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Referendum, Nespolo (Anpi) a TPI: “Tagliare i parlamentari per risparmiare? No, si riducano gli stipendi”

Carla Federica Nespolo, 77 anni, ex parlamentare del Pci e del Pds, è la prima donna a presiedere l’Anpi (Associazione nazionale partigiani d’Italia). Con lei discutiamo del referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari, in calendario il 20 e 21 settembre. L’Anpi si è schierata per il No.
Nespolo, come risponde al movimento anti-casta, secondo cui il No è la posizione dell’arroccamento?
Più che di “movimento anti-casta” io parlerei esplicitamente e francamente di pensiero populista. Al fondo del quale, inutile girarci attorno, c’è il rifiuto della democrazia come partecipazione e diritto del popolo a scegliersi i propri rappresentanti. Se per “uomini rinchiusi nei palazzi” i fautori del Sì intendono anche i 183 costituzionalisti italiani che si sono dichiarati per il No, dimostrano di non aver capito nulla di quello che, nel colpevole silenzio di tanti, oggi è in gioco.

Cosa c’è in gioco?
Si tratta, sostanzialmente, di un attacco alla democrazia rappresentativa. Non dimentichiamoci che uno dei primi atti del Governo, dopo il 25 Aprile 1945, fu quello di dare a tutti (uomini e donne) il diritto di voto. E dopo 75 anni si vorrebbe tornare indietro e privare persino alcune Regioni del diritto di essere pienamente rappresentate in Parlamento? Inaccettabile. Altro che “casta”: la “casta” è proprio dei “notabili” di partito che, non a caso, sembrano tutti uniti  – ma con molti problemi interni – a votare Sì.

I motivi principali per cui l’Anpi ha deciso di esprimersi per il No: quali sono i valori da difendere?
La difesa della democrazia per cui, 75 anni fa, un’intera generazione si è sacrificata, ha combattuto e vinto. E oggi troppi se ne dimenticano. Mi lasci citare un terribile verso di Giorgio Caproni: “I morti per la Libertà, chi l’avrebbe mai detto, i morti. Per la Libertà, Sono tutti sepolti”. Ecco. L’Anpi è in campo per questo. Perché la democrazia, che tanto sacrificio e tante lotte è costata, non venga oscurata e vilipesa da chi la considera un ostacolo alla propria ascesa politica.

Si insiste molto sul risparmio dei costi, come già avvenuto nell’ultimo referendum costituzionale. Non teme che questo argomento possa essere una spinta difficile da arginare?
Quella dei costi è una sciocchezza che non merita neppure una risposta. Vogliono davvero ridurre i costi del Parlamento? I parlamentari si riducano lo stipendio. Punto e basta. Ma non possiamo nasconderci che questo tema ne nasconde un altro. E cioè la poca stima che l’opinione pubblica ha verso un certo ceto politico. In questo senso condivido la frase del comandante De Falco: “Non voglio essere rappresentato meno, voglio essere rappresentato meglio”.

Il Pd sembra non volersi esprimere o esprimersi molto blandamente a proposito di questo referendum. Che consiglio darebbe al partito di governo?
Non è compito dell’Anpi dare un consiglio ad alcun partito. E tanto meno al Pd. Certo la contraddizione tra aver votato per tre volte contro e ora votare a favore è lampante. Insomma, non sempre sacrificare sull’altare della governabilità la propria coerenza è un buon calcolo. Comunque ho grande rispetto per il travaglio che sta attraversando il Pd. Ma non è un tema che ci vede protagonisti.

In questi giorni circola molto un’intervista in cui Nilde Iotti dichiara che il numero dei parlamentari italiani è eccessivo e dal fronte del Sì sono in molti a ripetere che la riduzione del numero dei parlamentari sia una battaglia storica della sinistra. Come risponde?
Alla citazione di Luigi Di Maio rispetto alla posizione di Nilde Iotti ha già risposto esaurientemente Livia Turco, presidente della Fondazione Iotti. Quello che la presidente Iotti proponeva era un intero nuovo impianto istituzionale, a cominciare da una nuova legge elettorale. Separare la rappresentanza dalla sua funzione è quanto di più volgarmente tattico si possa fare. Mai la presidente Iotti lo avrebbe affermato.

Come ha intenzione l’Anpi di occuparsi di questa campagna referendaria? Con quali mezzi? Come arrivare a più gente possibile, tra l’altro in un periodo difficile come questo in piena pandemia?
L’Anpi sta facendo il suo dovere. Le nostre sezioni territoriali stanno illustrando in ogni parte d’Italia le nostre ragioni e il 10 settembre alla Sala della Protomoteca in Campidoglio, a Roma, faremo il punto con importanti giuristi sulle ragioni del nostro No. Prevediamo anche un intervento di un rappresentante delle Sardine. Inoltre, siamo e saremo attivi anche sui social network. Invitiamo tutti ad andare a votare No. E mi lasci chiudere con una nota di ottimismo.
Prego.
Ce l’abbiamo fatta nel 2016. Ce la faremo anche nel 2020.

Leggi anche:  1. Taglio parlamentari, il costituzionalista Ceccanti a TPI: “Chi votò Sì alla riforma Renzi dovrebbe rifarlo oggi. Ma preferisce attaccare il M5s” / 2. La politologa Urbinati a TPI: “Taglio dei parlamentari? Così il M5S favorisce la casta” / 3. Taglio dei parlamentari: ecco cosa prevede la riforma e come funziona il referendum

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Sicilia, Fava a TPI: “Musumeci fa lo scaricabarile. Ma sui migranti il governo ha paura di decidere”

Nello Musumeci insiste. Il governatore della Sicilia non ha intenzione di fermarsi sulla sua ordinanza che chiede lo sgombero degli hotspot dell’isola e risponde al no del governo parlando di responsabilità sanitarie. Si finirà probabilmente con un ricorso al tribunale amministrativo ma intanto la provocazione ha preso piede tra i sostenitori di destra e corre sul web. TPI ha intervistato Claudio Fava, deputato dell’Assemblea Regionale Siciliana.
Fava, il governatore Musumeci insiste. Come legge questa ultima uscita sullo svuotamento degli hotspot e la chiusura ai nuovi arrivi?
È già un pezzo di campagna elettorale, perché ha riannodato i fili di una coalizione piuttosto frammentata e lasca e naturalmente ha ottenuto le benedizioni della destra alla quale Musumeci continua a rivolgersi. Manifesta la sua indole, la sua cultura politica: è un autoritario, convinto che la migliore forma di governo sia quella di affidare al podestà le chiavi della vita dei cittadini. Anche se si affida ai poteri di tutela della salute lui sa perfettamente che intervenire sui porti, sulle prefetture, sugli hotspot è competenza esclusiva del governo nazionale, segnatamente del Ministero dell’Interno. Ma è un modo per rimettere al centro una parola che sia una calamita e che ha bisogno di nemici facili, l’immigrato portatore di contagi.

Quindi è tutta campagna elettorale…
L’altra ragione è che c’è un fallimento complessivo su tutta la politica di investimento del post-Covid, le risorse promesse per il settore del turismo non sono mai arrivate, nemmeno un centesimo, le condizioni dell’isola sono abbastanza allo sfascio quindi un giorno ci si inventa il ponte, un giorno il tunnel, un giorno chiudiamo gli hotspot. Tutto pur di non parlare di quello che accade a casa nostra: c’è un’ordinanza di controlli per chi arriva dai Paesi considerati focolai poi però in aeroporto, nei porti e nelle stazioni i controlli sono minimi e anche in questo Musumeci dice che la responsabilità non è sua ma del Ministero dei Trasporti.
Una responsabilità che palleggia…
Su alcune cose dice “la responsabilità non è nostra”, su altre dice “la responsabilità non è nostra ma me ne occupo direttamente io”. In questo un po’ ci è un po’ ci fa.

Sembra seguire un po’ il copione di certe Regioni di centrodestra che giocano sul Covid per scontrarsi con il governo e fare parlare di sé. Non è simile all’atteggiamento della Lombardia con Fontana?
Sì. In più nel suo caso c’è una sfumatura di carattere politico, di identità politica. Gli piace fare il podestà. Dopo il Covid ha preteso e ottenuto dalla sua maggioranza il voto su un emendamento infilato in una legge che gli dà, in caso di emergenza sanitaria, pieni poteri e la possibilità di emanare delibere di giunta anche in contrasto con la legislazione vigente. Ed è una cosa abbastanza bizzarra, decidono loro a quale normativa possano derogare senza passare dal Parlamento regionale. È la sua idea di ventennio e ha utilizzato il Covid per ritrovare quei toni, quel cipiglio. Un tempo era un atteggiamento inoffensivo e invece oggi interviene su un tema vero, reale.

Esiste comunque un problema immigrazione in Sicilia?
Esistono problemi concreti nelle città che sono il punto di approdo naturale per i profughi. Non lo risolvi chiudendo, lo risolvi cercando di avere un livello di partecipazione da parte di tutte le Regioni. Anche perché non possiamo lamentarci dell’Europa che non fa la propria parte e poi in Italia lasciare che siano le Regioni di frontiera a occuparsene perché le altre non vogliono rotture di coglioni. Abbiamo un sistema geopolitico basato sul principio dell’egoismo: non a casa mia. È una questione che va affrontata da un governo che non riesce e non è riuscito a ottenere una linea di condivisione e di consapevolezza e di disciplina partecipata da tutti i presidenti di Regione. Qui tutti, in nome della salute, hanno deciso a casa loro.

Però la propaganda di Musumeci sembra funzionare: cosa dire a quelli che lo applaudono, come riuscire a parlar con loro?
Non è semplice perché se dall’altra parte hai un governo pavido che non è capace di fare un passo e di prendere una direzione risolutiva è chiaro che poi è difficile parlare solo sul piano di principio e della linea della condotta morale. Il cittadino alla fine si trova confortato da un decisionista che può anche essere incostituzionale ma che è una risposta alla preoccupazione. Come per le discoteche si registra una certa inerzia da parte di figure chiave del governo nazionale di affrontare con coraggio i problemi che si presentavano. Ora il tema sono gli immigrati e il tema ha bisogno di un tavolo di soluzione che non può essere affidato a ciascun presidente di Regione. Avere un nemico, un untore, qualcuno su cui scaricare le proprie frustrazioni in tempo di crisi conforta molti, anche chi non ha nulla a che fare con quella cultura politica. Poi magari un giorno ti svegli e ti accorgi che gli untori sono i tuoi figli che sono andati a fare un party e sono tornati asintomatici e carichi di virus.

Leggi anche: 1. Sicilia, ordinanza di Musumeci: “Entro le 24 di domani migranti fuori dall’isola”. Ma il Viminale lo blocca: “Non può farlo” / 2. Sicilia, Musumeci non molla: “Il governo vuole un campo di concentramento per migranti, vado dalla magistratura”

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Cosa possiamo fare?

Mi scrive un lettore, Carlo Festa:

Ho dedicato buona parte di questa stagione estiva alla visione di innumerevoli documentari riguardanti i danni derivanti dal cambiamento climatico, oltreché le cause e le ragioni del suo avvento. Un povero stronzo come me, che scrive canzoni all’interno delle quali cerca d’incastrare un messaggio preciso per i posteri, non può che lasciarsi trascinare dalle sfumature disastrose che avvolgono il nostro intero pianeta; nella sempre vana ricerca di una curva verbale che prenda vita nel cuore di chi ascolta e si propaghi in maniera endemica nelle coscienze di ognuno.

Solo che accade che il disastro del quale vorrei parlare in  dodecasillabi mi ha totalmente ammutolito.

E il problema non è tanto il silenzio; quanto il senso d’impotenza che in questo periodo ho nutrito fatalmente.

Risparmio i soliti sermoni sulle conseguenze dello scioglimento dei ghiacciai e delle elevatissime temperature registrate in Antartide, sullo sbiancamento della barriera corallina, del processo inesorabile di desertificazione di innumerevoli aree del pianeta un tempo fertili e rigogliose; e delle sempre verdi isole di plastica sugli oceani. E li risparmio non tanto perché non li leggereste – molti di voi avranno già scrollato questo post alle prime due righe -, quanto perché infondo lo ritengo, sostanzialmente e particolarmente, inutile.

L’ultimo documentario che ho visto (il terzo trattante lo stesso argomento) riguardava lo sbiancamento progressivo delle varie barriere coralline. I volti della gente impegnata nella salvaguardia del pianeta, non riescono più a simulare una smorfia serena dinanzi una telecamera; né riescono a mentire riguardo il possesso di una minima speranza verso il futuro. Il loro viso è sfigurato dal dolore.

E io non so che cavolo fare.

Sempre durante la visione di quest’ultimo documentario, sono stato come pugnalato dall’affermazione di uno degli ennesimi zucconi ostinati che pensano di poter salvare il mondo con una telecamera e qualche testimonianza scientifica, il quale disse “Sono anni che si discute di questa emergenza; ma ogni volta è come se le nostre parole fossero spazzate dal vento”. D’accordo, questa cosa è sulla bocca di tutti ormai. Ma non esibiva la tipica espressone rassegnata da boomer, sempre indirizzato al giovane spensierato/incosciente/deficiente. Aveva quella risatina nervosa tipica di chi, a telecamere spente, avrebbe spaccato l’intero mobilio entro il quale era stato invitato, forse stanco per l’ulteriore testimonianza concessa all’ennesimo, inutile, documentario.

E io non sapevo ancora che cavolo fare, seriamente.

Come alcuni di voi – confesso – anche io credo di poter diventare qualcuno che possa offrire un certo contributo alla collettività. Ma il senso d’impotenza dal quale vengo investito, ogniqualvolta realizzo nella mia mente questo disastro, è infinitamente più potente di qualsiasi altro senso di riscatto che serbo. L’abulia dei più è sproporzionalmente più violenta della solerzia dei pochi alimentati da questa comunanza di destino. E l’arroganza dei molti è infinitamente più schiacciante della conoscenza scientifica dei pochi.

Qualcuno mi chiede “come stai?”, ovviamente la mia risposta è sempre “bene”: la salute (ancora) non manca, il lavoro (anche se poco) nemmeno, gli affetti ci sono sempre. Ma quando la conversazione si fa insidiosa, cado preda di una sorta di mutismo religioso. Mi esibisco in smorfie fataliste; approssimo luoghi comuni che cauterizzino l’entità di una discussione, possibilmente interessante; evado dalle possibilità di enucleare in maniera approfondita una mia proposizione sulle cose. Perché penso quanto sia assolutamente inutile, a tratti fastidioso, parlare di massimi sistemi dinanzi un aperitivo. “E cosa dovremmo fare!?” ecco: non lo so; e non vorrei che qualcuno pensasse che stia cercando colpevoli tra i tavolini di un pub.

Mi sento soltanto smarrito, senza barca, senza remi, senza bussola e lontano dalla speranza di un pronto soccorso metafisico. Sorrido all’idea di pensarmi in un consultorio psicologico ed esordire con “Buonasera, soffro molto a causa dei cambiamenti climatici e della crisi storica che stiamo attraversando”, ma, comunque, vi sembra poco?

Non voglio dire che sto male, né voglio far credere di aver vinto un concorso pubblico come emissario comunale del malaugurio.

Soltanto che, ad oggi, non so che fare.

E ho scritto a vanvera proprio per testimoniarlo.

Cosa possiamo fare?

Come giustamente dice Carlo, cosa dobbiamo fare?

Buon giovedì.

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Il Governo decida: conta più la salute o il lavoro?

Coronavirus, il Governo decida: conta più la salute o il lavoro?

Proviamo a stare un po’ più alti, ad alzarci da questa discussione che si è accesa sulle discoteche che dovrebbero essere i nuovi avamposti della libertà. Siamo d’estate, d’estate le persone si sono mosse e per fortuna si è mossa l’economia, quell’economia che è rimasta stagnante durante il lockdown ed è terrorizzata dal ritorno della seconda ondata del Coronavirus.

Lasciate perdere i milionari che ci insegnano dai loro troni cosa sia il lavoro o dai patetici ballerini che vorrebbero costruire una nuova resistenza sulla libertà di ballare. Parliamo dei lavoratori, quelli veri, quelli che con il proprio mestiere mantengono la propria famiglia a fatica e che a fatica si stanno trascinando in questo anno di pandemia, sono loro che ci interessano, sono loro che spariscono da questo assurdo dibattito di questi giorni. I governi, mica solo quello italiano, hanno deciso che quest’estate dovesse essere apparentemente normale con tutta la normalità che si può pensare con un virus sopra la testa. È una scelta legittima ma si gioca su un equilibrio sensibile, un equilibrio che richiede un’ampia riflessione etica: salute contro lavoro, sostentamento economico contro nuovi contagi.

Il Covid impone con forza uno dei vecchi dissidi su cui la politica si deve misurare: ha più valore il lavoro o la salute, conta di più non morire di virus o non morire di fame, qual è l’equilibrio esatto? Perché in fondo l’estate italiana è tutta qui, in una stagione che non ci si poteva permettere di perdere e che comunque inevitabilmente avrebbe provocato un innalzamento dei contagi. Forse una politica più alta, più onesta, più capace discuterebbe di questo, a carte scoperte, decidendo da che parte stare e ponendo dei paletti etici su cosa è giusto e cosa no, su cosa possiamo tollerare e cosa no.

È una decisione squisitamente politica che andrebbe discussa mettendoci la faccia. Alzano Lombardo e Nembro, ne abbiamo le prove, non sono state chiuse per non fermare le fabbriche della zona e abbiamo visto come è andata a finire. Il tema si riproporrà per diverse attività produttive finché non sarà finalmente pronto un vaccino e l’argomento su cui ci spenderemo nei prossimi mesi sembra difficile da inquadrare nel suo complesso con una chiave di lettura collettiva, così ci si perde nei particolari e si perde il senso generale. Ed è una discussione chiave perché finché non si capisce che si sta parlando di questo i poteri economici potranno agire più facilmente sotto traccia. Parliamo di questo, parliamone chiaramente.

Leggi anche: 1. Coronavirus, le nuove decisioni del governo: discoteche chiuse in tutta Italia e mascherine anche all’aperto dalle 18 alle 6 / 2. Chiusura discoteche, Sileri a TPI: “Si è scelto il principio di massima precauzione” / 3. Santanché a TPI: “La mia discoteca resta aperta, l’unica cosa vietata è ballare” / 4. Il proprietario del Papeete a TPI: “La chiusura delle discoteche una mossa per sabotare la campagna elettorale” / 5. Dopo la denuncia di TPI sui mancati tamponi agli italiani positivi tornati da Mykonos, la replica di Ats Milano: “Raddoppieremo disponibilità” / 6. Covid, Crisanti a TPI: “Altro che discoteche, la vera mazzata dei nuovi casi arriverà con l’apertura delle scuole”

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Lombardia, la consigliera di Italia Viva che finge di fare opposizione e invece sta con Fontana

Chissà se qualcuno dalle parti di Italia Viva, il partito guidato e fondato da Matteo Renzi e dalla sua truppa, un giorno o l’altro avranno voglia di dire qualcosa sulla loro consigliera in Regione Lombardia Patrizia Baffi, che continua a collezionare posizioni a dir poco discutibili e che continua allegramente a essere il pezzo di maggioranza aggiunta che finge di stare all’opposizione.

Patrizia Baffi, tanto per dare idea di chi stiamo parlando, è quella stessa consigliera che era stata eletta alla presidenza della commissione d’inchiesta sul Covid in Lombardia con i voti della maggioranza, quella stessa maggioranza che avrebbe dovuto essere messa sotto inchiesta. E lei aveva anche insistito sul fatto che quella sua investitura fosse qualcosa che avesse a che fare con la meritocrazia piuttosto che spiegarci questo suo atteggiamento sempre così vicino al presidente Fontana e ai suoi uomini con tanto di foto di sostegno addirittura sul suo profilo Instagram. In quel caso l’onda di indignazione la costrinse a dimettersi (venne criticata anche dai dirigenti del suo partito).

Ma giusto ieri la consigliera Baffi ha deciso di salire ancora all’onore delle cronache applaudendo convintamente l’intervento del presidente Attilio Fontana (un intervento che non ha spiegato nulla di quello strano ordine di camici della società del cognato e della moglie e che non ci ha spiegato nulla sui suoi 5 milioni di euro scudati in un conto svizzero di cui nessuno conosce l’origine).

“Da parte mia – ha detto la consigliera di Italia Viva – ho deciso di non sottoscrivere la mozione di sfiducia al presidente, proposta dal Movimento 5 Stelle, perché ritengo che sia il frutto di una elencazione di fatti ancora sommari e la cui analisi non può essere completa ed esaustiva: una analisi seria e le conseguenti valutazioni politiche su un’emergenza che è tutt’ora in corso, potremo farla solo quando avremo tutti gli elementi utili”. E non contenta ci ha anche spiegato che “cambiare vertici in questo momento in cui si scongiura una possibile seconda ondata di Covid-19 in autunno, eventualità che non possiamo per ora escludere vorrebbe dire mettere regione Lombardia e le nostre comunità in una situazione di grande difficoltà e insicurezza”.

Davvero i vertici del partito ritengono normale l’atteggiamento della loro consigliera, che insiste nel giochetto di appoggiare la maggioranza fingendo di essere all’opposizione? Davvero ieri nessuno si è sentito in imbarazzo per la sua assenza alla conferenza stampa dell’opposizione? Davvero?

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Fratoianni a TPI: “Governissimo con Berlusconi? Non con noi. Ci sono interessi economici dietro”

Il rifinanziamento della Guardia Costiera libica ha spaccato il governo. Sono in molti a lamentare un cambio di rotta sull’immigrazione. Ne abbiamo parlato con il deputato Nicola Fratoianni di Leu, per TPI.it.

Fratoianni, ancora una volta l’Italia finanzia quelli che sono considerati quasi universalmente dei veri e propri aguzzini. Non le sembra che la gestione di questo Governo, in tema di immigrazione, non si discosti molto dalla gestione con Salvini al ministero dell’interno?
Per la verità non è cambiato molto nemmeno con quello che è successo con i governi precedenti al primo governo Conte: sono stati loro ad avviare la collaborazione con le autorità libiche. Piuttosto la votazione di ieri, con i voti contrari di 14 senatori e 23 parlamentari, indica che i numeri di chi si oppone a questa politica in campo migratorio sono decisamente più alti. Il rifinanziamento è passato con un voto trasversale che ha coinvolto anche i partiti all’opposizione.

E intanto rimangono lì anche i decreti sicurezza…
La discussione sui decreti sicurezza si sta svolgendo con un altro tratto e alla luce del lavoro che stiamo facendo mi sento di dare un giudizio prudentemente positivo perché da quel che vedo credo sia possibile ottenere un risultato assai significativo rispetto all’obiettivo che ci eravamo dati, ossia cancellare gli aspetti più regressivi che quei decreti avevano introdotto in materia di immigrazione.

Cosa ha pensato quando ha letto la notizia di quel cadavere rimasto per 15 giorni in acqua, avvistato ben 4 volte e con nessuna autorità che si è mossa?
Ho pensato che che il comportamento dell’Europa di fronte alla vicenda migratoria che ormai da troppi anni investe il Mediterraneo centrale resta un comportamento ipocrita e troppo spesso indifferente. Io sono stato in quel mare più di una volta, su diverse navi, e so che significa stare su una barca, in condizioni precarie, quando si ha l’impressione che non ci sia nessuna possibilità di arrivare sull’altra sponda.

Possiamo però dire che gli elettori che hanno a cuore la solidarietà possono essere ben poco soddisfatti di questo governo?
Certo non possono essere soddisfatti fino in fondo perché io credo che affrontare in modo radicalmente diverso le politiche migratorie sia la strada migliore per sconfiggere la destra peggiore di questo Paese. Serve un’alternativa radicale molto maggiore di oggi. Nello stesso tempo non sono tra quelli che pensa che le politiche migratorie siano le stesse del governo precedente: non lo sono nelle scelte concrete, nel rapporto con le ONG e nella gestione di porti. E spero di poter dire ben presto, forse a settembre, che non lo sarà più neanche sul terreno della legislazione.

Prodi e De Benedetti invocano addirittura Berlusconi. Che ne pensa?
Il rientro di Berlusconi è una vecchia tentazione che torna in alcuni momenti della politica italiana, la tentazione della trasversalità dell’unità nazionale intesa però come trasversalità di interessi. Penso che sarebbe un errore strategico e per quanto mi riguarda incompatibile con la nostra presenza.

Leggi anche: Rifinanziamento Guardia costiera libica, 23 dissidenti Pd e LeU votano contro il governo; 2. [Retroscena] – Nel Pd è saltato l’asse Zingaretti-Franceschini: ora il governo rischia davvero (di Luca Telese)

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Cecilia Strada a TPI: “Vendere armi all’Egitto vuol dire sostenere torture e uccisioni come quella di Regeni”

Cecilia Strada a TPI: “Vendere armi all’Egitto vuol dire sostenere torture e uccisioni come quella di Regeni”

Cecilia Strada è una filantropa e saggista italiana, ex presidente di Emergency e figlia dei fondatori Teresa Sarti Strada e Gino Strada. La guerra la conosce perché l’ha vissuta da sempre in prima persona. L’abbiamo intervistata per TPI.
Cecilia Strada, alla fine l’Italia ha deciso di vendere armi all’Egitto. Come la vede?
Molto molto molto molto male. Sposo in toto la richiesta di Amnesty e di Rete Disarmo che chiedono almeno che se ne parli in parlamento. È una cosa contraria agli interessi dei cittadini italiani, qui si tratta di essere furbi non semplicemente disarmisti. C’è la legge 185/90 che dice che non si vendono armi a chi ha interessi contrari all’Italia e questo è il caso dell’Egitto, poiché in Libia non sostengono la stessa parte in causa: è una cosa poco furba oltre che poco etica. Vendere armi significa sostenere quello che l’Egitto sta facendo al suo interno (torture, ragazzi scomparsi, ammazzati, studenti come Regeni e Zaky). La legge dice che non potresti vendergli armi salvo diversa delibera del Consiglio dei ministri sentite le Camere, quantomeno che se ne parli in parlamento, è la legge, non è un sogno da pacifista. Gli interessi dell’Italia sono maggiori degli interessi delle fabbriche d’armi.

Di Maio ha definito l’Egitto un “partner imprescindibile”…
Partner imprescindibile su cosa? E poi bisogna decidere quali sono gli standard, chiediamo ai nostri partner il rispetto dei diritti umani? C’è un ragazzo italiano morto, le autorità hanno ostacolato le indagini, ridurre tutto al fattore economico è miope, non si fa l’interesse del proprio Paese.
Il pacifismo è sparito dall’agenda politica?
Il pacifismo non occupa spazio se non quando viene usato per dare del sognatore a qualcun altro. Il pacifismo è la non violenza, è riflettere sul modo in cui stiamo insieme, cercare il modo di evitare i conflitti, immaginare delle società alternative. Questo non c’è mai stato ed è un peccato. Sono comunque soldi, si dice, servono per l’economia italiana, ma se si investe nel civile il ritorno è maggiore rispetto al militare: se l’obbiettivo è creare posti di lavoro allora si investano fondi nel civile, come nelle energie alternative, l’investimento dà più posti di lavoro dell’industria bellica.

Intanto rimane in piedi la questione libica e continuano gli sbarchi…
Il Covid faceva paura e non c’era bisogno di inventarsi il nemico, Ong o migrante. Però gli sbarchi sono continuati, in numeri piccoli – poco più di 3mila persone da gennaio a oggi – ma ci sono stati, come anche le segnalazioni di naufragi difficilissimi da verificare perché non ci sono navi in mare che possano testimoniare, ci sono diversi casi di omissione di soccorso e almeno una strage a Pasquetta di una nave lasciata alla deriva con 12 persone morte dopo 5 giorni che chiedevano aiuto. Altri casi di cui non si saprà niente. Ora Mediterranea è tornata in mare, Sea Watch è ripartita poche ore prima con imponenti misure di sicurezza.
L’immigrazione tornerà a essere tema di scontro politico?
Dipende da quanto i politici sentiranno il bisogno di strumentalizzare facendo politica sulla pelle della gente. Io sto ancora aspettando la discontinuità promessa da questo governo, io ero in mezzo al mare sulla Mare Jonio di Mediterranea quando si insediò questo governo. I decreti sicurezza sono ancora lì. Non permetteremmo mai che dei bambini bianchi rimanessero su una nave dopo essere stati torturati, violentati e tenuti prigionieri. Discontinuità vuol dire stracciare gli accordi con la Libia: c’è una gravissima violazione dei diritti fondamentali dell’uomo, delle leggi, della Costituzione. I lager andrebbero evacuati e il sistema smantellato e bisognerebbe aprire canali d’accesso sicuri e legali sconfiggere il traffico di uomini. Tra l’altro non va bene che il soccorso in mare non venga fatto dagli Stati ma dalle Ong, non è normale.

Però in Parlamento alcuni si sono inginocchiati
Su questo ci penso da qualche giorno. I nostri parlamentari sanno chi è George Floyd, benissimo. Ma cosa sanno di Soumayla Sacko? Cosa sanno delle vittime del razzismo qui? Le vittime del nostro razzismo sistemico qualcuno le conosce? Possiamo interessarci a questo? Se sentiamo questo problema sollevato negli Usa allora dobbiamo guardarci intorno: i neri sono quelli nel Mediterraneo e quelli schiavi delle mafie nei campi a disposizione della grande distribuzione. Altrimenti inginocchiarsi servirà a poco.

Leggi anche: 1. L’Egitto acquista 2 navi militari italiane e tappa la bocca all’Italia sul caso Regeni /2. Regeni, Di Maio risponde alle accuse: “La vendita delle armi all’Egitto non è conclusa” /3. Patrick Zaky, gli affari con l’Egitto possono diventare un’arma per l’Italia

4. “Il problema degli Usa sono 400 anni di schiavitù, ma qui in Italia non siamo messi meglio”: parla Igiaba Scego /5. Torino, aggredita a 15 anni sul bus perché nera: “Il razzismo c’è anche in Italia”

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Abolire i Decreti Sicurezza, piuttosto che inginocchiarsi?

La vicenda di come la politica italiana stia declinando qui da noi ciò che accade negli Usa è altamente indicativa di una messa in scena che sembra avere preso il sopravvento sulle responsabilità di governo. Alcuni membri del Parlamento, di quelli che al governo ci sono, hanno deciso di inginocchiarsi come segno di solidarietà per la morte di George Floyd e per i diritti di tutti gli oppressi di qualsiasi etnia. Il gesto ha un’importante valenza simbolica, soprattutto alla luce della narrazione tossica che certa destra sta facendo della rivoluzione culturale in atto negli Usa che qualcuno vorrebbe banalizzare in qualche vetrina spaccata perdendo il focus e il senso del tutto.

Bene i simboli, benissimo. Però da un governo che si dice solidale con chi sta lottando contro la discriminazione ci si aspetterebbero anche degli atti politici, mica simbolici. I decreti sicurezza di salviniana memoria, ad esempio, sono una perfetta fotografia: criticati da ogni dove quando furono applicati durante il governo Conte I divennero la bandiera del centrosinistra su ciò che non si doveva fareAll’insediamento del Conte II ci dissero che l’abolizione di quei decreti sarebbe stata una priorità. La priorità è praticamente scomparsa. E pensandoci bene è scomparso anche tutto il dibattito sullo ius soli e sullo ius culturae che nessuno da quelle parti ha nemmeno il coraggio di pronunciare.

Così noi dovremmo accontentarci di una classe politica che fa esattamente quello che possiamo fare noi semplici cittadini scendendo in piazza come se non avessero loro le leve per modificare le cose. È tutto solo manifestazione d’intenti come se fossimo in eterna campagna elettorale e non ci sia un governo regolarmente insediato. Se invece il problema sta nell’alleanza con il Movimento 5 Stelle che è contrario all’abolizione dei decreti e a un serio percorso di integrazione e di diritti allora sarebbe il caso di dirlo e di dirlo forte per chiarire il punto agli elettori disorientati.

Non si governa con i simboli. Non basta più. I dirigenti non manifestano, agiscono.

Buon mercoledì.

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Appalto a sua insaputa

Una nuova fiammante storia arriva dalla Lombardia del duo Fontana & Gallera e questa volta si impiglia tra le pieghe dei parenti del presidente, più precisamente nelle pieghe di bilancio della Dama spa che appartiene – tramite Divadue srl – per il 10% a Roberta Dini (moglie di Attilio Fontana) e per il resto delle quote – tramite una fiduciaria svizzera – a suo fratello Andrea Dini.

Il 16 aprile Regione Lombardia tramite l’agenzia regionale pubblica degli acquisti Aria spa acquista dalla moglie e dal cognato di Fontana camici per un valore di 513mila euro. I bravi giornalisti di Report (la puntata andrà in onda stasera) chiedono spiegazioni al cognato di Fontana: quello prima risponde che «non è un appalto, è una donazione. Chieda pure ad Aria, ci sono tutti i documenti» e poi si corregge aggiungendo che «effettivamente, i miei, quando io non ero in azienda durante il Covid, chi se ne è occupato ha male interpretato, ma poi me ne sono accorto e ho subito rettificato tutto perché avevo detto ai miei che doveva essere una donazione».

Dal canto suo il presidente Fontana, ha annunciato, tramite un comunicato, una querela nei confronti del Fatto quotidiano che ha anticipato il contenuto dell’inchiesta di Report, e ha diffidato la trasmissione di RaiTre «dal trasmettere un servizio che non chiarisca in maniera inequivocabile come si sono svolti i fatti». Nella nota Fontana ha ribadito la sua «totale estraneità alla vicenda» e ha precisato di aver «già spiegato per iscritto» agli inviati di Report di non sapere «nulla della procedura attivata da Aria spa» e di non essere «mai intervenuto in alcun modo». Ed ecco la replica di Ranucci (Report): «Non vedo proprio perché non dovremmo andare in onda. In fondo raccontiamo un bel gesto. Senza di noi e senza il Fatto Quotidiano nessuno avrebbe infatti saputo che l’azienda del cognato del presidente della Lombardia ha donato ai suoi cittadini materiale sanitario. E dal momento che Fontana dice di essere all’oscuro possiamo dire che tutto sia avvenuto a sua insaputa, sia in Regione che in casa. Insomma credo debba ringraziarci. Se non ce ne fossimo occupati noi avrebbe continuato a non sapere nulla».

In effetti a fine maggio risultano stornati i soldi con una nota d’accredito ma risulta piuttosto significativa la risposta di un appalto a sua insaputa che aggiunge un nuovo capitolo all’insaputismo dei nostri politici – alcuni dei quali negli anni hanno ricevuto appartamenti, favori, scambi e ogni volta ci hanno spiegato che non possono controllare tutto.

L’insaputismo del resto è lo stesso male che attanaglia quelli che continuano a concedere le piazze ai fascisti stupendosi poi che si comportino da fascisti oppure quelli che soffiano sulla violenza e poi si stupiscono della violenza oppure quelli che a sua insaputa hanno messo i malati in mezzo agli anziani delle Rsa.

Bisognerebbe scrivere una nuova legge morale: se qualcuno a sua insaputa è stato gravemente inopportuno allora è troppo superficiale per ricoprire un incarico pubblico. Solo così, forse, si potrebbe sconfiggere il virus dell’insaputismo che infesta la storia politica d’Italia.

Buon lunedì.

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