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Peggio come previsto /3

Durante la discussione sul ddl Zan il Carroccio ha presentato 672 emendamenti. Secondo Salvini è così che si dialoga sulla norma, «come chiede il Santo padre». Mentre il leghista Borghi rispolvera l’inqualificabile assonanza tra Lgbt e Hiv

La discussione sul ddl Zan continua, anche se l’attenzione che ci sta intorno sembra un po’ calata perché sostanzialmente della legge (così come di tutto il resto) interessa parlarne solo quando serve a macinare un po’ di propaganda.

La giornata di ieri è stata significativa perché ha svelato per l’ennesima volta le reali intenzioni, i modi e gli interessi dei partiti in campo. Vale la pena farne un riassunto.

Partiamo dalle dichiarazioni: Renzi dice che in Senato “non ci sono i voti” continuando a dimenticare che i voti che mancano sono i suoi e l’altro Matteo (Salvini) annuncia di incontrare «alcune realtà del mondo gay» (probabilmente citofonando a qualcuno indicato da qualche suo elettore) augurandosi una giornata che metta «la parola fine allo scontro, con il dialogo». Dice Salvini: «Il dialogo è doveroso, lo chiede il Santo Padre, lo chiedono gli italiani».

Com’è andato il “dialogo” di Salvini? La Lega ha presentato 672 emendamenti, oltre a una ventina del presidente del Senato Calderoli (eh sì, Calderoli alla presidenza del Senato, ve lo eravate dimenticato siamo messi così). Ha perfettamente ragione Monica Cirinnà quando dice: «672 emendamenti solo dalla Lega . Concordati con Orbán? Ecco il dialogo auspicato da alcuni. Non abbiamo mai avuto dubbi. Condizioni politiche per mediazioni non ci sono mai state. Basta con la tattica. Basta insulti alla dignità delle persone. Ddl Zan subito e senza modifiche». Il dialogo è solo fuffa politica buttata lì per affossare tutto. Ora dovrebbe essere chiaro. 

Italia Viva aveva promesso di non presentare emendamenti e invece ne presenta quattro: due sono sottoscritti dal senatore Giuseppe Cucca insieme al capogruppo di Iv, Davide Faraone e altri due firmati da Cucca insieme al socialista Riccardo Nencini. Sempre a proposito di coerenza e di promesse labili.

In totale gli emendamenti superano quota mille per un testo di legge composto da nove articoli. Capite di cosa stiamo parlando?

Poi c’è la solita retorica. Totaro di Fratelli d’Italia dice «gli omosessuali sono specchietto per allodole da utilizzare per raggiungere determinati ambienti anche estremisti a cui si strizza l’occhio» facendo anche un po’ di revisionismo storico («Noi non accettiamo lezioni da Enrico Letta, da tutto quel mondo che rappresenta della sinistra perché abbiamo vissuto sulla nostra pelle la discriminazione dei vostri padri politici che discriminavano chi non la pensava come loro»).

Secondo il meloniano Iannone, il ddl Zan «vuole introdurre il gender in tutte le scuole di ogni ordine e grado». Aimi di Forza Italia ci illumina dicendo che «l’educazione appartiene al papà e alla mamma non deve entrare a scuola». La senatrice leghista Faggi (che ancora non ha imparato a coprirsi il naso con la mascherina) ci illumina dicendo: «Io ho fatto il sindaco venivo chiamata sindaca e dicevo no, sindaco perché non è un ruolo di genere ma di testa, di cuore» raccontandoci di avere «cresciuto una figlia da sola perché un uomo, mio marito mi ha lasciato dopo averla concepita. E sono riuscita da sola con il mio sesso, da donna» (sì, lo so, vi state chiedendo cosa c’entri con il ddl Zan: niente). Sul tavolo delle banalità e delle sciocchezze politiche si siede ovviamente di gran lena Daniela Santanchè che mette insieme tutte le banalità della destra: «Il ddl Zan serve a introdurre di fatto nel nostro ordinamento giuridico una fattispecie di reato cioè di opinione. Questa legge la vuole chi è schiavo del politicamente corretto. Il pensiero unico».

Ma l’apice lo raggiunge il leghista Borghi (che mica per niente è diventato noto per le sconclusionate cretinate che gli hanno fatto meritare qualche ritaglio di giornale) che twitta: «Terzo giornalista che chiama per sapere se sono vaccinato. Finora sono stato gentile, al prossimo parte il vaffanculo e la cancellazione dalla lista dei contatti. Perché questi eroi la prossima volta che intervistano un Lgbt non gli chiedono se è sieropositivo e se fa profilassi?”. Che l’Hiv fosse “la peste gay” e che le persone sieropositive siano da evidenziare con la linea viola intorno (ve la ricordate quella orrenda pubblicità?) era un’idea decaduta già negli anni 90. L’assonanza Lgbt=Hiv è qualcosa di bestiale da qualche decina d’anni ma Borghi, da buon leghista, riesce sempre a essere fuori dal tempo. Questi sono quelli con cui si dovrebbe mediare. Ognuno tiri le proprie conclusioni.

Buon mercoledì.

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Peggio come previsto /2

Secondo giorno di discussione del Ddl Zan in Senato, mentre continua la corrispondenza di amorosi sensi tra i due Mattei. Pensavate di avere ormai visto di tutto? No, per niente. Tenetevi forte…

Secondo giorno di discussione del Ddl Zan in Senato. Pensavate di avere ormai visto di tutto? No, per niente. Tenetevi forte.

Seconda giornata di discussione in Senato e continuano gli amorosi sensi tra i due Mattei, manco a dirlo. Dopo la bocciatura delle pregiudiziali, Palazzo Madama ha respinto anche la questione sospensiva sull’esame del provvedimento sul contrasto della discriminazione o violenza per sesso, genere e disabilità. Ma lo stop è passato solo per un voto: 136 senatori hanno votato per continuare la discussione, 135 per sospenderla. Molte le assenze, soprattutto nel centrodestra e infatti Giorgia Meloni si è parecchio arrabbiata perché avrebbero potuto facilmente “affossare subito” la legge. A proposito di mediazioni da trovare.

Ma la mediazione migliore è quella tra Renzi e Salvini e i loro scudieri: «Immaginate cosa potrà accadere con voto segreto. I numeri sono a rischio, serve un grande accordo perché a scrutinio segreto questa legge non passa», dice Renzi e Salvini ci mette del suo facendo venire il dubbio che condividano lo stesso ufficio stampa dicendoci che «Se Letta e il Pd insistono a non voler ascoltare, dialogare e trovare una soluzione, la legge è morta». Poi interviene Salvini e i renziani si sono prodotti in un fragoroso e sentimentalissimo applauso. Ma non solo: Monica Cirinnà del Pd pubblica il video (del resto non è politicamente rilevante che salviniani e renziani si corteggino con tanto trasporto?) e il capogruppo Faraone si arrabbia: «La senatrice Cirinnà ha pubblicato un video fatto col suo telefonino rendendomi oggetto di una lapidazione social», ha detto raccogliendo la solidarietà della presidente del Senato. Capito? Nemmeno un dubbio che la “lapidazione social” (che loro chiamano di solito dissenso quando viene praticata dai loro fan) sia dovuta a un comportamento pessimo. Nessuno.

Poi c’è la carrellata di cretinerie che si sono trasferite dai peggiori giornali di destra direttamente in Aula. Barbaro di Fratelli d’Italia dice: «Ognuno deve essere libero di esprimere opinioni anche non condivise. Non possiamo permettere la limitazione della libertà di pensiero». E ha ragione, infatti non c’è nessuna limitazione di pensiero a patto che chi esprime un’opinione si ricordi di tenere in cantina i manganelli. Perosino (sempre di FdI) ci fa sapere che «tra l’altro anche i musulmani sono contrari al #ddlZan » dicendoci che questa legge «è la costruzione di un concetto nichilista della società, ha gli stessi sintomi della caduta dell’impero romano». Ah beh. Poi è il turno del fuoriclasse leghista Pillon: «Si potrà dire che due uomini sono famiglia, due donne sono famiglia…». Pensa te. E poi: «I bambini hanno diritto a non essere acquistati su internet«. E poi ancora: «Tutti abbiamo esultato per la vittoria dell’Italia agli Europei. È stato interessante vedere quale è stata la prima reazione dei giocatori. Non hanno telefonato al genitore 1 o al genitore 2. Hanno chiamato la mamma».

Vale riprendere le parole di Simone Alliva (preziosissimo nel seguire l’iter e la discussione della legge) che dice: «L’attacco sistematico a forme non eteronormate di identità è la musica di queste giornate in Senato sul #ddlZan. Sortisce l’effetto di trasformare in oggetto ridicolo o degradato chiunque non corrisponda agli standard. Così si può odiare senza vergognarsi. Perché si odia qualcuno che non è più umano, che è stato disumanizzato. Per odiare delle categorie di persone prima è necessario disumanizzarle. Lo ha fatto per lunghissimi minuti Pillon parlando di persone transgender e ridicolizzando la varietà della comunità».

Insomma se ci pensate è sempre il solito gioco contro i fragili o i disperati: una volta erano i terroni, poi i migranti, poi i poveri, poi i giovani, poi gli studenti e ora la comunità Lgbt. Per questo l’attuale dibattito è qualcosa che ci interessa molto da vicino: per affermare i diritti la Storia ci insegna che bisogna sempre scavalcare gli avvelenatori di pozzi travestiti da benpensanti.

Buon giovedì.

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Peggio come previsto

L’ostruzionismo delle destre, la sponda dei renziani, gli schiamazzi in Aula. Nel primo giorno di discussione del ddl Zan in Senato abbiamo assistito a ipocrisie, menzogne e strategie immorali di chi lucra sulla pelle delle persone

Volevate vedere il primo giorno di discussione del ddl Zan in Senato? Eccovi accontentati. La giornata di ieri è la fotografia che racconta tutto l’irraccontabile, le menzogne, le false visioni e le immorali strategie di quelli che lucrano sulla pelle delle persone per racimolare un po’ di voti, un po’ di visibilità e per inventare trucchi pur di non scomparire.

La fotografia della prima giornata in Senato della discussione del ddl Zan è il video che mostra la destra scimmiescamente concitata mentre schiamazza per evitare di parlare. Leggete bene: impediscono perfino di parlare e parlare in Parlamento, lo dice anche il gioco di parole, è l’elemento base della democrazia. Il video mostrato da Monica Cirinnà mostra esattamente la faccia di quelli con cui bisognerebbe “mediare”, “trovare un accordo”, “scendere a patti”, come se davvero non si sapesse che l’unico scopo che hanno Salvini, Meloni e compagnia cantante sia quello di affossare la legge. E, badate bene, non ci sarebbe nemmeno da preoccuparsi se non fosse che a fare sponda alla destra più becera continua a esserci la destra travestita da centrosinistra che corrisponde al sorriso sornione di Renzi e dei suoi fedelissimi.

Hanno cominciato con le pregiudiziali di costituzionalità (che sono un elemento ricorrente nel gioco d’Aula) che sarebbero state a voto palese e che quindi non avrebbero riservato sorprese: in questo largo mare di viltà le coltellate arriveranno nel segreto dell’urna, quando questi senatori che ci mostrano tutti i giorni cosa ingurgitano e cosa indossano potranno nascondersi dietro al proprio dito.

Lega e Fratelli d’Italia (quelli con cui Matteo Renzi vuole “mediare”) hanno chiesto al presidente della commissione Giustizia del Senato, nonché relatore del ddl Zan, il leghista Andrea Ostellari, di chiedere in Aula il rinvio del testo in commissione. Tutto questo ha solo un nome: ostruzionismo. Quello, solo quello. Voler trattare con gli ostruzionisti è una cretineria politica oppure semplicemente significa essere d’accordo con loro. Ognuno tiri le proprie somme.

A proposito di ostruzionismo valeva la pena vedere proprio Ostellari difendersi dalle (giuste) accuse di avere voluto ingolfare la legge dichiarando candido candido «io non ho pregiudizi». Basta farsi un giro su Google per trovare le sue partecipazioni a manifestazioni e convegni contrari alla legge. Questo è un record, siamo alle idee a sua insaputa.

La presidente del Senato Casellati fa la Casellati: sospende la seduta per convocare la riunione dei capigruppo facendoci sapere che l’aveva anche scritto sulla loro chat su whatsapp. Sembra una barzelletta ma è proprio così: per Casellati il Senato è un centro estivo che dura tutti i mesi dell’anno.

E indovinate un po’ chi ha appoggiato lesto lesto il ritorno in capigruppo? Eh, sì, proprio lui, Davide Faraone, l’avatar di Renzi in Senato: «Condivido pienamente le parole della senatrice Unterberger: verifichiamo in capigruppo se c’è un percorso per fare una legge insieme. Noi proporremo le nostre soluzioni in conferenza capigruppo». Poi Faraone esagera: «Mi sembra un incontro a favore di telecamere. Abbiamo il dovere di verificare se c’è un percorso da fare insieme per tutelare persone che soffrono solo perché vogliono esprimere il proprio amore». Le persone che soffrono intanto sono lì sotto al Palazzo per gridare a Faraone tutto l’amore che stanno provando per il loro atteggiamento. Renzi intanto si incensa da solo: «Se ci sono omosessuali che si possono sposare è perché noi abbiamo messo la fiducia», dice. Peccato che i gay in Italia non si possano sposare e che le unioni civili siano state fatte perché lo imponeva l’Europa.

Salvini (mentre i suoi abbaiano in Aula) dice che bisogna «ascoltare il Santo Padre». Si è dimenticato di ascoltarlo però quando parlava di accoglienza e di barconi nel Mediterraneo. Cattolico a intermittenza.

Alla fine Salvini dice di Renzi che le sue osservazioni «hanno un senso» e Renzi dice che «bisogna ascoltare e dialogare con Salvini».

Sipario.

E siamo solo all’inizio.

Buon mercoledì.

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“Donna, ricordati di procreare altrimenti non ti realizzi”

A destra la concezione dell’identità di donna è sempre la stessa dai tempi di Adamo: essa per la Lega o Forza Italia ha il supremo compito di partorire come accadeva in quei tempi in cui in Italia avevamo qualche problemino con la democrazia

Antonio Tajani è coordinatore nazionale di Forza Italia, mica uno qualunque. Uno dei suoi pregi, per chi ha uso di seguire la politica, è quello di essere sornione sempre allo stesso livello mentre si ritrova a parlar degli argomenti più diversi, come se recitasse a memoria il ruolo che Forza Italia si propone nel centrodestra: essere quelli “seri”, quelli “non populisti”, quelli “libertari” e così via.

Ieri Tajani era presente alla presentazione degli eventi della festa ‘Mamma è bello’ e ovviamente gli è toccato sfoderare qualche riflessione politica sul ruolo di mamma (i politici, quelli che funzionano sono così, hanno un’idea su tutto e un mazzo di slogan per qualsiasi occasione, dalla sagra della porchetta fino al complesso tema di maternità e famiglia) e così ha sfoderato la solita frase come una tiritera, forse rendendosi poco conto di quello che stava dicendo. «La famiglia senza figli non esiste», ha detto Tajani, e poi, tanto per non perdere l’occasione di peggiorare la propria figura ha deciso anche di aggiungerci che «la donna non è una fattrice, ma si realizza totalmente con la maternità».

Ma come? Ma Forza Italia non è proprio il partito delle libertà? Niente: Tajani non si è nemmeno reso conto di essere riuscito in pochi secondi a tagliare completamente fuori migliaia di persone che avrebbero tutto il diritto di sentirsi feriti dalle sue parole. Mettere in dubbio la legittimità di un amore e di una famiglia, del resto, sembra essere diventato il giochino del momento dalle parti del centrodestra e così le famiglia che non hanno figli e quelle che non ne possono avere improvvisamente si accorgono di essere meno degne di tutti gli altri. E badate bene, qui siamo addirittura oltre al solito attacco alle coppie omosessuali: qui siamo proprio a un’idea di donna che ha il supremo compito di partorire come accadeva in quei tempi in cui in Italia avevamo qualche problemino con la democrazia.

Molti sono inorriditi, giustamente e si sono lamentati ma in fondo è proprio sempre la stessa idea di mondo, anche se esce con toni e con modi diversi, che nel centrodestra si coltiva da anni: «Le donne preferiscono accudire le persone, gli uomini preferiscono la tecnologia», ha detto ieri a Piazza Pulita (solo per citare uno dei tanti esempi) Alberto Zelger, consigliere comunale della Lega a Verona.

Insomma, anche oggi, care donne vi è stato ricordato il sacro comandamento di realizzarvi solo attraverso la procreazione. E se è vero che qualcuno potrebbe fregarsene della sparata di Tajani, come accade per le boiate di Salvini, occorre ricordare che questi sono leader di partiti che decideranno come spendere i soldi che dovrebbero servire per rimettere in piedi l’Italia, sono lì a stabilire quali dovrebbero essere le priorità. E questo, vedrete, è molto di più di una semplice frase sbagliata.

Buon venerdì.

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La vigliaccheria fiscale

Aumento dei ricavi per Amazon Europa che nel 2020 è arrivata a 44 miliardi di euro. Ma zero tasse. Si diceva che dalla pandemia sarebbe uscito un “nuovo mondo”… Ecco, per ora è esattamente come prima, con i ricchi sempre più ricchi. E una questione enorme politica che passa sottovoce

Complice la pandemia che è stata tutt’altro che una livella per sofferenza dei diversi lavoratori e per danni alle diverse aziende la ricchissima Amazon del ricchissimo Bezos è diventata ancora più ricca aumentando di 12 miliardi i ricavi rispetto all’anno precedente in Europa e arrivando a un totale di 44 miliardi di euro.

Poiché i numeri sono importanti vale la pena ricordare che sono 221 miliardi circa tutti i soldi che l’Italia ha a disposizione dall’Europa per risollevarsi. Giusto per fare un po’ di proporzioni. L’ultimo bilancio della divisione europea di Amazon (lo trovate qui) racconta della società con sede legale in quel meraviglioso paradiso per ricchi che è il Lussemburgo gestisce le vendite delle filiali di Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia, Spagna, Olanda, Polonia, Svezia. Ovviamente le tasse si pagano sui profitti, non certo sui ricavi, eppure le acrobazie fiscali di Amazon hanno permesso di risultare in perdita per 1,2 miliardi di euro nonostante un aumento del ricavo del 30%. «I nostri profitti sono rimasti bassi a causa dei massicci investimenti e del fatto che il nostro è un settore altamente competitivo e con margini ridotti», ha spiegato un dirigente di Amazon. Insomma, poveretti, lavorano per perderci. E infatti hanno accumulato 56 milioni di euro di credito d’imposta che potranno usare nei prossimi anni e che portano a 2,7 miliardi di euro il credito totale.

È incredibile che un’azienda che vale in Borsa quanto il prodotto interno lordo dell’Italia non riesca proprio a fare profitto o forse semplicemente i profitti vengono spostati altrove, complice la vigliaccheria fiscale di un’Europa che è sempre forte con i deboli ma è sempre piuttosto debole con i forti, come sempre. Attraverso compravendite fittizie infragruppo tra filiali dei diversi Paesi i guadagni vengono spostati da dove si realizzano a dove più conviene e le contromisure del Lussemburgo contro queste pratiche sono volutamente morbide.

In una nota la commissione Ue commenta: «Abbiamo visto quanto apparso sulla stampa, non entriamo nei dettagli, in linea generale la Commissione ha adottato un’agenda molto ambiziosa in materia di fiscalità e contro le frodi fiscali, nelle prossime settimane pubblicheremo una comunicazione e sul piano globale siamo impegnati con i partner internazionali nella discussione in corso» sull’equa tassazione delle imprese. Si tratta del negoziato per definire un’imposta minima globale per evitare la concorrenza fiscale al ribasso. Quanto agli aspetti di concorrenza, del caso Amazon/Lussemburgo il dossier resta in mano alla Corte di Giustizia Ue: il gruppo Usa e il Granducato hanno contestato la decisione comunitaria che nel 2017 concluse che il Lussemburgo aveva concesso ad Amazon vantaggi fiscali indebiti per circa 250 milioni di euro, un trattamento considerato illegale «ha permesso ad Amazon di versare molte meno imposte di altre imprese». Peccato che contro la decisione europea abbia ricorso Amazon (e questo ci sta) e perfino il Lussemburgo.

Sono numeri spaventosi che raccontano perfettamente come la guerra tra poveri e tra disperati non riesca mai a guardare in alto dove si consumano le ingiustizie peggiori. Vi ricordate quando si diceva che dalla pandemia sarebbe uscito un “nuovo mondo”? Ecco, per ora è esattamente come prima, con i ricchi sempre più ricchi. E invece una questione politica enorme passa sottovoce mentre i nostri leader stanno litigando sul bacio a Biancaneve.

Buon giovedì.

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Il vero allarme sicurezza

Pensateci bene, non avete la sensazione che il problema degli omicidi sia il primo problema della sicurezza in Italia? Non vi è capitato ogni volta, tutte le volte, di vedere rilanciato, di sentire dibattuto un delitto qualsiasi soprattutto se torna utile alle esigenze televisive (quindi con qualche efferatezza di cui disquisire in studio) o se torna utile alle esigenze della propaganda (e qui lo straniero viene perfetto)?

Se dovessimo disegnare il Paese come esce raccontato dai giornali e dalla televisione verrebbe da dire che gli omicidi siano moltissimi. Pensate ai morti sul lavoro e ai morti di lavoro: da 24 ore si parla (e per fortuna) della morte di Luana D’Orazio risucchiata da un macchinario tessile a Prato. D’Orazio è perfetta per la narrazione perché era giovane (22 anni), mamma da appena un anno e bella.

Eppure si muore più di lavoro che di omicidio: l’anno scorso 1.270 persone hanno perso la vita sul lavoro e gli omicidi sono stati 271. Se le emergenze devono essere pesate con i numeri l’allarme sicurezza che dovrebbe far strepitare la classe politica e su cui si dovrebbero accapigliare dovrebbero essere questi morti. Attenzione, quest’anno sta andando tutto molto peggio: le denunce di infortunio sul lavoro con esito mortale presentate all’Inail entro il mese di marzo sono state 185, 19 in più rispetto alle 166 registrate nel primo trimestre del 2020 con un incremento dell’11,4%. Per capirsi: lo scorso 29 aprile una trave aveva ceduto nel deposito Amazon di Alessandria causando un morto e 5 feriti, a Taranto un gruista di 49 anni è morto precipitando sulla banchina e a Montebelluna (Treviso) un operaio di 23 anni era stato investito da un’impalcatura, morendo sul colpo. Tre morti in un giorno.

Parlare dei morti sul lavoro è molto meno redditizio dell’altra “sicurezza” di cui si ciancia un po’ dappertutto: c’è da mettere mano a una normativa che risale al 1965 e il Decreto 81 del 2008 che ha ampiamente superato i 10 anni non ha mai visto il completamento di alcuni articoli che attendono ancora la firma di una ventina di decreti attuativi che avrebbero dovuto renderli operativi.

E se qualcuno pensa che sia inaccettabile morire a 22 anni sul lavoro allora vale la pena rileggere la dichiarazione di ieri della madre di Luana D’Orazio: «Sul lavoro non devono morire né ventenni, né trentenni, né più anziani, sono tutte vite umane».

Buon mercoledì.

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Il sottosegretario dei migliori

Fanpage in una sua inchiesta che (c’è da scommetterci) difficilmente passerà nei telegiornali nazionali racconta la transizione politica dell’attuale sottosegretario all’Economia Claudio Durigon, uno dei fedelissimi di Salvini (e infatti per niente amato dalla Lega vecchia maniera). Ve lo ricordate Matteo Salvini quando tutto fiero presentava i suoi uomini nel governo Draghi? «Questo è il governo dei migliori?» gli chiese una giornalista e lui rispose «certo questi sono gli uomini migliori della Lega».

Bene, eccolo il migliore: come racconta benissimo Fanpage, Durigon è uno che avrebbe gonfiato i dati degli iscritti del sindacato Ugl di cui era dirigente, riuscendo a dichiarare 1 milione e 900mila iscritti mentre erano (forse) 70mila. Sapete che significa? Che stiamo continuando a parlare di una rappresentatività dopata che non esiste nella realtà (questo anche a proposito del nostro Buongiorno di ieri sulla sparizione del salario minimo dal Pnrr, su cui torneremo). Durigon da sindacalista ha avuto piena gestione sulla cassa da cui potrebbero essere passati i movimenti che la Lega non era libera di fare per quella storia dei suoi 49 milioni di euro. Durigon ha fatto prostituire un sindacato (pompato) alla Lega per ottenere qualche candidatura. Poi ci sono le amicizie che sfiorano certa criminalità organizzata nel Lazio (ma i lettori più attenti lo sapevano da tempo che certi clan hanno fatto campagna elettorale nel Lazio per Lega e Fratelli d’Italia) e infine c’è quella registrazione vergognosa in cui Durigon tutto sornione confida di non avere nessuna preoccupazione sulle indagini sui soldi della Lega perché il generale della Guardia di Finanza che se ne occupa è un uomo che hanno “nominato” loro: «Quello che fa le indagini sulla Lega lo abbiamo messo noi»

Tutto grave, tutto gravissimo. Tra l’altro fa estremamente schifo anche questo atteggiamento di politici con il pelo sullo stomaco che ancora si atteggiano come i peggiori politici socialisti, i peggiori unti democristiani che sventolavano il potere come se fosse un mantello, per piacere e per piacersi. Fa schifo questa esibizione dello scambio di favori. Fa schifo tutto.

Fa schifo anche Salvini che ieri alla Camera ha risposto ai rappresentanti del M5s che sottolineavano l’inopportunità di un tizio del genere come sottosegretario mettendosi a parlare di Grillo. Il solito gioco da cretini di buttare la palla in tribuna. Il solito Salvini. Se posso permettermi è parecchio spiacevole anche il composto silenzio del Pd che vorrebbe rivendere il poco coraggio come diplomazia. Siamo alle solite.

C’è però anche un altro punto sostanziale: della vicinanza tra Durigon e uomini della criminalità organizzata durante la sua campagna elettorale ne avevano scritto un mese fa Giovanni Tizian e Nello Trocchia su Domani, degli intrecci mafiosi su Latina ne scrivono da anni dei bravi giornalisti chiamati con superficialità “locali” e che invece trattano temi di importanza nazionale. Sembra che non se ne sia mai accorto nessuno e questo la dice lunga sulla percezione che in questo Paese si continua ad avere della criminalità organizzata. Anche questo fa piuttosto schifo.

Buon venerdì.

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E anche Beppe Grillo scoprì cos’è il giustizialismo

Caro Beppe Grillo, ti do una notizia: tutti gli accusati, anche quelli dei crimini peggiori, anche quelli che subiscono processi che durano anni e che poi finiscono in niente, perfino quelli che vengono arrestati e subiscono detenzioni che poi si dimostrano ingiuste, tutti hanno un padre, molti sono padri, esattamente come accade a te con tuo figlio Ciro.

Caro Beppe Grillo, ti do un’altra notizia: in un Paese che avrebbe di che occuparsi per le malefatte compiute personalmente da politici e governano che (con sentenza definitiva) sono stati ritenuti colpevoli di deprecabili azioni che hanno danneggiato l’amministrazione pubblica e quindi il Paese e i cittadini, già da qualche anno si è presa l’abitudine di rovistare anche nelle colpe dei figli, dei genitori e perfino degli amici per reati che non hanno niente a che vedere con il loro ruolo.

Forse di questo te ne ricordi perché, mentre c’erano tutti gli elementi legittimi per costruire una critica (anche feroce) politica contro certi leader di partito, si è preferito invece rovistare nel casellario giudiziario dei loro congiunti.

E guarda, caro Grillo, te lo scrive uno che è tutt’altro che garantista peloso, di quel garantismo che viene troppo spesso sventolato per proteggere i colletti bianchi: eppure ho sempre creduto che ci siano evidenze giudiziarie talmente importanti su un Berlusconi (per dirne uno qualsiasi) che alla fine ho avuto la sensazione che occuparsi dei suoi presunti reati minori (come le sue abitudini sessuali) fosse un favore che gli abbiamo concesso mentre il suo braccio destro è condannato definitivo per mafia.

Io non so se tuo figlio, caro Beppe Grillo, sia innocente o colpevole. Mi auguro che sia innocente e mi auguro che possa risolversi il dolore dei presunti assassini come quello della presunta vittima.

Comprendo anche il tuo dolore da genitore, ma vivo in un Paese in cui credere nella Giustizia è elemento fondante per la tenuta democratica: lo avete ripetuto anche voi per anni, lo scrivono tutti i giorni i giornalisti che ti sono più vicini.

Forse il tema vero su cui varrebbe la pena riflettere è che, prima o poi, nella vita potrebbe capitare di essere sotto accusa o terribilmente fragili e hai ragione quando dici che fa schifo usare tutto questo come clava per fare politica.

Il tuo sfogo è comprensibile, umanissimo ma sei sicuro di non avere contribuito al clima da bastonatori irridenti degli sfoghi degli altri? Non è un’accusa, sia chiaro: è una riflessione politica. Ah, hai ragione, questa speculazione fa schifo.

Leggi anche: Beppe Grillo: “Mio figlio non è uno stupratore. Allora arrestate me”

L’articolo proviene da TPI.it qui

Le assurde parole con cui Giorgia Meloni giustifica l’astensione di Fdi su Patrick Zaki

Sono 24 ore che mi scervello sulle giustificazioni della leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, circa il voto di astensione in Senato per l’ordine del giorno che impegna il Governo “ad avviare tempestivamente le necessarie verifiche” per concedere la cittadinanza italiana a Patrick Zaki, lo studente egiziano dell’Università di Bologna agli arresti nel carcere egiziano di Tora dal 7 febbraio del 2020.

Ho sperato anche che Giorgia Meloni o qualcuno dei suoi spendesse qualche altra parola, che a qualcuno gli scappasse almeno uno sputo di tweet o una cosa qualsiasi per capire come possa una decisione presa in così larga maggioranza essere “un’ingerenza del Parlamento italiano”.

A cosa serve, secondo Giorgia Meloni, il Parlamento, se non proprio a intervenire in fatti di propria pertinenza? Cosa c’è di più significativo, per un Parlamento, dell’occuparsi di diritti da rispettare nei confronti di uno studente che proprio in Italia è stato libero per l’ultima volta e che è illegalmente detenuto in uno Stato che ha ammazzato poco prima uno studente italiano e con cui commerciamo amabilmente armi?

Mi pare tutto così chiaro, limpido, facile. Ci sono arrivati perfino i leghisti, per dire. Poi mi chiedo come la cittadinanza italiana a Patrick Zaki potrebbe “non aiutarlo” (parole sempre buttate a caso da Giorgia Meloni): ma non è proprio lei che da anni urlaccia sulla sua “patria” che deve farsi rispettare nel mondo? Ma non è proprio lei che da anni se la prende con il governo di turno per lamentare una mollezza sulla politica nazionale che, a suo dire, svergognerebbe tutti gli italiani?

E ora che potrebbe semplicemente schiacciare un pulsante (non le si chiede nulla di eroico, sia chiaro), proprio lei che vorrebbe essere quella del partito dei patrioti senza paura, ora balbetta quattro scuse sconclusionate senza senso?

Poi mi sono detto che forse non è la stessa Giorgia Meloni che, a proposito di “ingerenze”, viaggia in giro per l’Europa e per il mondo per incontrare i peggiori paradittatori sovranisti cercando di coltivare alleanze che mettono in seria crisi la credibilità dell’Italia in Europa e nel mondo. E invece no, è proprio lei.

Eppure Giorgia Meloni si è detta “solidale”. Ma come? Ma quindi non ha nemmeno il coraggio di dire che non gliene frega niente? Almeno sarebbe stata una posizione con una sua logica, qualcosa di comprensibile.

Poi ho pensato che ha un nome l’atteggiamento di Giorgia Meloni, una parola semplice semplice: vigliaccheria politica, condita con un po’ di esigenza di farsi notare.

Leggi anche: Draghi dì qualcosa: ora abbiamo bisogno di una data (e di una soglia) per sapere quando ne usciremo (di Giulio Cavalli)

L’articolo proviene da TPI.it qui

Draghi dì qualcosa: ora abbiamo bisogno di una data (e di una soglia) per sapere quando ne usciremo

Se mancano i dati, se mancano i riscontri reali, se mancano le spiegazioni precise allora diventa facile governare e farsi governare dall’emozione. Al netto di chi in questi mesi continua a lucrare sulla disperazione della gente con vergognose operazioni di sciacallaggio si può dire che in questo anno di pandemia abbiamo assistito e continuiamo ad assistere a comunicazioni contraddittorie, confuse e molto spesso lacunose.

È un tema tutto politico: se continuano a mancare informazioni precise sulle misure prese e sugli impatti attesi dalle limitazioni che vengono imposte, l’aspetto emozionale (e il lucrare sulla limitazione di libertà) riuscirà sempre a trovare terreno fertile. 

Per capirci: le scuole sono state riaperte con dati peggiori rispetto a quando erano state chiuse e il ministro Speranza ha dichiarato, riconoscendo la cosa, che la scelta è stata fatta in correlazione con le vaccinazioni fatte (vaccinazioni ad insegnanti che sono state sospese) e per “investire sui giovani”.

La risposta, legittima, però cozza con le iniziative che non sono mai state prese sui trasporti, sulla ventilazione meccanica in classe e soprattutto con un rischio in ambito scolastico che non è mai stato spiegato lucidamente. Abbiamo ascoltato tutto e il suo contrario e la scuola è solo uno dei tanti esempi possibili.

Chi per lavoro ha viaggiato in questi mesi di pandemia sa benissimo che le distanze che vengono imposte sui treni a lunga percorrenza sono molto diverse rispetto ai protocolli di un semplice volo aereo, per non parlare della drammatica situazione del trasporto locale. 

Qui non si discute, sia chiaro, dell’importanza di arginare il virus e di non mandare in tilt il sistema sanitario ma avere un chiaro e periodico flusso di dati a disposizione permette una lucida valutazione delle proporzioni delle restrizioni: se non c’è chiarezza e accesso ai dati viene difficile anche valutare la bontà delle decisioni prese dalla politica.

USA e Gran Bretagna hanno fissato date per le riaperture sulla base di dati chiari e sottoposti ai cittadini. Non si tratta di aprire tutto e subito come chiedono gli sconsiderati ma forse Draghi dovrebbe sentire il dovere di fissare un’asticella (di contagi, di pressione ospedaliera, di numero totale di infetti) sotto la quale allentare i divieti.

Non è solo una questione di virus, è questione di controllo della democrazia, di trasparenza e responsabilità: comunicare con chiarezza tiene in equilibrio il patto sociale, altrimenti diventa solo una questione di pancia.

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