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Paragone: “Non illudetevi, Grillo e Di Battista hanno visioni diverse per M5S. Io ora mi faccio un partito”

Gianluigi Paragone: “Grillo e Di Battista hanno visioni diverse per il M5S”

Gianluigi Paragone è stato eletto senatore con il Movimento 5 Stelle ma il 1 gennaio di quest’anno è stato espulso dal collegio dei probiviri per avere votato contro la legge di bilancio. L’abbiamo intervistato per TPI sull’attuale momento del M5S.

Paragone, partiamo dallo scontro Grillo-Di Battista: che succede?
Facile: Alessandro (Di Battista nda) ha ancora dentro il dna del movimento antisistema, Grillo invece ha completamente maturato la scelta di portare il Movimento dentro al sistema. Uno scontro tra due visioni: una forse onirica e l’altra più politicante.

Appare chiaro però che il famoso “uno vale uno” ormai valga poco…
Grillo è sempre stato il padre padrone del Movimento. C’è stato un momento in cui, forse più per esigenza personale, ha fatto un passo di lato però nel momento in cui il Movimento doveva andare là dove aveva deciso che andasse ha esercitato quello che esercitava prima, il diritto divino, il diritto del signore feudale. È un partito che nasce grillino.

Alcune voci dentro il Movimento 5 Stelle dicono che Di Battista vorrebbe vincere il congresso con i voti di quelli che ormai sono tutti fuori…
Se “quelli fuori” sono quelli che sono stati espulsi, quelli che se ne sono andati e quelli che non votano più il Movimento stiamo parlando di circa la metà del patrimonio elettorale del Movimento, questo la dice lunga sulle capacità di analisi di alcuni dentro il M5S. Queste non sono malelingue, sono lingue che ormai parlano il linguaggio del palazzo.

Ma secondo lei c’è lo spazio perché il M5S recuperi lo spirito originario oppure ormai la strada verso la maturità politica è segnata?
A me non fa paura una grammatica politica-partitica. Mi fa paura la tesi che sfugge. Cosa succederà non lo so e onestamente non me ne frega più nulla, non sono qui a sfogliare l’album dei ricordi. Qualcuno ha visto nascere il Movimento e quindi è mosso da un afflato di questo tipo però a me interessa dare una soluzione a dei problemi reali, poi ognuno la questione sociale la poggia sulla propria tesi politica. A me interessa lo spaccato sociale.

Secondo lei la rovina del M5S è stato l’accordo con il PD?
La rovina è non avere avuto una struttura politica in grado di fare maturare delle sensazioni, vale per l’economia e per la giustizia. Siccome non avevano una tesi politica hanno sfruttato delle figure che erano figurine ma il Movimento viveva di suggestione, che non è per forza negativo, ma quelle suggestioni dovevano trasformarsi in tesi politiche. Questo passaggio non è stato compiuto, e forse avevano paura di compierlo, si sono poggiati su figurine che dessero sostanza alla suggestione e le hanno prese dalla società civile, come il sottoscritto, Freccero, Di Matteo.

Però poi quando ognuno di costoro ha continuato a dire le cose che ha sempre detto allora è diventato un problema: io ho sempre detto che non ero europeista e ho rivendicato questa scelta anche successivamente e nel programma elettorale del Movimento il karma era antieuropeista. A Nino Di Matteo non puoi chiedere di stare zitto quando vede cose che configgono con l’azione antimafia.

Il suo futuro politico?
Il mio futuro è teso a costruire una forza totalmente antisistema e antieuropeista.

Il Movimento 5 Stelle si spaccherà?
Io non lavoro per fare del male al Movimento, anche perché è un esercizio che gli riesce benissimo. Io lavoro per dare concretezza politica a chi pensa che quello che io ho raccontato e ho scritto debba avere un riscontro nell’azione politica. Per questo mi voglio impegnare questa volta costruendo un soggetto mio così nessuno può sbattermi fuori.

Leggi anche: 1. Paragone a TPI: “I dirigenti M5S cadono a ogni mia provocazione, me li sto bevendo. Mi espellano, il Movimento è morto” / 2. Paragone a TPI: “Mi cacciano dal M5S? Vediamo, ma io non faccio nessuna scissione. Di Maio non deluda le aspettative” / 3. Il M5S è un fantasma che cammina sulle sue gambe

4. Grillo: “Assemblea M5S? Senso del tempo come nel film Il giorno della marmotta” / 5. Conte leader del M5S? È scontro tra il fondatore Beppe Grillo e “il ribelle” Alessandro Di Battista / 6. Il quotidiano spagnolo Abc: “Nel 2010 il Venezuela di Chavez finanziò il M5S con 3,5 milioni di dollari”. Caracas smentisce

L’articolo proviene da TPI.it qui

Come ti sconsiglio l’aborto in Umbria

In Umbria governa Donatella Tesei  la quale ha pensato bene che uno dei più annosi problemi da risolvere nella regione fosse allungare il tempo di ricovero per l’interruzione di gravidanza volontaria farmacologica, da sempre come sapete una delle fobie di leghisti e destrorsi vari che sognerebbero di abolirlo per intero, l’aborto.

Nel 2018 la Regione Umbria aveva introdotto la possibilità di abortire grazie alla pillola Ru486 entro la settima settimana di gravidanza e aveva chiesto a tutti gli ospedali di organizzarsi in modo che le donne potessero effettuare l’interruzione della gravidanza grazie a una prestazione di day hospital o anche solo grazie a un servizio di assistenza domiciliare. La possibilità di rinunciare alla gravidanza con la pillola Ru486 è utilizzata oltre il 90% dei casi in nord Europa, per il 60% in Francia e solo per il 18% in Italia.

Ora la Tesei e la sua Giunta hanno deciso che serviranno almeno tre giorni di ricovero obbligatori per accedere all’interruzione di gravidanza farmacologica, cianciando di non si sa bene quale maggiore tutela considerando che in nessun Paese al mondo l’aborto farmacologico avviene al di fuori del regime di day hospital. Per scoprire perché un’azione sia stata intrapresa basta osservare chi è il primo che esulta: in Umbria ha esultato tantissimo il senatore ultraconservatore della Lega Simone Pillon, promotore del Family Day nonché commissario della Lega in Umbria.

Sono riusciti a rendere ancora più difficilmente sostenibile, soprattutto psicologicamente, il ricorso all’interruzione di gravidanza. Non è un caso, no, è una lucida strategia che si inventa qualsiasi passaggio punitivo pur di scoraggiare un atto che non hanno il coraggio di discutere deliberatamente faccia a faccia con le donne. Il fatto poi che in tempi di Covid si aumentino i giorni di degenza, mentre i malati non riescono nemmeno a ottenere le cure che gli spettano, rende tutto talmente goffo da risultare tragicamente imbarazzante.

Buon martedì.

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Con l’Egitto non servono “progressi”: serve la verità

Vendereste armi a qualcuno che vi ha massacrato un giovane studente e che si è inventato di tutto prima di ammettere a mezza bocca solo che tutto quello che aveva cercato di dire per depistare è falso? Pensateci bene. Vendereste armi a un Paese che ha poi ripetuto lo stesso schema con uno studente, questa volta non italiano ma praticamente adottato dalla città di Bologna dove studiava all’università, arrestato lo scorso 7 febbraio e tutt’ora in attesa di un giusto processo e sottoposto a una detenzione che solleva più di qualche dubbio?

Il Paese in questione è l’Egitto e i due studenti sono Giulio Regeni e Patrick Zaky. A Regeni, come sappiamo tutti, è andata molto peggio e non è un caso che i suoi genitori giusto pochi giorni fa abbiano ribadito di essere molto delusi dalle istituzioni italiane.

Con l’Egitto l’Italia sta trattando per un affare militare del valore di 9-11 miliardi di euro e il presidente del Consiglio Conte qualche giorno fa ha dato il via libera per la vendita di due fregate Fremm. Vendere armi a un regime è già qualcosa di orrendo, venderle a un Paese che insiste a prenderci in giro sulla morte di Regeni è qualcosa di insulso.

Ieri Liberi e Uguali ha presentato un’interrogazione al ministro Di Maio (se vi chiedete se governino insieme la risposta è sì, torniamo al #buongiorno di ieri della simbologia che annoia) in cui chiedeva conto di questa torbida situazione con Al-Sisi e il ministro Di Maio ha risposto precisando che «resta ferma la nostra incessante richiesta di progressi significativi nelle indagini sul caso del barbaro omicidio di Giulio Regeni. Il governo e le istituzioni italiane continuano ad esigere la verità dalle autorità egiziane attraverso una reale, fattiva ed efficace cooperazione».

Ed è una frase che non vuol dire nulla. Non c’è nessuna cooperazione tra Egitto e Italia sulla questione Regeni: l’hanno detto in molti, tra cui quelli che indagano. Esigere la verità stringendo accordi è quantomeno curioso. Di Maio ha anche aggiunto: «l’Egitto resta uno degli interlocutori fondamentali nel quadrante Mediterraneo, nell’ambito di importanti dossier, come il conflitto in Libia, la lotta al terrorismo e ai traffici illeciti, nonché la gestione dei flussi migratori e la cooperazione in campo energetico».

Ecco, no, non ci siamo proprio. Qui non servono “progressi”, non ci si avvicina ad annusare la verità. La verità è una, limpida e manca.

Grazie.

Buon giovedì.

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Abolire i Decreti Sicurezza, piuttosto che inginocchiarsi?

La vicenda di come la politica italiana stia declinando qui da noi ciò che accade negli Usa è altamente indicativa di una messa in scena che sembra avere preso il sopravvento sulle responsabilità di governo. Alcuni membri del Parlamento, di quelli che al governo ci sono, hanno deciso di inginocchiarsi come segno di solidarietà per la morte di George Floyd e per i diritti di tutti gli oppressi di qualsiasi etnia. Il gesto ha un’importante valenza simbolica, soprattutto alla luce della narrazione tossica che certa destra sta facendo della rivoluzione culturale in atto negli Usa che qualcuno vorrebbe banalizzare in qualche vetrina spaccata perdendo il focus e il senso del tutto.

Bene i simboli, benissimo. Però da un governo che si dice solidale con chi sta lottando contro la discriminazione ci si aspetterebbero anche degli atti politici, mica simbolici. I decreti sicurezza di salviniana memoria, ad esempio, sono una perfetta fotografia: criticati da ogni dove quando furono applicati durante il governo Conte I divennero la bandiera del centrosinistra su ciò che non si doveva fareAll’insediamento del Conte II ci dissero che l’abolizione di quei decreti sarebbe stata una priorità. La priorità è praticamente scomparsa. E pensandoci bene è scomparso anche tutto il dibattito sullo ius soli e sullo ius culturae che nessuno da quelle parti ha nemmeno il coraggio di pronunciare.

Così noi dovremmo accontentarci di una classe politica che fa esattamente quello che possiamo fare noi semplici cittadini scendendo in piazza come se non avessero loro le leve per modificare le cose. È tutto solo manifestazione d’intenti come se fossimo in eterna campagna elettorale e non ci sia un governo regolarmente insediato. Se invece il problema sta nell’alleanza con il Movimento 5 Stelle che è contrario all’abolizione dei decreti e a un serio percorso di integrazione e di diritti allora sarebbe il caso di dirlo e di dirlo forte per chiarire il punto agli elettori disorientati.

Non si governa con i simboli. Non basta più. I dirigenti non manifestano, agiscono.

Buon mercoledì.

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“Il problema degli Usa sono 400 anni di schiavitù, ma qui in Italia non siamo messi meglio”: parla Igiaba Scego

Igiaba Scego è una scrittrice di origini somale che vive a Roma. Da sempre si occupa di stranieri, di integrazione e di diritti. Il suo ultimo libro è “La linea del colore” edito da Bompiani che ha come protagonista una donna afroamericana dell’ottocento che scopre l’Italia. L’abbiamo intervistata per TPI.

Negli USA è in atto una vera e propria rivoluzione culturale. Lei si occupa da anni di questi temi, come vede la narrazione di ciò che accade?
Due tipi di narrazione. Quella dei media mainstream che non hanno capito niente di quello che sta succedendo: stanno osservando questi movimenti con delle lenti molto vecchie e anche sbagliate. Quando mi tolgo gli occhiali io che sono miope vedo tutto sfocato e molti media mi hanno dato questa stessa sensazione, tranne alcune eccezioni come la giornalista de Il Manifesto Marina Catucci, veramente puntuale, Arianna Farinelli, Martino Mazzonis. Questo mi ha meravigliato perché l’immaginario statunitense è molto popolare, si pensa “almeno li conosciamo” e invece no. Noto la stessa nebulosità che scorgo quando si parla di Africa. Poi per fortuna c’è quella che arriva da giornali e esperti in lingua originale. E devo dire che è quello che mi ha aiutato ad orientarmi. Per esempio non mi perdo mai i commenti della professoressa Ruth Ben Ghiat che da anni ci spiega i meccanismi dello stato americano.

Quale distorsione nota più delle altre?
Questo parlare di saccheggi piuttosto che parlare del cuore del movimento. Molti giornali non hanno raccontato ai lettori cosa c’era prima, quei 400 anni di oppressione. Mancano ponti tra qui e lì. Io sono scrittrice e la stessa cosa la vedo nell’editoria: l’editoria italiana ha pubblicato negli ultimi anni moltissimi afroamericani ma non c’è stato quel passaggio necessario da editoria ai giornali e media in genere che aprisse un sano dibattito su questi libri e permettesse una loro diffusione anche scolastica.

Quindi si è perso ciò che è avvenuto negli anni precedenti, non ci sono stati ambasciatori e ponti. Si arriva così a non capire perché questa lotta è così lunga, non si riflette sulla genesi della schiavitù, questo è un grosso gap scolastico che non ha permesso a molti italiani di capire fenomeni come schiavitù, segregazioni negli USA e perfino lotte per i diritti civili. Pochi hanno letto Toni Morrison, anche tra i professionisti dell’informazione. E quindi mi ha colpito questo indugiare su aspetti marginali senza andare al cuore del problema. Manca una preparazione all’America, io ho visto “molta ignoranza”. Molto non sapere. Quello che si conosce è solo superficiale.

Negli USA il dibattito si è aperto non solo sulla violenza che ha portato per ultimo alla morte di Floyd, ma anche sulla profilazione razziale delle Forze dell’Ordine. C’è un razzismo insito anche nella gestione italiana secondo lei?
Sulla polizia non saprei dirti. Posso dirti che loro, negli USA, hanno questa storia di schiavitù ma da loro anche chi è contro i neri sa cosa è successo mentre in Italia quello che c’è dietro di noi, come il colonialismo, non è molto conosciuto, c’è una rimozione totale e non ci fa capire che quegli stereotipi continuano a agire sui corpi del presente. A me ha sempre colpito come per esempio le leggi italiane sull’immigrazione si basino quasi sempre su un modello astratto, su questo cosidetto altro che non è un potenziale cittadino ma un potenziale suddito coloniale, il modello è quello del sudditto somalo, eritreo o libico dei tempi del colonialismo italiano. si continua cos’ a perpetuare l’idea dello straniero nella legislazione come suddito, una persona senza diritti.

Non è un caso che la Bossi-Fini e i Decreti Sicurezza più la mancata riforma sulla cittadinanza siano delle costanti nella politica italiana, perché vale lo ius sanguinis e non lo ius soli o lo ius culturae, un Paese trincerato nel suo sangue che poi se lo andiamo a “analizzare” storicamente questo famigerato sangue risulta essere è quello più meticcio del mondo. Questo mi sconvolge, questa storia passata mai discussa che si ripresenta in forma di legge e ci incasina il presente, il modello è ancora quello coloniale sarebbe interessantissimo che i giuristi ci lavorassero su questo, su come decolonizzare le leggi perché sono troppo pieni di passato.

Vede dei casi di razzismo endemici in Italia, anche da parte di quelli che non sono consapevolmente razzisti?
Il razzismo in Italia non è solo anti nero ma è anche anti meridionale. Ad esempio due ore fa stavo andando al supermercato, dove due persone stavano litigando e un signore ha detto a una signora “sporca calabrese”. Qui c’è una questione meridionale che è la mamma di tutti i razzismi italiani, quello che è stato fatto al Sud è lo stesso trattamento riservato alle colonie. Quando avevo 25 anni avevo fatto un colloquio di lavoro vestita come sono sempre vestita e la persona che avevo davanti mi ha detto “lei è musulmana, si vede” io gli ho detto “deve farmi colloquio di lavoro” e lui “ma voi volete pause di preghiera e ramadan”: sono uscita e ho pianto, è un razzismo altrettanto umiliante. Ho smesso perché ai tempi mi vedevano e mi dicevano sempre no. Lo vedi dallo sguardo e poi c’è stato tanto razzismo biologico, dalle elementari mi chiamavano sporca negra e mi hanno buttato un barattolo di coleotteri in testa “perché sono neri come te”. Oppure odiavo negli anni ’90, ero ancora adolescente, quando si fermavano le macchine mentre stavo alla fermata ad aspettare il bus e ti facevano vedere i soldi chiedendo sesso orale, perché nera significava prostituta.

Io ho imparato a schivarli anche. Ho imparato a reagire. Mia madre dice che il razzismo non lo combatti urlando, ma lo combatti con la riflessione e la conoscenza anche quando sei nel mezzo del disastro, lei mi ha sempre detto di uscirne con una frase arguta, è l’unico modo. Mia madre, James Baldwin e Malcom X sono stati i miei maestri nell’usare la riflessione, le parole, per questo scrivo. Volevo capire come mai mi succedevano una serie di cose e volevo capire qual era la radice, sempre storica. In tutto questo ho trovato molti alleati, penso alla mia professoressa di italiano alle superiori, ai professori universitari che mi hanno dato strumenti che mi hanno cambiato la prospettiva. Sandro Portelli mi ha insegnato molte cose della vita, con l’Italia che ha tutte l sue complicazioni. Ho applicato la strumentazione che loro hanno applicato alla loro lotta e alla loro riflessione teorica.

Come le sembra il dibattito politico italiano sul tema?
Qui non c’è dibattito. Qui il dibattito è finito con il tradimento sulla legge sulla cittadinanza. Poi si è riesumato un discorso sulle regolarizzazioni molto mercantile. Io ho questa sensazione di tante lotte fatte anche collettive: afrodiscendenti, albanesi, arabi, sudamericani, i loro figli nati qui italiani senza diritti e poi anche moltissimi italiani bianchi… Ecco tutti noi ci siamo ritrovati dal 2005 fino al governo Renzi a lottare in piazza, cambiavano le piazze, c’erano tanti bambini e tecnicamente con le scuole abbiamo lavorato moltissimo (penso a due scuole di Roma in particolare la Pisacane e la Di Donato i cui professori si sono spesi tantissimo per far avere diritti ai loro studenti) , però poi questa lotta è stata tradita da tutto l’arco costituzionale: la destra ha fatto ostruzionismo ma gli altri l’hanno reso possibile ed è una cicatrice che mi fa molto male.

Poi c’è stata la raccolta firme dei Radicali e quella era una buona iniziativa ma poi a causa degli eventi caduta nel vuoto e adesso il dibattito è stato sulle regolarizzazioni perché servivano braccia per l’ortofrutta e basta. Queste persone cadono in irregolarità per un meccanismo della Bossi-Fini, sono ricattabili in situazione di pandemia, dovremmo avere più persone regolari possibili ma così è stato un mercato degli schiavi. Io capisco gli sforzi di chi ha chiesto la regolarizzazione ma il risultato è stato misero. Servirebbe più coraggio: l’Italia non può pensare che sia un tema possibile da scacciare in eterno, il Paese è già cambiato, io alla manifestazione per George Floyd a Roma ero con i miei 46 anni vecchia in confronto a chi è sceso in piazza. Tu vedi che hai seconde e terze generazioni, più di 50 anni di popolazione transculturale che ha varie origini. Ma ancora tutto questo non si trasforma in quotidianità. E come se ci fossero enormi barriere. Così non vedi maestri, autisti dell’autobus, professori con altra origine: alcuni luoghi del lavoro non sono al passo con i tempi. Anche nell’editoria.

Lei è fiduciosa che la lezione che arriva dagli USA possa avere un impatto importante anche qui?
Secondo me quella americana è una grande rivoluzione culturale perché gli afrodiscendenti sono legati tra loro, è una rete, per noi sono un modello e quello che sta succedendo negli Usa è clamoroso, è una rivoluzione culturale, non è solo rabbia per Floyd ma è un momento che è stato preparato negli ultimi 20 anni. Da loro la cultura è sempre stata forte, nella musica nella letteratura, i premi Pulitzer quest’anno molti erano neri e penso al disco di Beyoncè di alcuni anni fa tutto sull’identità nera. Questo forse spingerà pure noi qui ad avere una riflessione più ampia e profonda, probabilmente ci spingerà a produrre più libri, più musica, più film, più lotte sociali e non solo afrodiscendenti, perché l’Italia ha una migrazione a mosaico, complessa, fatta di tante diversità che vanno dall’Est Europa al Sudamerica.

Già vedo dei talenti per esempio del giornalismo come Angelo Boccato e Adil Mauro che non parlano solo di immigrazione o della loro identità, ma usano il loro sguardo per riflettere sui nodi della società. Adil e Angelo mi fanno ben sperare per il futuro. Ma ecco tutto deve partire da una riflessione anche storica che attraversa il dolore che abbiamo provato, In Italia nel 1979 un uomo somalo, Ahmed Ali Giama, in piazza della Pace a Roma è stato bruciato viva e Giacomo Valent nel 1985 è stato ucciso con 63 coltellate, era il fratello della prima eurodeputata nera Dacia Valent, ho scritto per Feltrinelli su questo (“Politica della violenza”, Feltrinelli Editore). In Brasile c’è stata Marielle Franco e ognuno sta producendo cultura e rivendicazioni partendo dalle proprie ferite, dai propri martiri e chiaramente questo momento rimarrà a lungo e potrà provocare cambiamenti perché i cambiamenti sono sempre prima culturali e poi sociali.

Leggi anche: 1. Quanti contagi possono causare le proteste in Usa? Un virologo ha provato a calcolarlo / 2. Si sposano in mezzo alla protesta per George Floyd a Philadelphia: “È stato ancora più memorabile” /3.  George Floyd, Minneapolis smantella il dipartimento di polizia: “Vogliamo un nuovo modello di sicurezza” /4. Banksy e l’omaggio a George Floyd: “Il razzismo è un problema dei bianchi”

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Casapound invoca il rispetto della legge (per gli altri): ora finalmente hanno ordine e disciplina

Palazzo occupato, così Casapound ha ottenuto ciò che voleva: ordine e disciplina

Ordine e disciplina, finalmente. I prodi membri di Casapound, quelli che vorrebbero fare i fascisti fingendo di non essere fascisti e autoconvincendosi che il fascismo abbia fatto “anche cose buone” (come un orologio rotto che segna l’ora esatta due volte al giorno) alla fine hanno ottenuto due dei punti principali della loro scarna propaganda elettorale: ordine e disciplina. Per ordine e per disciplina dovranno smammare dal palazzo che hanno abusivamente occupato a Roma in via Napoleone III.

Del resto, pensateci bene, ve li vedete quelli che fanno gli eroi che con il pugno alzato mentre cacciano gli stranieri delle baracche che poi vanno a ristorarsi in una baracca ben più lussuosa, nel pieno centro della città di Roma, dando così un pessimo esempio? No, dai. Anzi, volendo ben vedere, se i coraggiosi di Casapound fossero stati più svegli di quello che sono avrebbero organizzato una bella manifestazione, magari in piena quarantena e con le mascherine abbassate, per “liberare Roma” dalla loro presenza abusiva. Sai che begli applausi.

Ordine e disciplina, certo, e nell’ordine c’è il rispetto della legge che loro invocano per gli altri ma poi si dimenticano tutte le volte di applicare a se stessi e così saranno sicuramente soddisfatti dell’indagine condotta dalla Digos della Questura di Roma, la Procura della Repubblica capitolina che contesta i reati di associazione a delinquere finalizzata all’istigazione all’odio razziale e occupazione abusiva di immobile nei confronti, tra gli altri, dei vertici del loro movimento Gianluca Iannone, Andrea Antonini e Simone Di Stefano. Oltre ad altre tredici persone.

Ordine e disciplina, dicono, e siamo sicuri che sapranno spiegarci per bene come possano ritrovarsi in “emergenza abitativa” la metà degli occupanti abusivi del loro palazzo che sono dipendenti pubblici, regolarmente e comodamente pagati, che stanno abusando della pazienza degli italiani. E il grande capo Gianluca Iannone siamo sicuri che ci potrà spiegare come possano essere in “emergenza abitativa” i dipendenti che lavorano nel noto ristorante di sua moglie.

Parlano di onore, quelli di Casapound, e siamo sicuri che non avranno il disonore di venirci a dire “ah beh, allora gli altri?” come dei bambini all’asilo per cercare di giustificarsi. Ordine e disciplina, mica benaltrismo. Sono i duri e puri, no? Mostratecelo.

Leggi anche: 1. Altro che famiglie indigenti. Ecco chi abita nel palazzo occupato di CasaPound a Roma / 2. Casapound, sequestrata la sede in via Napoleone III a Roma

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La giustizia sociale non è un tic

Il trucco è sempre lo stesso: qualcuno chiede giustizia sociale (soprattutto chi di ingiustizia sociale ci muore e si marcisce) e quegli altri rispondono che è un tic. Una volta sono gli antifascisti, una volta sono i giovani mai contenti, una volta sono le femministe nevrotiche, una volta sono i neri che vorrebbero essere bianchi, una volta sono gli stranieri che vogliono solo diritti, una volta sono i comunisti che vogliono dignità salariale, una volta sono i poveri che pretendono di essere ricchi, una volta sono i lavoratori che pretendono una giusta paga, una volta sono gli omosessuali che vorrebbero essere come gli altri, una volta sono i laici che pretendono troppo di essere laici, una volta sono i garanti che pretendono garanzie anche per gli assassini. È tutto così: chiedi un diritto e vieni etichettato come fronda, vieni messo nello scaffale di qualche associazione di idee e di persone e la richiesta di giustizia sociale viene trattata come il solito refrain da tralasciare com’è sempre stato tralasciato.

Il trucco è sempre lo stesso: normalizzare la mancanza di diritti come una situazione a cui non si può porre rimedio e come una conseguenza naturale di un modello che è l’unico possibile. Così mentre accade che negli Usa gli stranieri siano stanchi di un razzismo che oggi si è trasformato in profanazione socio economica qui da noi i subappaltatori dei rider di UberEats hanno l’impunità di dirci che i loro lavoratori  «sono africani perché gli italiani vogliono 2 mila euro al mese. Basta retorica del ‘poverini». Retorica dei poverini, eccolo il tic. E lo stesso vale per quelli che raccolgono la frutta nei campi.

La giustizia sociale non è un tic, no. E non è qualcosa che può essere coperta ogni volta invocando una guerra o una ribellione pericolosa. Quando negli Usa hanno ucciso George Floyd i bianchi vedendo le immagini hanno sospirato “oh, no” mentre i neri hanno pensato “è successo ancora”. Se avete la sensazione che su alcuni diritti “si continui a parlare sempre delle solite cose” è perché le solite cose non si sono mai risolte e sono ancora lì, a gridare vendetta.

Reclamate il diritto di essere perseveranti, giorno dopo giorno, goccia dopo goccia. Qualcuno vi additerà come noiosi e invece siete solo fedeli a voi stessi.

Buon giovedì.

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