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Le piccole adozioni che salverebbero il mondo

A Carmagnola cammina, abbastanza spaesato, un bambino di 8 anni. Niente nomi di fantasia in questo articolo: un bambino rende bene l’idea di un bambino senza bisogno di appiccicargli un nome posticcio. Bene così. Il bambino si aggira perché, per i casi terribili della vita (quelli che noi siamo diventati incapace di annusare) si ritrova senza genitori: il padre è sparito e la madre non lo vuole. Dice lei, la madre, che dovrebbero occuparsene i nonni. E invece il bambino è lì, per strada, solo, e il suo sguardo di chi s’è ritrovato orfano incuriosisce vigili urbani. Anche perché, così solo, rischiava ogni passo di finire sotto un’auto.

Ai vigili racconta di sapere parlare bene in italiano. Ne è fiero. Ma non sa scrivere il proprio nome. Anzi, proprio non sa scrivere. Non è mai andato a scuola. La vita gli ha buttato addosso problemi di sopravvivenza più urgenti del rispettare l’orario della campanella.

Adesso grazie all’aiuto del Terzo settore è tornato a sorridere. «Una storia da spezzare il cuore – ha commentato il sindaco di Carmagnola, Ivana Gaveglio al Corriere della Sera -. Il bambino è diventato la mascotte di tutti e in particolare della polizia municipale. Adesso è iniziata una gara di solidarietà per procurargli abiti e beni di prima necessità. Lui sta bene, il suo percorso di crescita è sicuramente in salita, ma l’importante sarà dotarlo degli strumenti per affrontarlo».

Di lui si sa poco. Viveva in una roulotte e racconta di avere avuto una mamma buona (che è la nonna) una mamma cattiva (che è sua madre). «Vi prego non riportatemi da lei» ha supplicato. Ora è in affidamento.

Ed è una storia di accoglienza. Di solidarietà. Ed è anche una storia di tutto quello che ci stiamo perdendo, proprio ora, in giro per il mondo, affollato di bambini per cui, chissà perché, i nostri occhi si sono induriti e si consolano con un bambino dal nome posticcio di Carmagnola. E come sarebbe bello se Carmagnola fosse grande quanto il mondo.

Buon lunedì.

 

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2019/02/05/le-piccole-adozioni-che-salverebbero-il-mondo/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Le piccole adozioni che salverebbero il mondo

Ed è una storia di accoglienza. Di solidarietà. Ed è anche una storia di tutto quello che ci stiamo perdendo, proprio ora, in giro per il mondo, affollato di bambini per cui, chissà perché, i nostri occhi si sono induriti e si consolano con un bambino dal nome posticcio di Carmagnola. E come sarebbe bello se Carmagnola fosse grande quanto il mondo.

Femminicidio: Marianna uccisa 12 volte prima di essere uccisa davvero

“Mi ha minacciato con un coltello, non so più che devo fare: aiutatemi”. Diceva così Marianna Manduca quando implorava di essere ascoltata dalla Procura di Caltagirone, terrorizzata da un marito vigliacchetto e violento come ne leggiamo troppi nelle cronache italiane.

Dodici denunce. Dodici volte Marianna ha chiesto aiuto a un Paese che continua a derubricare i segnali di femminicidio a piccole beghe famigliari che non meritano attenzione, contribuendo al senso di impunità dei maschi che si arrogano il diritto di ritenere le proprie compagne proprietà private a cui dare un senso con le botte e con la morte.

Io non so nemmeno se si riesce a scrivere con che sguardo una donna possa uscire dalla caserma per la dodicesima volta. Non so nemmeno immaginare dove finisca la sfiducia e dove inizi la paura per chi poi alla fine di coltellate ci è morta davvero: il marito Saverio Nolfo l’ha uccisa con sei coltellate al petto e all’addome il 4 ottobre del 2007 a Palagonia.

La procura di Caltagirone per la morte di Marianna è stata condannata dalla corte d’Appello di Messina: hanno riconosciuto il danno patrimoniale condannando la presidenza del Consiglio dei ministri al risarcimento di 260mila euro, e riconoscendo l’inerzia dei magistrati dopo una lunga trafila giudiziaria.

Dopo dodici volte insomma Marianna è morta per davvero. E dodici anni dopo le hanno chiesto scusa.

Perché non basta quasi mai solo un assassino per compiere un femminicidio.

Buon mercoledì.

(continua su Left)

La dose giornaliera di rabbia e quegli sputi su una madre

“Ma come si fa”

“Non merita di avere figli”

“Basta buonismo…un bimbo di 16 mesi che aveva tutto il diritto di vivere la propria vita non c’è più…Questa povera creatura chissà quanto avrà pianto prima di spegnersi piano piano…chissà quanto ha sofferto…non esiste dimenticarsi il proprio figlio in macchina…in questi casi dico solo una cosa: ERGASTOLO!!!”

“Chi si dovrebbe vergognare e l’assassina in prima persona. Non meritava di essere madre”

“Era talmente persa tra le sue cose che la bimba era l’ultimo suo pensiero”

“Nessuno vi prega di mettere figli al mondo se poi non riuscite ad occuparvene”

“La (scritto così, senza “h” nda) voluto lei secondo me se aveva un appuntamento dal parrucchiere non se lo dimenticava”

E qualcuno commenta: “brava, l’ho pensato anch’io, magari parlava al telefono”

“Sì magari la signora non si distraeva se non era a bere un caffè con il collega”

Sono solo alcuni dei commenti che sono piovuti dal “tribunale dell’uomo qualunque su facebook” su Ilaria Naldini, la madre che ad Arezzo ha perso la figlia piccola soffocata nella sua auto lasciata sotto al sole. Il tribunale del popolo ha vomitato i suoi insulti: gente che prima di andare a dormire, dopo una giornata di lavoro ha pensato bene di utilizzare un lutto e un dolore come anti stress alla propria giornata. Hanno messo a letto i loro di figli, dato il bacio della buonanotte alla moglie e poi hanno pensato di passare per un secondo sul cadavere di una bambina e sulla ferita di una madre per sputare un po’ di veleno prima di spegnere tutto e mettersi a dormire.

Una dose giornaliera di rabbia e sangue nel moderno Colosseo dei social dove nessuno ti chiede il conto del giudizio di pancia (o anche un po’ più giù) sparato a palle incatenate. A posto così: anche oggi la dose quotidiana di rabbia è stata ingerita. E migliaia di persone continuano a credere che sia un buon sciroppo contro le proprie piccole o grandi disperazioni quotidiane.

 

(continua su Left)

«Pensioni basse? Ipotecate la casa» parola della deputata Morani (PD)

Ne scrive l’HP qui:

«Esiste uno strumento che conosciamo poco, che è fatto apposta per gli anziani proprietari di casa che percepiscono pensioni basse, che si chiama prestito vitalizio ipotecario”. Scatena l’ìinferno l’affermazione di Alessia Morani, vicecapogruppo del Pd alla Camera, che durante una puntata di Quinta Colonna, avrebbe trovato la soluzione per gli anziani che percepiscono pensioni basse e non riescono a sopravvivere.»

Dopo aver escogitato un prepensionamento finanziato con un mutuo (sostanzialmente un welfare a piccole comode rate) ora gli esponenti della maggioranza propongono agli anziani prossimi alla pensione di utilizzare la propria casa (solitamente frutto della fatica di una vita) come garanzia d’accesso alla pensione. Lo Stato Sociale di questo Paese è diventato lo zerbino di quattro arroganti al governo.

Dicono che sia morta la sinistra, dicono; sicuramente ha perso.