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Orfini a TPI: “Lamorgese non fa la ministra. I flussi di migranti sono gestibili, ma preferiamo finanziare i torturatori libici”

Se c’è una figura nel Partito Democratico che invoca una svolta, quanto alla gestione dei flussi migratori, già dall’epoca di Minniti, si tratta sicuramente di Matteo Orfini. Il tema dei migranti è ormai tornato al centro del dibattito politico, con l’aumento degli sbarchi, Salvini che ha ripreso la sua propaganda a tamburo battente e la maggioranza in pieno stallo, incapace di cambiare rotta. TPI ha intervistato il deputato del Pd per capire quali sono gli scenari futuri e quali decisioni prenderà la maggioranza di governo su una questione non più differibile.

Tre migranti sono stati uccisi dalla Guardia Costiera libica, e non erano passate nemmeno 24 ore dalla manifestazione che si teneva per contestare il rifinanziamento da parte del governo italiano. La notizia tra l’altro non sembra avere nemmeno indignato più di tanto.

Questa purtroppo è la storia di questi mesi, di questi anni. Non è una notizia, succede quasi tutti i giorni e fuori da ogni forma di ipocrisia e di circostanza è la ragione per cui paghiamo la Guardia Costiera libica: trattenere i migranti con ogni strumento e con ogni mezzo mettendo in conto che possono essere chiusi in un lager, torturati, seviziati e anche uccisi. Se tu finanzi torturatori e assassini, quelli torturano e assassinano.

Ci siamo abituati all’orrore?

C’è un’amnesia collettiva di fronte a un qualcosa di enorme che è e sarà una delle pagine più vergognose del nostro Paese nei libri di storia. Tutto questo oggi, purtroppo, non solleva una discussione adeguata nell’opinione pubblica e nella politica.

Ma qual è il blocco che impedisce di cambiare rotta nel governo? L’alleanza con il Movimento 5 Stelle o vogliamo ammettere che c’è anche un serio problema all’interno del Partito Democratico?

È ovvio che c’è un problema anche dentro al Partito Democratico, che per altro è ancora più incomprensibile quando addirittura Minniti è oggi su una linea differente, tanto che nelle ultime interviste ha definito “inapplicabile” quella politica che ha disegnato e concepito nelle ultime interviste. Siamo di fronte a un accanimento incomprensibile da parte della maggioranza e quindi anche del Pd. Questo atteggiamento è figlio della difficoltà a misurarsi con con una strategia radicalmente alternativa e della paura di una battaglia difficile. Mettere in discussione radicalmente quell’impianto significa affrontare uno scontro culturale e politico molto duro nel Paese e in Parlamento. Evidentemente spaventa.

Il Movimento 5 Stelle da questo punto di vista è più coerente: quell’impianto lì l’hanno sempre avuto e sono i coestensori dei decreti sicurezza. Io ricordo sempre che il secondo decreto sicurezza fu peggiorato dagli emendamenti del M5S rivendicati da Di Maio. Loro sono in continuità. È mancata la volontà del PD.

Carmelo Miceli in un’intervista a Il Foglio dice: “Io non ci sto a dire che l’immigrazione non è un problema. E dico anche, con buona pace dei buonisti, che bisogna rimpatriare chi non ha diritto di rimanere in Italia”. Se lo aspettava di sentire la parola “buonisti” usata come roncola da un suo compagno di partito?

Ormai mi aspetto di tutto. Non mi sorprendo più di nulla. Che vada rimpatriato chi non ha diritto mi pare un’evidenza. Il problema è se l’Italia sia in grado di garantire salvataggio nel Mediterraneo, accoglienza dignitosa e un percorso di integrazione. Di questo stiamo parlando: rinunciamo a salvare, paghiamo la Libia per respingimenti che sono illegali, nel momento in cui qualcuno arriva non siamo in grado di gestire l’accoglienza. In queste ore la ministra degli Interni continua a fare dichiarazioni ma non fa la ministra degli Interni: noi siamo di fronte a flussi ampiamente gestibili che diventano un’emergenza perché non c’è un piano.

Che gli sbarchi aumentino d’estate è così da sempre e di solito si dispone un meccanismo adeguato, non si chiudono 600 persone in un tendone sotto al sole in un posto che ne dovrebbe ospitare solo cento. Non è questo il modo. Caricare la pressione solo su alcune comunità locali non è una soluzione. Noi dovremo essere in grado di organizzarci, vedere chi ha diritto di restare e chi no e mettere in campo un processo di integrazione e invece tutto questo è stato smontato in larga parte dai decreti sicurezza e non c’è stato nessun tentativo di ricostruire un meccanismo complessivo.

Ma come può cambiare la linea del PD? Con la vittoria di una corrente interna, visto che la pressione degli elettori non sembra funzionare?

Io penso che servano entrambe le cose: deve crescere una battaglia interna nel Pd che si deve incrociare con una mobilitazione nel Paese. È chiaro che noi abbiamo perso. Il voto sulla Guardia Costiera libica è una sconfitta. L’assemblea del PD aveva votato contro il rifinanziamento e questa decisione non è stata rispettata: abbiamo anche un serio problema di democrazia interna.

Se Orfini potesse cosa cambierebbe, subito?

Intanto abrogherei le norme che ci sono. Dobbiamo abrogare (e non modificare) i decreti sicurezza, abrogare la Bossi-Fini e ricostruire da un punto di vista complessivo le norme che gestiscono i flussi migratori e che aprono canali legali. Poi abbiamo bisogno di una politica differente dall’altra parte del Mediterraneo che smonti quel meccanismo di sostegno ai respingimenti illegali e che ripristini ciò che accadeva con Mare Nostrum: ricerca e salvataggio di concerto con le Ong e le navi della Marina e della Guardia Costiera.

L’articolo proviene da TPI.it qui

19 anni dopo, i temi del G8 di Genova sono più attuali che mai

Chissà quando avremo gli occhi per rivederlo, quel G8 a Genova, quella manifestazione che certa retorica squadrista continua a raccontare come un’orrida sequela di tafferugli (dimenticandone chirurgicamente le responsabilità), raccontando di una città messa a ferro e a fuoco e proiettando un film che non rispetta la realtà. Andrebbe rivisto, quel G8, per raccontare come una grave sospensione della democrazia (parole usate dall’Onu e riprese da importanti organizzazioni internazionali) possa passare sotto traccia ed essere normalizzata negli anni successivi.

Ma, no, questo non vuole essere un pezzo sui picchiatori seriali ben ammaestrati in divisa e nemmeno sulle forze di pubblica sicurezza che fabbricano prove false per giustificare la propria violenza. Dico, ve li ricordate i temi di quel G8? C’erano qualcosa come 300mila persone (che non sono i like su Facebook) che avevano preso i mezzi da tutto il mondo per arrivare a Genova a evidenziare una serie di problemi che per loro sarebbero stati lo scacco matto del futuro del mondo.

A Genova si contestavano il neoliberismo furioso, la concessione di veri e propri paradisi fiscali, la vittoria della finanza sull’economia, l’aumento della disuguaglianza sociale e soprattutto dell’ingiustizia sociale, l’impoverimento irrefrenabile delle classi medie, la sbagliata e ingiusta distribuzione di ricchezze nel mondo, la visione privatistica del mondo al danno del pubblico, il consolidamento delle lobby di potere e delle grandi multinazionali come inquinamento delle decisioni politiche, la redditizia instabilità del mondo mediorientale. Si parlava dell’ambiente prostituito al profitto e delle enormi conseguenze che ci sarebbero state a livello planetario, si parlava dell’aumento della diffusione di xenofobia e di razzismo.

Avevamo ragione noi, a Genova. Aveva ragione quel documento finale del Social Forum di Porto Alegre (lo trovate qui) del 2002 che oggi risuona ancora come agenda assolutamente contemporanea del mondo in cui siamo. Sono passati quasi 20 anni e i mali del mondo sono ancora gli stessi.

Quei temi non sono stati sfondati dai manganelli (a differenza delle teste e dei denti) e dimostrano che, no, non era violenza sistematica per zittire qualche contestazione ma era un pugno di ferro contro un cambiamento di un mondo che non vuole cambiare e che continua a crollare ogni giorno dei medesimi mali. Avevamo ragione noi, a Genova, in piazza, e oggi i grandi del mondo parlano quella stessa lingua. Solo che qualcuno ci ha rimesso qualche osso.

Leggi anche: 1. In Italia 13mila infetti, ma gli “untori” sono i migranti: signori, gli sciacalli sono tornati (di G. Cavalli) / 2. Caro Conte, l’unica opera strategica per l’Italia è investire nella scuola. Che cade a pezzi (di G. Cavalli)

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A volte ritornano

Dove vuole arrivare Prodi quando strizza l’occhiolino al suo acerrimo nemico? Come mai il Pd non si scompone più di tanto di fronte all’ipotesi di una “alleanza” di governo con Berlusconi? Ecco perché le manfrine di Palazzo di queste settimane sono un (brutto) film già visto

Lo sapete cosa accade quando partiti hanno il terrore mettersi davanti allo specchio degli elettori, quando hanno paura di dover cominciare considerare i possibili effetti di un possibile voto e quando soprattutto cominciano a sentire che il governo in carica ha problemi di tenuta nella percezione popolare? Iniziano a frugare dentro, tra gli anfratti dello scacchiere parlamentare, si lanciano in merletti e alambicchi di strategia che da fuori appaiono come spericolate ipotesi senza capo e senza coda e tengono in mano la calcolatrice per immaginare altre pericolanti maggioranze che restino in piedi giusto il tempo di riorganizzarsi di nuovo. Una burocrazia di maggioranze che ottiene di solito l’effetto di disgustare ancora di più gli elettori (di qualsiasi parte politica) che per anni sono stati scagliati contro i giochi di palazzo e che fa schizzare i populisti nei sondaggi. Poi, quando accade, quando ci si mette tutti insieme in un’accozzaglia di partiti che hanno come unico punto quello della loro autopreservazione, insistono nel dirci che l’hanno fatto per senso di responsabilità, di solito mettono come presidente del Consiglio quello che si definisce un tecnico e di solito danno vita a tutte le misure impopolari che hanno succhiato la vitalità del Paese (il governo Monti, per dirne una facile facile, ve lo ricordate?).

Ecco, quello che sta accadendo in Italia in questi giorni convulsi in cui si torna a parlare di un possibile ingresso nel governo di Silvio Berlusconi corrisponde esattamente alla fase iniziale di un momento del genere, con parte del Partito democratico che non riesce proprio a trattenersi da un filo-destrismo che non riesce proprio a scrollarsi di dosso; con i renziani di Italia Viva che invece Silvio Berlusconi (o meglio: i moderati di destra) lo corteggiano da un bel po’ (quindi niente di nuovo sotto al sole) e con il Movimento 5 stelle che ancora una volta prova le vertigini che procura la sensazione di perdere il potere. Tutto parte da Romano Prodi, icona di un centrosinistra che ha bisogno di idoli in mancanza di classe dirigente, che nel suo ruolo di souvenir del centrosinistra che c’era ci fa sapere che non sarebbe «un tabù l’ingresso di Forza Italia». Dicendolo come ci ha abituato a dire le cose Romano Prodi, a lato di qualche altro evento o mentre viene incrociato per caso da qualche giornalista durante la sua passeggiata mattutina. L’innesco funziona perfettamente: è tutto un profluvio di riabilitazioni politiche e di venute in soccorso verso il Cavaliere caduto in disgrazia con frasi che superano la semplice circostanza e che addirittura mostrano una sfrenata volontà di riabilitare in fretta quella classe dirigente che fu senza l’impiccio del Movimento 5 stelle e senza i populismi di Salvini e di Meloni: il sogno di un centrosinistra e di un centrodestra che rimangano soli nell’arco elettorale e che fingano di farsi la guerra lavorando sotto traccia per la pace è il desiderio recondito di molti dirigenti che ancora non hanno fatto pace con ciò che è successo in Italia negli ultimi dieci anni. In mancanza di un vocabolario per leggere e per scrivere il presente preferiscono rimettere in piedi quel passato in cui nuotavano così agilmente.

Ma, seriamente, cos’è tutto questo baccano sulla riabilitazione di Berlusconi? Proviamo a fare due conti, passo passo, analizzando le diverse situazioni dei personaggi in commedia. Prodi, innanzitutto, è quello che nemmeno troppo segretamente aspira alla presidenza della Repubblica e sa benissimo che per riuscirci ha bisogno dei voti di un centrodestra che in tutti questi anni l’ha demonizzato e l’ha indicato come la causa di tutti i mali europei: per assurdo…

L’articolo prosegue su Left in edicola dal 17 luglio

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La preghiera dell’odio

Un parroco in un paese della Puglia ha organizzato una veglia di preghiera contro la legge contro l’omotransfobia che, a suo dire, sarebbe un’insidia che minaccia la famiglia. E la sindaca si è ribellata

Siamo a Lizzano, paese in provincia di Taranto, dove il parroco, don Giuseppe, ha pensato bene di organizzare una veglia di preghiera contro la legge contro l’omotransfobia (il disegno di legge Zan è già stato approvato in Commissione Giustizia) che, a suo dire, sarebbe un’insidia che minaccia la famiglia. L’oscurantismo del resto va molto di moda tra alcuni leader politici e figurarsi se non prende piede anche tra i parroci di provincia dove con un arzigogolato ragionamento si riesce a mettere insieme la famiglia con l’odio verso i gay: sono quei pensieri deboli e cortissimi che prendono molto piede dove l’ignoranza regna sovrana. Evidentemente per don Giuseppe il suo dio vuole che si continui a odiare e discriminare perché le famigliole possano stare tranquille. Contento lui.

Il punto che conta però è che in molti (per fortuna) si sono ribellati a questa pessima iniziativa e soprattutto la sindaca del paese, la dott.ssa Antonietta D’Oria, pediatra di famiglia, mamma di quattro figli che lavora a Lizzano da trent’anni ed è impegnata in varie associazioni di ambito sociale, ambientale e culturale decide di prendere carta e penna e di rispondere. Potrebbe essere la solita diatriba tra parroco e sindaca ma di questi tempi le parole sono preziose. Ecco la risposta:

“È notizia ormai rimbalzata su tutti i social media che il parroco di Lizzano, il parroco della nostra Comunità, il nostro parroco ha organizzato un incontro di preghiera contro le insidie che minacciano la famiglia, tra cui, prima fra tutte, cita la legge contro l’omotransfobia.
Ecco, noi da questa iniziativa prendiamo, fermamente, le distanze.
Certo non sta a noi dire quello per cui si deve o non si deve pregare, ma anche in una visione estremamente laica quale è quella che connota la attuale Amministrazione Comunale, la chiesa è madre e nessuna madre pregherebbe mai contro i propri figli.
Qualunque sia il loro, legittimo, orientamento sessuale.
Perché, come ha scritto meglio di come potremmo fare noi, padre Alex Zanotelli, quando ha raccontato la propria esperienza missionaria nella discarica di Corogocho, la Chiesa è la madre di tutti, soprattutto di quelli che vengono discriminati, come purtroppo è accaduto, e ancora accade, per la comunità LGBT.
A nostro modestissimo parere e con la più grande umiltà, ci pare che altre siano le minacce che incombono sulla famiglia per le quali, sì, sarebbe necessario chiedere l’intervento della Divina Misericordia.
Perché non pregare contro i femminicidi, le violenze domestiche, le spose bambine?
Perché non celebrare una messa in suffragio per le anime dei disperati che giacciono in fondo al Mediterraneo?
Perché non pregare per le tante vittime innocenti di abusi?
Ecco, senza voler fare polemica, ma con il cuore gonfio di tristezza, tanti altri sono i motivi per cui raccogliere una comunità in preghiera.
Certo non contro chi non ha peccato alcuno se non quello di avere il coraggio di amare.
E chi ama non commette mai peccato, perché l’amore, di qualunque colore sia, innalza sempre l’animo umano ed è una minaccia solo per chi questa cosa non la comprende”.

Che bella quando prende posizione, la politica.

Come dice la scrittrice Francesca Cavallo: «iniziative come questa non devono passare sotto silenzio, per il bene di tutti quegli adolescenti che leggono di un’iniziativa come questa e pensano di essere sbagliati. Io sarei potuta essere tra loro».

Buon giovedì.

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In Italia 13mila infetti, ma gli “untori” sono i migranti: signori, gli sciacalli sono tornati

Seguitemi un secondo: in Italia in questo momento ci sono 13.179 persone ufficialmente positive al Covid-19. 13.179 persone che sono potenzialmente infettive e pericolose per la salute pubblica. In Lombardia, tanto per fare un esempio partendo dalla regione più colpita, sono 8.004 di cui ben 7.813 in isolamento domiciliare. Avete letto bene: in Lombardia 7.813 persone sono a casa propria (o in una struttura messa a disposizione) a convivere con il virus e si spera che tutte le 7.813 persone rispettino l’isolamento e non scorrazzino in giro, non mettano nemmeno il naso fuori dalla porta visto che è dal naso che il Coronavirus prolifica e si moltiplica.

In Piemonte quelli in isolamento domiciliare riconosciuti positivi sono 859, in Emilia Romagna sono 1.077 e, per andare sulle regioni meno colpite, in Campania sono 233, in Sicilia 118, in Abruzzo 128 e in Calabria 53. Tutti numeri di cui la politica nazionale e la stampa parla poco o quasi niente: in effetti sono numeri risibili rispetto a quello che abbiamo passato nei mesi peggiori e del resto si spera che i controlli e il senso di responsabilità prevalgano, sempre. È bastato vedere quanto si sia arrabbiato il presidente della Regione Veneto Luca Zaia quando un suo cittadino, con i sintomi Covid, ha deciso allegramente di partecipare a feste, compleanni e funerali fregandosene di tutto e di tutti e mettendo a rischio decine di persone.

La situazione è molto delicata e anche un’equilibrata narrazione (da parte dell’informazione e della politica) può evitare allarmismi e troppa leggerezza, tenendo quel sottile equilibrio che permette di non trasmettere fobie ma allo stesso tempo di tenere alta la guardia sui pericoli della pandemia.

Bene, ora andiamo a Roccella Jonica, Calabria, dove tra alcuni migranti sbarcati sono stati trovati 28 positivi al Covid che proprio in queste ore sono stati distribuiti sul territorio. Anche questa è una soluzione delicata: bisogna garantire sicurezza ai cittadini e bisogna organizzare un isolamento che garantisca sicurezza a tutti. Ora provate ad ascoltare come questi 28 (paragonati ai numeri generali) siano raccontati da certa stampa e da certa politica. Ricordatevi anche che in Italia, purtroppo, è iniziata la pandemia occidentale e ricordatevi per quante settimane siamo stati noi gli untori agli occhi del mondo. È il solito caos strumentale su alcune situazioni particolari che non tiene conto della situazione generale. È il solito sciacallaggio che riformula la realtà per un pugno di voti. E ancora una volta ci ricadiamo.

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Gli eroi sono stanchi

«Dopo un mese d’inferno in reparto Covid e un mese di quarantena con polmonite da Covid, mi trovo a piangere lacrime di rabbia», ci scrive un’infermiera in una lettera-denuncia

Ricevo e pubblico la lettera di un’infermiera. C’è dentro tutto: questo tempo, quello passato e un suggerimento per il futuro.

Oggi vorrei parlarvi di quegli eroi di cui molte persone si sono riempite la bocca qualche mese fa: gli infermieri ai tempi del Covid-19.

Ho odiato il termine eroi dal primo momento in cui è stato utilizzato, perché non abbiamo fatto niente di straordinario, è il nostro lavoro. Eroico è più che altro il modo in cui l’abbiamo fatto, cioè sbattuti dai piani alti in prima linea (altro termine molto usato, ma che non amo) senza formazione e – soprattutto – senza risorse sufficienti, sia in termini di materiale che di personale. Abbiamo dovuto far fronte ad una situazione in continua evoluzione e senza l’appoggio dei superiori, avendo un coordinatore che si è eclissato misteriosamente il giorno in cui il reparto è stato adibito ai pazienti Covid.

Ma questo è il passato e speriamo che rimanga tale. Non voglio ripetere le condizioni in cui abbiamo lavorato perché ne hanno già parlato tanti altri prima di me.

Ma come stanno gli eroi oggi? Perché nessuno ne parla più, come volevasi dimostrare.

Qualcuno penserà che abbiamo tirato un sospiro di sollievo, che abbiamo ricominciato a respirare. Nì. Sicuramente siamo felici di non vedere più gente morire ogni giorno e sentirci totalmente impotenti davanti a tanto dolore e solitudine.

Ma nessuno, dall’alto, ha pensato minimamente che abbiamo bisogno di rallentare. Veniamo da un periodo di alto stress e in tutta risposta ci sono stati intensificati i turni, arrivando a 7 giorni consecutivi di lavoro, più notti consecutive, poco riposo. Ci siamo visti totalmente modificati i turni il 29 del mese per il 1° del mese dopo.

Perché per loro (quelli che io chiamo piani alti, i potenti, quelli che non hanno un contatto col paziente) non siamo persone, siamo solo numeri di matricola usati per coprire i buchi sul foglio dei turni. Non abbiamo famiglie, impegni, passioni al di fuori del lavoro. Dobbiamo essere pronti in ogni momento a rispondere alla chiamata dell’azienda. Cene con gli amici, week end al mare, visite mediche dei figli. Non esiste niente di certo per noi.

In più, nel mio reparto il lavoro si sta facendo sempre più difficile e intenso, perché il nostro coordinatore, che ha da poco ripreso a venire in reparto, è presente solo 15 ore a settimana, quindi per le restanti 153 ore passiamo buona parte del turno a dover risolvere problemi burocratici che non ci competono, sottraendo tempo necessario all’assistenza dei pazienti.

Se un collega si ammala, il responsabile che deve occuparsi di sostituirlo fa metodicamente spallucce, quindi dobbiamo telefonare a una marea di reparti facendoci dare i numeri di colleghi che sono a casa di riposo e pregarli di venire a darci il cambio. Altrimenti, si fa doppio turno. 12 ore e passa la paura.

Personalmente, dopo un mese d’inferno in reparto Covid e un mese di quarantena con polmonite da Covid (causata dalla mancanza di dpi), mi trovo a piangere lacrime di rabbia. Non abbiamo sofferto abbastanza? Ho la gastrite da stress, alti livelli di glicemia, ormoni ballerini, non dormo bene e ci sono giorni in cui la stanchezza mi fa a malapena reggere in piedi. Sono esausta, incazzata, delusa.

Ho sempre amato il mio lavoro, ora vado in reparto con la nausea. Vorrei abbandonare tutto e fare altro, ma al momento non me lo posso permettere. Mi hanno fatto odiare un lavoro che ho sempre fatto con passione, responsabilità e competenza.

E tutto ciò, dalla disorganizzazione del reparto, l’aumentato carico di lavoro, fino all’esaurimento psicofisico del personale (pardon, dei numeri di matricola) va a discapito del paziente. E ciò mi fa davvero male. Perché vorrei fare sempre del mio meglio, ma in certi momenti è dura avere un sorriso per gli altri quando non ne hai più nemmeno per te. È difficile fare bene le cose quando nello stesso tempo di sempre devi farne il doppio. Sacrifici, solo sacrifici.

E questa è solo la situazione nel mio piccolo reparto. L’argomento potrebbe andare avanti parlando di contratto nazionale, di ferie non godute, stipendi bassi, mobilità bloccate, competenze non riconosciute, eccetera.

Gli eroi sono stanchi. Gli eroi non erano quelli del Covid, siamo sempre stati eroi, se lo volete sapere. Solo che ve ne siete resi conto solo poco tempo fa (e forse ve ne siete anche già dimenticati).

Siamo stanchi.

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Covid, per due mesi conferenze stampa quotidiane sulle regole da seguire. Ora che il distanziamento sociale è scomparso va tutto bene?

La scienza, si sa, è piena di dubbi per sua natura. Un governo, si sa, deve affidarsi alla scienza per prendere decisioni e per imporre regole chiare che siano rispettate da tutti. Insieme alle regole è nei doveri del potere anche il controllo e l’eventuale notifica della trasgressione. Su questo, almeno su questo, dovremmo essere tutti d’accordo.

Abbiamo passato gli ultimi mesi a essere bombardati di regole, regole nuove che hanno modificato profondamente i nostri comportamenti e soprattutto che hanno avuto un enorme impatto economico e sociale per molte famiglie, per molte attività e per molte imprese. Le conferenze stampa della Protezione Civile e del Presidente del Consiglio Conte per molti hanno significato una diversa quotidianità (anche lavorativa) a partire dal minuto dopo, allineandosi alle decisione con ingenti costi economici, sociali e perfino di programmazione del futuro. Ci si è messi tutti in fila, gran parte degli italiani hanno diligentemente cambiato i propri comportamenti e hanno ascoltato con fiducia le parole degli scienziati e delle organizzazioni sanitarie. Anche le statistiche dicono che nel periodo del lockdown e nella prima fase successiva sono stati pochissimi i multati, una percentuale minima di un Paese che si è messo in riga.

Perfetto, arriviamo a noi. Ci dicono che la mascherina è obbligatoria negli ambienti chiusi e che il distanziamento sociale (che poi è un distanziamento fisico pronunciato con le parole sbagliate) sia fondamentale per la salute pubblica. Non ci vuole molto per accorgersi che le regole con il tempo si sono sfilacciate, deteriorate e che vengono contravvenute praticamente in ogni occasione: su molte spiagge sembra l’estate del 2019, l’aperitivo è identico per modi e distanze a quello pre-pandemia, i treni dei pendolari sono affollati e costretti. Niente di male, per carità, se qualcuno avesse fatto una bella conferenza stampa per dirci che va bene così, se qualcuno ci spiegasse perché l’esercito che inseguiva i runner ora si è volatilizzato. E invece niente. Sembra, da fuori, l’atteggiamento di chi ha voluto che il Covid venisse sistematicamente dimenticato, come se il rilassamento generale fosse quasi stato programmato. Io non sono uno scienziato ma mi chiedo: non sarebbe il caso ora di fare una bella conferenza stampa per chiarirci il punto? Per dirci: liberi tutti oppure no, non va bene? Davvero è tutto a posto così?

Leggi anche: 1. Quella ridicola passerella di Bergamo e lo Stato incapace di chiedere scusa (di G. Gambino) /2. Negazionisti contro empiristi: la guerra tra i virologi che decide se siamo liberi o no (di L. Telese)

3. L’autista NCC: “Molti bergamaschi tornavano da Wuhan e non facevano quarantena” /4. Un cittadino di Bergamo attacca Gori, la durissima risposta di Cristina Parodi

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Bel colpo, Djokovic

Il campione serbo, idolo dei No vax per le sue uscite antiscientiste, è l’ottava vittima del focolaio di coronavirus acceso dall’Adria Cup, il torneo da lui stesso organizzato a Belgrado e Zara senza rispettare le norme anti Covid

«Sono contrario alla vaccinazione contro il coronavirus e non vorrei essere costretto a vaccinarmi per poter viaggiare: se dovesse diventare obbligatorio, dovrei prendere una decisione».

E poi.

«Se hai pensieri ed emozioni specifiche, nel caso siano pensieri felici, buoni pensieri, questi creano una struttura molecolare che ha un geoprisma basato sulla geometria sacra, il che significa che c’è equilibrio. Al contrario, quando si dà all’acqua dolore, paura, frustrazione o rabbia, quell’acqua si rompe».

Parole, opere e omissione del numero 1 al mondo, il tennista Novak Djokovic che dei No vax è diventato l’idolo perché evidentemente da quelle parti sapere giocare a tennis dà la patente per essere ottimi virologi.

Peccato che Djokovic abbia poi deciso di organizzare perfino un torneo di tennis, l’Adria Tour, fottendosene altamente di tutte le precauzioni che tutto il mondo sta mettendo in atto per il Covid. Che c’è di meglio che esibire il proprio coraggio contro il virus con un bel torneo tra amici. In tutto questo il tennista è anche stato pescato mentre festeggiava con altri tennisti in una discoteca serba. Nel filmato si vedono lo stesso Djokovic, assieme a Dominic Thiem, Alexander Zverev e Grigor Dimitrov al Lafayette cuisine cabaret club di Belgrado.

Perfetto: Novak Djokovic ha il coronavirus. Anche la moglie Jelena è risultata positiva al tampone. Tra domenica e lunedì anche i tennisti Grigor Dimitrov, Viktor Troicki e Borna Coric sono risultati positivi al Covid. Contagiati anche Kristijan Groh, allenatore che fa parte del team di Dimitrov, Marco Panichi, preparatore atletico italiano di Djokovic, e la moglie di Troicki, incinta.

La conclusione migliore è del presidente dell’Atp Andrea Gaudenzi al New York Times: «Questa situazione è come quando dici ai tuoi figli che per imparare ad andare in bicicletta devono indossare un casco. Ti dicono di no. Poi vanno in bicicletta, cadono e da lì iniziano a indossare il casco».

Bel colpo, Novak.

Buon mercoledì.

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Come ti sconsiglio l’aborto in Umbria

In Umbria governa Donatella Tesei  la quale ha pensato bene che uno dei più annosi problemi da risolvere nella regione fosse allungare il tempo di ricovero per l’interruzione di gravidanza volontaria farmacologica, da sempre come sapete una delle fobie di leghisti e destrorsi vari che sognerebbero di abolirlo per intero, l’aborto.

Nel 2018 la Regione Umbria aveva introdotto la possibilità di abortire grazie alla pillola Ru486 entro la settima settimana di gravidanza e aveva chiesto a tutti gli ospedali di organizzarsi in modo che le donne potessero effettuare l’interruzione della gravidanza grazie a una prestazione di day hospital o anche solo grazie a un servizio di assistenza domiciliare. La possibilità di rinunciare alla gravidanza con la pillola Ru486 è utilizzata oltre il 90% dei casi in nord Europa, per il 60% in Francia e solo per il 18% in Italia.

Ora la Tesei e la sua Giunta hanno deciso che serviranno almeno tre giorni di ricovero obbligatori per accedere all’interruzione di gravidanza farmacologica, cianciando di non si sa bene quale maggiore tutela considerando che in nessun Paese al mondo l’aborto farmacologico avviene al di fuori del regime di day hospital. Per scoprire perché un’azione sia stata intrapresa basta osservare chi è il primo che esulta: in Umbria ha esultato tantissimo il senatore ultraconservatore della Lega Simone Pillon, promotore del Family Day nonché commissario della Lega in Umbria.

Sono riusciti a rendere ancora più difficilmente sostenibile, soprattutto psicologicamente, il ricorso all’interruzione di gravidanza. Non è un caso, no, è una lucida strategia che si inventa qualsiasi passaggio punitivo pur di scoraggiare un atto che non hanno il coraggio di discutere deliberatamente faccia a faccia con le donne. Il fatto poi che in tempi di Covid si aumentino i giorni di degenza, mentre i malati non riescono nemmeno a ottenere le cure che gli spettano, rende tutto talmente goffo da risultare tragicamente imbarazzante.

Buon martedì.

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Uno vale uno ma congresso lo stesso

Ma chi dovrebbe volere un congresso, la scelta di un capo in un partito in cui gli unici capi avrebbero dovuto essere gli elettori e in cui semplicemente serviva un garante per il rispetto del regolamento interno? A proposito di regolamento interno: perché Di Maio avrebbe dato il via libera all’abolizione della regola dei 2 mandati (in particolare alle sindache Virginia Raggi e Chiara Appendino), in quale veste. E poi: chi c’è dietro l’estromissione di Casaleggio dagli ultimi movimenti interni al Movimento 5 Stelle? Oltre al non invito agli stati generali dell’economia a Casaleggio ormai ben pochi parlamentari versano i 300 euro mensili per l’Associazione Rousseau. A proposito di soldi: che fine hanno fatto i tagli agli stipendi degli eletti (fatevi un giro sul sito tirendiconto.it per verificare con i vostri occhi) e i famosi mega assegni che Beppe Grillo mostrava (giustamente) soddisfatto con tutte le restituzioni?

E poi: Beppe Grillo? Del Movimento 5 Stelle (a parte quelli comodamente seduti al governo) si sente solo la voce di ritorno di Alessandro Di Battista che ora torna alla carica per riprendersi in mano il Movimento (con posizioni completamente opposte ai suoi compagni di partito sul Mes che “non rispetterebbe gli interessi nazionali”, detto come un Salvini qualunque, e contro Conte che se vuole fare il leader “deve iscriversi al M5S”, come se non sapesse che il progetto di Conte è tutt’altro). Quelli che “uno vale uno” ora vogliono fare un congresso perché uno valga più degli altri, un altro dopo Grillo, dopo Casaleggio e dopo tutti quelli che in realtà valevano di più ma non avevano il fegato di ammetterlo.

Allora facciamo una cosa, cari amici del Movimento 5 Stelle: riconoscete che la maturazione di un movimento in forma-partito è la naturale sequenza delle cose in politica, riconoscete che molta dell’innovazione che avete sventolato è stata perlomeno annacquata (per usare un eufemismo) e mettetevi a fare politica con gli organi democratici che la Costituzione prevede. Semplicemente. Avrebbero dovuto aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno e ora sono i tonni pronti a farsi pescare dal nuovo leader all’orizzonte. È normale, accade sempre così. E chissà se qualcuno nel Partito Democratico comincia a capire che questa alleanza (e questo governo) poggia su un Movimento che non è mai stato in movimento com’è adesso.

Buon lunedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.