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De Luca vi fa ridere? La sua violenza verbale fa male alla sinistra ed è un regalo a Salvini

Sì, fa un sacco ridere Vincenzo De Luca e tutta la rete è inondata dei suoi video che ormai funzionano come passatempo e sfogatoio. Quello in cui definisce più volte “Neanderthal” Salvini e lo apostrofa con “ha la faccia come il suo fondo schiena per altro usurato” ha fatto il giro del mondo. Bravo De Luca: ottimi tempi teatrali, ottima mimica del disgusto, ottima finzione di non essere volgare pur riuscendo a essere volgare e tutta quella posa da attore consumato di chi sa benissimo che la sua conferenza stampa è il cartoccio in cui infilarci quel minuto buono per essere ritagliato e diventare terribilmente popolare.

Dall’altra parte quell’altro, Salvini, ovviamente si butta nel fango e risponde colpo su colpo, la guerra di bassezze è il suo habitat naturale, l’ha reinventato lui in questi ultimi anni di social come ring e quindi non serve nemmeno citare il fatto che l’ex ministro dell’interno contrapponendo i “napoletani” agli “italiani” e a suo seguito Giorgia Meloni che risponde con un agguerittisimo “vispa Teresa” ai danni di De Luca. Sì, fa un sacco ridere da fuori vedere questi leader che si comportano come la gente della strada (che è la formula magica con cui in questi anni si giustifica la merda verbale che siamo costretti a sopportare) ma se gratti sotto sotto ai siparietti di De Luca, se gli togli i suoi “cinghialoni” e i “lanciafiamme” che vorrebbe usare per difendersi dal virus (con le solite iperboli guerresche di matrice trumpiana che solleticano meravigliosamente gli intestini degli incazzati), scopri che al di là della simpatia manca la politica.

Che manchi la politica, pensandoci bene, è anche uno degli aspetti secondari: intossicare e abbassare il livello di ecologia lessicale significa soprattutto costruire l’ambiente perfetto perché certa politica continui a essere così bassa, così fetida, così vuota da continuare a allevare tutto il veleno che continua a colarci addosso. De Luca è il prototipo perfetto di nemico di Salvini perché Salvini continui a esistere e prosperare e soprattutto perché il salvinismo possa trovare sfogo in tutte le sue diverse declinazioni (più forbito quello di De Luca, più crasso quello di Matteo) annullando di fatto il dibattito leale e pulito che dovrebbe concorrere a migliorare la vita dei cittadini, al di là degli slogan. E quindi un bravo a De Luca, lanciato nella sua seconda carriera di influencer. Chissà se si rende conto di quanto costino in termini di vivibilità del dibattito politico le sue bravate lessicali.

Leggi anche: 1. Calenda a TPI: “Gli Stati Generali sono inutili. Il piano Colao era buono, il governo l’ha svalutato senza motivo” (di Luca Telese) / 2. Mancata zona rossa, Crisanti sarà il super consulente della procura di Bergamo: “Ora voglio scoprire la verità” (di Francesca Nava e Veronica Di Benedetto Montaccini) / 3. Esclusivo TPI: Fontana e Gallera in centro a Roma senza mascherina. “Cancellate quelle foto” (di Selvaggia Lucarelli)

4. Nelle acque di scarico di Milano e Torino c’erano già tracce del Coronavirus a dicembre 2019: lo studio dell’Iss / 5.  I pronto soccorso in Sicilia? Da oggi li gestisce la Lombardia. Alla faccia del flop sul Covid / 6. Esclusivo: per un vuoto normativo il Governo ha “regalato” 1.800 euro di bonus ad arbitri volontari non professionisti

L’articolo proviene da TPI.it qui

Ha ragione la Cirinnà: Dio, Patria e Famiglia è uno slogan fascista. E chi lo difende da sinistra sbaglia due volte

La polemica che si è rovesciata su Monica Cirinnà per il suo cartello “Dio, patria e famiglia – che vita de merda” è stupida e inutile. Innanzitutto perché i fascisti non avevano quei valori. Peccato che l’ironia non sia stata capita. A partire da Carlo Calenda, che ha commesso un grande errore.

Il mio editoriale per Linkiesta.it lo trovate qui.

La bugia come regola, la cialtroneria come metodo, lo slogan come contenuto

Non è questione dei tempi che non sono più quelli di una volta e nemmeno della barbarie come decadenza del sapere: è che funziona. Semplicemente. Essere cialtroni funziona, mentire ha il suo successo, avere una schiera di tifosi pronti a coalizzarsi in un esercito di sgherri è producente e ingannare la propria schiera ha molto più successo di qualsiasi smentita. Quella al massimo riuscirà a scalfire un angolo di cui alla fine non si accorgerà nessuno.

Di Maio dice di avere proposto altri ministri in sostituzione a Savona e lo dice (da Barbara D’Urso perché anche l’informazione pesa un tanto al chilo e la qualità dell’informazione è una fissazione di qualche radical chic) sicuro di non essere minimamente toccato dalla smentita che arriva direttamente da una nota ufficiale del Quirinale. Non solo: a smentire Di Maio ieri ci ha pensato anche direttamente il numero due della Lega Giorgetti e poi ci pensa direttamente Salvini che confessa di non sapere cosa si siano detti Di Maio e Mattarella.

Ma, in ogni caso, non conta raccontare palle. Serve. Funziona. Semplicemente. Se riesci a costruire una comunicazione che prende per buono tutto ciò che dici nella tua diretta Facebook (a proposito: Renzi ha contestato le dirette Facebook di Di Maio e Salvini direttamente su Facebook, in diretta, genio) allora sei sicuro che chi visita la tua pagina non si prenderà nemmeno la briga di controllare le altre. Funziona così: io parlo ai miei sapendo che i miei non crederanno o non leggeranno mai quello che dicono gli altri. Il gioco è fatto.

Così il quadro politico attuale è una serie di soliloqui sui social e in tv (a proposito: ma quelle vecchie trasmissioni in cui si invitava un ospite e il suo contraddittorio non esistono più? Sicuri che la stampa non abbia le sue colpe?) che non hanno nessun timore di essere smentiti. Se l’informazione è falsa tanto alla fine non lo saprà nessuno. Se l’informazione è abbastanza indignata si è sicuri che diventerà l’indignazione del dopo cena. Se l’incazzatura è abbastanza appuntita alla fine il voto è certo.

La bugia come regola, la cialtroneria come metodo e un tweet o uno slogan come unico contenuto: noi stiamo affondando per queste cose qui. L’approfondimento è considerato un lusso da professori, il sapere è considerato un peso, l’informarsi un’inutile perdita di tempo. E così tutti divisi tra santi coglioni senza nessuna possibilità di toni intermedi. Se scrivi che Mattarella è riuscito a gestire questa crisi peggio ancora di come l’hanno fatta finire questi risulti uno sfascista, se dici che Di Maio ci è cascato come un pollo sei un pidiota, se lamenti la vergogna di un Salvini come potenziale ministro dell’Interno sei un buonista, se scrivi che il Pd riesce a fare danni ogni volta che parla sei un populista, se dici che Liberi e uguali ormai è archeologia sei un ingrato. Beati voi che sapete benissimo in che cassetto mettere ogni frase che vi arriva, nel tempo di un battito di ciglia.

Buon mercoledì.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2018/05/30/la-bugia-come-regola-la-cialtroneria-come-metodo-lo-slogan-come-contenuto/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.