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Decreti Sicurezza, Gatti (Open Arms) a TPI: “Un passo avanti, ma le Ong vengono ancora criminalizzate”

Riccardo Gatti, capitano e direttore di Open Arms, commenta le modifiche ai decreti sicurezza decise dal governo Conte e approvate ieri dal Consiglio dei ministri. A TPI, Gatti spiega quale impatto potrebbero avere queste modifiche ai “decreti Salvini” sulle Ong e sulle operazioni di soccorso in mare.

Gatti, come valuta le modifiche dei decreti sicurezza, lei che si occupa di salvataggio in mare?
Partiamo da questo presupposto: sono modifiche di provvedimenti che andavano cancellato dal primo momento, e noi lo abbiamo sempre detto. I decreti sicurezza erano vergognosi. Detto questo, qualsiasi miglioramento è da valutare positivamente. Dobbiamo però ravvisare che si continuano a criminalizzare le Ong. Le multe sono passate dall’ambito amministrativo a quello penale in due fondamentali casistiche: quando non vengono avvisate tempestivamente le autorità competenti delle proprie zone Sars e quando viene forzata l’entrata in porto. Si sta dando ancora l’idea che le Ong mettano in atto comportamenti fuori dalle normative, che invece hanno sempre dimostrato di rispettare.

Si può dire lo stesso dei governi?
Chi non ha rispettato la legalità sono stati proprio i governi. Ancora una volta per puro interesse politico si colpevolizzano le Ong. Continuare a parlare delle multe è scorretto e tendenzioso. Il soccorso in mare è normato dalle convenzioni internazionali. Da quando abbiamo cominciato a soccorrere in mare, nel 2015, c’è stata una totale distruzione di un sistema coordinato, diretto dalla Guardia Costiera italiana. Le autorità competenti sono via via scomparse. La collaborazione è scomparsa. Malta ha un comportamento totalmente ostile nei confronti delle Ong, non mette in atto nemmeno le evacuazioni mediche quando le richiediamo. In Italia lo sbarco dei migranti, che dovrebbe essere tempestivo, avviene sempre dopo che sono stati trovati gli accordi di ricollocamento, che non hanno niente a che vedere col soccorso delle persone in mare.

E poi c’è la Libia…
È stato ampiamente documentato quale sia il loro comportamento: non rispondono, e se lo fanno chiedono di riportare le persone a Tripoli, dove tutti sanno cosa accade ai migranti, violando la convenzione di Ginevra e i diritti umani. Negli anni il sistema di soccorso in mare coordinato è venuto meno, l’atteggiamento è diventato più ostile ed è aumentata la criminalizzazione, anche mediatica, delle Ong, mentre si è continuato a insistere con la politica dei respingimenti per procura, con l’unico obiettivo di intercettare le persone e riportarle in Libia. Quindi, ora ben venga qualsiasi miglioramento rispetto ai decreti Salvini, ma il problema di fondo resta sempre lo stesso.

Il governo però sostiene che passare dal reato amministrativo a quello penale sia un modo per tutelare le Ong: ci si affida infatti a un giudice esterno e terzo per valutare eventuali irregolarità. Che ne pensa?
Il discorso che fa il governo va bene, ma ci dimentichiamo che stiamo parlando delle stesse organizzazioni che hanno dimostrato per anni (anche nei tribunali) che di irregolarità non ne commettono. Siamo ancora sotto osservazione? Siamo sempre quelli che venivano coordinati dalla Guardia Costiera e dalla Marina Militare italiana. La verità è che andrebbe ripristinato il soccorso in mare, questo sì che migliorerebbe la situazione.

Leggi anche: 1. Decreti Sicurezza, Rampelli (FdI) a TPI: “Conte sotto ricatto del Pd. Il M5S ha perso la faccia” / 2. Sicurezza, ok al nuovo Dl. Ong, accoglienza, permessi di soggiorno: cosa cambia dai “decreti Salvini”

L’articolo proviene da TPI.it qui

Trump e lo show del Covid da cui uscire vincitore

L’ultimo in ordine di tempo è Donald Trump ma gli esempi si sprecano. Il presidente USA è risultato positivo al Coronavirus e la sua situazione continua a preoccupare i medici. Alcuni media USA rilanciano addirittura la notizia che il presidente avrebbe saputo di essere positivo fin dallo scorso giovedì, addirittura prima di apparire sul canale Fox ma non avrebbe rivelato nulla limitandosi solo a confermare la positività di alcune persone vicino a lui. Ma non è questo il punto: ieri Trump ha lasciato il Walter Reed Military Medical Center di Bethseda per un piccolo giro con il suo suv presidenziale salutando i suoi sostenitori richiamati con un messaggio su Twitter. Anche questo non stupisce: chi ha negato per mesi la pericolosità del virus (addirittura come nel caso di Trump mettendo in dubbio le statistiche sui decessi) e chi per mesi si è vantato di non indossare la mascherina (nel suo confronto televisivo con il democratico Biden Trump non ha esitato a prenderlo in giro proprio perché indossava sempre la mascherina) ha bisogno di un po’ di bullismo mediatico per rinverdire la propria immagine di uomo forte.

Fa niente che il suo show abbia messo rischio la vita di altre persone, questo sembra contare poco. Il dottor James Philips, assistant professor alla Georgetown University, chief of Disaster Medicine al dipartimento di Medicina di emergenza e analista della Cnn che frequenta anche il Walter Reed, è stato netto: «Ogni singola persona che si trovava nel veicolo durante il giro presidenziale completamente inutile ora deve essere messa in quarantena per 14 giorni. Potrebbero ammalarsi. Possono morire. Per una sceneggiata politica. Gli è stato ordinato da Trump che dovevano mettere a rischio le loro vite per una sceneggiata. Questa è follia». Ma il punto interessante è un altro: anche Trump, come molti dei leader politici che si sono ritrovati ad avere esperienza diretta della malattia, ha romanticizzato il suo contagio dicendo di avere imparato molto sul Covid, «è stata una vera scuola», ha detto in un video, ringraziando medici, infermieri e il personale sanitario. Accade sempre così: si nega un pericolo, ci si cade dentro, ci si affida alla scienza e alle regole che prima si sono sempre contestate e infine ci si riallinea velocemente per la paura di morire.

E qui si apre una disdicevole abitudine di quest’era: governanti e pezzi della classe dirigente che imparano la lezione solo se gli cade addosso personalmente, come se i numeri, le notizie, i fatti e le testimonianze non abbiano nessun effetto sulla loro consapevolezza, incapaci di essere riflessivi e empatici su quello che gli accade intorno a meno che non avvenga nel proprio ristretto cortile. E sono quegli stessi governanti che dovrebbero occuparsi delle situazioni più estreme, capaci di sentire tutti i cittadini come propri e capaci di solidarizzare anche e soprattutto con le condizioni lontane da loro. Sono gli stessi governanti (e pezzi di classe dirigente) che faticano a trovare il vocabolario delle povertà, delle disperazioni, dei soprusi e del calpestamento dei diritti dalla loro torre dorata dove vivono una realtà anestetizzata. Ma siamo davvero sicuri che abbiamo bisogno di politici che trasformino le proprie disgrazie in un reality da cui uscire vincitori come se lo scenario di un’intera nazione possa dipendere dagli accadimenti privati? Siamo consapevoli che esistono capi di Stato che hanno a disposizione una schiera di professionisti e di esperti e invece riducono tutto solo al proprio sentire?

Perché a questo punto allora viene il dubbio che potremmo sperare di avere scelte lungimiranti solo passando per l’esperienza diretta, allora dovremo aspettare che i nostri leader del mondo diventino poveri per riuscire a conoscere le povertà, vengano arrestati per rendersi conto della terribile situazione giudiziaria e carceraria, salgano su un gommone per provare l’ebbrezza di una migrazione disperata e così via all’infinito in un tour sentimentale che possa formarli per riuscire a governare. Sarebbe una disgrazia e una partita persa. Quindi attendiamo con fiducia e urgenza di avere leader con visioni larghe e inclusive, davvero, e riconosciamo una volta per tutte che la personalizzazione della realtà è forse il più sfortunato vizio che possiamo ritrovare in un personaggio politico. Stacchiamoci dallo show e pretendiamo governanti educati alla complessità. Ci farà bene a tutti, indipendentemente dalla parte politica. In fretta.

L’articolo Trump e lo show del Covid da cui uscire vincitore proviene da Il Riformista.

Fonte

«Essere antifascisti oggi significa essere contro il razzismo»

Se n’è andata Carla Nespolo, la presidente dell’Anpi e donna coraggiosa e forte. Ma Carla Nespolo ci ha lasciato una lezione che va tenuta bene a mente, va mantenuta in tasca ogni mattina a quando ci si sveglia e ci si alza per andare in giro per il mondo: essere antifascisti oggi è molto di più del fare memoria, significa esercitare memoria e adattarla ai tempi che sono e allargarla ai nuovi pericoli che avanzano.

«Essere antifascisti oggi significa essere contro il razzismo, contro chi approfitta anche della crisi sociale per far regredire politicamente, culturalmente, moralmente il nostro Paese», disse Carla Nespolo e qui dentro c’è tutta la battaglia che non bisogna avere paura di combattere. C’è in atto da tempo un vile giochetto, appoggiato anche da sedicenti liberali di un sedicente centrosinistra, di incasellare i vizi del fascismo e i suoi orrori in tempi storici che vengono considerati passati. C’è qualcuno anche dalle parti del presunto centrosinistra che insiste nel negare che essere antifascisti oggi significhi combattere i nuovi razzismi che hanno assunto nuove forme.

A proposito di lezioni. C’è un’altro punto da tenere bene in mente che Carla ci ha lasciato: in tutti i suoi interventi la presidente dell’Anpi ribadiva con forza che la Costituzione italiana non sia “afascista ma antifascista” e che quindi sia un obbligo costituzionale essere contro i fascismi, alla faccia dei tanti che non “sono né di destra né di sinistra” (che alla fine sono sempre di destra) e che vorrebbero elevarsi culturalmente facendo gli equidistanti.

Un ultimo punto: Carla Nespolo notava spesso, lo faceva in pubblico e in privato, quanto i sovranismi di matrice fascista fossero stati bravi a crearsi una rete internazionale e a essere in collegamento tra loro e quanto invece gli antifascisti fossero molto più distratti nel percepire e nel mettere in rete le esperienze degli altri. Un’internazionale antifascista, anche a livello europeo, è un progetto politico che urge da anni e di cui si parla pochissimo.

Insomma Carla ci ha insegnato che la memoria si esercita, mica ci si può ridurre a commemorarla. Se quelli che in questi ore mandano messaggi di affettato cordoglio vogliono rimboccarsi le maniche c’è parecchio da fare: il suo manifesto è chiaro.

Buon martedì.

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Casellati dice che sullo stato d’emergenza Covid qualcuno nasconde la verità. Ma allora faccia i nomi

Hai voglia poi a debellare i negazionisti, a smentire punto su punto tutti i cospirazionisti e ad avere a che fare con i complottisti, se in un Paese come l’Italia la seconda carica dello Stato, la presidente del Senato Elisabetta Casellati, riesce addirittura a rilasciare un’intervista su uno dei principali quotidiani del Paese come il Corriere della Sera e dire tranquilla tranquilla: “Sulla proroga dello stato di emergenza, prima di tutto occorre avere informazioni corrette, senza nascondere i risultati del Comitato tecnico. Se non abbiamo accesso alle informazioni, non possiamo dire nulla. Abbiamo bisogno di verità. Gli italiani sono stanchi di oscillare tra incertezze e paure, in una confusione continua di dati che impedisce tra l’altro di programmare il lavoro”.

Ed è una frase che lascia più che perplessi perché non è chiaro dalle parole della presidente chi starebbe “occultando” la verità e chi, se non lei, che si ritrova ad avere una delle più importanti cariche dello Stato e la più importante del Parlamento, dovrebbe garantire quella “corretta informazione” che proprio lei invoca.

La pubblicizzazione dei pareri del Comitato Tecnico Scientifico è un tema parlamentare ed è un tema politico che va affrontato a viso aperto senza bisbiglii che nulla hanno a che vedere con la responsabilità e l’etica politica. La presidente Casellati crede che qualcuno nasconda delle informazioni? Benissimo: lo dica chiaramente senza giocare di sponda e vedrà che molti si muoveranno per verificare le sue accuse, noi giornalisti per primi.

Il “clima di incertezza” di cui parla è l’inevitabile inquietudine di fronte ai numeri del contagio che salgono e di fronte a uno scenario che per tutto il mondo è praticamente sconosciuto. Adombrare ipotesi che a parlamentari e ai cittadini vengano nascoste informazioni corrette significa svilire di fatto proprio lo stesso Parlamento di cui Casellati è classe dirigente.

Crede che ci sia una regia per imporre uno stato d’emergenza non giustificato? Benissimo, lo dica a chiare lettere senza girarci troppo intorno e ci dia gli elementi oscuri che il Parlamento deve chiarire. Queste mezze frasi di mezza propaganda sono veleni che servono solo a intossicare il dibattito senza nessun elemento aggiuntivo.

“Due parole d’ordine che ci dovranno accompagnare nei prossimi mesi: responsabilità e coraggio”, dice la presidente del Senato nella sua intervista. E allora lo chiediamo noi a lei: abbia responsabilità e coraggio nelle sue esternazioni. Perché le oscillazioni “tra incertezze e paure in una confusione continua di dati” (sono parole sue) nascono da interviste come questa. Ci dica, presidente.

Vaccino antinfluenzale: firma la petizione di TPI su Change.org

Leggi anche: 1. Governo e Regioni promuovano una vaccinazione antinfluenzale di massa: la campagna di TPI / 2. Covid, Cartabellotta: “Di questo passo, a Natale 1.000 in terapia intensiva e 12mila in ospedale” | VIDEO / 3. Fino a ieri ha sbeffeggiato il Coronavirus ora Trump (positivo) si affida alla scienza (di G. Cavalli)

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Capitani poco coraggiosi

Per distogliere l’attennzione dalla batosta alle regionali, per il processo di Catania Salvini ha giocato la carta del martire perseguitato

Eccoci qui al giorno del martirio. Matteo Salvini si gioca la carta del vittimismo dopo essere uscito con le ossa rotte dalle elezioni regionali e dopo avere dovuto ingoiare i successi nel proprio campo di Luca Zaia in Veneto e l’ascesa di Giorgia Meloni con i suoi candidati in tutta Italia. Ora la carta per giocarsi il solito patriottismo d’accatto è quella di apparire come vittima del sistema giudiziario (lezione perfettamente imparata dal suo padrino Silvio Berlusconi) e tentare di rivendere come grido di libertà una sua scelta che cozza con il diritto nazionale, il diritto internazionale e il diritto marittimo. Il 3 ottobre, come sempre accade quando c’è di mezzo il leader leghista, va in onda una fragorosa narrazione distopica della realtà che ci presenta Salvini come salvatore della Patria e come colpevole di avere compiuto gli atti che gli italiani chiedevano. Il trucco è sempre lo stesso: contrapporre alla legge una presunta volontà popolare (anche su questo Silvio Berlusconi è stato un precursore) prefigurando una magistratura che vorrebbe combattere politicamente una certa parte politica dimenticandosi quali siano le leggi.

Un punto importante, fondamentale: un processo, qualsiasi processo, serve a chiarire i fatti e le cause e le responsabilità di alcuni eventi e qualsiasi politico maturo, soprattutto se di una certa rilevanza nazionale come Salvini, dovrebbe avere la responsabilità di affrontarlo convinto delle proprie ragioni e interessato a illustrare i propri comportamenti. Per questo il vittimismo suona già stonato.
Salvini è accusato di avete impedito, quando era ministro dell’Interno nel luglio 2019, lo sbarco per più di tre giorni di 116 persone tratte in salvo nel Mediterraneo centrale dalla nave della Marina militare Gregoretti. Il caso Gregoretti segue a ruota l’accusa che il Tribunale dei ministri (che sono strutture create ad hoc nelle Corti d’appello ogni volta che bisogna processare un ministro per un presunto reato svolto nell’esercizio delle sue funzioni) avanza contro Salvini anche per il blocco in porto della nave Diciotti della Marina militare (quella volta, nell’agosto 2018, le persone salvate erano 144). All’epoca Salvini disse di non…

L’articolo prosegue su Left del 2-8 ottobre 2020

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Fino a ieri ha sbeffeggiato il Coronavirus ora Trump (positivo) si affida alla scienza

Non è nemmeno stato capace di twittare l’informazione esatta: il presidente USA Trump annuncia di essere risultato positivo al Covid-19 e non al Coronavirus, non riuscendo a distinguere il virus dalla malattia che sviluppa. Ma non stupisce, certo, no. Del resto è lo stesso Trump che ha sbeffeggiato (come molti altri suoi colleghi leader mondiali, spesso di una certa parte politica) il Coronavirus fin dall’inizio, annunciando al mondo che c’era troppo allarmismo e che non avrebbe certo indossato la mascherina.

È lo stesso Trump che era riuscito a farsi rimuovere un post da Facebook e Twitter scrivendo che aveva “sentito” (ha scritto proprio così, come quelli che parlano di voci che circolano al bar) che i bambini fossero immuni. Falso, ovviamente. È lo stesso Trump, ve lo ricordate, che durante una conferenza stampa consigliava ai medici iniezioni di disinfettanti e candeggina sui malati di Covid-19. Alcuni suoi sfegatati supporter lo presero addirittura alla lettera e vennero ricoverati.

Sono forti questi negazionisti a capo dei Paesi più potenti del mondo: passano dal negare al virus al suggerire cure (per un virus che non dovrebbe esistere) e infine si ammalano. Ma non è tutto, no. Trump è riuscito anche a condividere sui suoi social un tweet in cui si sosteneva che i Centers for Disease Control and Prevention avevano “tranquillamente aggiornato il numero dei morti di Covid, ammettendo che solo il 6% delle vittime riportate – circa 9000 – sono decedute davvero per il Covid”. Il resto “aveva 2-3 altre gravi malattie”. L’informazione arrivava direttamente da un seguace delle teorie cospirazioniste QAnon, gli stessi che raccontano di un network internazionali di satanisti pedofili (tra cui Hillary Clinton e Obama, tanto per capire il livello della ridicolaggine) che insieme a reti di “poteri forti” (eccallà) starerebbero agendo contro il presidente USA.

Poi si passa all’idrossiclorochina che proprio Trump ha dichiarato essere una cura valida per la prevenzione: “ne prendo una al giorno da una settimana e mezzo, cosa c’è da perdere?”, aveva dichiarato il presidente. Niente, nemmeno questo. Poi c’è stato l’annuncio di un vaccino entro la fine dell’anno (smentito da tutti) e proprio qualche giorno fa durante il dibattito televisivo Trump ha scanzonato il suo rivale Biden sull’uso della mascherina: “Ho qui la mascherina. La metto quando serve. Mica come Biden, che la usa sempre”. Probabilmente era già infetto. Intanto negli USA si registrano più di 7 milioni di casi e 208mila morti. E si è ammalato anche lui. Ben fatto, Donald. Ora, come sempre, si affiderà alla scienza che ha deriso fino a ieri.

Leggi anche: 1. Il presidente Usa Donald Trump e la first lady Melania positivi al Covid-19: “Siamo in quarantena, ce la faremo”; // 2. Chi è Hope Hicks, la consigliera di Trump che potrebbe aver contagiato la coppia presidenziale; // 3. Trump positivo al Covid, da Pence a Biden chi è esposto al contagio; //4. Slogan rimasticati, insulti e un arbitro debole: il match senza il colpo del KO tra Trump e Biden (di Giampiero Gramaglia); // 5Ecco perché queste saranno le elezioni più importanti della storia americana (di Iacopo Luzi, inviato TPI a Washington)

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Politicamente colpevole

Matteo Salvini è colpevole di aver inventato una guerra contro gli ultimi, usato la paura come arma politica, sdoganato il fascismo di ritorno. E non serve una sentenza di un tribunale per capirlo

Sarà il fine settimana del processo a Salvini, ci sarà il leader a sbraitare (lo sta già facendo da tempo) e tutti i suoi fan a inondare televisioni e social, tutti continuamente decisi a trasformare un processo giudiziario in un’arma politica, come sempre, da sempre, in questa politica italiana che si aggrappa ai giudici per avere lezioni etiche e morali, confondendo i due piani a proprio piacimento e sventolando i processi a favore o contro in base alle proprie convenienze. Matteo Salvini ha consegnato la sua difesa, anticipandola, qualche giorno fa a Barbara D’Urso (fate un po’ voi): il leader leghista sa bene che quel processo può essere un capitale da sfruttare fuori dall’aula giudiziaria. Allora lasciando da parte la sfida in punta di diritto conviene comunque tenere a mente qualche ragionamento che sarebbe il caso di ripetere, per l’ennesima volta.

Matteo Salvini è colpevole di avere usato delle persone per spingere una trattativa politica. Anzi: Salvini è colpevole di usare gli stranieri per fare politica. Non serve una sentenza di un tribunale per ripetere le centinaia di volte in cui ha usato un singolo fatto di cronaca nera per riproporlo come paradigma di un mondo. Salvini usa le persone: usa i suoi detrattori per dare sfogo alla sua folla, usa addirittura i presunti assassini perché è incapace di ragionamenti complessi sulla sicurezza, ha usato un citofono privato per fare campagna elettorale e ha usato i naufraghi della Gregoretti (perché erano naufraghi, va ricordato) per trattare con l’Europa, lo scrive lui stesso nella sua difesa in cui dice di averli tenuti alla deriva in attesa della conferma dei ricollocamenti. Un politico che ha bisogno del corpo dei disperati per trattare sui tavoli politici è colpevole di inettitudine e ferocia.

Matteo Salvini è colpevole di avere inventato una guerra contro gli ultimi. E proprio di guerra si tratta: se nella sua difesa dice di avere “difeso” la Patria significa che l’arrivo di quelle persone metteva a rischio la sicurezza nazionale. È un linguaggio sottile che poi esplode nella violenza verbale dei suoi sostenitori.

Matteo Salvini è uno dei mandanti morali del razzismo dilagante in Italia. Come Trump qualche giorno fa Salvini, da anni, non condanna il razzismo per accarezzarlo. Matteo Salvini ha sdoganato nelle sue liste i peggiori xenofobi (e fascisti) che si siano visti negli ultimi anni. Matteo Salvini ha inventato un “razzismo al contrario” contro gli italiani usando lo stesso furbo trucco che venne già usato nel corso della storia.

Matteo Salvini è colpevole di usare la paura come arma politica, ed è una vigliaccheria. Come scrive Jean-Paul Sartre nel suo libro L’antisemitismo – Riflessioni sulla questione ebraica, il razzista «è un uomo che ha paura. Non degli ebrei, certamente: ma di sé stesso, della sua coscienza, della sua libertà, dei suoi istinti, delle sue responsabilità, della solitudine, del cambiamento della società e del mondo; di tutto meno degli ebrei… Sceglie la permanenza e l’impenetrabilità della pietra, l’irresponsabilità totale del guerriero che obbedisce ai suoi capi, ed egli non ha un capo. Sceglie di non acquistare niente, di non meritare niente, ma che tutto gli sia dovuto per nascita – e non è nobile. Sceglie infine che il Bene sia bell’è fatto, fuori discussione, intoccabile… L’ebreo qui è solo un pretesto: altrove ci si servirà del negro o del giallo».

Matteo Salvini è colpevole di avere sdogano il fascismo di ritorno. L’ha fatto furbescamente iniettando un po’ di antiantifascismo e ogni volta finge di non avere consapevolmente eccitato gli animi di certa destra eppure ai suoi comizi sono rispuntati coloro che fino a ieri si vergognavano di essere fascisti e invece oggi lo gridano fieri.

Questo al di là della sentenza sulla Gregoretti. Perché sarebbe ora di prendersi la responsabilità di dare giudizi politici, senza aspettare processi.

Buon venerdì.

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Di depressione si parla sempre poco, ma in Italia ne soffrono più di 3 milioni di persone (di Giulio Cavalli)

E allora proviamo a ritirarlo fuori questo mostro di cui si parla sempre poco, che rimane nascosto tra le pieghe degli articoli scientifici come se non fosse un’emergenza sociale, politica e economica. Parliamo di fenomeni depressivi in Italia in questo 2020, parliamo dei più di 3 milioni di persone ammalate nel nostro Paese, della malattia che ha il maggior impatto sulla vita quotidiana e del fatto che Sip (Società italiana di Psichiatria), Sinpf (Società italiana di Neuropsicofarmacologia), Sips (Società italiana di Psichiatria Sociale) e Società italiana di Medicina generale e delle Cure primarie abbiano messo in atto una campagna (“La depressione non si sconfigge a parole”). Perché lo stigma del depresso impedisce a metà dei malati di riconoscere la propria malattia, di parlarne con i propri famigliari e di parlarne con un medico.

Secondo recenti stime dell’OMS, il 20 per cento di bambini e adolescenti nel mondo soffre di disturbi mentali, mentre nel 2020 la depressione sarà la seconda causa di invalidità per malattia, subito dopo le patologie cardiovascolari. La presidente della Società Psicoanalitica Italiana Anna Maria Nicolò scrive che “i dati raccolti finora hanno evidenziato i bisogni diffusi nella popolazione, nelle famiglie, nei singoli, nel personale sanitario direttamente impegnato nella cura dei pazienti COVID-19” e che hanno “anche evidenziato la scarsa oggettiva recettività da parte dei Servizi Pubblici, gravati dall’elevato numero di richieste e dalla scarsissima quantità di professionisti – psicologi e psicoterapeuti – disponibili.”

Due dati drammatici testimoniano il rischio di una mancata presa in carico di questa patologia: in Europa il 60 per cento dei suicidi viene commesso da persone che soffrono di depressione e il 15-20 per cento di tutti i malati di depressione tenta il suicidio. Oltre a quello puramente sanitario, anche l’impatto economico di questa patologia è molto rilevante: si stima che in Italia il costo sociale della depressione, in termini di ore lavorative perse, sia complessivamente pari a quattro miliardi di euro l’anno, con i pazienti affetti da depressione resistente che perdono mediamente 42 giornate di lavoro all’anno, in pratica circa un giorno a settimana.

“L’iter di conversione in Legge del Decreto “Rilancio” e l’utilizzo dei fondi dell’Unione Europea per il sostegno alle Nazioni più colpite dalla pandemia devono essere l’occasione per garantire alla nostra popolazione in modo strutturato e permanente il diritto naturale alla salute psicologica”, dice la Professoressa Rita B. Ardito, presidente della Società Italiana di Terapia Comportamentale e Cognitiva. Dai, parliamone, su.

Leggi anche: 1. The big dilemma: la dipendenza dai social va ben oltre i like, è un’assuefazione dallo schermo 2. Michelle Obama confessa: “Soffro di una lieve forma di depressione”

L’articolo proviene da TPI.it qui

Decretano insicurezza

Il M5s frena sulla reintroduzione della protezione umanitaria, abolita con i decreti Sicurezza. Rischiando di fare un favore a Salvini proprio mentre sta crollando nei sondaggi

Mentre Salvini si prepara a montare il suo circo per l’udienza preliminare del suo processo in cui viene accusato di sequestro di persona aggravato a Catania, chiamando a raccolta tutti i suoi scherani che le proveranno tutte per trasformarlo in vittima come hanno imparato dal loro antico padrone Berlusconi, il governo Conte dovrebbe finalmente abolire i decreti Sicurezza che proprio il leader leghista ha lasciato come eredità e che da più di un anno rimangono lì impuniti.

Da fuori un cittadino potrebbe pensare che non ci sia occasione migliore per rivendicare una “discontinuità” rispetto alla politica leghista (ve lo ricordate, vero, Conte che prometteva discontinuità?) e per affermare senza remore la propria diversità in tema di diritti e invece accade (piuttosto sottovoce, almeno questo) tutto il contrario. L’abolizione dei decreti sicurezza infligge talmente tanta insicurezza in alcune compagini di governo che si è pensato di fare passare le regionali per non dare “un assist a Salvini”, dicevano così le voci in Parlamento. Come si possa fare un favore a un avversario abolendo un suo errore è un mistero ma evidentemente a qualcuno quei decreti piacciono parecchio, anche se si vergogna di dirlo.

Il 27 settembre il premier Conte ha annunciato l’abolizione dei decreti sicurezza «nel primo consiglio dei ministri utile» (è la formula che si ripete da mesi) e l’accordo (vale la pena ricordarselo) era stato firmato davanti alla ministra dell’Interno Lamorgese alla fine di luglio da tutti i rappresentanti della maggioranza. Alla fine di luglio, eh. Siamo a ottobre è proprio ieri, udite udite, esce l’ultimo intoppo: il Pd accusa il Movimento 5 stelle di non volere la reintroduzione della protezione umanitaria che una parte dei grillini riterrebbe inaccettabile (la protezione umanitaria, eh) e ieri sera il deputato grillino Francesco Berto (confermando di fatto il retroscena) su Twitter ha scritto: «Contrariamente a quanto affermato dal Pd, la reintroduzione della protezione umanitaria non era prevista nelle bozze dei dl Sicurezza e immigrazione. Siamo sempre aperti al confronto, ma non si facciano forzature sulla verità e su temi così delicati per il Paese».

E quindi? Quindi siamo daccapo. Un punto però è certo: l’abolizione dei decreti Sicurezza di Salvini ha decretato la più evidente insicurezza di un governo che sul tema sta facendo tutto nel modo peggiore possibile ottenendo addirittura il risultato di riuscire a scontentare tutti, sia i buonisti che i cattivisti.

Perché bisognerebbe avere il coraggio di appoggiare le decisioni che si prendono e togliersi una volta per tutte quell’espressione di fastidio come quelle coppie che stanno insieme e non si sopportano più. Anche perché fare un favore a Salvini proprio mentre quello crolla nei sondaggi sembra proprio un regalo eccessivo. Non dico di fare qualcosa di sinistra ma almeno un po’ di coraggio, dai, per favore, su. Un po’ di sicurezza.

Buon giovedì.

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Demonizziamo l’assassino di Lecce senza renderci conto che l’invidia è diventata il motore di quest’epoca

Il presunto omicida di Daniele De Santis e della sua fidanzata Eleonora Manta a Lecce avrebbe confessato di avere agito perché “erano troppi felici e per questo mi è montata la rabbia” (qui le virgolette sono d’obbligo poiché la frase è stata riportata da fonti investigative ed è ancora tutto da appurare) e subito si è scatenata una ridda di criminologi e esperti di ammazzamenti che frugano nella vita del ragazzo per raccontarci tutti i suoi lati presumibilmente oscuri. La demonizzazione dell’assassino è una catarsi meravigliosa: più lo dipingiamo lontano da noi, meno assomiglia a noi e più ci sentiamo in pace con noi stessi.

Stupisce però che ci si stupisca dell‘invidia senza rendersi conto che è il motore politico e sociale di quest’epoca, invidia intesa come il soffrire del bene (o spesso del bene percepito) degli altri per rifocillare un’identità fragile. Perché la domanda “perché lui sì e io no?” è in fondo la domanda delle domande di un certo ragionamento sociale e politico che qui sembra andare per la maggiore. L’invidioso che non è contento di sé e che percepisce il bene dell’altro come una diminuzione di se stesso è lo stesso che si lamenta ogni volta che ci si batte per i diritti di qualcuno a cui lui non sente di appartenere (gli altri possono essere gli stranieri, la casta, i percettori del reddito di cittadinanza, i dipendenti pubblici e un’infinità di altre categorie).

Su una certa malsana invidia si è scatenato un certo populismo di questi anni che punta a maledire e smontare ciò che viene vissuto come più in alto piuttosto che proporre ragionamenti complessi. Sull’invidia tra poveracci si basa tutta la retorica di chi ha instillato una guerra tra disperati convincendoci che erodere i diritti degli altri garantisca i nostri diritti. Come oggetti di invidia sociale si propongono alcuni modelli culturali che mostrano inaccessibili stili di vita.

Poi l’invidia diventa risentimento e infine rancore e così si accende la guerra (e talvolta la violenza) di cui infine ci stupiamo. Scriveva Paul Valéry: guardando bene, si scopre che nel disprezzo c’è un po’ di invidia segreta. Considerate bene ciò che disprezzate e vi accorgerete che è sempre una felicità che non avete, una libertà che non vi concedete, un coraggio, un’abilità, una forza, dei vantaggi che vi mancano, e della cui mancanza vi consolate col disprezzo”. Nietzsche scriveva di una versione più feroce dell’invidia come gioia maligna che porta a godere del male dell’altro.

Siamo sicuri che l’invidia sia solo una mostruosa eccezione da relegare all’omicidio di Lecce? Perché il giorno che decideremo di non demonizzare, non deridere, non compiangere, non disprezzare ma comprendere le azioni umane forse riusciremo ad aprire un dibattito più proficuo e interessante.

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