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NOMI

A proposito di priorità

Ogni tanto converrebbe prendersi la briga di leggere gli atti parlamentari perché in fondo è proprio il Parlamento che dovrebbe essere la sede per l’azione politica più importante, quella più sostanziosa e evidente.

Le parole, si sa, sono importanti e in politica le parole disegnano l’azione che si ha in mente per il futuro. Ogni tanto si crede che i leader politici esagerino durante le loro comparsate televisive per semplificare il loro messaggio e per fomentare un po’ la propaganda.

Ecco, proviamo a metterci le mani, tanto per capire di cosa stiamo parlando. Per Fratelli d’Italia il deputato De Toma è intervenuto alla Camera per presentare una mozione (la 1/00469) di cui è primo firmatario il suo compagno di partito Lollobrigida, dal titolo impegnativo: Mozione concernente iniziative per il rilancio produttivo e economico della nazione. Uno si immagina finalmente di vedere una proposta di soluzione da parte dell’unico partito di opposizione, sono quelli che dicono che i diritti non siano una priorità e che bisogna occuparsi del bene del Paese, non perdersi in chiacchiere. Benissimo. Nel suo discorso alla Camera ha usato parole altissime: «Più volte è stato annunciato l’avvento di tempi nuovi. Oggi ci staremmo preparando ad affrontare un’altra svolta, con il Governo dei migliori alla guida del Paese, eppure è evidente a tutti che così non è. L’Italia ha bisogno di gente che sappia fare le cose e che abbia il contatto con la vita reale».

E uno pensa: oh, finalmente si esce dalle barriere ideologiche e si lavora per il bene del Paese. Perfetto, cosa si dice nella mozione? Ecco qui uno stralcio, del “visto che”:

si assiste alla perdurante furia «gender» portata avanti dalla sinistra, a cominciare dalla sostituzione della mamma e del papà con la triste dizione «genitore uno» e «genitore due», mentre per alcune forze di Governo tematiche quali lo «ius soli» sembrano avere maggiore importanza della ripresa economica, che è la vera sfida di oggi, con la crisi che morde milioni di famiglie e di imprese italiane;

la cosiddetta «cancel culture» e l’iconoclastia, cioè la vandalizzazione o addirittura l’abbattimento di parte del patrimonio culturale considerato «politicamente scorretto», è un fenomeno che dagli Usa e da alcune nazioni europee sta arrivando, grazie ad alcuni presunti intellettuali, in Italia; il dibattito sul passato, totalmente decontestualizzato, rischia d’inasprire il confronto e di cancellare, dai libri e dal nostro patrimonio, la nostra cultura;

è insensato pensare di invertire il trend della caduta della curva demografica e della natalità zero nel nostro Paese, attraverso l’agevolazione di un ingresso incontrastato di immigrati e clandestini, anche attraverso la semplificazione contenuta nell’ultimo «decreto sicurezza» delle pratiche necessarie per ottenere accoglienza e residenza, non solo per chi provenga da zone teatro di guerra ma anche per motivi di lavoro, ove ne ricorrano i requisiti;

sul fronte della sicurezza e della lotta all’immigrazione clandestina Fratelli d’Italia ha proposto fin da subito la soluzione del blocco navale: per evitare che il Mediterraneo continui ad essere un mare di morte, regno degli scafisti e delle organizzazioni non governative che, dietro presunte operazioni umanitarie, sono state spesso complici anche involontarie ma non per questo meno colpevoli del traffico di esseri umani.

Fa bene leggere gli atti parlamentari. Perché di questo stiamo parlando: della propaganda che addirittura non viene più usata per rendere vendibili i contenuti ma che diventa essa stessa contenuto. Il rilancio del Paese, per Giorgia Meloni, è anche questa cosa qui. Segnatevelo.

Buon martedì.

(nella foto Francesco Lollobrigida e Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia)

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Il sottosegretario dei migliori

Fanpage in una sua inchiesta che (c’è da scommetterci) difficilmente passerà nei telegiornali nazionali racconta la transizione politica dell’attuale sottosegretario all’Economia Claudio Durigon, uno dei fedelissimi di Salvini (e infatti per niente amato dalla Lega vecchia maniera). Ve lo ricordate Matteo Salvini quando tutto fiero presentava i suoi uomini nel governo Draghi? «Questo è il governo dei migliori?» gli chiese una giornalista e lui rispose «certo questi sono gli uomini migliori della Lega».

Bene, eccolo il migliore: come racconta benissimo Fanpage, Durigon è uno che avrebbe gonfiato i dati degli iscritti del sindacato Ugl di cui era dirigente, riuscendo a dichiarare 1 milione e 900mila iscritti mentre erano (forse) 70mila. Sapete che significa? Che stiamo continuando a parlare di una rappresentatività dopata che non esiste nella realtà (questo anche a proposito del nostro Buongiorno di ieri sulla sparizione del salario minimo dal Pnrr, su cui torneremo). Durigon da sindacalista ha avuto piena gestione sulla cassa da cui potrebbero essere passati i movimenti che la Lega non era libera di fare per quella storia dei suoi 49 milioni di euro. Durigon ha fatto prostituire un sindacato (pompato) alla Lega per ottenere qualche candidatura. Poi ci sono le amicizie che sfiorano certa criminalità organizzata nel Lazio (ma i lettori più attenti lo sapevano da tempo che certi clan hanno fatto campagna elettorale nel Lazio per Lega e Fratelli d’Italia) e infine c’è quella registrazione vergognosa in cui Durigon tutto sornione confida di non avere nessuna preoccupazione sulle indagini sui soldi della Lega perché il generale della Guardia di Finanza che se ne occupa è un uomo che hanno “nominato” loro: «Quello che fa le indagini sulla Lega lo abbiamo messo noi»

Tutto grave, tutto gravissimo. Tra l’altro fa estremamente schifo anche questo atteggiamento di politici con il pelo sullo stomaco che ancora si atteggiano come i peggiori politici socialisti, i peggiori unti democristiani che sventolavano il potere come se fosse un mantello, per piacere e per piacersi. Fa schifo questa esibizione dello scambio di favori. Fa schifo tutto.

Fa schifo anche Salvini che ieri alla Camera ha risposto ai rappresentanti del M5s che sottolineavano l’inopportunità di un tizio del genere come sottosegretario mettendosi a parlare di Grillo. Il solito gioco da cretini di buttare la palla in tribuna. Il solito Salvini. Se posso permettermi è parecchio spiacevole anche il composto silenzio del Pd che vorrebbe rivendere il poco coraggio come diplomazia. Siamo alle solite.

C’è però anche un altro punto sostanziale: della vicinanza tra Durigon e uomini della criminalità organizzata durante la sua campagna elettorale ne avevano scritto un mese fa Giovanni Tizian e Nello Trocchia su Domani, degli intrecci mafiosi su Latina ne scrivono da anni dei bravi giornalisti chiamati con superficialità “locali” e che invece trattano temi di importanza nazionale. Sembra che non se ne sia mai accorto nessuno e questo la dice lunga sulla percezione che in questo Paese si continua ad avere della criminalità organizzata. Anche questo fa piuttosto schifo.

Buon venerdì.

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Intanto, in Sardegna…

Nel pieno della pandemia, con una campagna vaccinale da spingere il più possibile per provare a ripartire, con i ristori che sono pochi e che non arrivano e con le attività che non riusciranno più a riaprire la politica decide quali sono le priorità. In Sardegna, ad esempio, il presidente Solinas (fiore all’occhiello del centrodestra nazionale) ha pensato bene di concentrarsi sul disegno di legge 107 che che pensa a un nuovo staff di 65 persone assunte su nomina squisitamente politica, come avveniva in tempi di vacche grasse e di favori elettorali.

La stragrande maggioranza dei 65 nuovi collaboratori sarebbe direttamente alle dipendenze di Solinas (curioso, eh?) e immagina al vertice un segretario generale della Regione che nelle intenzioni iniziali avrebbe dovuto guadagnare 285mila euro lordi all’anno, circa 100mila euro in più di quanto guadagna il Presidente della Repubblica, tanto per dare un’idea. Spesa totale della brillante idea di Solinas? 6 milioni di euro all’anno, in tempo di Covid, in questo tempo. Ognuno ne può trarre le sue conclusioni.

Il disegno di legge tra l’altro è stato scritto talmente male che si sono dimenticati della norma che fissa un tetto di 240mila euro annui come massimo stipendio per un incarico pubblico e così Solinas, proprio lui in persona, si è impegnato in un’intervista all’Ansa di presentare un emendamento per correggere una sua legge. Roba da avanspettacolo.

Sempre a proposito di stipendi ci sono tre capi Dipartimento che fanno riferimento alla presidenza (733mila euro annui lordi), tre consulenti (402mila) e sei esperti (805mila) per l’ufficio di staff, cinque esperti per il Comitato per la legislazione (671mila), quindi tre addetti di Gabinetto (180mila), due addetti al cerimoniale (120mila), un nuovo autista (60mila) mentre per gli assessorati sono previsti cinque consulenti (671mila) e la bellezza di trentasei addetti di gabinetto (per una spesa annua lorda di 2,1 milioni) destinati agli assessorati. Facendo la somma si contano 6 milioni e 90mila euro in tutto.

A chi serve tutto questo? Il consigliere regionale Massimo Zedda dice: «Serve all’apparato digerente, non dirigente, del centrodestra per soddisfare appetiti di poltrone e di posti di sottogoverno. Con uno spreco di oltre 6 milioni di euro l’anno mentre imprese, famiglie, lavoratrici e lavoratori sono in gravissima difficoltà».

Buon venerdì.

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I “migliori” dittatori

Abbiamo bisogno dei dittatori. Anzi, «con questi chiamiamoli dittatori bisogna essere franchi nell’espressione della visione della società ma pronti a cooperare per gli interessi del Paese. Bisogna trovare l’equilibrio giusto». Lo ha detto sornione in conferenza stampa il presidente del Consiglio Mario Draghi, con la levità con cui si potrebbe parlare di un bilancio aziendale o dei tassi d’interesse di un prestito che si sta contrattando. Del resto la nuova politica, anche quella dei “migliori” che stanno al governo, ritiene i diritti una delle componenti che concorrono all’economia, sono riusciti a derubricare principi che dovrebbero essere il prerequisito di ogni democrazia – almeno una volta qualcuno aveva il coraggio di dire che doveva essere così – a uno dei capitoli di bilancio che concorrono all’affidabilità economica di uno Stato.

La chiamano realpolitik e la rivendono come illuminazione necessaria per riuscire a stare nello scacchiere internazionale, ma se riuscissimo a svestire questa bieca mentalità da tutte le sovrastrutture ne rimarrebbe semplicemente la vigliaccheria di chi ritiene la libertà e la democrazia due narrazioni da rimpolpare con dichiarazioni e con buone intenzioni. Tutto qui.

E infatti notatelo: rispetto all’avventatezza con cui Salvini o Meloni addirittura professano il proprio appoggio al dittatore di turno indicandolo come alto esempio di sovranismo, Mario Draghi è sempre pronto a condannare, a parole, mettendoci perfino un po’ di sdegno simulato ma senza nessuna concessione ai soldi che non devono essere condizionati, mai.

Non c’è differenza tra il “realismo” di Draghi rispetto al “buon senso” di Matteo Salvini, sono entrambi rifugi dove potere appoggiare una visione di mondo senza sentirsi in dovere di spiegarla.

Forse è anche per questo che per giorni si è discusso dell’…

*

“Zaki”, illustrazione di Clara Imperiale, Officina B5

L’articolo prosegue su Left del 23-29 aprile 2021

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Conte massacrato perché “non si discuteva del Recovery”. Ma il piano di Draghi nessuno l’ha visto

Eravamo in ritardo già due mesi fa, quasi tre. Lo dicevano a gran voce tutti, lo ribattevano i giornali, lo dicevano quasi tutti i partiti e i renziani ci avevano detto che la mancata discussione del Pnrr “con un dibattito aperto e franco in Parlamento” era uno dei principali motivi della crisi di governo.

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) è il programma di investimenti che l’Italia deve presentare alla Commissione europea nell’ambito del Next Generation EU, lo strumento per rispondere alla crisi pandemica provocata dal Covid-19: il piano va presentato il prossimo 30 aprile, tra pochi giorni, ma non l’ha ancora visto nessuno.

I sindacati che hanno incontrato ieri Draghi hanno raccontato di non avere visto nulla di scritto, nonostante si siano presentati pieni di speranze. “Noi riconosciamo solo a Omero la possibilità di una descrizione orale” ha detto ieri Pierpaolo Bombardieri, segretario della Uil, ma qui tocca fidarsi delle buone intenzioni, visto che anche gli stessi partiti non hanno ancora visto nulla.

Ieri c’è stato l’ultimo incontro con le forze politiche, la delegazione di Leu, e anche in quel caso nulla di scritto. Perfino Carlo Bonomi, presidente di Confindustria sempre piuttosto tenero con Draghi, ha dovuto specificare che si riserva una valutazione “perché non è stato visto alcun documento”.

Ultima versione del piano? Quella del 12 gennaio, ritenuta “insufficiente” dagli stessi partiti che ora si sono meravigliosamente ammansiti. 34 associazioni tra cui Libera, Transparency International Italia, Lipu, Cittadinanzattiva, Cittadini reattivi, Re-Act, Fondazione Etica hanno scritto una lettera ai Ministri Franco, Giovannini, Colao, Cingolani e al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Garofoli per chiedere di pubblicare con urgenza le bozze del piano: “A pochi giorni dalla data che sancisce l’obbligo di consegna di Piano definitivo a Bruxelles e in previsione di una spesa pari a 220 miliardi di euro di risorse comunitarie e nazionali, ci è ancora impossibile pronunciarci sui contenuti del PNRR perché l’ultima bozza non è stata resa disponibile”, scrivono.

In Parlamento probabilmente verranno fatte delle “comunicazioni”, sottoposte al voto, che saranno molto generiche. E pensare che fino a qualche giorno fa si pensava semplicemente a delle “informative”. “Sarebbe utile leggere il piano” dicono tutti composti in Parlamento quelli che prima si strappavano i capelli e intanto sperano che non si colga l’incoerenza. Un altro punto nella lista delle urgenze che si sono spente.

Leggi anche: E anche Beppe Grillo scoprì cos’è il giustizialismo (di Giulio Cavalli)

L’articolo proviene da TPI.it qui

Sono già in campagna elettorale

Il governo dei migliori incassa le bordate di alcuni scienziati, dice il professor Galli che «Draghi non ne ha azzeccata una sul virus» e dice Andrea Crisanti che «purtroppo l’Italia è ostaggio di interessi politici di breve termine, che pur di allentare le misure finiranno per rimandare la ripresa economica» definendo le riaperture una «stupidaggine epocale» ma su queste questioni ci si accorge di chi aveva ragione sempre dopo. E quindi tra qualche mese qualcuno potrà dire “l’avevo detto”.

Intanto però la maggioranza freme perché la politica, l’abbiamo ripetuto più volte anche qui, è una continua ricerca di consenso, più della responsabilità di governo e così Matteo Salvini (dopo essersi intestato il merito delle progressive aperture) ora spinge ancora di più sull’acceleratore chiedendo ancora di più. È normale, il suo elettorato gli chiede questo, per esistere lui deve fare questo: spingere, spingere, spingere e non dare il tempo di ragionare. Così ora la richiesta è di aprire anche i locali al chiuso e di togliere il coprifuoco. Sia chiaro: la discussione è legittima ma non chiedete a Salvini di dare delle indicazioni in base ai dati in nostro possesso. Il suo ragionamento non esiste e quindi la giustificazione è sempre quella del “buonsenso”. A ruota, ovviamente, ci sono i renziani che chiedono di riaprire le palestre (anche al chiuso) e gli impianti sportivi prima del termine di giugno fissato dal governo. È una guerra ad accalappiarsi ognuno il proprio settore. Avanti così.

Salvini intanto riesuma Berlusconi per parlarci del suo rinvio a giudizio sulla vicenda Open Arms: «Silvio ha dovuto affrontare 80 processi, io per ora solo 5-6 … Ma è evidente che la sinistra vuole vincere in tribunale le elezioni che perde nelle urne. In nessun Paese al mondo si mandano un processo gli avversari politici». Intanto ne approfitta per leccare un po’ anche Eni e Finmeccanica: «In Italia – dice – si fanno tante inchieste che poi finiscono nel nulla. Come quelle che hanno riguardato grandi società come Eni e Finmeccanica. Difendere gli interessi dell’Italia significa anche difendere le aziende italiane». Per lui difendere le aziende italiane significa non indagare. Chiaro, no?

Poi ha un’illuminazione: una commissione d’inchiesta sulla pandemia (che in effetti potrebbe fare luce su molte responsabilità che meritano di essere indagate) ma anche qui riesce a buttarla in caciara sparando sulle «responsabilità del ministro Speranza», come al solito trasformando tutto in guerriglia ad personam, la stessa di cui si lamenta. E a chi pensa per trovare i voti di un’operazione del genere? Lo dice lui stesso: il centrodestra e Italia Viva di Renzi. E intanto getta l’amo.

Vi ricordate quando si diceva che Draghi li avrebbe tenuti tutti in riga? La riga si è già spezzata e vedrete che basterà che si abbassino i numeri drammatici del contagio perché inizi subito la campagna elettorale. In testa, ovviamente, i due Mattei che stanno già muovendo le code sotto traccia.

Buon lunedì.

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Cosa dovrebbe dirci Fukushima

Riguarda anche noi quello che sta avvenendo in Giappone – seppure sia sentito come così lontano – ossia lo sversamento in mare di oltre un milione di tonnellate di acqua contaminata che dopo l’incidente di Fukushima, che ha messo fuori uso i sistemi di raffreddamento in circuito chiuso, è stata pompata nei noccioli per raffreddarli e poi raccolta in più di mille serbatoi di stoccaggio situati nel sito dell’impianto.

Ci interessa perché la scelta più sensata potrebbe essere quella di intombare i tre reattori incidentali come è già accaduto per il reattore di Chernobyl, magari, come suggerisce Greenpeace, in attesa di sviluppare una tecnologia con migliori capacità di filtraggio e aspettando che un parte degli isotopi radioattivi decada naturalmente. C’è una preoccupazione ambientale per la presenza del carbonio-14 che può entrare nella catena alimentare e perché nonostante molti scienziati siano d’accordo sul fatto che “l’impatto ambientale sarebbe minuscolo” non sono invece d’accordo quanto sia “minuscolo” il pericolo, sicuramente non pari a zero.

Ma la lezione di Fukushima è questo enorme dispiegamento delle lobby nucleari che spingono per raccontare una contaminazione come se fosse un trattamento e che sanno benissimo che tutta questa faccenda rischia di mettere in bilico la loro già (poca) credibilità.

La lezione di Fukushima dovrebbe anche servire per aprire finalmente un dibattito franco sull’energia nucleare (che è sparita dall’agenda dei media e della politica ma non nei programmi delle lobby) soprattutto alla luce della nomina del ministro per la Transizione ecologica Cingolani che promuove quella fusione nucleare di cui in Italia sentiamo favoleggiare da decenni e che, se realizzabile, arriverebbe molto tardi con una situazione ambientale già compromessa.

Insomma si tratta del Giappone ma ci siamo dentro anche noi, quello che accadrà qui e come potrebbero essere spesi i nostri soldi. Per questo conviene affezionarsi subito alla vicenda di Fukushima, dibatterne, anche al bar.

Buon giovedì.

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Perché von der Leyen ha incontrato Erdoğan, esecutore materiale della folle politica europea

Fa ancora discutere la sedia non concessa alla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen mentre il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel invece si godeva il suo posto d’onore con il sultano turco Recep Tayyip Erdoğan. Quello sgarbo è stata anche l’occasione di ricordare al mondo come il leader turco stia progressivamente fiaccando i diritti delle donne nel suo Paese, partendo da quel 2016 in cui disse che le donne fossero “da considerarsi prima di tutto delle madri”, relegandole al loro medievale scopo riproduttivo e poi fino ai giorni scorsi in cui il suo governo ha annunciato tronfio il ritiro dalla Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.

In Turchia tra l’altro si contano in media circa due femminicidi al giorno e le donne, complice anche la pandemia, hanno sempre minor accesso al mondo del lavoro e alla politica. Insomma, quello sgarbo ha radici profonde e ben venga quella sedia che è mancata per ricordarcelo. Nella discussione generale però sembra scomparso il motivo per cui l’Ue ha scelto di incontrare Erdoğan e il fatto non è secondario perché il sultano turco evidentemente può permettersi certi atteggiamenti, forte del suo ruolo internazionale. Allora bisognerebbe avere il coraggio di dirlo, di scriverlo che Erdoğan altro non è che l’esecutore materiale della folle politica europea che ha delegato alla Turchia l’esternalizzazione delle frontiere europee per controllare il flusso migratorio in modi anche poco leciti.

Nel 2016, in piena crisi migratoria, Bruxelles, su spinta soprattutto della Germania, ha firmato un accordo che garantiva 6 miliardi di euro alla Turchia per trattenere i migranti nei propri confini (si stima che siano almeno 4 milioni di persone) e grazie a quell’accordo tutti i migranti irregolari che arrivavano sulle isole greche attraverso il confine turco sono stati riportati in Turchia. Quei soldi hanno lo stesso odore di quelli che arrivano alla cosiddetta Guardia costiera libica (sì, proprio quella che Draghi ha blandito pochi giorni fa) per fare da tappo in Africa. Soldi che rendono ancora più forti governi che non hanno nulla di democratico e che non hanno nulla da spartire con i valori europei eppure tornano utili per essere i sicari dell’Unione europea. C’è qualcosa di più di quella sedia che manca. Giusto un anno fa, a marzo del 2020, Erdoğan ha ricattato l’Europa sulla gestione dei flussi per alcune partite geopolitiche come quella siriana e per reclamare altri soldi.

La Grecia aveva denunciato la Turchia di “spingere” verso la sua frontiera i migranti e alla fine l’Ue per garantire la propria “fortezza” ha deciso di continuare a foraggiare la Turchia: la presidente garantisce «la continuità dei fondi. E se la Turchia rispetta gli impegni, previene le partenze, prevede i rientri dalla Grecia, i fondi Ue garantiranno ancor più opportunità», dice la nota ufficiale. Del resto già a settembre Bruxelles aveva inserito un passaggio significativo nella sua proposta su asilo e immigrazione scrivendo nero su bianco che lo stanziamento di fondi alla Turchia «continua a rispondere a bisogni essenziali. Essenziale sarà perciò che l’Ue dia alla Turchia un sostegno finanziario continuativo». Su quella stessa linea si è assestato anche Mario Draghi che fin dal suo primo discorso pubblico a febbraio disse che gli accordi per esternalizzare le frontiere (che tradotto significa pagare anche Erdoğan) erano fondamentali per controllare l’immigrazione.

Da tempo diverse organizzazioni umanitarie, tra cui anche Amnesty International, giudicano la politica europea sulle frontiere disumana oltre che totalmente fallimentare eppure nessuno è mai riuscito a mettere in discussione questo modello che si annuncia valido anche per il futuro. Ad Ankara l’Ue ha manifestato anzi la volontà di rafforzare i legami economici con la Turchia, ha concesso la revisione del sistema di visti in ingresso nell’Ue e un’unione doganale per favorire il passaggio delle merci. Quando a von der Leyen è stato chiesto dei diritti calpestati in Turchia la presidente ha risposto: «I diritti umani non sono negoziabili. Vorremmo che la Turchia rivedesse la decisione di uscire dalla convenzione di Istanbul e che rispettasse i diritti umani». Insomma, siamo alle raccomandazioni per quanto riguarda il rispetto dei diritti e ai soldi fumanti invece per contenere i disperati. Forse se Erdoğan fa il bullo non è solo colpa sua.

L’articolo Perché von der Leyen ha incontrato Erdoğan, esecutore materiale della folle politica europea proviene da Il Riformista.

Fonte

Ora non c’entra più l’eredità di Conte: questo weekend è andato in scena il grande flop del piano vaccini

La gestione di una pandemia, la condivisione di limitazioni personali e la sopportazione delle difficoltà economiche e lavorative si regge su un patto sociale tra cittadini e governanti in cui le due parti riconoscono le proprie responsabilità e l’impegno di entrambi di assolverle con il massimo dell’impegno. Se quel patto si rompe (o comunque inizia a cigolare) si rischia la sfiducia, la disillusione, il lassismo e perfino la rabbia.

Per questo ogni volta che si sente dire di un “cambio di passo” nella campagna vaccinale o si ascolta qualcuno del governo promettere numeri e risultati nei prossimi mesi si nota in risposta una certa diffidenza e sempre meno reazioni positive: governare una pandemia non è certo facile ma in questi mesi la mancanza di cautela da parte di qualche esponente politico o amministratore ha alimentato promesse contraddette dalla realtà. Sarebbe il caso di averlo capito, dopo tutto questo tempo, eppure quelli insistono nell’errore senza riconoscere l’inefficacia di qualsiasi annuncio.

Cosa serve per rinsaldare la fiducia? Fare, fare, fare. Lo disse lo stesso Draghi nei giorni del suo insediamento: “niente annunci, solo fatti”. Non è andata proprio così.

Ad esempio la risposta migliore agli “aperturisti” (alcuni addirittura irresponsabili nel voler solleticare gli intestini dei complottisti peggiori) sarebbe quella di accelerare con le vaccinazioni. Missione fallita: 211mila sabato,  92mila domenica e ieri  124mila (dato ancora parziale): il grande flop del piano di vaccinazione di massa del governo Draghi tra Pasqua e Pasquetta 2021.

Sono circa 500mila dosi in tre giorni, esattamente la cifra che il commissario Figliuolo promette ma come cifra giornaliera. Che durante i festivi si assista a un drastico calo di tamponi e di vaccini è una situazione che molti da più parti continuano a sottolineare. Si sperava però nel promesso “cambio di passo” visto come soluzione anche da chi sosteneva che il problema fosse legato esclusivamente al governo Conte. E invece niente.

Le Regioni dicono di non avere più vaccini eppure lo Stato risponde che ci sono ancora tra i 2,3 e i 2,9 milioni di dosi ancora da somministrare nei frigoriferi. “Ho dato per scontato – sbagliandomi di grosso – che tutti sapessero che il virus non osserva le feste comandate”, scriveva ieri il virologo Roberto Burioni.

La campagna di massa cerca di alzare il livello oltre le 240mila dosi somministrate in media al giorno ma non si riesce a toccare le 300mila iniezioni in 24 ore e l’obiettivo delle 500mila entro fine mese ormai è piuttosto incerto. E il patto tra Stato e cittadini traballa.

Leggi anche: 1. Le Regioni in ritardo sui vaccini sono tutte guidate dalla Lega (di G. Cavalli) / 2. Cassieri, commessi e altri eroi dimenticati: l’insopportabile classismo nella corsa delle categorie ai vaccini (di G. Cavalli) / 3. Prima si lamentavano per la “dittatura sanitaria”. Ma ora che le chiusure le fa Draghi va tutto bene (di. G. Cavalli)

L’articolo proviene da TPI.it qui