“Non serve l’antimafia da salotto”. A poco più di due settimane dall’omicidio di Paolo Salvaggio, eclatante esecuzione in stile mafioso compiuta in pieno giorno a Buccinasco, il sindaco Rino Pruiti si sfoga con Fanpage.it: “Chi le ha viste le istituzioni? A me non ha chiamato nessuno”. Pruiti lamenta la mancanza dello Stato, anche in relazione alla causa che oppone il Comune allo storico boss di ‘ndrangheta Papalia: “Se perderò quella causa non mi ricandiderò perché significa che qui io non servo a niente”.
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Omicidio a Buccinasco, lo sfogo del sindaco: “Istituzioni assenti, non serve l’antimafia da salotto”
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Mestieri (politici) pericolosi: il sindaco
Ogni volta che in Italia un primo cittadino appone una firma rischia di compiere un reato. Questo lo pone in balia delle accuse delle opposizioni. Come dimostra il caso Uggetti. Messo alla gogna, arrestato, deposto, infine assolto dopo 5 anni con formula piena
Poi un giorno con calma si riuscirà finalmente a discutere dell’architettura legislativa che rende l’essere sindaco di una città qualsiasi uno dei mestieri più pericolosi rispetto a qualsiasi altro ruolo politico. Si potrebbe capire, ad esempio, perché in Italia la classe dirigente della politica tutta molto spesso non ha esperienze (oltre che competenze) che la possano rendere autorevole.
Si potrebbe anche comprendere perché in molti (quasi tutti) preferiscano sedersi in una comoda assemblea legislativa (che sia il Parlamento o un Consiglio regionale) piuttosto che avventurarsi nell’amministrazione diretta di una città.È passata la buriana di accuse e di commenti e ancora una volta sono scomparsi i temi che stanno dietro le vicende dell’ex sindaco di Lodi Simone Uggetti e dell’attuale sindaca di Crema Stefania Bonaldi.
Simone Uggetti si è ritrovato, dopo cinque anni, assolto con formula piena («il fatto non sussiste») per un’accusa di turbativa d’asta che in primo grado di giudizio si era conclusa con una condanna a dieci mesi di reclusione e 300 euro di multa. Le accuse incrociate della gogna che ci fu nel periodo del suo arresto (si è tanto parlato delle responsabilità del Movimento 5 stelle e della Lega di Salvini dimenticandosi che il segretario del Pd (di cui Uggetti era esponente in quel periodo) Matteo Renzi lo scaricò voracemente in poco meno di un secondo. Quelle accuse venute da ogni parte hanno oscurato un tema che invece è tutto politico: il caso dell’ex sindaco di Lodi è l’ennesimo nella storia del nostro Paese in cui un’accusa (rivelatasi infondata) porta all’arresto di un sindaco e soprattutto al capovolgimento dello scenario politico.In una città che da sempre vedeva il centrosinistra al governo, la Lega, proprio con una campagna elettorale incentrata sull’arresto dell’ex sindaco del Pd, ha vinto le elezioni e tuttora governa la città. Non si tratta soltanto della vicenda umana di una persona ingiustamente incarcerata, ma molto più largamente si parla di una comunità che ha visto deviare la propria guida politica sulla base di accuse inconsistenti. Per alcuni giorni, con Uggetti che imperversava in tutte le televisioni, come se non fossero centinaia i casi del genere accaduti in passato, sembrava potersi accendere finalmente una riflessione complessa sul garantismo e sul delicato punto di equilibrio tra politica e magistratura, ma i…
L’articolo prosegue su Left del 25 giugno – 1 luglio 2021
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“In carcere temevano mi suicidassi”: l’arresto e l’assoluzione, il calvario dell’ex sindaco Uggetti
“Ho vissuto i miei 10 giorni di carcere in una condizione non normale. Temevano che mi suicidassi, ma non ci ho mai pensato”. Simone Uggetti, ex sindaco di Lodi, all’indomani della sua assoluzione in appello dall’accusa di turbativa d’asta ripercorre con Fanpage.it il suo calvario durato 5 anni. “Il momento più brutto? L’arresto. Ma la parte più difficile è venuta dopo, perché mi hanno rubato la vita”.
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Comunali Milano, l’ex sindaco Gabriele Albertini potrebbe ripensarci: “Ama farsi pregare”
L’ex sindaco Gabriele Albertini è davvero fuori dai giochi per le prossime elezioni amministrative a Milano? Sono tanti gli indizi che lasciano ipotizzare che Albertini potrebbe in realtà ripensarci e candidarsi come sindaco per il centrodestra. “Ama farsi pregare”, dice un dirigente di Forza Italia a Fanpage.it. E il coordinatore degli azzurri Tajani: “Siamo favorevoli ad Albertini a Milano”.
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Giornalisti intercettati, dopo Trapani ne spuntano altri 33 ascoltati per il caso Mimmo Lucano
Ci sono fatti che stanno uscendo in questi giorni che messi in fila fanno spavento, notizie che vengono ingegneristicamente spezzettate per non avere il quadro d’insieme mentre la prospettiva generale è qualcosa di spaventoso, un modus che meriterebbe una riflessione larga su politica e giustizia. Forse proprio per questo conviene rivenderli come singoli casi di cronaca.
Facciamo un passo indietro: è notizia di qualche giorno fa (ormai diventata “vecchia” e quindi facile da scavalcare liscia) che tra le carte della fumosissima inchiesta del 2017 della procura di Trapani che avrebbe dovuto dimostrare i legami illeciti tra Ong e scafisti ci siano centinaia di pagine di intercettazioni trascritte e depositate che riguardano giornalisti ascoltati mentre parlano con le loro fonti, mentre discutono tra di loro, addirittura mentre parlano con i loro avvocati. Una pesca a strascico che non segue nessuna logica procedurale e che sono gravissime violazioni in uno Stato di diritto. La ministra Cartabia ha deciso di inviare gli ispettori per vagliare le carte e le procedure eseguite, al fine di accertare eventuali comportamenti non consoni attuati dalla procura.
Facciamo un secondo passo. Quell’inchiesta è finita in niente, la tesi dell’accusa però è stata il copione di una narrazione politica frequentata sia dall’ex ministro dell’Interno Minniti sia da Salvini che ne fece il plot di tutta la sua campagna elettorale che l’avrebbe portato al Viminale. Anni di criminalizzazioni delle Ong che non hanno nessun riscontro giuridico, nessuna sentenza, nessuna condanna in nessun grado. E non c’è solo l’inchiesta di Trapani: in questi anni sono stati aperti ben 16 fascicoli sulle organizzazioni umanitarie e non si è mai arrivati in nessun caso al processo. Non si parla di assoluzioni, badate bene: non c’è mai stato uno straccio di prova che giustificasse nemmeno un dibattimento. Qualcuno come il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro ha dovuto ammettere di non essere riuscito ad andare oltre la suggestione dei suoi sospetti nonostante ne abbia parlato lungamente sui giornali, in televisione e perfino nelle sedi istituzionali della politica.
La sua inchiesta sulle Ong (la prima in ordine di tempo) è ancora oggi sventolata come “prova” nonostante sia stata chiusa dopo due anni di indagini: la confusione è talmente tanta sotto il cielo che ora basta perfino essere indagati, senza nemmeno essere accusati, per essere “sporchi”, per essere delegittimati e additati come colpevoli che sono riusciti a farla franca. In compenso in questi anni di inchieste abbiamo assistito a presunti scafisti che erano solo scambi di persona, traduzioni sbagliate che hanno incarcerato innocenti e riconoscimenti che si sono rivelati fallaci.
Facciamo un altro passo. Si scopre che tra il 2016 e il 2017 nell’ambito dell’inchiesta “Xenia” che ha portato all’arresto del sindaco di Riace Mimmo Lucano facendolo decadere da sindaco per poi riabilitarlo quando ormai il danno era fatto, 33 giornalisti siano stati intercettati (senza mai essere iscritti nel registro degli indagati), sono stati ascoltati 3 magistrati, uno degli avvocati difensori di Lucano e un viceprefetto. Nel fascicolo dell’indagine (carte praticamente pubbliche) ci sono utenze telefoniche, indirizzi mail e dati di tutti gli intercettati. Lo scopo? Sempre lo stesso: smascherare i buonisti che erano già stati condannati da certa politica.Lo scenario quindi è questo: politica e magistratura hanno concorso per anni nell’ossessivo sostegno di una tesi che ha portato popolarità e consenso a entrambi, hanno trovato una convergenza nel dipingere una realtà che non ha ad oggi nessun riscontro e hanno usato (resta da capire se di comune accordo) metodi forse non leciti e sicuramente non etici. Una tesi politico-giudiziaria ha modificato il corso di questi anni, una tesi senza nessun riscontro. Questo è l’aspetto più spaventoso e allarmante e su questo bisognerebbe avere il coraggio di aprire una discussione. Funziona un Paese così?
L’articolo Giornalisti intercettati, dopo Trapani ne spuntano altri 33 ascoltati per il caso Mimmo Lucano proviene da Il Riformista.
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Quante Malika ci sono in giro?
Sta facendo (per fortuna) molto rumore la storia di Malika, la ragazza di Castelfiorentino (Firenze) che nei giorni scorsi ha rilasciato la sua drammatica testimonianza a Fanpage.it in cui racconta di essere stata cacciata di casa, di essere stata umiliata e di essere minacciata di morte dalla sua famiglia dopo avere raccontato di essersi innamorata di una donna.
La storia ha tutti gli ingredienti della famosa “famiglia tradizionale” che si preoccupa molto più dell’orientamento sessuale dei propri figli che dei figli stessi. «Ti auguro un tumore», «Meglio una figlia drogata che lesbica», «Mi parli di altra gente? Son fortunati perché hanno figli normali, e solo noi s’ha uno schifo così», sono solo alcune delle frasi che la madre di Malika le ha rivolto con dei messaggi vocali. Il fratello da mesi – racconta Malika – la minaccia promettendole di tagliarle la gola. Lei è uscita con niente, solo quello che aveva addosso e da gennaio cerca di volta in volta una sistemazione di fortuna. Ha provato anche a ripresentarsi a casa della madre almeno per recuperare i suoi effetti personali ma la madre, di fronte agli agenti che accompagnavano la ragazza, l’ha addirittura disconosciuta.
Dopo l’uscita della notizia la mobilitazione è stata altissima: il sindaco della città si è subito attivato per aiutare la ragazza, molti cittadini si sono fatti avanti e Malika ha ricevuto anche qualche offerta di lavoro. Intanto la procura di Firenze, dopo 3 mesi e solo dopo l’enorme pubblicità che si è creata intorno all’evento, ha deciso di aprire un’inchiesta. La storia di Malika ha anche riacceso i fari sul Ddl Zan.
Insomma potrebbe sembrare una storia a lieto fine se non fosse che rimane addosso quella sensazione che c’è ogni volta che qualcosa si risolve dopo avere fatto rumore: quante Malika ci sono in giro? E la domanda giusta la pone proprio Malika intervistata da Fanpage quando dice: «Purtroppo ho dovuto sperimentare sulla mia pelle la lentezza della burocrazia italiana, che contribuisce a creare un clima di isolamento intorno a chi è vittima di odio omofobico, di bullismo, di stalking o di qualsiasi altro genere di violenza. Ho sporto denuncia contro i miei genitori il 18 gennaio 2021, ma fino a ieri l’altro non è stato fatto praticamente nulla di concreto. Ho dovuto ricorrere alla stampa per farmi sentire, sono felice che alla fine la mia richiesta di ascolto sia arrivata, ma mi chiedo: quante grida di aiuto si perdono nelle maglie della burocrazia italiana? Io ho dovuto urlare per vedere riconosciuto quello che è un mio diritto, se non l’avessi fatto sarei ancora invisibile».
Eccola, è questa la domanda.
Buon lunedì.
Nella foto un frame dell’intervista a Fanpage.it
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