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silvana saguto

“Manfredi Borsellino? Squilibrato. Lucia? Cretina precisa”: parola del giudice Saguto.

(Giuseppe Pipitone per Il Fatto Quotidiano)

Manfredi Borsellino? “Uno squilibrato”. La sorella Lucia? “Cretina precisa”. È il 19 luglio 2015, anniversario numero 23 della strage di via d’Amelio, il massacro del giudice Paolo Borsellinoe della sua scorta. Silvana Saguto, una delle donne che a Palermo incarna il volto dell’antimafia fatta di numeri ed euro sottratti a Cosa nostra, sta partecipando – in qualità di madrina – alla manifestazione “Le vele della legalità”. Ricorda il sacrificio del magistrato assassinato, parla dell’antimafia dei sequestri, quella che dal 2010 rappresenta guidando la sezione misure di prevenzione del tribunale. Poi sale sulla sua auto blindata, telefona ad un’amica, e – come racconta Repubblica – si lascia andare ad una serie di insulti contro i figli di Borsellino. Inveisce soprattutto con Manfredi, oggi commissario di polizia, che 24 ore prima al palazzo di giustizia ha abbracciato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, tra la commozione generale. “Ma poi, Manfredi Borsellino che si commuove, ma perché minchia ti commuovi a 43 anni per un padre che ti è morto 23 anni fa? Che figura fai”.

Ma non solo. “Ma che – continua Saguto – dov’è uno… le palle ci vogliono. Parlava di sua sorella e si commuoveva, ma vaffanculo”. Sono i giorni del caso Crocetta, con il settimanale Espresso che ha pubblicato il testo dell’intercettazione (poi smentita dalla procura di Palermo, che indaga per calunnia e pubblicazione di notizie false) in cui il medico del governatore dice che Lucia Borsellino“va fatta saltare come il padre”. Ed è per questo che Manfredi Borsellino era intervenuto davanti al capo dello Stato, per difendere la sorella, che due settimane prima si era dimessa da assessore regionale alla sanità. Saguto però è un fiume in piena, e bolla Manfredi come “uno squilibrato, lo è stato sempre, lo era pure quand’era piccolo”. Lucia Borsellino, invece, per il magistrato è “cretina precisa”. Parole pesantissime quelle pronunciate da Saguto, che colpiscono al cuore la credibilità di una fetta ampia del mondo della cosiddetta antimafia.

“Io e mia sorella Lucia siamo senza parole, non vogliamo commentare espressioni che andrebbero catalogate alla voce cattiveria. Solo parlandone, rischiamo perciò di attribuire importanza a chi quelle parole ha proferito”, ha detto Manfredi, commentando le parole della Saguto. La donna “economicamente più importante di Palermo”, come la definì Gian Carlo Caselli, è infatti al centro di un’inchiesta della procura di Caltanissetta, che la ha iscritta nel registro degli indagati per corruzione, induzione e abuso d’ufficio: secondo l’accusa, aveva trasformato il mondo dei beni sequestrati a Cosa nostra in un suo personalissimo business, utilizzato a vantaggio della sua famiglia e di pochi fedelissimi del suo cerchio magico. Incarichi ad amministratori giudiziari amici (sempre gli stessi), nomine in cambio di lavori per il marito Lorenzo Caramma (anche lui indagato), il figlio e la fidanzata del figlio, regali chiesti e ottenuti, che spesso arrivavano proprio dalle aziende che lo Stato ha sottratto ai boss: come nel caso del supermercato Sgroi, dove Saguto aveva maturato un debito di oltre 18mila euro.

È un sistema tentacolare quello che ruota attorno al magistrato, un sistema che quando finisce al centro di inchieste giornalistiche (come nel caso di Telejato, la minuscola emittente guidata da Pino Maniaci), prova a difendersi facendo quadrato. “Voglio fare qualcosa d’impatto, un incontro con i giovani che gli eroi del contrasto alla criminalità, quindi voglio fare una giornata su di te”, dice Carmelo Provenzano, professore dell’università Kore di Enna, al magistrato, attaccato due giorni prima dalla trasmissione Le Iene. Sono gli stessi giorni in cui – secondo la ricostruzione dei pm nisseni – un ufficiale della Dia avrebbe fatto circolare volontariamente una vecchissima informativa che parlava di un rischio attentato per la Saguto. L’ex zarina della sezione misure di prevenzione che, nonostante le polemiche, non accenna a diminuire di un grammo la sua pressione su amici e componenti del cerchio magico. È il 31 luglio quando Saguto chiama Guglielmo Muntoni, presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Roma, chiedendogli di trovare un incarico per il marito. Muntoni accetta di buon grado, e spiega alla collega che “i miei amministratori sono precettati a cercare qualcosa che vada bene per un bravo ingegnere di Palermo”.

Sono solo le ultime intercettazioni raccolte dall’indagine. Mentre al Csm continua ad andare avanti la pratica per il trasferimento di sede di Saguto (che ha chiesto di essere spostata a Milano) e degli altri quattro magistrati coinvolti dall’inchiesta della procura di Caltanissetta, emerge infatti uno spaccato di come la toga messa a sentinella della “robba” sequestrata ai boss vivesse quotidianamente. L’auto blindata con la scorta, per esempio, veniva mandata in giro per le più banali commissioni domestiche, o utilizzata per andare al mare evitando il traffico. “È un inferno”, dice il prefetto Francesca Cannizzo al telefono. “Ce ne possiamo fregare dell’inferno se vieni con me, abbiamo la mia macchina, c’è la preferenziale”. Ed è proprio per la cena con il prefetto Cannizzo, che Saguto riceve in dono dall’amministratore giudiziario del complesso turistico Torre Artale sei chili di tonno. Un dono che punta ad attirarsi la benevolenza del magistrato e che riscuote alto gradimento. “Il prefetto – dice Saguto intercettata – era impazzita letteralmente una cosa così non l’ha mai mangiata”.

La mafia dell’antimafia e i meriti di Telejato e Pino Maniaci

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A Palermo sta succedendo un bordello. Quando tra gli indagati c’è un presidente di una sezione del tribunale (in questo caso Silvana Saguto che si occupa di misure di prevenzione) significa che qualcosa di odioso sta accadendo: arricchirsi sui beni confiscati è un tradimento triplo: alla legge, all’etica e a Pio La Torre.

Eppure questa storia che riempi i giornali è stata raccontata per la prima volta da Pino Maniaci e la sua piccola Telejato. E non ho potuto non ricordarlo in questo articolo:

Eppure ricordo benissimo i sorrisini che accompagnavano le denunce di Pino Maniaci come se in fondo un giornalista così poco pettinato, così puzzolente di sigarette e fuori dall’antimafia borghese avesse una credibilità tutta da dimostrare. Non bastano le minacce, non bastano le inchieste: nel salotto buono dell’antimafia ci entri solo se hai imparato le buone maniere, le cortesie istituzionali e la moderazione. Mica per niente uno come Peppino Impastato ci avrebbe pisciato sopra all’antimafia di maniera che va forte in questi anni. E anche Pino Maniaci, certamente. Ora che l’indagine è in corso (ed è “terribilmente seria” come ci dice qualcuno dagli uffici appena perquisiti nel Tribunale di Palermo) partirà la solita litania dei contriti che piangeranno lacrime di polistirolo.

Il resto è qui.