente l’abbigliamento da lavoro dell’epoca) e la foto delle figure istituzionali (tutti maschi, ovviamente) belli dritti e duri davanti alla statua ha fatto il resto.

Sulla sessualizzazione del corpo delle donne si discute da tempo, si registrano in continuazione casi nel campo della pubblicità e perfino in certo giornalismo. Qualcuno ha provato a fare notare che quella statua conciata così fosse piuttosto inadeguata, goffa e purtroppo in linea con una rappresentazione della donna sempre appiattita sulle sue rotondità perdendo di vista il senso patriottico che stava alla base di quella poesia che si vorrebbe rievocare. Basterebbe dire che stiamo parlando del celebre verso “eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti” che dovrebbe riecheggiare in un culo al vento con ammiccamento incorporato. Non è difficile percepire un certo stridore, no.

La dinamiche che si sviluppano ogni volta che qualcuno si permette di esprimere dubbi sulla rappresentazione delle donne sono sempre le stesse: i media (e molti loro commentatori) si accendono in modalità “oddio che palle ‘ste femministe” e si fa a gara su chi riesce a banalizzare e ridicolizzare nel modo migliore. Nessuno che prova ad ascoltare le ragioni di chi argomenta, nessuno che affronta il tema vero che non è certo la spigolatrice (tra l’altro personaggio di finzione letteraria) ma che sta nelle donne che non si riescono quasi mai a raccontare senza spogliarle, nessuno che si prende la briga di leggere il discorso più ampio di un Paese che dedica la stragrande maggioranza di statue (e strade) a uomini (vestiti), nessuno che comprende che l’argomento richiede riflessione e studio e molte delle voci che si levano sono di persone che studiano e riflettono da anni. Niente di tutto questo, niente: l’importante è ridurre tutto a un gioco di lamentose donnine che polemizzano su qualsiasi cosa.
Sulla statua della spigolatrice di Sapri ognuno la può pensare come vuole (per carità, prima che qualcuno gridi alla cancel culture) ma sminuire il tema è stupido e meschino.

Anche perché in tutto questo rimbomba la risposta dello scultore Emanuele Stifano che si difende spiegando che l’obiettivo del mettere in evidenza le forme era “rappresentare un ideale di donna, evocarne la fierezza, il risveglio di una coscienza, il tutto in un attimo di grande pathos”. E sul fatto che la fierezza femminile, la coscienza e il pathos si leggano su una gonna incollata al culo si potrebbe aprire davvero una discussione. Oppure si potrebbe discutere del senatore del M5S Castille che se ne esce con un “chi critica la statua non conosce il corpo delle donne meridionali”.

Insomma, la statua sarà anche una questione di poco conto ma come al solito la polvere che si alza intorno lascia sempre gran perplessità.

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Non candidate nessuno, fate prima

Il centrodestra, in vista delle prossime amministrative e regionali, sta faticando ad individuare i propri nomi. Ma una soluzione coraggiosa e definitiva ci sarebbe: lasciar perdere

Sommersi dalle incredibili notizie dell’incredibile governo dei migliori, stiamo lasciando passare sotto traccia la farsa del centrodestra che si avviluppa nelle candidature per le prossime elezioni amministrative e regionali. Un centrodestra che vorrebbe farsi federazione e non riesce nemmeno a decidere un candidato sindaco è la fotografia perfetta del momento storico: tutti insieme appassionatamente per spartirsi i soldi del Pnrr e poi che palle la politica, che palle che gli tocca perfino fare politica.

Si decide di non decidere scivolando su questa idea del “ticket” che è solo l’ennesima trovata pubblicitaria che non significa niente: a Roma c’è il “ticket” Michetti-Matone e sarebbe curioso sapere cosa accadrebbe se uno non fosse d’accordo con l’idea dell’altro. Non succederebbe niente di più del solito odio sotto traccia come accade in questo momento tra Salvini e Meloni che in superficie si trasforma in una vuota e affettata cortesia.

Idea ticket ovviamente anche in Calabria, dove a correre saranno Occhiuto a braccetto con Spirlì. Il presidente della Calabria pro tempore che ha sostituito Jole Santelli in un Paese normale sarebbe dimenticato o usato al massimo per qualche vignetta sui social invece la classe dirigente leghista è talmente infima che si ritrova costretta a riciclarlo. Incredibile.

A Milano si parla di Oscar di Montigny, il genero di Ennio Doris di Banca Mediolanum, che si definisce «esperto di Mega trends e Grandi Scenari, Innovative Marketing, Comunicazione Relazionale e Corporate Education» e che, come ha raccontato in un pezzo gustosissimo Gianni Barbacetto sul Fatto quotidiano scrive cose come «lo spirito, ritornando su se stesso, prende coscienza delle sue operazioni e dei suoi caratteri» oppure dello specchio che «in quanto strumento neutro, oggettivo, privo di giudizio, rimanda sempre l’immagine vera, reale, del soggetto che in esso si specchia». E non vuoi metterci un bel ticket? Pronti: l’ex sindaco Albertini. Giorgia Meloni si lamenta: «Chi lo conosce questo di Montigny?» e chissà chi a Roma conosce Michetti, verrebbe da risponderle.

“I candidati devono essere civici”, ripete Salvini. Del resto i civici, si sa, sono il cerotto perfetto per non dover dimostrare di avere una classe dirigente decente. A Bologna un capolavoro: il “civico” dovrebbe essere Andrea Cangini, che tre anni fa è stato eletto senatore. Un senatore a sua insaputa, evidentemente come va di moda da quelle parti.

Il 9 giugno Matteo Salvini prometteva “in due giorni decideremo tutti i 1.300 nomi dei candidati sindaci”. Oggi è il 18 giugno, fate voi.

In compenso ci sarebbe una soluzione coraggiosa e definitiva: non candidate nessuno. Rimanete lì in disparte, pronti a raccogliere qualsiasi notizia di cronaca nera preferibilmente farcita di stranieri, schierate le truppe a cercare il degrado e per i prossimi cinque anni potete riempire i social dicendo che quelli che governano sono una vergogna. Se qualcuno vi dice qualcosa potete rispondere che siete talmente sovranisti che vi candiderete solo quando non avrete il disturbo di dover governare anche gli elettori degli altri.

Buon venerdì.

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Dal bacio di Biancaneve a «è una vergogna signora mia…»

Era inevitabile ed è accaduto: a furia di moltiplicare iperboli per leccare anche l’ultimo clic indignato sul fondo della scatola perfino Enrico Mentana decide di dire la sua sulla “cancel culture” con due righe veloci, di passaggio, sui social paragonandola niente popò di meno che ai roghi dei libri del nazismo, con annessa foto di in bianco e nero di un rogo dell’epoca perché si sa, l’immagine aumenta a dismisura la potenza algoritmi del post.

Una polemica partita da un giornalino di San Francisco

La settimana delle “irreali realtà su cui pugnacemente dibattere” questa settimana in Italia parte dal bacio di Biancaneve cavalcato (in questo caso sì, con violenza amorale) da certa destra spasmodicamente in cerca di distrazioni e si conclude con gli editoriali intrisi di «è una vergogna, signora mia» di qualche bolso commentatore pagato per rimpiangere sempre il tempo passato. Fa niente che non ci sia mai stata nessuna polemica su quel bacio più o meno consenziente al di là di una riga di un paio di giornaliste su un quotidiano locale di San Francisco: certa intellighenzia Italiana si spreme da giorni sull’opinione di un articolo di un giornalino oltreoceano convinta di avere diagnosticato il male del secolo, con la stesa goffa sproporzione che ci sarebbe se domani un leader di partito dedicasse una conferenza stampa all’opinione di un avventore del vostro bar sotto casa. Un ballo intorno alle ceneri del senso di realtà per cui si son agghindati tutti a festa, soddisfatti di fare la morale a presunti moralisti di una morale distillata dall’eco dopata di una notizia locale.

Se la battaglia “progressista” si ispira a Trump

Chissà se i democraticissimi e presunti progressisti che si sono autoconvocati al fronte di questa battaglia sono consapevoli di avere come angelo ispiratore l’odiatissimo Donald Trump, il migliore in tempi recenti a utilizzare la strategia retorica del politicamente corretto per spostare il baricentro del dibattito dai problemi reali (disuguaglianze, diritti, povertà, discriminazioni) a un presunto problema utilissimo per polarizzare e distrarre. Nel 2015 Donald Trump, intervistato dalla giornalista di Fox Megyn Kelly su suoi insulti misogini via Twitter («You’ve called women you don’t like fat pigs, dogs, slobs and disgusting animals…») rispose secco: «I think the big problem this country has is being politically correct». Che un’arma di distrazione di massa venisse poi adottata dalle destre in Europa era facilmente immaginabile ma che si attaccassero a ruota anche disattenti commentatori e intellettuali (?) convinti di purificare il mondo era un malaugurio che nessuno avrebbe potuto prevedere. Così la convergenza di interessi diversi ha imbastito un fantasma che oggi dobbiamo sorbirci e forse vale la pena darsi la briga di provarne a smontarne pezzo per pezzo.

La banalizzazione delle lotte altrui è un modo per disinnescarle

C’è la politica, abbiamo detto, che utilizza la cancel culture per accusare gli avversari politici di essere ipocriti moralisti concentrati su inutili priorità: se io riesco a intossicare la richiesta di diritti di alcune minoranze con la loro presunta e feroce volontà di instaurare una presunta egemonia culturale posso facilmente trasformare gli afflitti in persecutori, la loro legittima difesa in un tentativo di sopraffazione e mettere sullo stesso piano il fastidio per un messaggio pubblicitario razzista con le pallottole che ammazzano i neri. La banalizzazione e la derisione delle lotte altrui è tutt’oggi il modo migliore per disinnescarle e il bacio di Biancaneve diventa la roncola con cui minimizzare le (giuste) lotte del femminismo come i cioccolatini sono stati utili per irridere i neri che si sono permessi di “esagerare” con il razzismo. Il politicamente corretto è l’arma con cui la destra (segnatevelo, perché sono le destre della Storia e del mondo) irride la rivendicazione di diritti.

Correttori del politicamente corretto a caccia di clic

Poi c’è una certa fetta di artisti e di intellettuali, quelli che hanno sguazzato per una vita nella confortevole bolla dei salottini frequentati solo dai loro “pari”, abituati a un applauso di fondo permanente e a confrontarsi con l’approvazione dei propri simili: hanno lavorato per anni a proiettare un’immagine di se stessi confezionata in atmosfera modificata e ora si ritrovano in un tempo che consente a chiunque di criticarli, confutarli e esprimere la propria disapprovazione. Questi trovano terribilmente volgare dover avere a che fare con il dissenso e rimpiangono i bei tempi andati, quando il loro editore o il loro direttore di rete erano gli unici a cui dover rendere conto. Benvenuti in questo tempo, lorsignori. Poi ci sono i giornalisti, quelli che passano tutto il giorno a leggere certi giornali americani traducendoli male con Google e il cui mestiere è riprendere qualche articolo di spalla per rivenderlo come il nuovo ultimo scandalo planetario: i politicamente correttori del politicamente corretto è un filone che garantisce interazioni e clic come tutti gli argomenti che scatenano tifo e ogni presunta polemica locale diventa una pepita per la pubblicità quotidiana. A questo aggiungeteci che c’è anche la possibilità di dare fiato a qualche trombone in naftalina e capirete che l’occasione è ghiottissima. Infine ci sono gli stolti fieri, quelli che da anni rivendicano il diritto di essere cretini e temono un mondo in cui scrivere una sciocchezza venga additato come sciocchezza. Questi sono banalissimi e sono sempre esistiti: poveri di argomenti e di pensiero utilizzano la provocazione come unico sistema per farsi notare e come bussola vanno semplicemente “contro”. Chiamano la stupidità “libertà” e pretendono addirittura di essere alfieri di un pensiero nuovo. Invece è così banale il disturbatore seriale. Tanti piccoli opportunismi che hanno trovato nobiltà nel finto dibattito della finta cancel culture.

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La sinistra si scalda per i processi a Salvini e ignora i migranti: 500 morti in 4 mesi (+200%)

Il Mediterraneo continua ad essere un cimitero liquido e il campo di battaglia di emergenze che spuntano solo quando tornano comode alla sfida politica. L’ipocrisia dei partiti sta tutta in quei numeri che diventano roncole quando servono per attaccare l’avversario e poi scompaiono se richiedono senso di responsabilità. Fra qualche mese, sicuro, comincerà di nuovo la fanfara degli sbarchi incontrollati come accade ciclicamente tutte le estati (con il miglioramento delle condizioni atmosferiche e quest’anno anche con l’allentamento del virus) e intanto sembra impossibile riuscire a costruire una chiave di lettura collettiva su cui dibattere e da cui partire per proporre soluzioni.

Però nel Mediterraneo un’emergenza c’è già, innegabile, e sta tutta nello spaventoso numero di morti in questi primi mesi dell’anno: mentre nel 2020 furono 150 le vittime accertate nel Mediterraneo quest’anno ne contiamo già 500, con un aumento quasi del 200%. A lanciare l’allarme è stata Carlotta Sami, portavoce dell’Unhcr, che ha partecipato al briefing con la stampa del Palais des Nations di Ginevra dal porto di Trapani in Sicilia, dove circa 450 persone stavano sbarcando in seguito al salvataggio da parte della nave della ONG Sea Watch: «Dalle prime ore di sabato 1 maggio – ha spiegato Sami – sono sbarcate in Italia circa 1.500 persone soccorse dalla Guardia Costiera italiana e dalla Guardia di Finanza o da Ong internazionali nel Mediterraneo centrale. La maggior parte delle persone arrivate è partita dalla Libia a bordo di imbarcazioni fragili e non sicure e ha lanciato ripetute richieste di soccorso».

Sami ha anche tracciato un primo quadro degli sbarchi nel 2021: «Mentre gli arrivi totali in Europa sono in calo dal 2015, – ha spiegato Sami – gli ultimi sbarchi portano il numero di arrivi via mare in Italia nel 2021 a oltre 10.400, un aumento di oltre il 170 per cento rispetto allo stesso periodo del 2020. Ma siamo anche profondamente preoccupati per il bilancio delle vittime: finora nel 2021 almeno 500 persone hanno perso la vita cercando di compiere la pericolosa traversata in mare lungo la rotta del Mediterraneo centrale, rispetto alle 150 dello stesso periodo del 2020, un aumento di oltre il 200 per cento. Questa tragica perdita di vite umane sottolinea ancora una volta la necessità di ristabilire un sistema di operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale coordinato dagli Stati».

L’agenzia Onu «sta lavorando con i suoi partner e con il governo italiano nei porti di sbarco per aiutare ad identificare le vulnerabilità tra coloro che sono arrivati e per sostenere il sistema di accoglienza dei richiedenti asilo» ma Sami sottolinea come continuino a mancare «percorsi legali come i corridoi umanitari, le evacuazioni, il reinsediamento e il ricongiungimento familiare devono essere ampliati» mentre «per le persone che non hanno bisogno di protezione internazionale, devono essere trovate soluzioni nel rispetto della loro dignità e dei diritti umani». L’incidente più grave finora è quello del 22 aprile, quando un naufragio ha causato la morte di 130 persone sollevando i prevedibili lamenti che ogni volta vengono spolverati per l’occasione. Solo una questione di qualche ora, come sempre, poi niente. La zona continua a essere completamente delegata alla cosiddetta Guardia costiera libica: «Nell’ultimo naufragio si parla di almeno 50 morti, noi abbiamo la certezza solo di 11 persone.  Quello che sappiamo è che erano in zona una nave mercantile e un’altra barca e che non sono intervenute, nonostante sia stato lanciato l’sos. E questo è molto grave: se c’è un natante in distress si deve intervenire, perché l’imbarcazione può affondare in qualsiasi momento. Ma ormai questa sembra essere una prassi consolidata: nessuno interviene in attesa che arrivi la Guardia costiera libica e riporti le persone indietro. Questo ci preoccupa molto», ha spiegato Carlotta Sami.

Secondo le stime dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) siamo al 60% di persone che tentano la traversata in mare e che vengono sistematicamente riportate indietro: «Almeno una su due è matematicamente riportata in Libia – spiega Flavio Di Giacomo, portavoce Oim, a Redattore Sociale -. Dopo l’ultimo naufragio abbiamo lanciato un appello all’Ue perché si rafforzi il sistema di pattugliamento in mare e si evitino altre tragedie, ma è caduto nel vuoto. C’è un silenzio politico assordante su questo tema. Si parla solo genericamente di un aumento degli arrivi: ma attenzione a evitare narrazioni propagandistiche perché nonostante la crescita i numeri restano bassi. Non esiste un’emergenza in termini numerici ma solo un’emergenza umanitaria, di morti e dispersi in mare».

Sempre a proposito di proporzioni poi ci sarebbe da capire perché le eventuali (gravi) responsabilità penali di Salvini quando fu ministro e lasciò alla deriva le navi delle Ong debbano infiammare più di questo spaventoso numero di morti che sembra non avere responsabili. Forse anche il centrosinistra, se vuole davvero occuparsi di diritti umani e non solo di dialettica politica, dovrebbe avere il coraggio di ripartire da qui.

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Il sottosegretario dei migliori

Fanpage in una sua inchiesta che (c’è da scommetterci) difficilmente passerà nei telegiornali nazionali racconta la transizione politica dell’attuale sottosegretario all’Economia Claudio Durigon, uno dei fedelissimi di Salvini (e infatti per niente amato dalla Lega vecchia maniera). Ve lo ricordate Matteo Salvini quando tutto fiero presentava i suoi uomini nel governo Draghi? «Questo è il governo dei migliori?» gli chiese una giornalista e lui rispose «certo questi sono gli uomini migliori della Lega».

Bene, eccolo il migliore: come racconta benissimo Fanpage, Durigon è uno che avrebbe gonfiato i dati degli iscritti del sindacato Ugl di cui era dirigente, riuscendo a dichiarare 1 milione e 900mila iscritti mentre erano (forse) 70mila. Sapete che significa? Che stiamo continuando a parlare di una rappresentatività dopata che non esiste nella realtà (questo anche a proposito del nostro Buongiorno di ieri sulla sparizione del salario minimo dal Pnrr, su cui torneremo). Durigon da sindacalista ha avuto piena gestione sulla cassa da cui potrebbero essere passati i movimenti che la Lega non era libera di fare per quella storia dei suoi 49 milioni di euro. Durigon ha fatto prostituire un sindacato (pompato) alla Lega per ottenere qualche candidatura. Poi ci sono le amicizie che sfiorano certa criminalità organizzata nel Lazio (ma i lettori più attenti lo sapevano da tempo che certi clan hanno fatto campagna elettorale nel Lazio per Lega e Fratelli d’Italia) e infine c’è quella registrazione vergognosa in cui Durigon tutto sornione confida di non avere nessuna preoccupazione sulle indagini sui soldi della Lega perché il generale della Guardia di Finanza che se ne occupa è un uomo che hanno “nominato” loro: «Quello che fa le indagini sulla Lega lo abbiamo messo noi»

Tutto grave, tutto gravissimo. Tra l’altro fa estremamente schifo anche questo atteggiamento di politici con il pelo sullo stomaco che ancora si atteggiano come i peggiori politici socialisti, i peggiori unti democristiani che sventolavano il potere come se fosse un mantello, per piacere e per piacersi. Fa schifo questa esibizione dello scambio di favori. Fa schifo tutto.

Fa schifo anche Salvini che ieri alla Camera ha risposto ai rappresentanti del M5s che sottolineavano l’inopportunità di un tizio del genere come sottosegretario mettendosi a parlare di Grillo. Il solito gioco da cretini di buttare la palla in tribuna. Il solito Salvini. Se posso permettermi è parecchio spiacevole anche il composto silenzio del Pd che vorrebbe rivendere il poco coraggio come diplomazia. Siamo alle solite.

C’è però anche un altro punto sostanziale: della vicinanza tra Durigon e uomini della criminalità organizzata durante la sua campagna elettorale ne avevano scritto un mese fa Giovanni Tizian e Nello Trocchia su Domani, degli intrecci mafiosi su Latina ne scrivono da anni dei bravi giornalisti chiamati con superficialità “locali” e che invece trattano temi di importanza nazionale. Sembra che non se ne sia mai accorto nessuno e questo la dice lunga sulla percezione che in questo Paese si continua ad avere della criminalità organizzata. Anche questo fa piuttosto schifo.

Buon venerdì.

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Strage in mare: 130 naufragi in difficoltà da giorni, ma con le Ong lontane gli Stati hanno fatto finta di niente…

Il fatto è che ormai questi morti non pesano più, sono battute, qualche centinaio di battute che finiscono sulle pagine dei giornali, quando va bene in una notizia che è poco di più una semplice “breve”, oppure farciscono un lancio di agenzia. Perfino quelli che (giustamente) ogni giorno provano a sottolineare i quintali di carne morta per Covid non riescono ad avere la stessa attenzione per i morti nel Canale di Sicilia. Lì abbiamo deciso che “devono” morire, che “possono” morire, come se davvero nel 2021 potesse esistere una parte di mondo che preveda ineluttabile l’annegamento, va così, ci si dà di gomito, ci si intristisce di quel lutto passeggero che si dedica alle notizie di cronaca nera e quelli non esistono più, non erano nemmeno vivi prima di essere morti, quelli che attraversano il Mediterraneo esistono perfino di più quando sono cadaveri che galleggiano nel mare.

130 migranti morti, 3 barconi messi in mare dai trafficanti libici e tre navi commerciali (lì dove ci dovrebbero essere le autorità coordinate dall’Europa) a deviare dalle loro rotte per provare ad evitare il disastro che non è stato evitabile. “Gli Stati si sono opposti e si sono rifiutati di agire per salvare la vita di oltre 100 persone. Hanno supplicato e inviato richieste di soccorso per due giorni prima di annegare nel cimitero del Mediterraneo. È questa l’eredità dell’Europa?”, dice la portavoce dell’iim, l’organizzazione dell’Onu per i migranti, Safa Mshli ma anche le parole dell’Onu ormai pesano niente, sono una litania che si ripete regolarmente e che non scalfisce quest’Europa che riesce a passarla sempre liscia. Anche dal punto di vista giudiziario sorge qualche dubbio, pensateci bene: le Procure che rinviano a giudizio Salvini non si accorgono (o non si vogliono accorgere?) Delle responsabilità dell’Europa?

Perché questi non rimangono nemmeno sequestrati, questi muoiono, annegano, galleggiano sul mare e vengono recuperati senza nemmeno uno straccio di qualche fotografia di cronaca. Sopra a quei tre gommoni di gente viva che poi è morta sono perfino transitati perfino velivoli di Frontex eppure non è scappato nemmeno un messaggio di allerta alla cosiddetta Guardia costiera libica che ha pensato bene di non inviare nemmeno una delle motovedette (che le abbiamo regalato noi). Troppa fatica. Quando i morti cominciano a non valere più niente allora ci si può permettere di lasciare morire e forse un giorno ci interrogheremo sulla differenza tra lasciare morire e uccidere, forse un giorno decideremo, avremo il coraggio di riconoscere, che questa strage ha dei precisi mandanti e dei precisi esecutori.

“Quando sarà abbastanza? Povere persone. Quante speranze, quante paure. Destinate a schiantarsi contro tanta indifferenza”, dice Carlotta Sami, portavoce dell’alto commissariato per i rifugiati e il dubbio è che ormai non sarà più abbastanza perché quando si diventa impermeabili ai morti allora quelli aumenteranno, continueranno a morire ancora di più, continueranno a cadere e intorno non se ne accorgerà nessuno. Centotrenta persone annegate. Le autorità dell’Ue e Frontex sapevano della situazione di emergenza, ma hanno negato il soccorso. La Ocean Viking è arrivata sul posto solo per trovare dieci cadaveri: è un’epigrafe che fa spavento ma che non smuove niente.

Sono passate due settimane da quando il presidente del Consiglio Mario Draghi ha ringraziato la guardia costiera per i “salvataggi” e quando qualcuno si è permesso di ricordare che in Libia e in quel tratto di mare mancano completamente tutti i diritti fondamentali i sostenitori del governo si sono perfino risentiti. E la storia di questo annegamento, badate bene, non è nemmeno un incidente: comincia mercoledì alle ore 14.11 con il primo allarme e si è conclusa il giorno successivo alle 17.08 con una mail di Ocean Viking che comunicava di avere trovato “i resti di un naufragio e diversi corsi, senza alcun segno di sopravvissuti”. Nessuna motovedetta libica all’orizzonte. Lì sono annegati loro ma in fondo continuiamo ad annegare anche noi e la cosa mostruosa è che ci siamo abituati.

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Papeete 2 la vendetta: Salvini contro il suo stesso Governo. Ma ormai nella Lega nessuno lo capisce più

È il solito Salvini, solo che non funziona più. L’uomo che fingeva contemporaneamente di essere di lotta e di governo, quello che già nel primo governo Conte faceva il ministro agli Interni e intanto picconava l’esecutivo di cui faceva parte ora riprende la stessa solfa con Mario Draghi prendendosi già una mezza porta in faccia e innervosendo non poco i suoi ministri.

Cerca di tenere in bilico le sue troppe facce, telefona a Draghi per ribadirgli fiducia ma poi ordina ai suoi ministri (piuttosto stanchi di stare al guinzaglio, come dicono anche le voci dentro al partito) di non votare le stesse decisioni che erano state prese in cabina di regia.

Solo che Draghi non casca nel trabocchetto e anzi bacchetta il leader della Lega. “Gli accordi si rispettano”, ha detto il Presidente del Consiglio, come se non fosse chiaro proprio dalla biografia di Salvini che la sua carriera politica sia tutta incentrata proprio sulle giravolte. 

Lui continua con la sua solita cantilena riscaldata, parla di “buonsenso” e finge di occuparsi davvero dei temi quando è solo piegato sulla sua visibilità e sul suo bacino di voti.

Ma intanto crolla.

Crolla nei sondaggi: l’ultimo rilevamento segna la perdita di quasi un punto percentuale (0,8% solo nell’ultima settimana) mentre Giorgia Meloni ha gioco facile nell’accogliere in Fratelli d’Italia la fetta di voti di quell’ala “dura” contraria alla strategia della precauzione e delle chiusure.

Salvini crolla nella credibilità all’interno del suo stesso partito: ieri i ministri Giorgetti e Garavaglia non hanno proferito parola durante il Consiglio dei ministri, niente di più del mettere a verbale la propria astensione con molto imbarazzo. I presidenti di regione leghisti faticano a contenere il malcontento e non si sentono appoggiati dal loro segretario. Nella Lega, Salvini non piace all’ala governativa (che lo accusa di scorrettezza istituzionale) e nemmeno all’ala più estrema che lo accusa di non avere il coraggio di uscire dal governo.

Salvini crolla con i suoi elettori che ormai lo accusano apertamente di un doppio gioco che è sotto gli occhi di tutti: l’hanno mollato prima i ristoratori e poi le altre categorie in difficoltà.

Salvini crolla nel centrodestra con Giorgia Meloni in forte ascesa e Forza Italia che non ne sopporta più le bizze.

E se ci pensate bene riesce ancora una volta a inquinare un dibattito (come quello sull’orario di coprifuoco) che meriterebbe invece di essere affrontato con serietà.

È il confusionario Salvini del Papeete, anche se le spiagge sono ancora chiuse.

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