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patto del nazareno

Riecco Briatore: «L’unica ricetta è il Renzusconi. O diventeremo un paese di serie B»

Se dovesse scegliere lui, proporrebbe il “Renzusconi”. Flavio Briatore, in un’intervista al Fatto Quotidiano, racconta la sua visione di Italia futura e di governo in cui racconta di sognare un Belpaese con Berlusconi presidente e Renzi al suo fianco.

Il presidente è un grande, e Matteo ha un piglio che pochi possono vantare. Vedo bene una loro società.

Una Srl, una SpA?

Italia SpA. Presidente Berlusconi, Amministratore delegato Renzi. Non ce n’è per nessuno.

Un manager operativo e un presidente di fortissimo carisma.

Silvio ritorna sempre. È intramontabile.

Briatore consulente.

La burocrazia massacra. Vai al governo e ti perdi nei commi e nei codicilli. Non si può continuare così. L’Italia sta arretrando, sta divenendo un paese di serie B, nessuno ci fila più.

Briatore consulente del governo Renzusconi.

Tre cose fondamentali. Abbassare il costo del lavoro, azzopparlo, spianarlo.

Governo di rottura.

Un dipendente che guadagna 2.500 euro mi deve costare al massimo 3.000 euro. Prima riforma da fare immediatamente.

Seconda riforma.

Flat tax. Stessa tassa uguale per tutti.

Salvini la pensa così. Sei ricco o povero, è uguale.

Il 28 per cento pago io e il 28 per cento paghi tu.

Al Fatto, parlando del suo futuro e quello del governo, Briatore chiosa sostenendo che il Renzusconi è “L’unica possibilità, l’ultima per l’Italia. Mi piace l’uno e mi piace l’altro. Il vecchio e il giovane. Due vincenti”

(fonte)

E se il 18 giugno a sinistra nascesse un’alleanza non solo “di cartello”?

Ogni giorno un cambio di casacca, un mito utile, un nuovo leader straniero da qualche parte del mondo qualsiasi per provare a risvegliare una fascinazione nutrita solo dall’emotività del protagonista. Nel giro di qualche giorno sono stati prima tutti Macron, poi tutti Corbyn e poi di nuovo Macron così come la destra italiana si è appesa nei mesi scorsi a Trump (prima di pentirsene) o alla Le Pen (prima di prenderne le distanze per il pessimo risultato elettorale). Così anche le analisi e gli scenari sembrano più figli di un’emotività corta piuttosto che di ideali o progetti dallo sguardo lungo: siamo passati dal patto del Nazareno tra Pd e Berlusconi (che anche qualcuno dai democratici cominciava a dare per scontato e che ha scatenato le ire addirittura del garbato Romano Prodi) fino a una presunta alleanza (meglio: un tentativo di alleanza) tra il Pd e Giuliano Pisapia.
A sinistra, intanto, l’appuntamento per il 18 giugno (a Roma, teatro Brancaccio, dalle ore 9.30) che nasce dall’appello di Anna Falcone e Tomaso Montanari e sembra avere raccolto l’iniziale disponibilità di un ampio fronte che parte da Rifondazione comunista passando per Sinistra italiana, Possibile, Mdp e diversi comitati civici sparsi sul territorio suggerendo l’inizio di un percorso che, nel caso in cui si realizzasse, sarebbe una buona notizia per la sinistra italiana troppo spesso arroccata e divisa. Se davvero si riuscirà a creare una condivisione di idee e di programmi senza infangarsi su leadership e cattivi propositi di preservazione del ceto politico fallimentare, il 18 giugno potrebbe essere il primo passo di un’alleanza non solo di “cartello”. Del resto le ultime elezioni amministrative hanno dimostrato che quando la sinistra (a sinistra del Pd) riesce a raggiungere un’unità credibile può raggiungere risultati davvero importanti.

Ma come sarà il futuro? Difficile dirlo. Certo Giuliano Pisapia e il suo Campo progressista (che dicono di voler presentare addirittura un simbolo e un programma per la loro convention del primo luglio) dovrà decidere se insistere nel tentare di modificare la natura renziana del Pd (perdendo così contatto con chi, a sinistra, ritiene il Partito democratico non più potabile) oppure se dedicarsi al progetto che vuole essere alternativo al renzismo e alle politiche di questi ultimi anni.

L’articolo di Giulio Cavalli prosegue su Left in edicola


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(continua su Left)

Opportunità e colpevolezza

Ho passato i miei ultimi anni provando a riaccendere il senso di opportunità che abbiamo banalmente tralasciato sostituendolo con l’eventuale condanna o assoluzione (senza nemmeno riuscire a raccontare per bene cosa sia la prescrizione). Ne parlo ovunque: negli spettacoli, nei libri, nelle scuole. Tra i risultati nefasti di questa sclerotizzazione del senso di opportunità (e ovviamente inopportunità) c’è anche l’impunità politica di cui godono politici come Schifani, Formigoni (solo per citarne un paio, ma sono tantissimi) che nonostante siano talvolta stati assolti risultano chiaramente, carte alla mano, inopportuni in alcune loro amicizie e in alcuni loro comportamenti. Per questo credo che valga la pena leggere Alessandro Gilioli oggi su L’Espresso:

Ecco, da noi vent’anni di berlusconismo e antiberlusconismo, nonché di serrato confronto fra cosiddetti ‘garantisti’ e cosiddetti ‘giustizialisti’, ci hanno privati del giudizio politico. Siamo tutti lì incatenati ai tre gradi di decisioni togate, come se (almeno in alcuni casi) non potessimo esprimere un giudizio di opportunità politica a prescindere dalle sentenze.

E mi permetto di consigliare, a proposito di false innocenze, il mio libro qui.

(Autopromozione, sì.)