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sergio mattarella

La parità degenere

In Puglia l’ostruzionismo di Fratelli d’Italia ha impedito che la doppia preferenza di genere fosse inserita nella legge elettorale, come previsto da una norma nazionale del 2016. Così il governo ha dovuto metterci una pezza

Che gran brutta figura che ha rimediato il Consiglio regionale della Puglia. La notizia è passata sottobraccio eppure è una notizia di portata storica perché vede il governo, con il presidente Conte, intervenire per decreto lì dove i consiglieri regionali sono riusciti a dare il peggio di se stessi.

Partiamo dall’inizio: il Consiglio regionale pugliese nell’ultima occasione utile non riesce a introdurre la doppia preferenze di genere così come stabilito dalla legge nazionale, la n.20 del 2016, riuscendo addirittura a farsi bloccare da qualche migliaio di emendamenti da parte di Fratelli d’Italia, quelli della famiglia tradizionale che evidentemente le donne le vorrebbero vedere solo a casa a stirare e accudire i bambini. Che una Regione non riesca a mettersi in regola, dopo oltre quattro anni, con una legge così importante e non riesca a garantire la parità di genere e soprattutto per fare qualcosa di concreto per la partecipazione politica delle donne è la fotografia di un Paese in cui l’autopreservazione (degli uomini) è e rimane uno degli ostacoli principali.

Il governo ha provato a richiamare i consiglieri regionali alle loro responsabilità ma l’invito è caduto nel vuoto: la brama di qualche maschietto di non perdere il posto alle prossime elezioni evidentemente ha contato di più di principi che vengono annunciati e poi mai messi in pratica. Così alla fine è dovuto intervenire il presidente Conte con una mossa che ha qualcosa di storico: il governo ha nominato il prefetto di Bari Antonia Bellomo commissario straordinario con la funzione di provvedere «agli adempimenti strettamente conseguenti per l’attuazione del decreto sulla doppia preferenza di genere nelle Regionali in Puglia». Poche ore dopo il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha firmato il decreto legge.

Ha ragione la ministra per le Pari opportunità e la Famiglia Elena Bonetti quando scrive: «Affermiamo così che la parità di genere è un principio da tutelare in tutto il Paese, in maniera uniforme, perché in maniera uniforme va tutelato il diritto alle pari opportunità. Avevo anticipato negli scorsi giorni la volontà di utilizzare questo strumento inusuale, sperando tuttavia che le istituzioni pugliesi si adeguassero autonomamente. Non avendolo fatto, non abbiamo avuto altra scelta che questa per garantire i diritti e la legalità. Ho chiesto e insistito per un commissario straordinario che sia garante della piena applicazione del decreto e lo abbiamo individuato nella persona del Prefetto di Bari».

È un gesto enorme. E giusto. E dimostra invece la parità degenere della politica quando si occupa solo di sopravvivere.

Ben fatto.

Buon lunedì.

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Tante promesse per nulla

Niente, gli è andata male anche questa: Salvini ci teneva così tanto a fare il martire per il suo processo che avrebbe dovuto cominciare il prossimo 4 luglio, quello che lo vede imputato per sequestro di persona per il cosiddetto “caso Gregoretti” quando 131 migranti rimasero per quattro giorni su una nave militare italiana prima dello sbarco ad Augusta il 31 luglio del 2019. Ci teneva moltissimo Salvini perché avrebbe potuto mettere in scena la trama del povero perseguitato che viene messo all’angolo dalla magistratura cercando un legame (che non c’è) con la vicenda delle orrende intercettazioni del magistrato Palamara. E invece niente. «C’è mezza Italia ferma però mi è arrivata una convocazione a Catania per il 4 luglio», aveva dichiarato il leader leghista e invece il presidente dell’ufficio del giudice dell’udienza preliminare Nunzio Sarpietro è stato costretto al rinvio: «I nostri ruoli sono stati travolti dallo stop per l’emergenza coronavirus, ci sono migliaia di processi rinviati che hanno precedenza e ho dovuto spostare l’inizio del processo che vede imputato il senatore Salvini ad ottobre», spiega. E anche sui dubbi di un processo ingiusto Sarpietro tranquillizza l’ex ministro: «Stia tranquillo il senatore Salvini, avrà un processo equo, giusto e imparziale come tutti i cittadini. Né io né nessun giudice che si è occupato di questo fascicolo abbiamo nulla a che spartire con Palamara. E sono d’accordo con lui: quelle intercettazioni tra magistrati sono una vergogna».

Tutto fermo, quindi e niente scontro giudiziario come quelli che piacciono così tanto al centrodestra eppure l’ombra di Salvini, al di là delle vicende processuali, continua a pesare su questo governo e a essere un macigno per questo centro sinistra che si ritrova alleato con gli stessi alleati che furono di Salvini, con lo stesso presidente del Consiglio che celebrò proprio i decreti sicurezza e con un’aria stagnante per quello che riguarda il futuro prossimo sul tema. “Discontinuità”, avevano promesso proprio all’inizio del Conte bis. In molti si ricordano che le due leggi estremamente restrittive sull’immigrazione furono ampiamente contestate da buona parte del Partito democratico, in molti si ricordano le promesse che furono fatte e poi ripetute e in molti si ricordano che furono proprio i maggiorenti democratici a dirci di stare tranquilli che sarebbe cambiato tutto e che si sarebbe cancellato presto quell’abominio. Niente di niente. I decreti sicurezza sono lì e dopo otto mesi non sono stati cambiati. Non sono nemmeno state apportate le modifiche che addirittura il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, aveva chiesto in una sua comunicazione ufficiale. E se è vero che il numero di persone che cercano di attraversare il Mediterraneo è diminuito in questi primi mesi dell’anno è altresì vero che dopo la pandemia sicuramente ci si ritroverà di fronte allo stesso identico problema, con le stesse identiche strumentalizzazioni di Salvini (e della ringalluzzita Meloni) e ancora una volta si assisterà al cortocircuito del governo che tiene insieme quelli che andavano a visitare le barche tenute alla deriva di Salvini e quegli stessi che con Salvini definivano «taxi del mare» le navi delle Ong. Sono diverse le proposte di modifica depositate nei mesi: la riduzione delle multe che i decreti prevedono per le navi Ong impegnate nei salvataggi in mare (su cui anche Mattarella aveva avuto da ridire), il ripristino di alcune forme di protezione internazionale per rendere più facile la regolarizzazione delle persone sbarcate nonché maggiori investimenti nel sistema di accoglienza diffusa, quella che ha sempre funzionato meglio coinvolgendo piccoli gruppi in piccole strutture sparse sul territorio italiano. Niente di niente. Rimane solo qualche parola delle poche interviste rilasciate dalla ministra dell’Interno Lamorgese, l’ultima all’inizio di questa settimana, che ha più volte ripetuto di non essere favorevole allo stravolgimento delle leggi. A posto così. Figuratevi, tra l’altro, se in un contesto del genere si possa anche solo lontanamente parlare di ius soli o di ius culturae che erano altri capisaldi di una certa sinistra progressista che urlava ad alto volume contro Salvini e che ora si è inabissata in un penoso silenzio.

Ma è rimasto tutto fermo? No, no, è andata addirittura peggio di così: all’inizio di aprile il governo ha stabilito che i porti italiani non possono più essere definiti “porti sicuri” per le persone soccorse in mare e di nazionalità diversa da quella italiana, di fatto impedendo l’accesso delle navi delle Ong, riuscendo nel capolavoro di fare ciò che nemmeno Salvini era riuscito a fare con tutte le carte a posto. Nonostante la sanatoria approvata dal Consiglio dei ministri per rimpinzare di braccia i campi dell’ortofrutticolo e per garantire l’ingrasso della grande distribuzione il governo non ha nemmeno trovato il tempo di rivedere la legge Bossi-Fini del 2002 che di fatto rende impossibile trovare lavoro regolare per qualsiasi straniero extra comunitario. A metà dello scorso aprile dodici persone sono morte per sete e per annegamento (mentre altre cinquantuno sono state riportate nei lager libici) e anche l’indignazione per i morti sembra ormai essersi rarefatta. Il giornalista Francesco Cundari il 18 aprile ha colto perfettamente il punto: «Il governo ha abbandonato anche quel minimo di ipocrisia che ancora consentiva di accreditare una qualche differenza, almeno di principio, tra le parole d’ordine di Matteo Salvini e la linea della nuova maggioranza in tema di immigrazione, sicurezza e diritti umani», ha scritto per Linkiesta. Ed è proprio così: ormai la sinistra non finge nemmeno più di essere sinistra e spera solo che non si sollevi troppa polemica. Tutto si trascina in un desolante silenzio spezzato solo dalle inascoltate parole di qualche associazione umanitaria e dalla interrogazione parlamentare di Rossella Muroni sui respingimenti illegali, di cui leggerete nell’inchiesta di Leonardo Filippi che apre questo numero. Mentre in Parlamento ci si inginocchia in memoria di George Floyd qui ci si dimentica di quelli che senza ginocchio si riempiono i polmoni d’acqua per i criminali accordi che l’Italia continua a sostenere con la Libia e ci si dimentica di quelli che muoiono nelle baracche di qualche borgo di fortuna per schiavi.

Poi, in tutto questo, vedrete che arriverà il tempo in cui Salvini tornerà a fare il Salvini e tutti si mostreranno stupiti, ci diranno che vogliono fare tutto e che vogliono farlo presto e intanto sarà troppo tardi, intanto la gente muore, intanto gli elettori si allontanano e si ricomincia di nuovo daccapo.

L’editoriale è tratto da Left in edicola dal 19 giugno

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

«Vi è il dovere di governare il linguaggio. Con il coraggio, se necessario, di contraddire opinioni diffuse.»

«Sta a chi opera nelle istituzioni politiche – ma anche a chi opera nel giornalismo – non farsi contagiare da questo virus, ma contrastarlo, farne percepire, a tutti i cittadini, il grave danno che ne deriva per la convivenza e per ciascuno. Vi è il dovere di governare il linguaggio.

Con il coraggio, se necessario, di contraddire opinioni diffuse.

L’Italia non può diventare- non diverrà – preda di quel che Manzoni descrive, con efficacia, nel trentaduesimo capitolo dei Promessi Sposi, a proposito degli untori e della peste: “Il buon senso c’era ma se ne stava nascosto per paura del senso comune”.

La Repubblica vive dell’esercizio delle responsabilità da parte di ciascun cittadino: ognuno faccia uso dei suoi diritti e adempia ai suoi doveri.

Vale per me, anzitutto, chiamato a rappresentare l’unità del Paese e a concorrere all’ordinato funzionamento degli organi istituzionali. Così come a me compete ricordare, a ciascuno, il rispetto dello stesso principio.

Le finalità sono tracciate, con chiarezza, nel testo della Costituzione e verso di esse devono convergere le pubbliche amministrazioni, nell’imparzialità della loro funzione, diretta a servizio di tutti i cittadini.

Il limite dell’intervento dello Stato è indicato, limpidamente, laddove è pienamente riconosciuto, alla società civile, di esprimersi in tutte le forme organizzate della vita economica e sociale, senza interferenze da parte delle autorità pubbliche tese a influenzarne l’attività.

Da questo patrimonio nasce la reputazione di un Paese ordinato, bene amministrato, coeso.

La reputazione è un bene comune, collettivo. Indisponibile. Sottratto a interessi di parte perché costruito, nel tempo, con il contributo del nostro popolo.

E’ patrimonio di storia, di cultura, di valori che disegna il ruolo dell’Italia nella comunità internazionale. Ovunque si vada, si registra un gran desiderio di collaborazione e di interlocuzione stretta e concreta con l’Italia.

Tutto ciò che intacca questo patrimonio ferisce l’intera comunità.

Mi ha molto colpito un fatto di cronaca di questi giorni.

L’Italia non può assomigliare al Far West, dove un tale compra un fucile e spara dal balcone colpendo una bambina di un anno, rovinandone la salute e il futuro. Questa è barbarie e deve suscitare indignazione.»

(Sergio Mattarella, 26/07/2018, fonte)

No, santificare Mattarella non è una buona idea

Mattarella ha commesso errori. È ridicolo parlare di gole e di impeachment ma di certo non sta gestendo la situazione con la lucidità che sarebbe utile a smorzare gli animi (prima dei mercati) e a dare respiro alle pulsioni del Paese. E basta parlare gli ambienti del Quirinale per capire che la situazione già confusa che esce dai comunicati ufficiali in realtà è ancora più confusionaria.

Abbiamo messo in fila gli ultimi accadimenti (quelli saputi e quelli no) in un articolo. Qui.

Disperatamente attuale: quando l’Onorevole Mattarella parlò in aula contro le modifiche alla Costituzione (2005, ma vale anche oggi)

(L’intervento è negli atti parlamentari. Eravamo nel 2005, al governo Berlusconi. Provate a cambiare il nome degli addendi e vedrete che il risultato non cambia):

220734294-3c65732a-b424-4acc-8185-4593fff414a8Signor Presidente,

tra la metà del 1946 e la fine del 1947, in quest’aula, si è esaminata, predisposta ed approvata la Costituzione della Repubblica. Con l’attuale Costituzione, che vige dal 1948, l’Italia è cresciuta, nella sua democrazia anzitutto, nella sua vita civile, sociale ed economica. In quell’epoca, vi erano forti contrasti, anche in quest’aula. Nell’aprile del 1947 si era formato il primo governo attorno alla Democrazia cristiana, con il Partito comunista e quello socialista all’opposizio – ne. Vi erano contrasti molto forti, contrapposizioni che riguardavano la visione della società, la collocazione internazionale del nostro paese. Vi erano serie questioni di contrasto, un confronto acceso e polemiche molto forti. Eppure, maggioranza e opposizione, insieme, hanno approvato allora la Costituzione. Al banco del governo, quando si trattava di esaminare provvedimenti ordinari o parlare di politica e di confronto tra maggioranza e opposizione, sedevano De Gasperi e i suoi ministri. Ma quando quest’aula si occupava della Costituzione, esaminandone il testo, al banco del governo sedeva la Commissione dei 75, composta da maggioranza e opposizione.

Il governo di allora, il governo De Gasperi, non sedeva ai banchi del governo, per sottolineare la distinzione tra le due dimensioni: quella del confronto tra maggioranza e opposizione e quella che riguarda le regole della Costituzione. Questa lezione di un governo e di una maggioranza che, pur nel forte contrasto che vi era, sapevano mantenere e dimostrare, anche con i gesti formali, la differenza che vi è tra la Costituzione e il confronto normale tra maggioranza e opposizione, in questo momento, è del tutto dimenticata.

L e istituzioni sono comuni: è questo il messaggio costante che in quell’anno e mezzo è venuto da un’Assemblea costituente attraversata – lo ripeto – da forti contrasti politici. Per quanto duro fosse questo contrasto, vi erano la convinzione e la capacità di pensare che dovessero approvare una Costituzione gli uni per gli altri, per sé e per gli altri. Questa lezione e questo esempio sono stati del tutto abbandonati. Oggi, voi del governo e della maggioranza state facendo la “vostra” Costituzione. L’avete preparata e la volete approvare voi, da soli, pensando soltanto alle vostre esigenze, alle vostre opinioni e ai rapporti interni alla vostra maggioranza. Il governo e la maggioranza hanno cercato accordi soltanto al loro interno, nella vicenda che ha accompagnato il formarsi di questa modifica, profonda e radicale, della Costituzione.

Il governo e la maggioranza – ripeto – hanno cercato accordi al loro interno e, ogni volta che hanno modificato il testo e trovato l’accordo tra di loro, hanno blindato tale accordo. Avete sistematicamente escluso ogni disponibilità a esaminare le proposte dell’opposizione o anche soltanto a discutere con l’opposizione. Ciò perché non volevate rischiare di modificare gli accordi al vostro interno, i vostri difficili accordi interni. Il modo di procedere di questo governo e di questa maggioranza – lo sottolineo ancora una volta – è stato il contrario di quello seguito in quest’aula, nell’Assemblea costituente, dal governo, dalla maggioranza e dall’opposizione di allora. Dov’è la moderazione di questa maggioranza? Non ve n’è! Dove sono i moderati? Tranne qualche sporadica eccezione, non se ne trovano, perché la moderazione è il contrario dell’atteggiamento seguito in questa vicenda decisiva, importantissima e fondamentale, dal governo e dalla maggioranza. Siete andati avanti, con questa dissennata riforma, al contrario rispetto all’esempio della Costituente, soltanto per non far cadere il governo. Tante volte la Lega ha proclamato e ha annunziato che avrebbe provocato la crisi e che sarebbe uscita dal governo se questa riforma, con questa profonda modifica della Costituzione, non fosse stata approvata. Ebbene, questa modifica è fatta male e lo sapete anche voi. Con questa modifica dissennata avete previsto che la gran parte delle norme di questa riforma entrino in vigore nel 2011. Altre norme ancora entreranno in vigore nel 2016, ossia tra 11 anni. Per esempio, la norma che abbassa il numero dei parlamentari entrerà in vigore tra 11 anni, nel 2016! Sapete anche voi che è fatta male, ma state barattando la Costituzione vigente del 1948 con qualche mese in più di vita per il governo Berlusconi.

Questo è l’atteggiamento che ha contrassegnato questa vicenda. Ancora una volta, in questa occasione emerge la concezione che è propria di questo governo e di questa maggioranza, secondo la quale chi vince le elezioni possiede le istituzioni, ne è il proprietario. Questo è un errore. È una concezione profondamente sbagliata. Le istituzioni sono di tutti, di chi è al governo e di chi è all’opposizione. La cosa grave è che, questa volta, vittima di questa vostra concezione è la nostra Costituzione.

(Sergio Mattarella)

(fonte)

Responsabilità civile dei magistrati: finalmente ecco che parla Mattarella

Il presidente all'Altare della Patria

Non è un’invasione di campo. Ma certo sono parole che pesano rotolando giù dal Colle fin dentro Palazzo Chigi. “Le recenti modifiche alla legge Vassalli andranno attentamente valutate alla luce degli effetti concreti dell’applicazione della nuova legge” dice Sergio Mattarella. Il Presidente della Repubblica, e Presidente del Csm, è quasi alla fine del discorso che riserva ai 346 giovani magistrati tirocinanti convocati su al Colle e in attesa di iniziare il mestiere del pm o del giudice. E da questo preciso momento la nuova legge sulla responsabilità civile dei magistrati diventa ufficialmente “osservata speciale”, appena una settimana dopo la sua entrata in vigore. Il Quirinale minimizza, fa notare che le stesse parole furono già dette del ministro Guardasigilli. E però il taciturno Mattarella le ha volute dire. La cronaca ci dirà, nel tempo, se quella di oggi sarà da considerare la prima vera esternazione del Capo dello Stato. Certo si tratta di un’importante – e attesa – rassicurazione per la magistratura sul piede di guerra perché vede nella legge una “lesione della propria autonomia” e “un’intimidazione del servizio giustizia”. Ed è un’ammonizione per l’operato di palazzo Chigi che, nonostante le richieste di modifica avanzate da mesi dai vertici di tutta la magistratura e prima del voto finale, ha voluto andare avanti lo stesso e consegnare lo scalpo di una magistratura che deve obbedire ad esecutivo e legislativo.

Gli addetti ai lavori, Anm e Csm, attendevano queste parole. Parlando ai giovani magistrati Mattarella precisa che l’idea del “tagliando” alla legge sulla responsabilità civile “era già stata avanzata dal ministro della Giustizia Andrea Orlando”. Il Guardasigilli aveva parlato la notte in cui la legge fu approvata. “Ma come si fa a credere a un ministro che avanza l’idea del tagliando mentre sta votando quella legge sostenendo che è una buona legge?” denunciò l’Anm. In questa settimana di vita della legge devono essere state molte le sollecitazioni arrivate al Colle. Direttamente al Presidente. Tramite i suoi consiglieri giuridici. Tramite il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini. Ciascuno si è fatto a suo modo portavoce di preoccupazioni, timori, paure di fronte alle quali il Presidente non poteva più tacere. Così ha voluto tranquillizzare. E far sapere lui da che parte sta. “Seguire il modello di magistrato ispirato all’attuazione dei valori etici – ha detto ai giovani seduti nella sala dei Corazzieri – vi aiuterà ad affrontare con serenità i compiti che vi aspettano e a non lasciarvi condizionare dal timore di subire le conseguenze di eventuali azioni di responsabilità nella consapevolezza di essere soggetti, nell’applicazione delle vostre funzioni, unicamente alla legge”. In ogni caso, ha aggiunto, “sarò sempre attento custode nella duplice veste di Presidente della Repubblica e di Presidente del Csm”. Il ministro Guardasigilli Andrea Orlando ascolta e annuisce in silenzio in prima fila. Tra i membri del Csm ugualmente presenti nella sala c’è chi scrolla la testa: “Non è mai stato fatto un monitoraggio di una legge appena approvata. Ma che senso ha? Gli effetti distorsivi della legge andavano risolti prima”. Sarà il Consiglio superiore della magistratura a svolgere il cosiddetto monitoraggio.

La parole di Mattarella arrivano in fretta all’orecchio di David Ermini, responsabile Giustizia del Pd e fedelissimo del premier Renzi. “Non mi pare ci sia nulla di nuovo nelle parole del Presidente: ha confermato quanto già detto Orlando. La modifica della Vassalli era necessaria, non è stata fatta in 27 anni, la nuova legge adesso c’è e se c’è qualcosa che non va, faremo le correzioni necessarie”. Chiedere un monitoraggio significa ammettere che ci sono dei problemi in quel testo. E logica vorrebbe che il legislatore raccogliesse prima certe osservazioni. Ma Ermini non ci sta. “Intanto l’abbiamo fatto – sottolinea. “Poi appartiene all’umiltà della politica, al buon senso, fare eventualmente un passo indietro”. È il motto renziano declinato in tutte le sue forme: “Intanto si fa, poi si vede”. La nuova legge sulla responsabilità civile stabilisce che ogni cittadino, indagato o imputato, a cui è stato sequestrato un bene, possa fare subito azione civile contro il magistrato, giudice o pm, che ha esercitato l’azione penale. Non c’è un filtro di ammissibilità e la causa sarà valutata da un giudice civile. Le alte cariche della magistratura e la magistratura associata hanno previsto carichi di lavoro in controtendenza con la volontà di togliere l’arretrato, il rischio paralisi per via di ricusazioni e autosospensioni e il rischio, nel lungo periodo, di un lavoro da parte di giudici e pm sempre in difesa e burocratico per evitare guai.

Il Presidente che parla poco ha quindi parlato. Ed è il terzo intervento, si fa notare al Colle, dedicato a questioni di giustizia, uno al Csm e due ai giovani magistrati. Pochi giorni fa, nella Villa Castelpulci di Scandicci sede della Scuola della Magistratura, aveva ricordato che il magistrato non deve essere “né burocrate, né protagonista”. Oggi ha chiesto “coraggio e umiltà” perché “una società complessa chiede giustizia, e in tempi rapidi”. E’ un discorso come sempre breve ma essenziale quello di Mattarella. Indica i tratti fondamentali del magistrato che deve essere “artefice del diritto vivente e non più solo giudice bocca della legge”. Ne indica alcune priorità come la “lotta alla corruzione che blocca lo sviluppo economico e corrode la convivenza civile”. A palazzo dei Marescialli, sede del Csm, sono ancora in attesa di sapere quando il capo dello Stato andrà a tenere il suo atteso discorso sulla giustizia. Questi sono solo alcuni anticipi.

(fonte)

La sinistra, Mattarella e la minestrina

Nel numero di questa settimana di LEFT (in edicola a partire da ogni sabato) abbiamo voluto vedere “da sinistra” l’elezione del Presidente della Repubblica e i fatti della settimana. Si apre così la mia collaborazione con il settimanale e quindi se cercate LEFT dentro troverete (anche) me. Questo è il mio editoriale di questo numero:

20150130_Left_N42015-800x500Quando ero bambino una volta alla settimana toccava obbligatoriamente la minestrina. Non si sfuggiva: ogni settimana era un supplizio inevitabile condito dall’entusiasmo descrittivo di mia madre che me la impiattava con iperbolici aggettivi ogni settimana nuovi e diversi, eppure ogni settimana era poi sempre solo la solita minestrina. Un mio compagno di giochi, avremo avuto sì e no cinque o sei anni, mi raccontò di essere riuscito a superare la minestra di casa convincendosi che fosse buonissima. «Ma ti piace?», gli chiesi e lui: «No, ma se mi convinco che è buona prima o poi magari la mangio volentieri». Fu così che capii che i problemi sono spesso comuni ma le soluzioni invece sono molto differenti.

Matteo Renzi, in occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica, come spesso accade, ha voluto essere la mamma con la minestrina obbligatoria e contemporaneamente l’amichetto furbo che ti aiuta a scamparla, e non stupisce che ci sia riuscito ma atterrisce il come: ha capito che per portare a compimento il proprio processo politico (rivestire di sinistrofila modernità la stantia democristianità) serviva aggiungerci i sapori giusti dell’antimafia, del lutto, della mitezza, di un consono cattolicesimo, e il menù fisso sarebbe stato un successo. E infatti i sempiterni democristiani Fioroni e Rosy Bindi (ma anche qualche forzaitaliota e i nuovicentrodestri) hanno pianto lacrime di gioia sull’elezione di Sergio Mattarella. Dicono che Renzi sia stato bravissimo a trovare un candidato che il centrodestra non poteva non votare, scrivono i giornali in uno spaventoso coro unanime che Renzi ha spaccato il centrodestra, esultano i morotei, esultano i miglioristi, esultano i fanfaniani.

E la sinistra? Non pervenuta: inghiottita nel conformismo del pensiero unico e disarmata dall’odore di incenso. Non sia mai che si parli di un famigliare vittima di mafia uscendo dal pietismo piallante, non sia mai che si metta in discussione un democristiano solo perché democristiano, un cattolico solo perché cattolico, o un politico solo perché riservato: in questo Paese la mediazione al ribasso è una vittoria politica, il servilismo intellettuale un cromosoma trasversale e il dibattito è solo un esercizio stanco da campagna elettorale e così la laicità, la lotta sindacale, i diritti (verrebbe da scrivere: la sinistra) sono stati sospesi per apparecchiare tranquilli al nuovo Presidente.

I resti della “sinistra” (a sinistra del Pd e a sinistra nel Pd) ci dicono che poteva andare peggio, anzi ci invitano a brindare, ad apprezzare l’unità popolare, da Sel addirittura sottolineano che fu quello stesso Mattarella che si dimise per protesta contro Berlusconi e il voto sulla legge Mammì (era il 1990: Matteo Renzi aveva 15 anni, per dire) e che anzi dovremmo tutti concordare sul fatto che l’assenza dal dibattito politico sia un requisito presidenziale obbligatorio. No, scusate, non mi convinco, no: non ha vinto Renzi, ma ha abdicato questa sempre più logora sinistra che non ha gli strumenti culturali per descrivere uno slancio, per riuscire a vivere il momento “politicissimo” delle elezioni presidenziali un po’ più “in alto” di una settenaria riunione condominiale, per raccontare un’altra storia (come si diceva da queste parti prima di diventare tutti così vecchi e fiacchi).

Eravamo ai preliminari con i safari “sinistrosi” tra Syriza e Podemos, ci siamo sorbiti i pavoneggianti delle Leopolde sinistre e ora dovremmo esultare per la minestrina? No, grazie. Grazie, no. Scrive Mark Cirino che «la gente che dorme sotto la coperta del conformismo riposa bene, si fa le sue belle otto ore di sonno, ma fa sogni squallidi». Noi qui facciamo tanto per stare svegli, invece.

Ecco di che pasta siamo fatti:

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Esce oggi Left. Ci sono anch’io.

Ecco l’editoriale di Ilaria Bonaccorsi:

«No, scusate, non mi convinco no: non ha vinto Renzi, ma ha abdicato questa sempre più logora sinistra che non ha gli strumenti culturali per descrivere uno slancio, per riuscire a vivere il momento “politicissimo” delle elezioni presidenziali un po’ più “in alto” di una settenaria riunione condominiale». Così scrive questa settimana su Left lo scrittore e attore Giulio Cavalli, commentando il clima di unanime consenso intorno all’elezione di un ex Dc, Sergio Mattarella,  a nuovo presidente della Repubblica.

A questo è dedicato lo sfoglio di apertura, non al ritorno della Balena bianca ma all’arrivo della Balena tricolore, quella nazionale costruita ad arte da Matteo Renzi. Molte le nostre voci, lo storico Adriano Prosperi,  il politologo Gian Enrico Rusconi, il segretario nazionale della Uaar Raffaele Carcano, la leader radicale Emma Bonino. Tutti preoccupati dall’assenza di laicità nella nostra classe politica, affetta da un “perbenismo”, così lo definisce Emma Bonino, paralizzante.

Qui da noi, come ci racconta Checchino Antonini, l’ipotetica nuova sinistra, non riesce nemmeno, come ha fatto Syriza in Grecia, ad ancorarsi e connettersi con tutti quegli esperimenti di welfare autorganizzato sul territorio: dai medici sociali ai gruppi di acquisto popolari.  Mentre nascono nuove sigle e partitelli dal senso ancora non pervenuto: Italia Unica, Noi Italiani, Popolari per il Sud.

Ci siamo poi occupati di Primavere arabe e di sentire cosa ne pensa di questo e dell’avanzata dell’Isis in Africa, il viceministro degli Esteri Lapo Pistelli. Per continuare con l’intervista di Simona Maggiorelli alla scrittrice angloindiana e premio Pulitzer Jhumpa Lahiri che ci racconta di come si sia innamorata dell’italiano e di cosa abbia rappresentato scrivere il suo primo libro nella nostra lingua: «è avvenuto un cambiamento creativo ma anche personale. In questo nuovo percorso linguistico sono rinata. Spero che questo libro sia un nuovo inizio». E tanto altro, scienza, fiction e altre passioni. Buona lettura.