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Eccoli “i migliori”

Cosa hanno fatto e detto in passato alcuni ministri del nuovo esecutivo guidato da Mario Draghi, il cosiddetto governo dei migliori

Renato Brunetta in un Paese normale, in un Paese capace di esercitare il muscolo della memoria almeno per qualche anno, sarebbe considerato un politico “finito”, uno di quelli che incassa con dignità le sue sconfitte e silenziosamente si ritira a fare altro. In Forza Italia, nella Forza Italia che si è sgretolata in questi ultimi anni, lui ha mantenuto invece la qualità politica che più conta da quelle parti, la fedeltà al capo e ad esserne lo scherano e così ce lo ritroviamo estratto dal cilindro. Brunetta fu già ministro nel terzo governo Berlusconi, proprio alla Pubblica amministrazione, ve lo ricordate? Fu quello che si presentò additando come «fannulloni» i dipendenti pubblici (e se ci fate caso quel vento sta tornando di moda, bravissimo Draghi a fiutarlo, chapeau) e pensò bene di installare dei tornelli negli uffici (voleva metterli anche nei tribunali) per risolvere il problema dell’assenteismo. Capite vero? Il governo dei migliori che dovrebbe farci dimenticare i banchi con le rotelle ha ripescato dal cassetto dei giocattoli rotti il ministro dei tornelli. Fu il Brunetta che si scagliava contro i magistrati che «lavorano due e tre giorni alla settimana» (ma per difendere Berlusconi bisogna per forza odiare i magistrati) e che aveva definito alcuni poliziotti dei «panzoni passacarte». La sua riforma che avrebbe dovuto rivoluzionare la pubblica amministrazione non ha cambiato nulla, nulla. In compenso Brunetta fu quello che accusava le donne di usare «gli ammortizzatori sociali per fare la spesa» e che, tanto per farsi un’idea dello spessore culturale, disse: «Esiste in Italia un culturame parassitario vissuto di risorse pubbliche che sputa sentenze contro il proprio Pae­se ed è quello che si vede in que­sti giorni alla Mostra del Cine­ma di Venezia». Un migliore, senza dubbio.

Mariastella Gelmini fu la ministra all’Istruzione che per quelli della nostra generazione ha lasciato come ricordo le macchie di un incubo. Tanto per stare sui numeri: un taglio in tre anni di 81.120 cattedre e 44.500 Ata (il personale non docente). È la sforbiciata complessiva di 125.620 posti dal 2009 al 2011 che avrebbe dovuto far risparmiare all’Erario poco più di otto miliardi di euro. Otto miliardi e 13 milioni, per la precisione, stima il Tesoro nel «Def 2011». Parte di queste risorse, il 30%, servivano a recuperare gli scatti stipendiali bloccati nel luglio 2010 da Giulio Tremonti. Da buona efficiantista non sognava una scuola migliore ma ambiva a tagliare “gli sprechi”. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, di fronte ai tagli alla ricerca, era però dovuto intervenire a gamba tesa nel 2009 invitando la ministra a «rivedere alcuni tagli indiscriminati». Delle donne disse che sono delle «privilegiate» se scelgono di assentarsi dal lavoro dopo la gravidanza. Nel 2009 pensò anche a un tetto del 30%, per ridurre il numero degli stranieri in classe. Una migliore, applausi.

Erika Stefani è ministra alle disabilità. Già il fatto che per le disabilità venga messo in piedi un ministero senza sapere e senza capire che il tema attraversi tutte le competenze ha la forma di un’elemosina, lo ha spiegato benissimo Iacopo Melio in questo articolo per Repubblica, ma uno si aspetterebbe che in quel ministero lì ci sia una persona empatica, inclusiva, con testa e cuore larghi. Erika Stefani è stata ministra con il primo governo Conte ma se la ricorda solo Wikipedia. Fino a qualche giorno fa aveva come copertina della sua pagina Facebook la sua foto in Parlamento mentre strillava con un cartello “No ius soli”. Era una di quelli che proponevano le gabbie salariali ovvero «alzare gli stipendi al Nord e abbassarli al centro-Sud». Una migliore, complimenti.

Poi c’è Giorgetti, sempre della Lega, come Stefani. Giorgetti è in Parlamento dal 1996 e ha il grande “pregio” di aver sempre seguito i potenti, passando indenne da Bossi a Maroni fino a Salvini. Parla poco perché quando parla dice cose che rimangono impresse a fuoco come quella volta che disse che i medici di famiglia non servono più. Infatti nella sua Lombardia i medici di famiglia sono stati disarticolati e la Covid ha preso piede con grande libertà. Un capolavoro. Giorgetti è uno di quelli stimati perché non parlano mai e rischiano di sembrare intelligenti, come Guerini nel Pd, sempre pronti ad attaccarsi alle braghe del potente giusto per risultare pontieri mentre invece sono solo camerieri. Giorgetti era uno di quelli che ci spiegò che i mercati europei attaccavano la Lega perché «i mercati sono popolati da affamati fondi speculativi che scelgono le loro prede e agiscono», disse proprio così. Ora è europeista. Che migliore, davvero.

Questo è solo un assaggio. Nei prossimi giorni li raccontiamo per bene tutti. Evviva i migliori. Evviva.

Buon lunedì.

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“Bene il ministero verde, ma il M5S in questi tre anni ha fatto solo danni all’Ambiente”: la portavoce di Green Italia a TPI

Quindi ora si esulta per il super ministero per la Transizione ecologica, come l’ha chiamato con enfasi Beppe Grillo. Ma serve davvero? Come siamo messi con le politiche ambientali? Ne abbiamo parlato con Annalisa Corrado, portavoce del movimento Green Italia, ingegnera meccanica specializzata in Ricerca Energetica, che si occupa di impianti alimentati da fonti rinnovabili, di efficienza energetica, di gestione virtuosa di rifiuti e sotto-prodotti e di  valutazione degli aspetti ambientali dei sistemi energetici.

Ora torna di moda l’ambientalismo. Grillo dice di avere ottenuto da Draghi un super ministero per la Transizione ecologica e il tema esplode sui media. È comunque un bene o rischia di essere l’ennesimo fuoco di paglia che passerà presto?
A Grillo ha fatto molto comodo intestarsi questa proposta con un colpo di teatro. Ma, avendo avuto a disposizione tre anni con il primo partito in Parlamento, avrebbe potuto fare molto se ci avesse tenuto tanto. Contano i fatti: i fatti dicono che non solo i Cinque Stelle non hanno fatto molto, ma anche che, di tutte le cose che si sono intestati come battaglie politiche sull’ambientalismo, non hanno fatto praticamente nulla, se non alcuni danni piuttosto importanti.

Fa un po’ sorridere che adesso l’ambientalismo emerga come una vittoria di Grillo, anche se il fatto che abbia spinto anche lui su questa soluzione torna comunque utile, soprattutto perché finalmente se ne parla nel dibattito politico e mediatico, cosa che non accade quasi mai. A mio avviso l’istituzione di questo ministero è un’ottima notizia: tutto si giocherà su quali deleghe avrà il ministero, su chi lo guiderà e con quale visione, con quali risorse e con quale sostegno politico.

Noi avevamo chiesto addirittura una cabina di regia in sede alla Presidenza del Consiglio perché combattere il cambiamento climatico prevede un’interdisciplinarietà tale che rende insufficiente un dipartimento del ministero dell’Ambiente com’è ora. Ci vuole delega sull’Energia, sui Trasporti, sulla Mobilità, sull’Industria, sull’Allevamento, sull’Innovazione, sulla Cultura, sulla Formazione, praticamente tutto deve essere organizzato per essere sinergico. Se il nuovo ministero sarà così, allora sarà esattamente quello che serve. Solo dall’annuncio comunque c’è stato un dibattito culturale e politico sicuramente positivo.

Qualcuno fa notare che al ministero esistesse già un dipartimento che avrebbe dovuto occuparsi proprio di questo. Ritiene utile che venga creato un ministero appositamente?
Sì, esiste un dipartimento, ma è totalmente insufficiente anche perché il ministero per l’Ambiente in Italia non ha deleghe forti, non ha disponibilità e importante e non ha una struttura forte. Basti pensare che al ministero per l’Ambiente non è mai stato fatto un concorso specifico: sono tutti funzionari e dirigenti che vengono da altre realtà e tutti i tecnici sono stati consulenti esterni con contratti super precari, con un turnover spaventoso per cui metterci le mani adesso è complicato. È un ministero super depotenziato che quando andava a interloquire con altri ministeri non ne aveva la forza.

Come valuta il governo Conte dal punto di vista delle politiche ambientali?
La valutazione è piuttosto desolante, anche se il M5S aveva fatto promesse e creato consenso intorno a temi come l’abolizione dei sussidi alle attività dannose per l’ambiente o i sussidi alle fossili. Nei due governi in cui il M5S avrebbe avuto modo di agire non ha fatto nulla,. Solo ipotesi, i soldi sono sempre tutti là belli fermi. Anche perché quando c’è da fare una battaglia meno comprensibile per le persone, penso alla plastic tax, ci si tira immediatamente indietro.

Ma soprattutto il M5S ha fatto danni rispetto all’economia circolare, che è un tema da loro molto cavalcato, perché ogni volta che in un territorio c’è un loro comitato contro un qualsiasi tipo di impianto sono sempre in prima linea. C’è una grande ambiguità tra il consenso popolare e le cose che si devono fare. La rivoluzione verde non sarà indolore: prevede uno stravolgimento importante delle nostre abitudini, del modo di fare produzione, di fare industria, di spostarsi. Tutte le rivoluzioni vanno costruite con attenzione ai più fragili, alle disuguaglianze sociali, però sono stravolgimenti che vanno spiegati e compresi con competenza e che vanno governati.

Noi abbiamo perso molti treni come tessuto industriale proprio perché non siamo stati in grado di capire che questa era la nuova direzione in tutta Europa. Faccio un esempio: ora che la plastica monouso è messa da parte, l’industria del nord Italia, che produce il 70% del monouso che viene venduto in Europa, è in crisi. Quando 15 anni fa gli ecologisti dicevano di investire in economia circolare li guardavano tutti come dei pazzi. Forse adesso un poco lo stiamo comprendendo.

Quali dovrebbero essere le priorità del governo Draghi sul tema, anche in previsione dei soldi che arriveranno dal Recovery Fund?
Serve una visione sistemica, mancano gli indicatori, manca una visione complessiva, mancano gli strumenti e mancano le indicazioni delle riforme per portare a termine gli obbiettivi. Noi già siamo in difficoltà nella gestione ordinaria delle risorse europee figuriamoci in una situazione del genere. C’è troppo poco sulle fonti rinnovabili, pensando solo a un potenziamento del bonus sull’edilizia residenziale.

Servirebbe una riconversione di tutto il sistema industriale verso l’economia circolare, che non può essere solo una nicchia: l’economia circolare è la lente attraverso cui progettare tutta la filiera industriale italiana. Ad esempio: vogliamo tornare a contare nell’automotive? Dobbiamo convertire le nostre produzioni, ancorate a un modello vecchissimo per i soliti interessi fossili che ci hanno penalizzato.

Ci sono tante voci scoperte e non c’è un sistema di rendicontazione dei risultati. Poi non si può dire “il 37% va alle rinnovabili e il resto lo mettiamo dove ci pare”: serve una strategia complessiva che nemmeno un euro vada contro l’obbiettivo della de-carbonizzazione. L’altra priorità di Draghi deve essere l’infrastrutturazione di questo Paese, un welfare che crei una salubrità come concetto molto più profondo del semplice concetto sanitario e poi la ristrutturazione sociale per l’emersione della parità di genere e dei talenti femminili. Non dimentichiamoci che l’approccio ecologista segue l’agenda 2030 dell’Onu quindi il Pnrr deve essere illuminato da quel documento.

Com’è messa l’Italia in termini di politiche ambientali nello scacchiere europeo?
Siamo messi male, molto male. Abbiamo procedure d’infrazione su tantissimi temi come la qualità dell’aria e la gestione dei rifiuti. Le cose in Italia succedono solo quando le procedure d’infrazione diventano insostenibili: vedi la chiusura della discarica di Malagrotta. C’è stato un breve periodo in cui abbiamo fatto parecchio per le rinnovabili a cavallo del 2010 dopodiché ci siamo completamente fermati.

Abbiamo un territorio dove servono moltissime bonifiche, abbiamo zone aggredite dall’industria dove le industrie se ne sono andate e sono rimasti i danni. I numeri epidemiologici a causa dell’inquinamento sono spaventosi e le politiche non sono all’altezza. Ci sono nazioni che hanno uno sguardo molto più alto del nostro, come la Francia, la Germania e i Paesi del nord. Addirittura a prescindere dal colore del governo del momento.

Ritiene che quella stessa parte politica che per anni ha negato i cambiamenti climatici possa ora ravvedersi in nome della “responsabilità” invocata da Mattarella?
No, quella parte politica che nega i cambiamenti climatici con battute di spirito cambi le sue posizioni che sono sempre state sui fossili e sulla conversazione. Sono anche partiti antiscientifici, l’abbiamo visto anche per il Covid. Non credo cambieranno improvvisamente idea. Potrebbe essere ora che intuiscano che anche negli interessi dei loro interlocutori (industriali, piccole e medie imprese) è ora di mettere al centro la sostenibilità e la conversione ecologica.

Vince chi investe su questo e si fa trovare preparato alle crisi e i numeri dicono che sopravvivono le aziende più indipendenti dal punto di vista energetico, più pronte a affrontare un mercato che sta cambiando. Sta diventando un tema anche economico, con le linee guida dell’Europa bisogna sviluppare questa visione. In Germania i temi della transizione sono bipartisan, a parte Trump anche negli Usa i repubblicani parlano di carbon tax da anni.

Leggi anche: Verdi tedeschi contro Grillo: “Un partito che insulta le donne e fa annegare i migranti non sarà mai come noi”

L’articolo proviene da TPI.it qui

È solo un armistizio

Giornata convulsa quella di ieri, eh? Però gira questa barzelletta che con il governo Draghi piomberà sull’Italia una grande pacificazione, è il desiderio soprattutto di chi con concezione confindustrialotta del mondo ritiene la politica una gran rottura, un peso burocratico che ci dobbiamo portare sulle spalle solo per fingere di essere democratici anche se l’ideale sarebbe un unico ristretto consiglio d’amministrazione e al massimo i dirigenti giusto per metterci gli amici e qualche capoturno per fare rigare dritto tutto il Paese.

Eppure la politica no, non cessa, seppur sciancata, scricchiolante, troppo spesso troppo poco credibile, in dissenso com’è nella sua natura e perduta nei mille rivoli che sono l’anima stessa del dibattito. Così ieri è accaduto che il Movimento 5 stelle abbia deciso di appoggiare Draghi ma è anche accaduto che il 40% dei votanti sulla piattaforma Rousseau non siano per niente d’accordo con le decisioni di Grillo e Di Maio. A proposito: è vero che votare su una piattaforma proprietaria di una società privata che non ha alcuna trasparenza, con un quesito scritto con modalità saudite (e con il solito italiano incerto) non sia stato un gran bello spettacolo ma che diano lezioni di consultazioni della base i partiti abituati a prendere decisioni nei caminetti o addirittura quelli che galleggiano in partiti padronali fa proprio ridere.

Comunque, dicevamo, ieri il Movimento 5 stelle ha votato e quel 40% in disaccordo pesa, eccome, sul futuro del Movimento e della politica. Nonostante molti editorialisti spernacchino i grillini che si potrebbero spaccare (sempre a proposito della “pacificazione” che per loro consiste nell’eliminazione dell’avversario) ciò che accadrà nel M5s avrà peso per il governo e per le prossime elezioni.

Accade più o meno lo stesso anche nel Partito democratico dove l’apparente quiete è solo una preparazione sotto traccia di un congresso che tra poco si comincerà a invocare. Le mosse di Zingaretti non sono piaciute e non piacciono a molti e l’idea di affondare l’attacco piace anche ai molti (troppi) infiltrati renziani che godono nel vedere macerie.

Accade lo stesso anche nella Lega, che però appare più brava nel nascondere il borbottio interno, dove non sono pochi quelli che contestano a Salvini “un’inversione a Eu” che viene considerata come un tradimento.

Forse solo Giorgia Meloni in questo momento si trova a capo di un partito che la appoggia su tutta la linea. Forza Italia e Italia viva non hanno fremiti: sono delle corti al guinzaglio del loro re. Per questo si piacciono tanto.

Insomma, il quadro è convulso, e i partiti continueranno comunque a fare i partiti, con tutti i loro tremori e con le inevitabili conseguenze. E alla fine Draghi dovrà scendere a occuparsi anche delle “questioni basse” come gli equilibri interni. Che poi è la politica, appunto. Oggi dovrebbe arrivare la squadra dei ministri. Si comincia a ballare.

Buon venerdì.

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Ora per Italia Viva il Mes “non è imprescindibile”: svelato l’inganno, Renzi voleva solo la testa di Conte

Ogni tanto conviene esercitare la memoria, anche quella più breve, anche in un momento di eccitazione politica, almeno per una questione di igiene intellettuale, perché ognuno possa giudicare senza farsi travolgere dalle mistificazioni.

Ieri Maria Elena Boschi, esponente di spicco dei renziani, ha dichiarato in scioltezza che Italia Viva non ha mai preteso il Mes: “Abbiamo sempre detto che non era per noi imprescindibile”, dice l’ex ministra. E tutti che fanno sì sì, senza nemmeno porre qualche domanda.

Badate bene: è la stessa Boschi che lo scorso 12 gennaio disse che Italia Viva aveva “chiesto al governo di prendere il Mes”. “Servono soldi per la sanità, non poltrone per noi”, diceva.

È lo stesso partito che il 13 gennaio, in piena crisi politica, disse per bocca del suo padrone Matteo Renzi: “Qual è il punto decisivo per la rottura? Tanti. Ma su tutti, il Mes. Noi chiedevamo più soldi per la sanità, attivando il Mes”.

Il 17 gennaio fu sempre Renzi, ospite di Lucia Annunziata, a dire: “Non voterò mai un governo che si ritiene il migliore del mondo e di fronte a 80mila morti non prende il Mes”.

E fu sempre Renzi che disse: “La mancata attivazione del Mes sarà pagata dai dottori, dai ricercatori, dai malati e dalle loro famiglie”.

E quindi? Quindi il punto centrale della rottura di Italia Viva con il Governo Conte nel giro di pochi giorni è diventato precipitosamente un’inezia su cui si può soprassedere senza nessun problema.

Per carità, non stupisce: in questa fase politica, sotto il nome della “responsabilità”, stiamo assistendo alle più inaspettate (e poco dignitose) acrobazie per giustificare inversioni delle proprie fedi politiche: i sovranisti sono diventati europeisti, i nemici delle banche si sono innamorati di un banchiere, gli appassionati dei programmi scritti hanno acceso una smisurata passione al buio, i cultori dei passaggi democratici si scocciano ad avere a che fare con questo Parlamento.

Ma una domanda, una, sorge spontanea: il Matteo Renzi che per settimane ci ha detto che non fosse un problema di nomi e di persone ma che tutto il suo agitarsi fosse figlio di un’irrefrenabile coerenza per i suoi contenuti politici cosa ci dice ora del Mes, di Arcuri che dovrebbe rimanere dov’è, del reddito di cittadinanza che probabilmente non verrà toccato e di un governo che nasce proprio su un nome, su una persona?

Perché altrimenti avrebbe potuto dire che il problema era Conte, solo Conte e la pazza idea di governare (ancora) con il centrodestra. La sincerità è una virtù. Lo diceva anche Confucio.

Leggi anche: La videolettera di Riccardo Bocca: Caro Draghi, lei è il medico del pronto soccorso ma è la politica che deve resuscitare

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La sostanziale differenza

Lasciando perdere il centrodestra c’è dall’altra parte, nel presunto centrosinistra ormai da anni tendente al centro centro centrodestra, in quello che potremmo definire un centrocentrocentrocentrosinistra una spaccatura che emerge ancora di più in queste ore ma che è andata a consolidarsi in tempi lunghi, sostanzialmente dalla nascita del Movimento 5 Stelle e che ora esplode in previsione dell’insediamento del prossimo governo.

Ci sono i cultori della competenza, che si fanno chiamare così ma sono sostanzialmente quelli che mal sopportano i grillini, che trovano indecenti certi loro dirigenti politici, che non ne condividono la struttura padronale, che ne criticano la volatilità delle posizioni, che ne sottolineano la predisposizione ad allearsi con chiunque e che trovano tutto questo gravemente insopportabile. Un pezzo di dirigenti politici (e plausibilmente anche di elettori) sta giocando in questi giorni la sua battaglia contro il Movimento 5 Stelle (e contro Conte) e simula (spesso male) di volerne fare una questione di principio. Peccato che i valori e i principi, comunque vada, ne usciranno inevitabilmente piuttosto deboli in un governo che vede “dentro tutti”: pensare a un “governo della competenza” che contenga Lega e Forza Italia è qualcosa che sarebbe stato inimmaginabile fino a qualche tempo fa. Eppure i “cultori della competenza” ci dicono che sia meglio un Salvini e un Berlusconi voltafaccia piuttosto che il Movimento 5 Stelle accusato di avere voltato la faccia. E quindi a questi gli tocca perfino adorare la competenza di un Giorgetti per spazzare un Di Maio. E avranno una maggioranza con dentro Giorgetti e Di Maio. Vai a capire.

Dall’altra parte ci sono quelli che si ricordano ancora cosa sia la neodestra della Lega, che sanno esattamente che sventura sia stata il berlusconismo al potere, che ricordano con un certo fremito le macellerie sociali innescate da certi governi tecnici che si sono potuti permettere di bastonare i poveri in nome dell’impolitica e che trovano indigeribile la normalizzazione di una destra che probabilmente è una delle peggiori destre di sempre. Anche questi in fondo hanno una battaglia personale da combattere: ritengono indigeribile Salvini e i suoi scherani e ritengono inaccettabile la riabilitazione di Berlusconi e le oscure trame del suo partito. Ritengono che “quelli che hanno governato con Salvini” non possano essere peggiori del Salvini stesso e che la credibilità di una maggioranza si disegna anche da chi ne resta escluso. Confidano in Draghi (che ha l’interesse primario di tenere in maggioranza più partiti possibili) per sperare che escluda qualcuno che loro stessi non riescono a escludere. Sanno perfettamente però (almeno ce lo auguriamo) che non accadrà nulla di tutto questo e che il governo che si insedierà sarà un tiepido compromesso. E fanno il pesce in barile. Vai a capire.

Sopra a tutti c’è un presidente del Consiglio incaricato che deve provare a tenere insieme questi due blocchi contrapposti (più ovviamente la porzione di destra che ha già assicurato il suo sostegno) cercando di non scontentare nessuno, almeno di scontentarli il meno possibile, sapendo bene che sia impossibile accontentarli.

Il governo che nasce è questa cosa qui, legato con mani e piedi alla differenza sostanziale che ogni giorno si esercita nei politici, nei giornalisti, tra gli opinionisti. E allora viene normale aspettare almeno i programmi, almeno per elevare il dibattito dalla disputa che sembra ormai una questione di tifo e per tornare a parlare di temi. Ogni volta che qualcuno sommessamente fa notare che i programmi saranno dirimenti (ma non bastano i “titoli” di un vago programma) le due fazioni ricominciano a prendersi a pesci in faccia: “come vi permettete di chiedere i programmi voi che siete indegni perfino di stare dentro questa maggioranza” gridano gli uni agli altri. E sono giorni tutti così.

Buon giovedì.

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L’ex M5S Giarrusso a TPI: “Il Grillo di oggi è un clone dell’originale, l’establishment si è impadronito del Movimento”

Mario Michele Giarrusso, ex senatore del Movimento 5 Stelle ora nel Gruppo Misto, alla sua seconda legislatura e attivista del Movimento dal 2006 usa parole durissime contro Beppe Grillo e sul voto, per ora bloccato, su Rousseau per interpellare gli iscritti M5S sul Governo Draghi. L’abbiamo intervistato per TPI.

Giarrusso, che significato ha questo stop voluto dal M5S al voto sulla piattaforma di Rousseau?
“È il momento della frattura, penso ormai definitiva, fra Casaleggio e l’establishment che si è impadronito del vertice del Movimento con l’appoggio di Grillo, che continua a sostenere questo gruppo dirigente preoccupato solo dalle poltrone. Perché solo di poltrone stanno parlando con Draghi in questi giorni”.

Quindi Casaleggio voleva il voto per sferrare un attacco? Perché?
“Casaleggio attacca perché vuole far fallire il piano dei poltronisti facendo esprimere il Movimento. Ancora non c’era stato l’endorsement di Grillo e gli attivisti avrebbero bocciato sonoramente l’appoggio a Draghi”.

Quindi è stato Casaleggio a volere il voto sulla piattaforma?
“Certo. Tant’è che gli era stato detto che, secondo lo Statuto, il voto sulla piattaforma poteva essere chiesto solo da Grillo e dal capo politico provvisorio Crimi. Tra l’altro Crimi è un capo politico abusivo, visto che è scaduto da 10 mesi e continua a trattare decisioni delicatissime di importanza capitale. Invece la votazione l’ha voluta Casaleggio, forte del fatto di avere le chiavi della piattaforma. E si è sfiorata la frattura al contrario, poiché avrebbero lasciato il Movimento i ‘governisti’, quelli che vogliono a tutti i costi Draghi”.

Ma questa frattura è solo rimandata o potrebbe rientrare?
“Secondo me è solo rimandata. Ci si spaccherà tra i poltronisti e quelli che seguono Di Battista. Tra l’altro il video di Grillo è veramente patetico: far passare per grillino Draghi è una cosa che va al di là dell’immaginazione. Sembra che Grillo sia stato clonato e sostituito da una brutta copia”.

Qualcuno dice che sia anche poco rispettoso nei confronti del Governo dover aspettare un eventuale voto dei grillini su Rousseau. Che ne pensa?
“Ogni gruppo politico ha le sue liturgie: ci sono le direzioni, i direttivi, i comitati centrali. Questo non è un problema. Ogni gruppo politico decide con le proprie strutture. Il problema è che si sta facendo una votazione comunque al buio, senza sapere il programma di Draghi e la squadra di ministri, che farà capire molto. E quindi la votazione va fatta dopo avere appreso programma e squadra”.

Siete entrati come M5S (anche se lei poi ha abbandonato il gruppo) in Parlamento con il mantra di non allearsi con nessuno e siete stati alleati prima con Salvini, poi con Renzi,Pd e Leu, ora con Salvini, Renzi, Pd, Forza Italia, Calenda e Tabacci…
“C’è gente che è venuta in Parlamento solo per andare a prendere una poltrona governativa: penso a Buffagni, Spadafora… Questi si alleerebbero con il lavandino di Palazzo Madama pur di andare al Governo. C’è stata una mutazione genetica gestita da Luigi Di Maio, che è stato preso da una voracità senza limiti di potere e di poltrone”.

Leggi anche: 1. Draghi non parla ma è già furioso con i 5 Stelle in piena emergenza Covid (di M. Antonellis) / 2. La moltiplicazione dei pani, dei pesci e dei titoli derivati: Mario Draghi santo subito (di Alessandro Di Battista)

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Facce toste

Tra i politici, in questi giorni, è tutto uno smentirsi senza nemmeno avere qualche remora. Senza nemmeno sentirsi in dovere di spiegare. E non è un bel vedere

Sono giorni frizzanti questi perché, mentre il presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi continua il suo giro di consultazioni, abbiamo l’occasione di toccare con mano lo spessore politico dei partiti in Parlamento, quei partiti che da anni vorrebbero perfino essere portatori di etica e che si combattono dando lezioni di moralità uno contro l’altro mentre poi nel loro piccolo cortile riescono a dare il peggio di sé.

Ieri l’europarlamentare Antonio Rinaldi, il fondatore e uomo di punta della corrente “no euro” della Lega di Salvini, è riuscito a rilasciare un’intervista alla giornalista Annalisa Chirico in cui candidamente afferma di non avere «mai detto di voler uscire dall’euro». Una roba immonda che racconta perfettamente come sotto il paravento di una “responsabilità” fasulla (che poi consiste nell’occasione di ambire a mettere le mani sui miliardi che arriveranno dall’Europa) i partiti siano disposti addirittura a rinnegare se stessi. Dice Rinaldi che le sue panzanate contro l’euro erano «solo una speculazione accademica», che «dall’euro non si esce» e parlando della Lega afferma: «Non siamo noi a esserci avvicinati all’Europa. È l’Europa che si è avvicinata a noi».

Pensare che in questo video (uno tra i tanti) dichiarava che dalla moneta unica europea si dovesse uscire subito e che per farlo sarebbe bastato un decreto. A proposito: quel video è sulla pagina del Movimento 5 stelle Europa, sì, quando anche loro insistevano tutti belli felici sull’antieuropeismo per riuscire a racimolare qualche voto degli arrabbiati. Vi basta fare un giro in rete per ritrovare centinaia di eventi (di Lega e di M5s) contro l’euro. Ora vi stanno dicendo che era tutto falso, niente di niente. Chissà che ne pensano gli elettori, sempre a proposito della “crisi di fiducia verso la politica”.

Badate che contro l’euro, nonostante in questi giorni siano pochi a ricordarlo, si scagliava simpaticamente anche Silvio Berlusconi: nel gennaio del 2018 in un’intervista al Corriere dell’Umbria l’ex Cavaliere disse (sempre per solleticare gli sfinteri degli elettori): «Rispetto a 24 anni fa, l’Italia è peggiorata per colpa dell’euro. L’introduzione della moneta unica con quelle modalità e a quei valori, improvvidamente accettati da Romano Prodi, ha dimezzato i redditi e i risparmi degli italiani». E questo concetto l’abbiamo sentito ripetere migliaia di volte in questi anni tanto che è arrivato intonso fino a noi.

Notevole anche la dichiarazione di Carlo Sibilia, ex sottosegretario per il M5s, il partito che avrebbe dovuto aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno e non allearsi con nessuno, che dice candidamente: «Abbiamo digerito Lega e Pd, possiamo digerire anche Berlusconi in maggioranza con noi». La scatoletta di tonno ormai se la sono mangiata e non hanno nemmeno avuto bisogno della citrosodina per sistemarsi lo stomaco.

E così via: è tutto uno smentirsi senza nemmeno avere qualche remora. Meno di un mese fa, ospite da Gruber alla trasmissione Otto e mezzo, il democratico Andrea Orlando (attenzione, meno di un mese fa), rispondendo a una domanda del direttore di Domani Stefano Feltri che gli chiedeva se il Pd fosse disposto a governare con Salvini nell’ipotesi di un governo Draghi, il parlamentare Pd rispose sornione e bello convinto: «Nemmeno se venisse Superman». Chissà cosa ne pensano gli elettori.

Ora, vedete, il problema non è cambiare opinione (come succede nella vita e nella politica quando cambiano le situazioni e i contesti). Ciò che lascia basiti è che non assistiamo a un’onesta narrazione di se stessi in cui i politici dicono di dover prendere una decisione inattesa per questo o quel motivo: questi addirittura si rinnegano senza nemmeno sentirsi in dovere di spiegare. E non è un bel vedere.

Infine: ieri Giorgia Meloni si è lanciata nella sempre ridicola proposta di una “flat tax progressiva” che è un ossimoro indecente. Ha ragione Civati quando scrive che ora le manca solo “una patrimoniale per i senza tetto” e poi siamo al punto massimo della ridicolaggine. Ma c’è un aspetto che conviene sottolineare: allo stato attuale a Fratelli d’Italia, che risulta essere l’unico partito all’opposizione, spetterebbero i presidenti delle commissioni Vigilanza Rai, Copasir, e vigilanza su Cdp. Qualcuno ci ha pensato?

Buon mercoledì.

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L’estate a scuola? Se lo propone Azzolina è una scemenza, se lo dice Draghi ha perfettamente senso

Confessiamolo, non è un gran momento per assistere a discorsi lucidi sulle proposte politiche: la spasmodica attesa e le grandi aspettative del possibile prossimo governo Draghi e il fatto che per il momento sembrano volerci entrare praticamente quasi tutti i partiti hanno sdoganato posizioni fideistiche che confidano sul potere taumaturgico del governo che verrà.

E invece un po’ di lucidità fa bene a noi e può essere d’aiuto anche a Mario Draghi, sicuro. In queste ore sta ottenendo lodi sperticate la proposta del premier incaricato di tenere aperte le scuole fino alla fine di giugno “per recuperare le giornate perse” durante la pandemia (riferiscono così i parlamentari che hanno partecipato alle consultazioni).

Si alzano i cori: “Prolungare la scuola è il vero messaggio al Paese”, scrive l’ex senatore del Pd Stefano Esposito. “Dopo un anno la cui preoccupazione del Governo è stata la chiusura delle scuole […] la capite la differenza?”, fa notare l’ex deputato Fabio Lavagno.

E via così: il giornalista de La Stampa Iacoboni scrive del passaggio “dalla propaganda a delle sane, semplici idee di governo” e gli editorialisti esultano.

Tutto bene, per carità. Ma c’è un punto che forse vale la pena rimarcare: la proposta di prolungare l’anno scolastico fino a fine giugno era già stata lanciata dalla ex ministra Azzolina proprio a dicembre dell’anno scorso, poche settimane fa.

In quel caso la reazione della stampa e della politica fu diametralmente opposta (cadendo spesso nella derisione) e il mondo della scuola pose obiezioni che valgono ancora oggi: la Cisl parlò di idea “inopportuna” chiarendo come ci fossero “scuole dove l’attività non si è mai interrotta, anzi, ci sono scuole in cui si è sempre lavorato tra mille difficoltà”. “Le scuole sono aperte, nessuno ha chiuso”.

Il coordinatore nazionale della Gilda Insegnanti, Rino Di Meglio, parlò di “proposta offensiva verso i colleghi che stanno sgobbando con la dad”. La Uil rifiutò la proposta invitando il Governo a “uscire dall’estemporaneità per il lavoro straordinario e confuso”.

Venne poi fatto presente il problema della sovrapposizione degli esami e dei problemi di salubrità climatica di molte classi del sud. Qualcuno fece notare che il problema della scuola in tempi di pandemia sono i dispositivi di sicurezza, i trasporti e l’areazione delle classi (che sarebbe costata meno dei banchi a rotelle).

Un po’ di lucidità, insomma, perché osannare le stesse proposte dell’altro Governo dopo averle derise non fa bene al clima generale e alla presunta serietà che si vorrebbe imporre. E questo non è un problema di Draghi: questo ha a che fare con la credibilità di tutti gli altri intorno.

Leggi anche: 1. Borghi (Lega) a TPI: “Sostegno a Draghi è la scelta più sovranista che possiamo fare” / 2. La moltiplicazione dei pani, dei pesci e dei titoli derivati: Mario Draghi santo subito (di Alessandro Di Battista)

L’articolo proviene da TPI.it qui

Finalmente un po’ di programma

Scuola, lavoro, ambientalismo, vaccini… Si comincia a fare politica e finalmente usciamo dall’agiografia giornalistica. E adesso, finalmente, calano le maschere

Forse finalmente ci prepariamo ad uscire da questo nauseante fardello di agiografia giornalistica che negli ultimi giorni si è spremuto sul pasticciere di Draghi, sulla corsetta mattutina di Draghi, sulle opinioni dei compagni di classe di Draghi, sui gusti culinari di Draghi, sul “quanto è bello il silenzio compito della moglie di Draghi”, sulle analisi dei completi indossati da Draghi e si torna a parlare di politica. Finalmente, vedrete, ci farà bene, farà bene a tutti.

Nel secondo giro di consultazioni il Presidente del Consiglio incaricato sta presentando ai gruppi parlamentari un’idea di programma per il governo che potrebbe essere e si potrà testare quali siano le idee e soprattutto quale potrebbe essere l’apporto dei partiti. Per ora, com’è naturale che sia, siamo solo ai titoli declamati ma da questo possiamo partire per aprire un dibattito e delle riflessioni. È un passo in avanti, certo.

Ieri si è parlato un po’ dappertutto dell’ipotesi del prolungamento della scuola: secondo Draghi gli studenti hanno perso troppi giorni e occorre intervenire con una revisione del calendario scolastico fino a fine giugno. Draghi ha insistito anche sulla necessità di farsi trovare pronti per la ripresa dell’anno scolastico 2021-2022 per risolvere l’annoso problema delle 10mila cattedre vacanti di questo inizio di anno scolastico. Declinato così, ovviamente, questa idea sembra un colpo facile su cui presumibilmente saranno tutti d’accordo. Chissà che sia la volta buona che questo impegno non rimanga nel cassetto dei sogni. Anche perché proprio ieri una ricerca ha confermato quello che sappiamo da tempo: nell’Italia delle disuguaglianze una famiglia su tre ha difficoltà a sostenere e seguire il proprio figlio in Dad.

Poi c’è l’ambientalismo. Anche questo è un punto che si è sventolato spesso e che invece ha bisogno di azioni concrete e rapide. Ora sappiamo che il 37% delle risorse del Recovery finirà lì. Draghi ha ripetuto più volte che bisogna puntare sull’ambiente in modo trasversale, puntando il dito sull’inquinamento di zone d’Italia come la Lombardia (a proposito del “modello lombardo”) dichiarando di pensare all’ambiente anche come occasione di sviluppo e di crescita. Anche qui, certo, siamo ai titoli iniziali, ma la sfida è già una priorità di molti Paesi europei. Chissà che non diventi un tema prioritario anche qui, anche nelle agende dei partiti.

Poi c’è la campagna dei vaccini. Mentre Salvini riesce a sfiorare il ridicolo proponendo il “modello Lombardo” e il “modello Bertolaso” (con la Lombardia che svetta per numero di morti e con Bertolaso che per ora si è limitato a comporre un po’ di slide), l’idea di Draghi sarebbe quella di proporre il “modello inglese”. Per ora si parla di poco o niente, come abbiamo avuto occasione di vedere ciò che conta in una campagna vaccinale sono i numeri. Chissà almeno che non ci si liberi delle primule di Arcuri. C’è un aspetto che lascia un po’ perplessi: Draghi avrebbe anche chiesto di cambiare il “clima” generale della narrazione. Se così fosse sarebbe un peccato: l’ottimismo dopato dalla narrazione è una truffa, l’ottimismo si costruisce offrendo opportunità. Ma avete notato anche voi come sia già cambiata la percezione del virus in questi giorni nonostante le preoccupazioni delle varianti? Curioso, vero? Non è un bel segnale.

Poi c’è ovviamente l’atlantismo, ovvero il riposizionarsi con convinzioni sulle posizioni degli Usa di Biden in un quadrante geopolitico ben definito. Qui il terreno è molle: il confine tra alleanza e servitù è sottile.

Poi c’è il quadro degli aiuti per il lavoro (ci torniamo più largamente nei prossimi giorni) e su questo circolano già alcune parole chiave: niente «contributi a fondo perduto», si dice, e attenzione perché nella definizione del «fondo che si è perduto» si gioca la sostanziale differenza tra chi vuole sostenere le imprese o i lavoratori. Sul punto di equilibrio si definisce la posizione politica del governo che sarà (nonostante si finga che non ci sia connotazione politica). Se gli aiuti alle imprese che vengono sventolati finiranno ancora una volta a salvare il culo dei padroni mentre macellano i lavoratori non sarà un buon momento, no. E viste le facce che sostengono il governo viene da pensar male. Si dice che non ci sarà spazio per la proroga del blocco dei licenziamenti. Quindi che si farà? Questo è un bivio fondamentale. Ah, ci saranno consistenti aiuti per gli istituti di credito (che continuano a non dare credito). Chissà perché non ci stupisce.

Parole da prendere bene con le pinze sul fisco: si parla di una riforma strutturale per «alleggerire il ceto medio» in un Paese in cui il ceto medio esiste sempre meno e in cui il problema è la povertà, mica la piccola borghesia. E anche su questo la tiritera del governo senza colore politico cadrà inesorabilmente. Aspettiamo, con parecchia ansia.

Poi, come governo tecnico che si rispetti, si parla di “infrastrutture”. Anche qui la partita è semplice: siamo ancora il Paese che considera infrastruttura il ponte sullo Stretto o siamo il Paese capace finalmente di considerare le infrastrutture sociali che modernizzerebbero davvero il sistema Stato?

Insomma, si comincia a fare politica e finalmente l’aria si dipana, anche tutto questo sistema gassoso e fideistico che ormai ci ha annoiato. E adesso, finalmente, calano le maschere.

Buon martedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Moltiplicano i pani, i pesci e i Salvini

Non serve nemmeno frugare troppo in giro per ritrovare ciò che pensava di Draghi Matteo Salvini fino a dieci minuti prima di diventare draghiano e europeista e addirittura così “responsabile” da chiedere per sé il Ministero dell’istruzione. Il 6 febbraio del 2017 diceva «L’euro non è irreversibile come sostiene Mario Draghi. Mi spiace ci sia un italiano complice della Ue che sta massacrando gli italiani e l’economia italiana». E quando qualcuno gli parlava dello spread e dell’Europa (che sarebbero tra i motivi che oggi hanno convinto il leader della Lega all’ennesima giravolta) disse letteralmente: «Noi vogliamo che l’Italia torni a scegliere, a decidere, a sperare nel futuro. Il ricattino dello spread lo abbiamo già visto 5-6 anni fa, non ci casca più nessuno. Non sono tre banchieri, tre massoni o tre finanzieri a tenere in ostaggio il popolo italiano». E, sempre nel 2017, quando fu Berlusconi a fare il nome di Draghi al governo (questo a dimostrare da quanto il nome di Draghi veleggi e da quei lidi fosse invocato) Salvini rispose: «Non se ne parla nemmeno. Mario Monti bis. E la fotocopia di Mario Monti non mi interessa».

Salvini dunque ha cambiato idea ed è vero che sono gli stupidi che non cambiano mai idea ma ci sono anche quelli che scambiano l’opportunismo per responsabilità e si impegnano in queste ore a esercitare una narrazione che vorrebbe convincerci che sia addirittura un privilegio avere un governo con “tutti dentro” come se la politica fosse davvero una livella che tiene tutti a cuccia, basta trovare l’uomo giusto per zittire. E questi strani frequentatori della democrazia che ritengono il ruolo dell’opposizione semplicemente come quelli “che sono stati fuori dal giro delle poltrone” incensano lo splendore di un governo in cui tutti diventano potabili, in cui tutte le idee accettano di essere piallate e in cui le differenze vengono dimenticate: sognano uno studio associato di segretari del commercialista da poter rivendere come Parlamento. È il loro obiettivo. Che la Lega in Europa si sia astenuta sul Recovery Fund nel dicembre del 2020, che abbia votato no ai Coronabond, no alla condanna di Putin per il caso Navalny (a settembre 2020) e tanto altro rientra semplicemente nelle “gag” leghiste che ora siamo disposti a tollerare.

Lo scriveva bene ieri il blog satirico Spinoza: «Non condivido le tue idee, ma mi batterò fino alla morte affinché tu possa farmi entrare nel tuo governo». E ora anche Salvini diventa uno statista poiché è stato bacchettato sulle dita da Confindustria e ha deciso di rimettersi a cuccia, ovviamente solo per il tempo di trovare uno spiraglio per scassare tutto appena i sondaggi gli diranno di andare a elezioni.

Qualcuno nel delirio di questa desertificazione che chiamano “responsabilità” in questi giorni tenta anche irresistibili confronti con il passato. Ieri proprio Salvini per giustificare il suo ingresso al governo ha tirato fuori il governo guidato da Alcide De Gasperi dal 10 dicembre 1945 al 14 luglio 1946 che teneva insieme Dc, Pci, Partito d’azione, Psiup, Pli e Partito del lavoro. Peccato che abbia dimenticato di dire che tutti quelli avessero lottato contro il fascismo e ne avessero subito la persecuzione. Ma anche l’antifascismo, se notate bene in giro, è un argomento “disturbante” per l’unità nazionale. Avanti così.

Ma il vero capolavoro politico sono quelli che esultano per l’operazione in corso che poi sono gli stessi che esultavano per la scorsa operazione politica “capolavoro” che ci avrebbe dovuto liberare da Salvini: il capolavoro, lo scrivevamo qualche giorno fa ora è Matteo che ha riabilitato Matteo. Segnatevelo: sono gli stessi che fra poco si stupiranno delle differenze che usciranno in Parlamento e le chiameranno intralci. Del resto qualcuno sogna da tempo una politica senza Parlamento, senza partiti, che semplicemente vada tutte le mattine sullo zerbino di Draghi per lasciare giù i voti e ritirare le comande.

Avanti così.

Buon lunedì.

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