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Se va a un matrimonio vorrebbe essere la sposa

Invece di rispondere in conferenza stampa sui suoi rapporti con l’Arabia Saudita (come aveva promesso), Matteo Renzi si è inventato l’autointervista. E che fa? Mischia le carte e naturalmente si dimentica di farsi domande importanti

«È così egocentrico che se va a un matrimonio vorrebbe essere la sposa, a un funerale il morto». Rubo le parole che Longanesi dedicò a Malaparte per provare a raccontare come Matteo Renzi abbia pensato di risolvere la questione dei suoi rapporti a pagamento con il principe ereditario Mohammed bin Salman.

Ricapitoliamo. Nel pieno della crisi di governo (da lui provocata) Matteo Renzi conduce un’intervista con il principe saudita in cui magnifica il regime, magnifica il principe (lo chiama più volte “amico mio” e “grande” principe), basta guardarsi il video dell’intervista, parla di un «nuovo Rinascimento» e addirittura ammette di invidiare “il costo della lavoro” dei sauditi. Tutto questo alla modica cifra di 80mila euro (o dollari, Renzi non ricorda esattamente) all’anno.

Quando esce la notizia del suo essere al soldo del principe saudita lui si difende, piuttosto goffamente, dicendo che rientra tutto nella sua normale attività di “conferenziere”: falso. Conferenziere non significa essere pagato per contribuire alla ricostruzione di una credibilità che i sauditi faticano a mantenere: molti grandi gruppi dei media – come New York Times e Cnn – dopo l’omicidio di Khashoggi, editorialista del Washington Post, hanno boicottato la Future Investment Initiative del principe bin Salman. L’ingaggio di Renzi evidentemente è tornato molto utile per coprire un buco che altri non erano disposti a coprire. È legale? Sì, purtroppo, perché in Italia (e solo in pochi altri Paesi) c’è un evidente buco legislativo. È legittimo? Ognuno ha la sua idea.

Poi accade che Renzi, incalzato, affermi letteralmente: «Prendo l’impegno di discutere con tutti i giornalisti in conferenza stampa dei miei incarichi internazionali, delle mie idee sull’Arabia saudita, di tutto; ma lo facciamo la settimana dopo la fine della crisi di governo».

La crisi di governo si è risolta e intanto Biden ha reso pubblico il rapporto dell’intelligence Usa che conferma la diretta responsabilità del principe saudita nell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi. Una brutta botta per il leader di Italia Viva.

Arriviamo finalmente a questi ultimi giorni, Renzi risponde, bene, e come risponde? Intervistandosi da solo. Badate bene: aveva parlato di «discutere con tutti i giornalisti in conferenza stampa» ma furbescamente si inventa l’autointervista per avere a che fare con l’unica persona di cui è interessato e che stima davvero: se stesso. E che fa? Mischia le carte, come molti dei suoi fan sui social in queste ore, confondendo attività politica e attività professionale personale. Il trucco è quello di equiparare l’attività politica di rappresentanti politici in carica (su cui poi ci sarebbe parecchio da scrivere) con il suo lavorare per la propaganda di regime di un Paese straniero mentre è senatore pagato dai cittadini italiani. Peccato che su questo punto il Renzi giornalista non abbia avuto la prontezza di interrogare il Renzi intervistato. Scrive Renzi che è «giusto e anche necessario» avere rapporti con l’Arabia Saudita, Paese «baluardo contro l’estremismo islamico e uno dei principali alleati dell’Occidente da decenni» confondendo il lavoro diplomatico con l’attività di un privato cittadino. Insomma, il solito Renzi.

Nella sua risposta ovviamente non cita mai il principe (non sia mai, che non si irriti “amico mio”), spende ancora parole d’elogio per la famiglia reale saudita ma si dimentica di farsi la domanda sugli interessi economici dei sauditi in Italia e in Europa. Che distratto. Sarebbe stata una bella domanda. In compenso si fregia di pagare le tasse, come se fosse una cosa straordinaria. Grandioso.

E infine, come sempre, la butta sul vittimismo politico: questo però è sempre un classico. Renzi infine rivendica di essere sempre pronto a parlare di diritti umani ovunque sia necessario: benissimo, ma ci faccia sapere su mandato di chi e se poi emette fattura. Così ci viene più facile.

Buon lunedì.

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Sottosegretari horror: la “cultura” leghista e quella classe politica che ci meritiamo 

C’è una frase di Matteo Salvini che ieri è sfuggita ai più: un giornalista gli chiede, mentre stava presentando i suoi sottosegretari appena nominati, se questo di Draghi sia davvero il “governo dei migliori”, Salvini sorride tutto soddisfatto e dice che sì, che “questi (riferendosi alla squadra di governo leghista nda) sono sicuramente i migliori, ma noi della Lega ne avremmo altri trenta se servono”.

Non ha torto: i nomi che in queste ore vengono derisi per le loro pessime referenze sono davvero considerati l’eccellenza leghista dal segretario e dai loro elettori, sono le facce più presentabili di un Parlamento che è infarcito di ignoranti fieri, complottisti spregiudicati, mentitori seriali, inadeguati senza coscienza, ripetitori ossessivi di slogan vuoti, servitori del proprio leader, gente senza arte né parte che non troverebbe mai uno sbocco professionale.

Perché è vero che fa schifo avere come sottosegretaria alla Cultura una Borgonzoni che fiera ci ha raccontato di avere letto un libro in tre anni, ma è anche vero che Lucia Borgonzoni ha preso 1.01.672 voti alle ultime elezioni regionali in Emilia Romagna con il 43,63% e, volendo ben vedere, è vero che un italiano su due non legge nemmeno un libro all’anno.

È vero che Borgonzoni non sapeva che la sua regione non confinasse con il Trentino ma è anche vero che una buona fetta di italiani non ritiene la cultura (nemmeno quella di base, quella generale) un requisito per un buon politico.

Così com’è vero che fa schifo che la sottosegretaria alla Difesa Stefania Pucciarelli abbia appoggiato l’idea di mettere i migranti nei forni ma è vero che troppi italiani, di cui molti suoi elettori, sono d’accordo con lei e lo scrivono sui propri profili. Ed è vero che fa schifo che un sottosegretario all’Istruzione come Rossano Sasso abbia ingiustamente accusato uno straniero che poi si è rivelato innocente, ma lo stesso atteggiamento lo ritroviamo in autorevoli editoriali di quotidiani nazionali.

Anche l’ignoranza con cui Sasso ha scambiato Topolino per Dante è qualcosa che spesso suscita addirittura “simpatia”, tra molti. E se qualcuno si stupisce che il nuovo sottosegretario dell’Interno Molteni rivendichi i decreti sicurezza del primo governo Conte, beh, la pensano così tutti gli elettori della Lega, e non solo.

Insomma, non stiamo parlando di casi sporadici ma di genuini interpreti del salvinismo concimato in tutti questi anni e questi sono i frutti. A proposito: non “li hanno votati”, con questa legge elettorale li hanno nominati le segreterie di partito.

Leggi anche: 1. Parla il padre di Lucia Borgonzoni: “Deve ricordare che la cultura è il contrario della xenofobia” / 2. Ruspe ai rom, forni per i migranti: la nuova sottosegretaria alla Difesa è la leghista Stefania Pucciarelli / 3. Crede di citare Dante, in realtà è Topolino: la gaffe del neo sottosegretario leghista all’Istruzione

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Perquisita la solidarietà

La storia di Lorena e Gian Andrea va raccontata, contiene un monito che interessa tutti. A Trieste hanno un’associazione che aiuta i profughi della rotta balcanica. La polizia ha fatto irruzione nella loro casa alla ricerca di prove per un’imputazione di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina

A Trieste il 24 ottobre scorso l’estrema destra è scesa in piazza in diverse fazioni, piazza Libertà, si sono anche menati perché come si sa i fascisti hanno solo quel modo di comunicare e di esprimere idee politiche. Va così. Quando ha cominciato a circolare la notizia di perquisizioni in città ieri qualcuno avrà immaginato che finalmente si fosse deciso di prendere posizione contro l’apologia di fascismo, che finalmente si muovesse qualcosa, ma niente.

L’irruzione all’alba, nel perfetto stile con cui si stanano i latitanti più pericolosi, è avvenuta nell’abitazione di Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir. Lorena ha 68 anni, è psicoterapeuta e vive con il marito Gian Andrea che di anni ne ha 84 ed è un professore di filosofia in pensione. Nel 2015 hanno attivato un piccolo presidio medico appena fuori dalla stazione per offrire un primo aiuto ai ragazzi che passavano il confine con la Croazia e che hanno piedi malconci e corpi segnati dalle torture. I due coniugi viaggiano anche spesso verso la Bosnia con scarpe, coperte, vestiti e medicinali per provare a lenire il terrore e il dolore. Per questo insieme ad altri hanno costituito l’associazione Linea d’Ombra ODV.

La loro nota racconta l’accaduto: «Questa mattina all’alba la polizia ha fatto irruzione nell’abitazione privata di Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir, nonché sede dell’associazione Linea d’Ombra ODV. Sono stati sequestrati i telefoni personali, oltre ai libri contabili dell’associazione e diversi altri materiali, alla ricerca di prove per un’imputazione di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina che noi contestiamo, perché utilizzata in modo strumentale per colpire la solidarietà».

E se ci pensate non è la prima volta che la solidarietà (o il buonismo, come lo chiamano alcuni) accenda indifferenza se non addirittura malfidenza. Tant’è che ogni volta che qualcuno compie un gesto “buono” senza nessun evidente ritorno economico o di altro tipo viene subito additato come “pericoloso”. La solidarietà che diventa “reato” o presunto reato è un crinale pericoloso. Per questo la storia di Lorena e Gian Andrea va raccontata: perché così piccola contiene un (preoccupante) monito che interessa a tutti.

Buon mercoledì.

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“Non leggo da 3 anni”. Ma la Lega propone Lucia Borgonzoni sottosegretario all’Istruzione 

È un riflesso pavloviano che attanaglia la Lega ogni volta che si parla di cultura: arriva il martelletto e Salvini estrae dal cilindro la mirabile figura di Lucia Borgonzoni, come se nella sua cesta avesse solo quello e come se tutte le figure barbine collezionate fin qui siano slavate dalla memoria corte di cittadini ed elettori.

E così accade ancora che per il ruolo di sottosegretaria all’Istruzione circoli con molta insistenza sempre lei, ancora lei, che sottosegretaria alla cultura era stata già in occasione del primo governo Conte, quando ci deliziò dicendo “leggo poco, studio sempre cose per lavoro. L’ultima cosa che ho riletto per svago Il Castello di Kafka, tre anni fa. Ora che mi dedicherò alla cultura magari andrò più al cinema e a teatro”, incassando subito lo sdegno di chi alla cultura si dedica da una vita e si è ritrovato ad avere una referente del genere.

Ma Lucia Borgonzoni la ricordiamo anche candidata alle elezioni regionali in Emilia Romagna dove sfoggiò un alto esercizio di cultura generale raccontandoci come l’Emilia Romagna confinasse con il Trentino (del resto cosa interessa a una leghista dei confinanti, loro che vogliono chiudere i confini?) e la sua notevole proposta di tenere gli ospedali “aperti di notte, di sabato e di domenica, come in Veneto” per “difendere i più deboli” dimenticando (o non sapendo) che era già così dappertutto, mica solo nelle regioni governate dalla Lega.

Fu una campagna elettorale indimenticabile perché Borgonzoni si lanciò a capofitto sulla vicenda di Bibbiano, scrivendone praticamente ogni giorno e collezionando gaffe in continuazione, tanto che alla fine il leader leghista Salvini fu costretto praticamente ad affiancarla per tutta la campagna elettorale: rimane negli annali la sua foto con un cane e il profondissimo attacco politico al suo avversario Bonaccini: “Un saluto da Holly, che tenerezza! Non ditelo a Bonaccini del PD, è allergico a cagnolini e gattini, pensa che sia ridicolo parlarne”.

Tanto per dire il livello. Promise ai suoi elettori di rimanere in Regione anche in caso di sconfitta: promessa ovviamente non mantenuta. Troppo comoda e calda la poltrona da senatrice. E anche in consiglio comunale a Bologna è riuscita a distinguersi: zero presenza nel 2020 (nonostante si facesse tutto da remoto) e una sola presenza nel 2019. Insomma Lucia Borgonzoni ha proprio tutte le caratteristiche per meritarsi evidentemente un posto nel governo e siamo sicuri che riuscirà a stupirci ancora. Peccato che sia un divertimento tragico per il Paese.

Leggi anche: 1. L’intergruppo Pd-M5S-Leu: tra la lotta alle destre e la nostalgia di Conte / 2. Il divertente spettacolo della Lega, che per non stare fuori dai giochi si scopre europeista

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Il regalo a Salvini

Il Parlamento, si sa, è fatto di numeri. Con i 15 espulsi del M5S che non si sa se saranno espulsi, in Senato il centrodestra è diventato decisivo. Quel centrodestra che era fuori gioco nella maggioranza parlamentare precedente ora è fondamentale per la tenuta del governo Draghi: tutti gli altri non sarebbero maggioranza o comunque si tratterebbe di una maggioranza talmente pericolante da non poter nemmeno essere presa in considerazione.

Cosa significa questo? Che Draghi bene o male è appeso a Salvini e alle sue decisioni, soprattutto con Forza Italia che da tempo è a ruota del leader leghista per sopravvivere e con Berlusconi che sa benissimo che tra i suoi sono in molti, in casi di spaccatura, ad essere pronti ad accasarsi da Salvini o Meloni. C’è di più: un pezzo fondamentale del centrodestra in forte ascesa come Giorgia Meloni e il suo partito si può addirittura permettere il lusso di restare all’opposizione. E all’opposizione Fratelli d’Italia svuoterà ancora di più il bacino di consensi di Salvini e per questo è inimmaginabile che la Lega accetti di farsi svuotare.

Posto che Draghi, nonostante sia Draghi, dovrà occuparsi di mantenere in equilibrio la sua maggioranza in Parlamento questo significa che le concessioni alla Lega saranno molto più corpose di quello che pensiamo e tutti coloro che esultano per il disfacimento del gruppo parlamentare grillino forse non si rendono conto che questo si rivelerà un enorme regalo a destra.

E se qualcuno pensa che Salvini accetti silenziosamente di farsi logorare dai Giorgetti del suo partito, che Salvini accetti di farsi schiacciare da Giorgia Meloni o che Salvini possa fingere a lungo di essere europeista significa non avere capito nulla del personaggio e nulla della sua retorica populista.

Sempre a proposito del capolavoro politico che qualcuno continua a cianciare. E badate bene: qui Draghi c’entra poco o niente perché il presidente del Consiglio semplicemente deve nuotare tra i numeri che ha a disposizione. E non sarà una traversata facile.

Buon lunedì.

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Lombardia in tilt, ancora

La vaccinazione antinfluenzale fallita e finita. La “scoperta” che creare zone rosse era possibile. L’improvvisa rimozione del dg alla Sanità. Sì, si va proprio alla grande nella Regione amministrata da Fontana e Moratti

Varrebbe la pena andare a rivedere le immagini di Fontana e Gallera mentre assicuravano di non avere nulla da rimproverarsi sulle azioni messe in campo da Regione Lombardia per fronteggiare la pandemia. Varrebbe la pena scrutare con attenzione, tenerle bene a mente, quelle facce così convinte, quasi con sicumera, mentre accusavano noi giornalisti di voler remare contro, di vedere errori che non esistevano, mentre garantivano che tutto andava bene, che tutto sarebbe andato bene, che i vaccini antinfluenzali sarebbero stati fatti, che la Lombardia era solo vittima di una serie sfortunata di circostanze. Quelle circostanze sfortunate in effetti erano loro.

Gallera non c’è più, silurato perché ingenuo nelle dichiarazioni e perché gran collazionatore di figure di tolla (come si dice in Lombardia). È stato il capro espiatorio perfetto per essere linciato in nome della salvezza di tutti gli altri. Qualcuno ha osato pensare che avere cacciato Gallera fosse un’ammissione di colpa ma anche in questo caso Fontana se l’è presa sul personale e ha avuto il coraggio di dirci che no, che Gallera era solo un po’ “stanchino” (ha avuto il coraggio di dire davvero così). Peccato che qualche settimana dopo proprio Gallera si sia lasciato sfuggire in una trasmissione di una televisione locale che no, non era stanco, e che era stato Salvini a silurarlo.

Poi è arrivata Letizia Moratti con una nomina che ha tutto il sapore di un commissariamento. Ma come? La fulgida Lombardia aveva bisogno di una perdente per risollevarsi? Niente, non hanno mai risposto. Tra l’altro Moratti non ha fatto rimpiangere per niente Gallera in tema di figure barbine iniziando subito a bomba con la sua proposta di un vaccino in base al Pil. Intanto la campagna vaccinale antinfluenzale è miseramente fallita e finita. Poi ci hanno detto che entro giugno avrebbero vaccinato tutti i lombardi. Ora dicono che no, che si erano sbagliati. È arrivato pure Bertolaso. Ma come? Ma mica la Regione era talmente brava e competente?

Poi è successo che Regione Lombardia abbia chiuso dei comuni, trasformati in zona rossa per le varianti del virus. Ma come? Ma mica Fontana ci aveva detto che era compito del governo? E ora invece si può? E perché allora non si è chiusa la bergamasca? Quanti morti si potevano risparmiare? Nessuna risposta.

Ieri è stato fatto fuori il direttore generale alla Sanità Marco Trivelli. Sono rimasti sorpresi anche i consiglieri di maggioranza. Il comunicato della Regione è imperdibile: «Si tratta di destinare un’importante risorsa in termini di competenza ed esperienza alla guida di un’area strategica per la quale l’assessorato al Welfare di Regione Lombardia vuole riservare la massima attenzione». L’hanno spedito all’ospedale di Vimercate, il direttore generale, e vogliono farci credere che sia quasi una promozione.

Per inciso: Trivelli aveva sostituito 8 mesi fa, sotto Gallera, Luigi Cajazzo, oggi indagato dalla procura di Bergamo per il caso dell’ospedale di Alzano Lombardo, riaperto il 23 febbraio 2020 nonostante l’accertamento dei primi casi di Covid. Trivelli era quello che difendeva Fontana sui dati sbagliati inviati da Regione Lombardia, quello che ci assicurava che i vaccini antinfluenzali stavano andando alla grande.

Alla grande, proprio, sì, si va alla grande in Lombardia.

Buon venerdì.

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“Bene il ministero verde, ma il M5S in questi tre anni ha fatto solo danni all’Ambiente”: la portavoce di Green Italia a TPI

Quindi ora si esulta per il super ministero per la Transizione ecologica, come l’ha chiamato con enfasi Beppe Grillo. Ma serve davvero? Come siamo messi con le politiche ambientali? Ne abbiamo parlato con Annalisa Corrado, portavoce del movimento Green Italia, ingegnera meccanica specializzata in Ricerca Energetica, che si occupa di impianti alimentati da fonti rinnovabili, di efficienza energetica, di gestione virtuosa di rifiuti e sotto-prodotti e di  valutazione degli aspetti ambientali dei sistemi energetici.

Ora torna di moda l’ambientalismo. Grillo dice di avere ottenuto da Draghi un super ministero per la Transizione ecologica e il tema esplode sui media. È comunque un bene o rischia di essere l’ennesimo fuoco di paglia che passerà presto?
A Grillo ha fatto molto comodo intestarsi questa proposta con un colpo di teatro. Ma, avendo avuto a disposizione tre anni con il primo partito in Parlamento, avrebbe potuto fare molto se ci avesse tenuto tanto. Contano i fatti: i fatti dicono che non solo i Cinque Stelle non hanno fatto molto, ma anche che, di tutte le cose che si sono intestati come battaglie politiche sull’ambientalismo, non hanno fatto praticamente nulla, se non alcuni danni piuttosto importanti.

Fa un po’ sorridere che adesso l’ambientalismo emerga come una vittoria di Grillo, anche se il fatto che abbia spinto anche lui su questa soluzione torna comunque utile, soprattutto perché finalmente se ne parla nel dibattito politico e mediatico, cosa che non accade quasi mai. A mio avviso l’istituzione di questo ministero è un’ottima notizia: tutto si giocherà su quali deleghe avrà il ministero, su chi lo guiderà e con quale visione, con quali risorse e con quale sostegno politico.

Noi avevamo chiesto addirittura una cabina di regia in sede alla Presidenza del Consiglio perché combattere il cambiamento climatico prevede un’interdisciplinarietà tale che rende insufficiente un dipartimento del ministero dell’Ambiente com’è ora. Ci vuole delega sull’Energia, sui Trasporti, sulla Mobilità, sull’Industria, sull’Allevamento, sull’Innovazione, sulla Cultura, sulla Formazione, praticamente tutto deve essere organizzato per essere sinergico. Se il nuovo ministero sarà così, allora sarà esattamente quello che serve. Solo dall’annuncio comunque c’è stato un dibattito culturale e politico sicuramente positivo.

Qualcuno fa notare che al ministero esistesse già un dipartimento che avrebbe dovuto occuparsi proprio di questo. Ritiene utile che venga creato un ministero appositamente?
Sì, esiste un dipartimento, ma è totalmente insufficiente anche perché il ministero per l’Ambiente in Italia non ha deleghe forti, non ha disponibilità e importante e non ha una struttura forte. Basti pensare che al ministero per l’Ambiente non è mai stato fatto un concorso specifico: sono tutti funzionari e dirigenti che vengono da altre realtà e tutti i tecnici sono stati consulenti esterni con contratti super precari, con un turnover spaventoso per cui metterci le mani adesso è complicato. È un ministero super depotenziato che quando andava a interloquire con altri ministeri non ne aveva la forza.

Come valuta il governo Conte dal punto di vista delle politiche ambientali?
La valutazione è piuttosto desolante, anche se il M5S aveva fatto promesse e creato consenso intorno a temi come l’abolizione dei sussidi alle attività dannose per l’ambiente o i sussidi alle fossili. Nei due governi in cui il M5S avrebbe avuto modo di agire non ha fatto nulla,. Solo ipotesi, i soldi sono sempre tutti là belli fermi. Anche perché quando c’è da fare una battaglia meno comprensibile per le persone, penso alla plastic tax, ci si tira immediatamente indietro.

Ma soprattutto il M5S ha fatto danni rispetto all’economia circolare, che è un tema da loro molto cavalcato, perché ogni volta che in un territorio c’è un loro comitato contro un qualsiasi tipo di impianto sono sempre in prima linea. C’è una grande ambiguità tra il consenso popolare e le cose che si devono fare. La rivoluzione verde non sarà indolore: prevede uno stravolgimento importante delle nostre abitudini, del modo di fare produzione, di fare industria, di spostarsi. Tutte le rivoluzioni vanno costruite con attenzione ai più fragili, alle disuguaglianze sociali, però sono stravolgimenti che vanno spiegati e compresi con competenza e che vanno governati.

Noi abbiamo perso molti treni come tessuto industriale proprio perché non siamo stati in grado di capire che questa era la nuova direzione in tutta Europa. Faccio un esempio: ora che la plastica monouso è messa da parte, l’industria del nord Italia, che produce il 70% del monouso che viene venduto in Europa, è in crisi. Quando 15 anni fa gli ecologisti dicevano di investire in economia circolare li guardavano tutti come dei pazzi. Forse adesso un poco lo stiamo comprendendo.

Quali dovrebbero essere le priorità del governo Draghi sul tema, anche in previsione dei soldi che arriveranno dal Recovery Fund?
Serve una visione sistemica, mancano gli indicatori, manca una visione complessiva, mancano gli strumenti e mancano le indicazioni delle riforme per portare a termine gli obbiettivi. Noi già siamo in difficoltà nella gestione ordinaria delle risorse europee figuriamoci in una situazione del genere. C’è troppo poco sulle fonti rinnovabili, pensando solo a un potenziamento del bonus sull’edilizia residenziale.

Servirebbe una riconversione di tutto il sistema industriale verso l’economia circolare, che non può essere solo una nicchia: l’economia circolare è la lente attraverso cui progettare tutta la filiera industriale italiana. Ad esempio: vogliamo tornare a contare nell’automotive? Dobbiamo convertire le nostre produzioni, ancorate a un modello vecchissimo per i soliti interessi fossili che ci hanno penalizzato.

Ci sono tante voci scoperte e non c’è un sistema di rendicontazione dei risultati. Poi non si può dire “il 37% va alle rinnovabili e il resto lo mettiamo dove ci pare”: serve una strategia complessiva che nemmeno un euro vada contro l’obbiettivo della de-carbonizzazione. L’altra priorità di Draghi deve essere l’infrastrutturazione di questo Paese, un welfare che crei una salubrità come concetto molto più profondo del semplice concetto sanitario e poi la ristrutturazione sociale per l’emersione della parità di genere e dei talenti femminili. Non dimentichiamoci che l’approccio ecologista segue l’agenda 2030 dell’Onu quindi il Pnrr deve essere illuminato da quel documento.

Com’è messa l’Italia in termini di politiche ambientali nello scacchiere europeo?
Siamo messi male, molto male. Abbiamo procedure d’infrazione su tantissimi temi come la qualità dell’aria e la gestione dei rifiuti. Le cose in Italia succedono solo quando le procedure d’infrazione diventano insostenibili: vedi la chiusura della discarica di Malagrotta. C’è stato un breve periodo in cui abbiamo fatto parecchio per le rinnovabili a cavallo del 2010 dopodiché ci siamo completamente fermati.

Abbiamo un territorio dove servono moltissime bonifiche, abbiamo zone aggredite dall’industria dove le industrie se ne sono andate e sono rimasti i danni. I numeri epidemiologici a causa dell’inquinamento sono spaventosi e le politiche non sono all’altezza. Ci sono nazioni che hanno uno sguardo molto più alto del nostro, come la Francia, la Germania e i Paesi del nord. Addirittura a prescindere dal colore del governo del momento.

Ritiene che quella stessa parte politica che per anni ha negato i cambiamenti climatici possa ora ravvedersi in nome della “responsabilità” invocata da Mattarella?
No, quella parte politica che nega i cambiamenti climatici con battute di spirito cambi le sue posizioni che sono sempre state sui fossili e sulla conversazione. Sono anche partiti antiscientifici, l’abbiamo visto anche per il Covid. Non credo cambieranno improvvisamente idea. Potrebbe essere ora che intuiscano che anche negli interessi dei loro interlocutori (industriali, piccole e medie imprese) è ora di mettere al centro la sostenibilità e la conversione ecologica.

Vince chi investe su questo e si fa trovare preparato alle crisi e i numeri dicono che sopravvivono le aziende più indipendenti dal punto di vista energetico, più pronte a affrontare un mercato che sta cambiando. Sta diventando un tema anche economico, con le linee guida dell’Europa bisogna sviluppare questa visione. In Germania i temi della transizione sono bipartisan, a parte Trump anche negli Usa i repubblicani parlano di carbon tax da anni.

Leggi anche: Verdi tedeschi contro Grillo: “Un partito che insulta le donne e fa annegare i migranti non sarà mai come noi”

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La sostanziale differenza

Lasciando perdere il centrodestra c’è dall’altra parte, nel presunto centrosinistra ormai da anni tendente al centro centro centrodestra, in quello che potremmo definire un centrocentrocentrocentrosinistra una spaccatura che emerge ancora di più in queste ore ma che è andata a consolidarsi in tempi lunghi, sostanzialmente dalla nascita del Movimento 5 Stelle e che ora esplode in previsione dell’insediamento del prossimo governo.

Ci sono i cultori della competenza, che si fanno chiamare così ma sono sostanzialmente quelli che mal sopportano i grillini, che trovano indecenti certi loro dirigenti politici, che non ne condividono la struttura padronale, che ne criticano la volatilità delle posizioni, che ne sottolineano la predisposizione ad allearsi con chiunque e che trovano tutto questo gravemente insopportabile. Un pezzo di dirigenti politici (e plausibilmente anche di elettori) sta giocando in questi giorni la sua battaglia contro il Movimento 5 Stelle (e contro Conte) e simula (spesso male) di volerne fare una questione di principio. Peccato che i valori e i principi, comunque vada, ne usciranno inevitabilmente piuttosto deboli in un governo che vede “dentro tutti”: pensare a un “governo della competenza” che contenga Lega e Forza Italia è qualcosa che sarebbe stato inimmaginabile fino a qualche tempo fa. Eppure i “cultori della competenza” ci dicono che sia meglio un Salvini e un Berlusconi voltafaccia piuttosto che il Movimento 5 Stelle accusato di avere voltato la faccia. E quindi a questi gli tocca perfino adorare la competenza di un Giorgetti per spazzare un Di Maio. E avranno una maggioranza con dentro Giorgetti e Di Maio. Vai a capire.

Dall’altra parte ci sono quelli che si ricordano ancora cosa sia la neodestra della Lega, che sanno esattamente che sventura sia stata il berlusconismo al potere, che ricordano con un certo fremito le macellerie sociali innescate da certi governi tecnici che si sono potuti permettere di bastonare i poveri in nome dell’impolitica e che trovano indigeribile la normalizzazione di una destra che probabilmente è una delle peggiori destre di sempre. Anche questi in fondo hanno una battaglia personale da combattere: ritengono indigeribile Salvini e i suoi scherani e ritengono inaccettabile la riabilitazione di Berlusconi e le oscure trame del suo partito. Ritengono che “quelli che hanno governato con Salvini” non possano essere peggiori del Salvini stesso e che la credibilità di una maggioranza si disegna anche da chi ne resta escluso. Confidano in Draghi (che ha l’interesse primario di tenere in maggioranza più partiti possibili) per sperare che escluda qualcuno che loro stessi non riescono a escludere. Sanno perfettamente però (almeno ce lo auguriamo) che non accadrà nulla di tutto questo e che il governo che si insedierà sarà un tiepido compromesso. E fanno il pesce in barile. Vai a capire.

Sopra a tutti c’è un presidente del Consiglio incaricato che deve provare a tenere insieme questi due blocchi contrapposti (più ovviamente la porzione di destra che ha già assicurato il suo sostegno) cercando di non scontentare nessuno, almeno di scontentarli il meno possibile, sapendo bene che sia impossibile accontentarli.

Il governo che nasce è questa cosa qui, legato con mani e piedi alla differenza sostanziale che ogni giorno si esercita nei politici, nei giornalisti, tra gli opinionisti. E allora viene normale aspettare almeno i programmi, almeno per elevare il dibattito dalla disputa che sembra ormai una questione di tifo e per tornare a parlare di temi. Ogni volta che qualcuno sommessamente fa notare che i programmi saranno dirimenti (ma non bastano i “titoli” di un vago programma) le due fazioni ricominciano a prendersi a pesci in faccia: “come vi permettete di chiedere i programmi voi che siete indegni perfino di stare dentro questa maggioranza” gridano gli uni agli altri. E sono giorni tutti così.

Buon giovedì.

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L’ex M5S Giarrusso a TPI: “Il Grillo di oggi è un clone dell’originale, l’establishment si è impadronito del Movimento”

Mario Michele Giarrusso, ex senatore del Movimento 5 Stelle ora nel Gruppo Misto, alla sua seconda legislatura e attivista del Movimento dal 2006 usa parole durissime contro Beppe Grillo e sul voto, per ora bloccato, su Rousseau per interpellare gli iscritti M5S sul Governo Draghi. L’abbiamo intervistato per TPI.

Giarrusso, che significato ha questo stop voluto dal M5S al voto sulla piattaforma di Rousseau?
“È il momento della frattura, penso ormai definitiva, fra Casaleggio e l’establishment che si è impadronito del vertice del Movimento con l’appoggio di Grillo, che continua a sostenere questo gruppo dirigente preoccupato solo dalle poltrone. Perché solo di poltrone stanno parlando con Draghi in questi giorni”.

Quindi Casaleggio voleva il voto per sferrare un attacco? Perché?
“Casaleggio attacca perché vuole far fallire il piano dei poltronisti facendo esprimere il Movimento. Ancora non c’era stato l’endorsement di Grillo e gli attivisti avrebbero bocciato sonoramente l’appoggio a Draghi”.

Quindi è stato Casaleggio a volere il voto sulla piattaforma?
“Certo. Tant’è che gli era stato detto che, secondo lo Statuto, il voto sulla piattaforma poteva essere chiesto solo da Grillo e dal capo politico provvisorio Crimi. Tra l’altro Crimi è un capo politico abusivo, visto che è scaduto da 10 mesi e continua a trattare decisioni delicatissime di importanza capitale. Invece la votazione l’ha voluta Casaleggio, forte del fatto di avere le chiavi della piattaforma. E si è sfiorata la frattura al contrario, poiché avrebbero lasciato il Movimento i ‘governisti’, quelli che vogliono a tutti i costi Draghi”.

Ma questa frattura è solo rimandata o potrebbe rientrare?
“Secondo me è solo rimandata. Ci si spaccherà tra i poltronisti e quelli che seguono Di Battista. Tra l’altro il video di Grillo è veramente patetico: far passare per grillino Draghi è una cosa che va al di là dell’immaginazione. Sembra che Grillo sia stato clonato e sostituito da una brutta copia”.

Qualcuno dice che sia anche poco rispettoso nei confronti del Governo dover aspettare un eventuale voto dei grillini su Rousseau. Che ne pensa?
“Ogni gruppo politico ha le sue liturgie: ci sono le direzioni, i direttivi, i comitati centrali. Questo non è un problema. Ogni gruppo politico decide con le proprie strutture. Il problema è che si sta facendo una votazione comunque al buio, senza sapere il programma di Draghi e la squadra di ministri, che farà capire molto. E quindi la votazione va fatta dopo avere appreso programma e squadra”.

Siete entrati come M5S (anche se lei poi ha abbandonato il gruppo) in Parlamento con il mantra di non allearsi con nessuno e siete stati alleati prima con Salvini, poi con Renzi,Pd e Leu, ora con Salvini, Renzi, Pd, Forza Italia, Calenda e Tabacci…
“C’è gente che è venuta in Parlamento solo per andare a prendere una poltrona governativa: penso a Buffagni, Spadafora… Questi si alleerebbero con il lavandino di Palazzo Madama pur di andare al Governo. C’è stata una mutazione genetica gestita da Luigi Di Maio, che è stato preso da una voracità senza limiti di potere e di poltrone”.

Leggi anche: 1. Draghi non parla ma è già furioso con i 5 Stelle in piena emergenza Covid (di M. Antonellis) / 2. La moltiplicazione dei pani, dei pesci e dei titoli derivati: Mario Draghi santo subito (di Alessandro Di Battista)

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Facce toste

Tra i politici, in questi giorni, è tutto uno smentirsi senza nemmeno avere qualche remora. Senza nemmeno sentirsi in dovere di spiegare. E non è un bel vedere

Sono giorni frizzanti questi perché, mentre il presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi continua il suo giro di consultazioni, abbiamo l’occasione di toccare con mano lo spessore politico dei partiti in Parlamento, quei partiti che da anni vorrebbero perfino essere portatori di etica e che si combattono dando lezioni di moralità uno contro l’altro mentre poi nel loro piccolo cortile riescono a dare il peggio di sé.

Ieri l’europarlamentare Antonio Rinaldi, il fondatore e uomo di punta della corrente “no euro” della Lega di Salvini, è riuscito a rilasciare un’intervista alla giornalista Annalisa Chirico in cui candidamente afferma di non avere «mai detto di voler uscire dall’euro». Una roba immonda che racconta perfettamente come sotto il paravento di una “responsabilità” fasulla (che poi consiste nell’occasione di ambire a mettere le mani sui miliardi che arriveranno dall’Europa) i partiti siano disposti addirittura a rinnegare se stessi. Dice Rinaldi che le sue panzanate contro l’euro erano «solo una speculazione accademica», che «dall’euro non si esce» e parlando della Lega afferma: «Non siamo noi a esserci avvicinati all’Europa. È l’Europa che si è avvicinata a noi».

Pensare che in questo video (uno tra i tanti) dichiarava che dalla moneta unica europea si dovesse uscire subito e che per farlo sarebbe bastato un decreto. A proposito: quel video è sulla pagina del Movimento 5 stelle Europa, sì, quando anche loro insistevano tutti belli felici sull’antieuropeismo per riuscire a racimolare qualche voto degli arrabbiati. Vi basta fare un giro in rete per ritrovare centinaia di eventi (di Lega e di M5s) contro l’euro. Ora vi stanno dicendo che era tutto falso, niente di niente. Chissà che ne pensano gli elettori, sempre a proposito della “crisi di fiducia verso la politica”.

Badate che contro l’euro, nonostante in questi giorni siano pochi a ricordarlo, si scagliava simpaticamente anche Silvio Berlusconi: nel gennaio del 2018 in un’intervista al Corriere dell’Umbria l’ex Cavaliere disse (sempre per solleticare gli sfinteri degli elettori): «Rispetto a 24 anni fa, l’Italia è peggiorata per colpa dell’euro. L’introduzione della moneta unica con quelle modalità e a quei valori, improvvidamente accettati da Romano Prodi, ha dimezzato i redditi e i risparmi degli italiani». E questo concetto l’abbiamo sentito ripetere migliaia di volte in questi anni tanto che è arrivato intonso fino a noi.

Notevole anche la dichiarazione di Carlo Sibilia, ex sottosegretario per il M5s, il partito che avrebbe dovuto aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno e non allearsi con nessuno, che dice candidamente: «Abbiamo digerito Lega e Pd, possiamo digerire anche Berlusconi in maggioranza con noi». La scatoletta di tonno ormai se la sono mangiata e non hanno nemmeno avuto bisogno della citrosodina per sistemarsi lo stomaco.

E così via: è tutto uno smentirsi senza nemmeno avere qualche remora. Meno di un mese fa, ospite da Gruber alla trasmissione Otto e mezzo, il democratico Andrea Orlando (attenzione, meno di un mese fa), rispondendo a una domanda del direttore di Domani Stefano Feltri che gli chiedeva se il Pd fosse disposto a governare con Salvini nell’ipotesi di un governo Draghi, il parlamentare Pd rispose sornione e bello convinto: «Nemmeno se venisse Superman». Chissà cosa ne pensano gli elettori.

Ora, vedete, il problema non è cambiare opinione (come succede nella vita e nella politica quando cambiano le situazioni e i contesti). Ciò che lascia basiti è che non assistiamo a un’onesta narrazione di se stessi in cui i politici dicono di dover prendere una decisione inattesa per questo o quel motivo: questi addirittura si rinnegano senza nemmeno sentirsi in dovere di spiegare. E non è un bel vedere.

Infine: ieri Giorgia Meloni si è lanciata nella sempre ridicola proposta di una “flat tax progressiva” che è un ossimoro indecente. Ha ragione Civati quando scrive che ora le manca solo “una patrimoniale per i senza tetto” e poi siamo al punto massimo della ridicolaggine. Ma c’è un aspetto che conviene sottolineare: allo stato attuale a Fratelli d’Italia, che risulta essere l’unico partito all’opposizione, spetterebbero i presidenti delle commissioni Vigilanza Rai, Copasir, e vigilanza su Cdp. Qualcuno ci ha pensato?

Buon mercoledì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.