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parata militare

#no2giugno il senso oltre l’emergenza

Ne scrivevo ieri su Il Fatto Quotidiano: la riflessione sulla parata del 2 giugno e sul segnale che si è richiesto a gran voce ieri e in queste ore ha orizzonti più lunghi. Sappiamo benissimo che l’organizzazione è completata e, inevitabilmente, i soldi tutti spesi (o almeno una gran parte) ma la richiesta di un segnale (che sia sulla parata, sugli acquisti militari o qualsiasi altra cosa) è legittima, democratica e non ha niente a che vedere con l’antipolitica. È ultra politica: desiderio amplificato a cui si è costretti a rispondere. E quindi può fare solo bene. E forse ha ragione Gramellini quando chiede di sfruttare il momento per provare ad aprire la riflessione:

La domanda che la coincidenza fra celebrazione e tragedia riporta alla ribalta è un’altra: nel 2012 ha ancora senso festeggiare la Repubblica con un rito così poco sentito dalla maggioranza dei cittadini? Ogni comunità ha bisogno di riti e di simboli. Ma sono le religioni che li mantengono inalterati nei secoli. Non gli Stati. Non tutti, almeno. Penso sommessamente che quest’anno il 2 giugno si onori di più la Repubblica andando fra i terremotati che fra i carri armati.

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La parata per i terremotati

E’ un’ottima idea destinare i soldi della parata del 2 giugno ai terremotati. Perché significa avere l’intelligenza e la responsabilità di riconoscere le priorità reali di questo Paese e perché la “sicurezza” sta nell’intervenire sui bisogni delle persone in difficoltà. Subito e efficacemente.

E perché un terremoto è un dolore squarciante e imprevedibile ma l’aiuto e la solidarietà sono tutte nelle decisioni degli uomini.

“non si può imprecare contro il destino… spesso fabbrichiamo con il fango su terreni mobili e molli… e quando poi un terremoto getta a terra gli abituri, imprechiamo agli inferi e supplichiamo i superi”

(prof. Giuseppe De Lorenzo, su La Gerarchia, dopo il terremoto del 1930)