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Si vergognano di essere fascisti

Non capisco quelli che provano a convincerci che il fascismo non esista più, che non ci sia pericolo e poi sono gli stessi che ci dicono che in Italia esiste un clamoroso pericolo che si chiama antifascismo…

Io davvero non vi capisco voi che siete fieramente fascisti durante l’aperitivo o mentre vi date di gomito mentre inneggiate a Lui insieme ai vostri amici e poi vi offendete quando vi danno dei fascisti. O meglio, vi capisco nella vostra vigliaccheria che rivendete come pudicizia ma non capisco perché ci teniate tanto a fare i fascisti buoni.

Non capisco quello di Fratelli d’Italia che vorrebbe fare l’uomo di destra più amato dalla sinistra e si finge illuminato quando si parla di diritti e di doveri per poi vedere antifascisti dappertutto che vorrebbero mettergli un cappio al collo. Avete deciso di usare la violenza verbale come timbro di quest’epoca del centrodestra? Siete o no quelli che pregano tutto il giorno che qualche italiano venga ferito o insultato o disturbato da uno straniero per potere rilanciare la notizia sui social mentre vi dimenticate di fare il contrario? Benissimo, è legittimo, anche se fa un po’ schifo, però poi non date lezioni di pesi e di misure a noi, rimanete nel vostro recinto di odio e di bava e continuate sulla vostra linea.

Non capisco nemmeno Salvini, quello che “lecca” in ogni occasione gli amici di CasaPound e che eccita gli animi dei nostalgici di Mussolini: vuole farlo? Lo faccia. Viene contestato, si becchi le contestazioni. Ma questo suo sogno di diventare il super eroe dei due mondi per cui vorrebbe essere l’idolo dei nipoti di Mussolini e contemporaneamente dei nipoti di Berlinguer è qualcosa che andrebbe studiato e curato con attenzione. Scelga una parte, non se ne vergogni, sia capace di sostenerla.

E non capisco nemmeno quelli che provano a convincerci che il fascismo non esista più, che non ci sia pericolo (che sarebbe meglio così, tutti felici e contenti) e poi sono gli stessi che ci dicono che in Italia esiste un clamoroso pericolo che si chiama antifascismo. Ma davvero? Ma fate sul serio?

Se non esiste nessun pericolo allora anche questo articolo non serve a niente. Oppure più semplicemente questi si vergognano di essere fascisti. Come capita da sempre. Semplicemente.

Buon lunedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Se la Corte Costituzionale arriva prima del Pd a bocciare i decreti sicurezza di Salvini

Alla fine è dovuta arrivare la Consulta a dire quello che tutti sapevano, che in molti ripetevano da tempo e che perfino il semplice cittadino aveva capito senza bisogno di studi costituzionali: il primo decreto sicurezza voluto dall’ex ministro Salvini, quello salutato come se fosse una rivoluzione epocale anche dall’attuale presidente del consiglio Giuseppe Conte e da Luigi Di Maio quando era capo politico del Movimento 5 Stelle, è una boiata pazzesca per impostazione, per tutela dei diritti e perfino per la sicurezza nazionale che veniva tanto decantata dalle parti in commedia.

“La Corte ne ha dichiarato l’incostituzionalità per violazione dell’articolo 3 della Costituzione sotto un duplice profilo: per irrazionalità intrinseca, poiché la norma censurata non agevola il perseguimento delle finalità di controllo del territorio dichiarate dal decreto sicurezza; per irragionevole disparità di trattamento, perché rende ingiustificatamente più difficile ai richiedenti asilo l’accesso ai servizi che siano anche ad essi garantiti”, scrive nella sua nota stampa la Corte Costituzionale, dando una martellata a chi davvero pensava che rendere invisibili le persone fosse un metodo valido perché non esistessero, una martellata a questa sedicente sinistra che ha dovuto aspettare i tempi biblici della giustizia prima di dare un cenno di vita e una martellata a chi è caduto nel tranello di un decreto che fingendo di garantire sicurezza in realtà non ha fatto altro che aumentare l’incertezza legislativa (e quindi proprio il controllo di cui andavano riempiendosi la bocca).

Ora, ad aggiungere pochezza a questo pochissimo spettacolo, si aggiungono anche i membri della maggioranza, quelli stessi che stanno nello stesso governo che avrebbe potuto abolire i decreti prima che si pronunciasse un tribunale, a spiegarci che loro lo sapevano, che era chiaro che fosse così e a esultare per un’iniziativa che la politica (cioè: loro) non ha avuto il coraggio di prendere in nome della vigliacca timidezza che continuano a portarsi dietro. “La Corte costituzionale conferma l’assurdità di alcune delle scelte propagandistiche volute dall’ex ministro Salvini, i cui decreti hanno prodotto molti effetti negativi per tutti”, dice il viceministro dell’Interno Matteo Mauri, il viceministro in persona, quello che avrebbe dovuto fare qualcosa e invece oggi legge comodamente la sentenza scritta dagli altri che gli ha tolto le castagne dal fuoco.

Leggi anche: “Fermate il Decreto Salvini: 18mila licenziamenti tra noi operatori dei Cas, migranti in mano alle mafie” 

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A Salvini è stato impedito di tenere un comizio? No, è lui che ha provocato i contestatori

Ieri c’è stata una mezza apparizione di Matteo Salvini a Mondragone, contestato da praticamente tutti tranne quelli che ha chirurgicamente ripreso mentre chiedevano un selfie per intossicare la narrazione della giornata, e Roberto Giachetti, deputato di Italia Viva sempre pronto a trollare per farsi notare, ha scritto sul suo Twitter: “Sarà un ciarlatano, un provocatore, un cazzaro. Ma non esiste al mondo che in un paese democratico ad un esponente politico (per di più il segretario del maggiore partito italiano) venga impedito di fare un’iniziativa politica”.

Curioso come San Tommaso sono andato a cercarmi i video che riprendono il comizio di Matteo Salvini per capire cosa possa essere successo perché il leader della Lega sia addirittura stato costretto a interrompere il suo comizio. È un’esperienza rivelatrice, provateci anche voi. Partiamo dal presupposto che su Mondragone si sta vivendo l’esplosione di una difficoltà endemica che parte dal lontano, semplicemente appuntita dalla pandemia e che fa rima con la povertà di molti abitanti e con le disastrose situazioni lavorative. A Mondragone si è accesa una guerra tra disperazione e andare a lucrare sul contesto per farsi notare è di per sé una bassa provocazione: a Mondragone i politici, tutti i politici, dovrebbero andarci per chiedere scusa e poi dovrebbero semplicemente fare, nei luoghi preposti, fare.

Matteo Salvini invece è arrivato a Mondragone con il suo solito copione di chi elogia le bellezze italiane senza dare sensazione di conoscerne i problemi e ha cominciato a accendere gli animi contro “i rom” (riferendosi alle famiglie di bulgari sfruttati da italianissimi imprenditori delle campagna casertane) e ha poi risposto alle contestazioni (che sono legittime, in democrazia) prima con le offese (“balordi”, “gente da centri sociali”) e poi addirittura invitandoli a lanciare ancora più acqua verso di lui (“così mi rinfresco che fa caldo”) finendo addirittura per accusare i contestatori di essere contigui alla camorra.

Vale la pena vedere un leader di partito comportarsi come un semplice provocatore. Vale la pena vedere le forze dell’ordine caricare su gente che alza le braccia e fa segno di allontanarsi volontariamente. Vale la pena mettere a confronto la serietà con cui si approccia la politica con la muscolosità di chi cerca lo scontro per farla diventare notizia. Vale la pena, prima di ogni valutazione.

Leggi anche: 1. Sfruttati e trattati da untori: i moderni schiavi di Mondragone, vittime del razzismo italiano / 2. Divorare ciliegie mentre si parla di bambini morti: non c’è da ridere, c’è da avere paura 

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Sfruttati e trattati da untori: i moderni schiavi di Mondragone, vittime del razzismo italiano

Alla fine è arrivata alla disperazione. La miscela perfetta della pandemia: gli invisibili stranieri che lavorano nei campi di Mondragone (sfruttati da italianissimi sfruttatori), gli italiani che vivono nella povertà e che hanno bisogno di trovare il nemico di fianco al proprio pianerottolo per avere la soluzione facile senza rendersi conto che non è una soluzione, la politica che banchetta sul disagio come continua a fare da anni e perfino il presidente campano che ora si ritrova a affrontare un’emergenza vera, qualcosa di endemico, qualcosa che ha radici profonde nel tempo e nei modi e che è molto di più di una semplice emergenza sanitaria.

Mondragone era malata già prima del Coronavirus, Mondragone, come molte parti d’Italia, è una di quelle zone dove la politica è riuscita a instillare la guerra tra disperati, gente invisibile che lavora nei campi per qualche spicciolo e poi rientra in case che sono casermoni dormitori dove la socialità sta solo nello sprofondare nel letto farciti di fatica, con un futuro immaginabile che non è più lungo del giorno successivo in cui ci sarà da cavarsela ancora. Lo schema facile facile disegnato dallo zotico razzismo di chi è incapace di fare i conti con la complessità è semplice, ripetuto, sempre lo stesso: arrivano i bulgari a infettarci, arrivano i bulgari a non rispettare le ordinanze ed è colpa dei bulgari se noi perdiamo il lavoro. La parola bulgari la potete tranquillamente sostituire con una nazionalità qualsiasi, l’importante è che siano altro rispetto a noi e così il giochino fila liscio liscio.

Nessuno che riesce a ricordare gli arresti e le denunce di imprenditori casertani (e lì, dalle parti di Latina) che i bulgari li importano a chili, famiglie con anche figli minori che diventano forza lavoro, per pagarli 2 euro all’ora e per lucrare su persone che non sono persone ma sono solo le loro braccia e la fatica che riescono a spremere in una giornata di lavoro. Mondragone è il grido d’allarme degli invisibili che sono rimasti con il collo schiacciato sotto la scarpa della pandemia e di questo mondo del lavoro che è appeso a un filo, fottendosene delle leggi e delle regole, dove basta rinchiudersi in casa per qualche settimana per fare la fame, la fame vera, la fame che andrebbe trattata per tutta la vita e per tutte le vite che ha intorno e che invece la nostra bassa politica tratta come fenomeno passeggero, giusto il tempo per coltivare rabbia e sperare di raccogliere una manciata di voti. Ora è Mondragone, è solo l’inizio.

Leggi anche: 1. Mondragone dimostra che il problema non è il Covid, è fame. E lo Stato non ha soluzioni (di L. Telese) / 2. De Luca vi fa ridere? La sua violenza verbale fa male alla sinistra ed è un regalo a Salvini / 3. Un bracciante è stato picchiato per aver chiesto una mascherina. Questa è l’Italia del 2020 

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Ieri gli infermieri erano “eroi”. Ora chiedono stipendi decenti e vengono presi a manganellate

Ve li ricordate gli infermieri in prima linea tutti belli, tutti giovani, tutti forti? Ve la ricordate, non è passato molto tempo, la romanticizzazione del lavoro negli ospedali nel momento di punta del virus, quando circolavano le fotografie di personale distrutto dalle mascherine, segnato dal dolore, provato dalla stanchezza e svuotato alla fine di turni che duravano perfino un giorno intero? Si diceva che forse sarebbe stato il caso di trarne una lezione, di essere meno poetici e di considerare la straordinarietà dell’impegno come lezione per il futuro, per riconoscere di più e meglio il lavoro di una sanità che un po’ dappertutto è stata sempre punita dalle scelte della politica, abbandonata a calcoli di bottega più che a preoccupazioni sanitarie.

In Francia da giorni gli operatori sanitari protestano per le strade chiedendo una migliore retribuzioni e maggiori investimenti nella sanità pubblica, per strada ci sono le stesse facce che venivano celebrate e incoraggiate, per strada c’era anche Farida, un’infermiera che è stata fotografata, questa volta senza celebrazioni facili come didascalia, ma circondata da poliziotti antisommossa che la trascinano con la faccia sporca e insanguinata come se fosse una pericolosa criminale. “Questa donna è mia madre – ha poi twittato la figlia – ha 50 anni, è infermiera, per tre mesi ha lavorato fra le 12 e le 14 ore al giorno. Ha avuto il Covid. Manifestava perché rivalutino il suo salario, perché riconoscano il suo lavoro. E’ asmatica. Aveva il camice. E’ alta 1,55 metri”·

Dietro un semplice episodio c’è molto: c’è la violenza della polizia (accade in Francia come accade negli Usa e come accade un po’ dappertutto perché il problema è molto più contagioso di quello che sembra), c’è il declino veloce di chi torna utile ai governi nella veste di eroe ma che poi deve fare il bravo e tornare buono al suo posto senza alzare troppo la voce e c’è la pandemia che ha scoperto bisogni che qualcuno finge ancora di non vedere. L’eroe moderno a disposizione del potere funziona così: pronto per mettersi in posa per essere l’angelo custode a disposizione della narrazione battagliera e poi il muto consapevole di chi non si permette di alzare la voce. Non è che i nostri eroi sono stati utili solo come statuine di un presepe che doveva sconfiggere il virus e poi andava messo in soffitta fino alla prossima celebrazione? Perché così sarebbe tutto terribilmente poco etico, poco serio, poco credibile.

Leggi anche: 1. Divorare ciliegie mentre si parla di bambini morti: non c’è da ridere, c’è da avere paura / 2. A Londra un antirazzista ha salvato un razzista dal linciaggio. Ecco com’è vivere senza nemici / 3. La Storia non è una statua inamovibile uguale a se stessa: ecco perché si può mettere in discussione 

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Divorare ciliegie mentre si parla di bambini morti: non c’è da ridere, c’è da avere paura

 

 

Alla fine è riuscito a spostare il fuoco della discussione sulle ciliegie. Si fatica a credere come la comunicazione di Matteo Salvini segua ostinatamente sempre i soliti trucchi, gli stessi sentieri, sempre puntando a banalizzare il cuore di una critica e fingendo di non cogliere la temperatura delle osservazioni che gli vengono poste. Il problema non è che Salvini mangi ciligie, figurarsi. Contento lui, contento lo strapagato Morisi che ha trasformato un ex ministro in un food blogger, buon per loro. Il problema è che divorare ciliegie mentre si parla di un batterio letale e della morte di bambini indica ciò che più di tutto a Salvini continuiamo a imputare: una totale mancanza di empatia.

E un politico incapace di praticare empatia è una disgrazia che non si augura a nessuno essendo la politica l’ascolto e la declinazione di governo dei bisogni che troppo spesso non vengono ascoltati di invisibili che spesso non vengono nemmeno notati e di disperazioni che vengono sottaciute. Non c’è nulla da ridere se un leader di partito esibisce, anche con una certa fierezza, l’incapacità di sentire ciò che gli accade intorno. C’è da averne paura perché è quello stesso politico a cui si vorrebbe affidare la gestione delle difficoltà delle persone. Forse basterebbe chiedere ai genitori di quei bambini morti cosa ne pensano, basterebbe buttarla, come Salvini fa spessissimo, sul piano del buonsenso che decide cosa sia opportuno e cosa non lo sia.

La risposta poi è la perfetta fotografia della malevola comunicazione. Salvini pensa che una certa sinistra (perché è sinistra tutto ciò che si permette di avanzare delle osservazioni, con la solita bambinesca divisione i noi e loro come in una partita di pallone) ce l’abbia con le ciliegie. Avrebbe potuto scusarsi, semplicemente, magari raccontandoci anche di ciò che Zaia stava provando a dire, poteva cogliere l’occasione per esprimere solidarietà a famiglie che hanno perso i figli e invece si è esibito ancora una volta in uno spettacolo tetro e goffo che riesce a essere quasi più insultante dell’abbuffarsi precedente. E chissà che non si riesca a parlare una volta per tutte di questi personaggi politici fieramente insensibili che giocano a agitare gli umori sporcando i temi che incrociano durante la loro propaganda.

Leggi anche: Mentre Zaia parla di neonati morti, Salvini “si ingozza” di ciliegie | VIDEO 

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A Londra un antirazzista ha salvato un razzista dal linciaggio. Ecco com’è vivere senza nemici

La sua foto in cui tiene in spalla quello che la retorica dipinge come suo nemico mentre lo porta fuori dalla calca e lo salva dal pestaggio ha fatto il giro del mondo, eppure sono le sue parole a definire un mondo che è molto diverso da come si vuole raccontare. Patrick Hutchinson è un personal trainer che vive a Londra e che stava partecipando alle proteste Black Lives Matter. Patrick è nero. E un nero che salva un manifestante di estrema destra dal linciaggio fa notizia perché a molti viene comodo raccontare che si tratti di una guerra, gli uni contro gli altri, e mica una difesa di diritti e di valori.

Intervistato da Channel 4, Hutchinson ha raccontato lo svolgimento dei fatti: “È stato un attimo, non ti rendi conto di quanto sia pericoloso. Ho visto quella persona in grossa difficoltà, allora mi sono buttato a terra anch’io e, sotto calci e pugni, ho provato a tirarlo fuori da lì, proteggendolo con il mio corpo. Per fortuna altre persone mi hanno fatto scudo. Non sono un eroe. È stato un lavoro di squadra. E io voglio solo uguaglianza. Per me, i miei figli, i miei nipoti”. Ed ecco qui tutta la differenza che in troppi fingono di non vedere: Patrick non ha visto un “nemico”, non ha visto “un razzista”, non ha visto “un bianco” e non ha visto “qualcuno da abbattere e superare”: Patrick ha visto una persona, esattamente come lui, una persona in mezzo a altre persone, con opinioni diverse ma che andava rispettata e salvata indipendentemente da quello che era e da quello che professava.

Non l’ha giudicato per il colore della sua pelle e non l’ha nemmeno giudicato per l’essere in una fazione contrapposta. Il movimento che sta attraversando il mondo e che molti (troppi) media stanno raccontando come una guerriglia è una difesa a oltranza di diritti che da troppo tempo vengono declamati e non sono rispettati, è il desiderio di uguaglianza, come dice Hutchinson, “per me, i miei figli, i miei nipoti” e quel gesto di salvare il razzista è una lezione che pesa più di mille altre parole. Il 13 giugno 2020 un antirazzista ha raccontato al mondo che non si lotta per prevalere mai su nessuno, ma semplicemente si lotta perché ci siano uguali diritti, soccorrendo tutti, tendendo la mano a tutti e difendendo le proprie idee senza calpestare le persone. Chissà se dall’altra parte avrebbero fatto lo stesso, chissà se dall’altra parte ora hanno capito esattamente quale sia il nocciolo della questione.

Leggi anche: 1. La Storia non è una statua inamovibile uguale a se stessa: ecco perché si può mettere in discussione / 2. Cecilia Strada a TPI: “Vendere armi all’Egitto vuol dire sostenere torture e uccisioni come quella di Regeni”

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Uno vale uno ma congresso lo stesso

Ma chi dovrebbe volere un congresso, la scelta di un capo in un partito in cui gli unici capi avrebbero dovuto essere gli elettori e in cui semplicemente serviva un garante per il rispetto del regolamento interno? A proposito di regolamento interno: perché Di Maio avrebbe dato il via libera all’abolizione della regola dei 2 mandati (in particolare alle sindache Virginia Raggi e Chiara Appendino), in quale veste. E poi: chi c’è dietro l’estromissione di Casaleggio dagli ultimi movimenti interni al Movimento 5 Stelle? Oltre al non invito agli stati generali dell’economia a Casaleggio ormai ben pochi parlamentari versano i 300 euro mensili per l’Associazione Rousseau. A proposito di soldi: che fine hanno fatto i tagli agli stipendi degli eletti (fatevi un giro sul sito tirendiconto.it per verificare con i vostri occhi) e i famosi mega assegni che Beppe Grillo mostrava (giustamente) soddisfatto con tutte le restituzioni?

E poi: Beppe Grillo? Del Movimento 5 Stelle (a parte quelli comodamente seduti al governo) si sente solo la voce di ritorno di Alessandro Di Battista che ora torna alla carica per riprendersi in mano il Movimento (con posizioni completamente opposte ai suoi compagni di partito sul Mes che “non rispetterebbe gli interessi nazionali”, detto come un Salvini qualunque, e contro Conte che se vuole fare il leader “deve iscriversi al M5S”, come se non sapesse che il progetto di Conte è tutt’altro). Quelli che “uno vale uno” ora vogliono fare un congresso perché uno valga più degli altri, un altro dopo Grillo, dopo Casaleggio e dopo tutti quelli che in realtà valevano di più ma non avevano il fegato di ammetterlo.

Allora facciamo una cosa, cari amici del Movimento 5 Stelle: riconoscete che la maturazione di un movimento in forma-partito è la naturale sequenza delle cose in politica, riconoscete che molta dell’innovazione che avete sventolato è stata perlomeno annacquata (per usare un eufemismo) e mettetevi a fare politica con gli organi democratici che la Costituzione prevede. Semplicemente. Avrebbero dovuto aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno e ora sono i tonni pronti a farsi pescare dal nuovo leader all’orizzonte. È normale, accade sempre così. E chissà se qualcuno nel Partito Democratico comincia a capire che questa alleanza (e questo governo) poggia su un Movimento che non è mai stato in movimento com’è adesso.

Buon lunedì.

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La Storia non è una statua inamovibile uguale a se stessa: ecco perché si può mettere in discussione

La Storia non è una statua, non rimane ferma, per fortuna, non è qualcosa di inamovibile che si ripresenta uguale a se stessa ogni giorno sottoposta nei secoli allo stesso identico giudizio. Le persone che sono state, siano il Montanelli che sventola da anni con la sua agiografia o qualsiasi altro rappresentato in qualche statua, non sono icone che sbiadiscono e si cementificio in arredo urbano come se fossero un lampione o un marciapiede allargato.

Sono personaggi che hanno compiuto cose alte e basse, che sono naufragati in piccolezze che a quel tempo erano tollerabili e ora lo sono meno. Tutto per un motivo semplice semplice che qualcuno si ostina a negare: il progresso del pensiero, l’evoluzione della sensibilità e, si spera, il progresso civile che rende normale qualcosa che prima non lo era e che rende insopportabile qualcosa che prima poteva essere sopportato.

C’è chi tira questa corda perché ogni giorno il mondo migliori di un pezzo, perché ci si ricordi che in fondo era accettato l’essere schiavi, l’essere inferiori perché femmine, l’essere escluso dal voto, l’essere considerato meno degno per condizione sociale o religiosa o di etnia. L’Italia che non permetteva il divorzio, che non concedeva l’aborto, che conviveva con il delitto d’onore e con il matrimonio riparatore non è la stessa Italia di oggi: se non cadessimo nel tranello di parlare del dito e perderci la luna in questi giorni parleremmo del mondo che è cambiato, solo dopo è cambiata la sensibilità con cui certi eroi vengono visti anche con occhi diversi. Sta tutto qui.

Il punto non è che Indro Montanelli abbia comprato una moglie che considerava una “docile bestiola” in un’era in cui era “normale” ma il punto è che nella nostra Storia abbiamo considerato potabili degli orrori che oggi fanno accapponare la pelle, semplicemente. E con il senno di poi, con il progresso civile, si potrebbe anche dire che sì, che era proprio una schifezza quella cosa lì, senza tirare in ballo una difesa a oltranza che è solo il pungolo di quelli che da sempre la corda la tirano dall’altra parte, quelli che sono cretinamente convinti che tutto sia immutabile e che il conservatorismo sia l’unica cosa che li rassicuri e li consoli.

La Storia non è una statua ed è doveroso riconoscerla come discutibile, tutti i giorni, una materia in continua evoluzione. Sarebbe da parlare di questo, senza gli eccessi di chi venera e di chi sgretola che non sono la notizia di cui parlare. Anche ridurre il progresso a ordine pubblico, ora che ci penso bene, è piuttosto schifoso.

Leggi anche: 1. Black Lives Matter, a Bristol i manifestanti buttano giù la statua di uno schiavista | VIDEO / 2. La storia va studiata, non cancellata. Abbattere i monumenti è pericoloso

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In Lombardia i contagi si impennano di nuovo. Ma nessuno ne parla, tantomeno Fontana e Gallera

Che strano animale è questa narrazione tossica del Covid che si adagia sulle diverse fasi, cambia registro ogni volta che bisogna spingere ad aprire tutto prima e chiudere tutto poi. Ora provate a chiudere gli occhi e tornate con la mente al periodo della quarantena nazionale, quando tutti rimasero al guinzaglio del terrore rinchiusi in casa mentre ogni giorno si svolgeva la messa laica della Protezione Civile che snocciolava dati, infetti, decessi e guariti. Immaginate lì, in uno a caso di quei giorni, una Lombardia con un nuovo picco dei contagi che contiene il 66,4% dei nuovi contagiati totali su tutto il territorio nazionale, immaginate di sapere (perché è così) che solo oggi stanno facendo tamponi a persone che si sono ammalate talmente tanto tempo fa che sono già guarite (o morte) e che hanno dovuto affidarsi al proprio buonsenso per non infettare gli altri e per rimanere chiusi in casa senza essere registrati, tracciati e seguiti da nessuna Ats.

Immaginate un sindaco di una città importante come Bergamo, come Giorgio Gori, che scriva quello che ha scritto ieri quando ha dichiarato senza mezzi termini: “Leggo che in Lombardia ieri ci sono stati 32 decessi per Covid. Non si sa però dove, in quale provincia, perché la Regione non comunica più i dati divisi. Da quando abbiamo segnalato che i decessi reali erano molti dpiù di quelli ‘ufficiali’, hanno secretato i dati per provincia” e che “neppure i dati sui guariti vengono più comunicati, e sì che sarebbero importanti per capire che oggi le persone ammalate sono poche” e che “non vengono comunicati neanche i dati dei positivi Covid divisi per singolo comune”.

Tutto questo mentre diverse Procure indagano sulla mancata istituzione della zona rossa tra Alzano e Nembro e sulle troppe morti all’interno delle RSA lombarde. Immaginate quei numeri se fossero serviti per giustificare una chiusura totale e osservateli oggi come vengono bisbigliati per non disturbare l’apertura e l’operosità che non si può fermare: i numeri possono diventare opinioni quando serve. E notate, tanto che ci siete, il silenzio dei virologi, l’attenzione caduta delle trasmissioni televisive e la mancanza dei grandi pareri di opinionisti di ogni sorta. Il virus è finito, hanno deciso così, e per finirlo basta smettere di raccontarlo e fare passare tutto come una semplice naturale lunga coda. I morti di questi giorni sono morti accidentali, i contagiati sono laterali. Stiamo a posto così. Che strano animale è questa narrazione tossica del Covid che riesce sempre a essere perfetta per il duo Fontana e Gallera.

L’inchiesta di TPI sulla mancata chiusura della Val Seriana per punti:

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